Salve, che cosa fai? «Avvocatessa ». Ah. E tu invece? «Avvocato». Mh. E tu? «Avvocatessa». Eh. E tu altra? «Avvocata». E tu, ragazza scosciata? «Uguale». Me ne compiaccio; e te ancora, o giovanotto prestante? «Ho uno studio legale con un collega, avvocato». Bene. Da questo sondaggio sul campo di una festa di compleanno possiamo concludere che «non tutti i baresi sono avvocati, ma tutti gli avvocati sono di Bari».

Il numero stimato per i maschi non ancora affetti da Alzheimer laureati in Giurisprudenza e abilitati è di 365.031, cioè all’incirca lo stesso numero di abitanti del capoluogo (anche se non si vedono, ci sono); quello delle femmine, circa 594mila: due avvocatesse per ogni residente. Indispensabili. Più la moltitudine di praticanti per l’eternità.

Da cui si desume che nessuno più svolge mansioni di sarta, mondina, testimone di Geova, e più niuno in tenera età dice alla mamma: «Voglio fare l’astronauta o il cow-boy». Perché sanno già come da adulti faranno la fame. Fatta eccezione per la prole dei grandi uffici (sì, anche gli studi legali partoriscono) e per i figli avuti dai titolari con leggiadre collaboratrici (spesso nipotine di Mubarak); fatta eccezione per i più scafati, i 959.031 giovani azzeccagarbugli del foro di Bari sono sovente costretti a nutrirsi di bacche, a bere succo di prato e a dormire in stazione con i defraudati. O a rubare Rolex, come avvenuto di recente in una palestra del centro frequentata da splendidi e splendide della città.

È così da tempo, ma peggio oggi perché nessuno ha più il becco di un tallero e i clienti non saldano il legale privo di mezzi persuasivi validi (pistola regolarmente denunciata o amicizie nei clan). Forse per questo la maggioranza dei legulei conserva una linea invidiabile.

Non è difficile riconoscere l’avvocato di Bari. Veste azzimato a rate e con un gusto superiore a quello riscontrato in altre categorie professionali. Profuma solitamente di fresco, nonostante le sudate imposte dal ritmo concitato. Trotterella, non cammina, mentre riafferra documenti volanti. Si districa tra due-quattro cellulari (si va dalla chiamata per il ricorso in Cassazione alla foto porno all’amante, dalle mozzarelle per la moglie alla richiesta di trasferimento per lo stupratore arrestato), per cui ha nel cranio un mulinante pensiero vago (è scimunito).

Si evidenzia per l’attaccatura del gluteo al lombo mediamente più alta, come provano gli studi del Lombroso. E anche i miei che ho esaminato con il righello diversi esemplari. Il causidico si concentra soprattutto nel Murattiano, dove c’è la maggiore presenza di studi, di banche, di soldi, clienti, vita viziata. Partecipa a feste bene ove si riversano ipotetici utilizzatori finali e saluta tutti con canino smagliante: «Ehi, ciao!, ehilà, ciao..! Ti abbraccio».

Organizza happening di categoria straripanti, la cui fama percorre l’intiera cittade: dalle rutilanti serate della Fondazione forense e Agai alle notti estive degli Avvocati del Foro da 2000 invitati, fino alle feste d’auguri Udai. Conosce questo e quell’altro, svelena su questo, su quella e quell’altro, sa tutto ciò che tu stesso di te non sapresti mai e sfoga l’alienazione e la fame su Facebook creando ulteriori contatti sociali. È un perdente che cavalca la breccia, anche se nel dopolavoro ripara tubi fognari.

In breve: l’avvocato è figo, l’avvocatessa è figa assai. Il mio ottimo amico «De corruptionis», come l’ho in punta di diritto nomato, m’ha edotto del mestiere in una frase: «In tribunale 2+2 non fa necessariamente 4. Tutto qua». Si riferiva, suppongo, alle opportunità del metalinguaggio, al contatto del primo tipo, del secondo, del terzo, del quarto. Mica all’illiceità. Veramente, mi ha raccontato anche altro.

Al pari di colossi forensi e potenti cariatidi. Ma certamente non intendevano dire che l’abiezione del governo che Roma va disvelando è il mero riflesso dell’andazzo che in qualsivoglia ambito fa di ogni uomo un avvocato. La Gazzetta del Mezzogiorno, 20 febbraio 2011