È vero che molte parole sono scomparse dal lessico quotidiano: non ci sono più i «fotoromanzi», per esempio, non si gioca più a «flipper», non si parte più per la «villeggiatura» e tantomeno per il «confino» o la «naja». Tantomeno ci sono più gli «scapoli» né le «signorine», non ci si mette più la «brillantina» e non si parla più delle «plutocrazie» e la sera non si va al «night» a sentire Buscaglione e Carosone. Eppure a leggere il libro di Raffaella De Santis Le parole disabitate, edito da Aragno, anche se lei non lo scrive, ci si rende conto che la maggior parte delle parole sono state aggiornate e riabitate, e in questo senso vorrei chiosarlo suggerendo all’autrice le sostituzioni moderne. I «compagni», per esempio, ci sono ancora, si chiamano antiberlusconiani. La «controcultura» non è scomparsa, si è anzi affermata e bestsellerizzata, è quella che fa chiunque si opponga a Berlusconi, e ha preso il posto della cultura ufficiale: se ti appelli a Leopardi o De Roberto ti prende per un alieno anche colui che un tempo sarebbe stato definito un «professorino» e oggi conferisce la laurea honoris causa a Saviano che la dedica ai Pm di Milano che combattono Berlusconi. Idem per la «cultura giovanile», visto che perfino il grigio Bersani, Pierluigi non Samuele, durante un comizio il cui tema sono le dimissioni di Berlusconi, cita Vasco Rossi: «come dice Vasco Rossi: eh già!». Invece la vecchia «alienazione» marxista è stata sostituita dalle «vittime della propaganda berlusconiana», alle quali si contrappone la «società civile», antiberlusconiana per definizione. I «capelloni» non ci sono più, in tema tricologico si ama piuttosto evocare i capelli trapiantati di Berlusconi, argomento che, dopo anni, ancora ricorre nelle conversazioni provocando un obbligatorio brivido di sagacia satirica. La «dolce vita», va da sé, non c’è più, né in via Veneto né altrove, tranne ad Arcore, e si chiama bunga-bunga: nessuno ha ancora capito bene cosa sia esattamente e come funzioni ma tutti ne parlano perché suona strano, misterioso e esotico, tanto che lo stesso Berlusconi ci gioca e chiude gli incontri pubblici con l’invito corale «Venite tutti al bunga-bunga!», dimenticandosi però di dire dove e quando ma tanto nessuno ci fa caso. Il «dibattito» al Cine Club, il dibattito di C’eravamo tanto amati, «il dibattito no!» dell’autarchico Moretti è stato rimpiazzato dalla «lite» (si veda youtube), in particolare dai politici di destra e di sinistra che litigano in televisione su Berlusconi: chi a favore, qualsiasi cosa faccia, chi contro, qualsiasi cosa faccia. Il «commendatore», ha ragione la De Santis, non esiste più: «Il “commendatore” sapeva vestire, poi era simpatico e sapeva lusingare una donna; la quale cosa era molto apprezzata, soprattutto dalla “signorina d’ufficio”, una giovane che avrà avuto poco più di vent’anni, dunque per età e indole molto sensibile alle carinerie», verissimo, e però, a pensarci, oggi al posto del commendatore c’è il Cavaliere. Il «discorso» («il discorso della gelosia», il discorso «da portare avanti», il discorso interrotto, da riprendere, di cui riannodare i fili) è stato sostituito dalla «narrazione», parola come è noto molto usata da Nichi Vendola in svariate declinazioni (in frasi del genere: «La narrazione berlusconiana è piena di smagliature»). Quanto all’«emancipazione», specie se femminile, quella che gridava in piazza «l’utero è mio e me lo gestisco io» e «rivendichiamo il diritto alla proprietà del nostro corpo», oggi scende in piazza contro i corpi altrui, specie corpi di altre donne, e specie se il proprio corpo e il resto lo danno a Berlusconi. A proposito, la «piazza» regge, e anzi è la sede permanente dell’opposizione («la sinistra scenderà in piazza» non è più una notizia), quindi si scende in piazza ogni due settimane: per la dignità delle donne, vale a dire contro Berlusconi, in difesa della Costituzione, vale a dire contro Berlusconi, e perfino tatutologicamente contro Berlusconi, che è anche, in sintesi, il programma dell’opposizione. Non si parla più di «radio libere», casomai di «televisioni libere», qualsiasi emittente non sia di Berlusconi, e «giornali liberi», quelli non di Berlusconi. Il «campo» non evoca il campo di concentramento, «il recinto che chiude, il perimetro che nega l’aperto, la prigione fortezza», gli ebrei, Primo Levi, Adorno, Agamben, Auschwitz; oggi se dici «campo» viene solo in mente che Berlusconi è sceso in campo. Nessuno, d’altra parte, fa più del «volantinaggio», in compenso si è sommersi dalle mailing list di Micromega che annunciano ogni settimana una manifestazione contro Berlusconi alla quale poi non si presenteranno neppure quelli di Micromega. Non ci sono più le battaglie contro i «tabù» (le battaglie per liberarsi dai tabù sessuali, dal tabù del corpo, il tabù della nudità, il tabù dei pregiudizi) né i «perbenisti» né i «bigotti», e però mentre un tempo l’Azione Cattolica si scandalizzava per il bikini, perché «contrario al pudore cristiano della nostra terra», oggi ci pensano gli oppositori alle scosciature delle veline come Gad Lerner e a brandire le tavole mosaiche la Presidente del Partito Democratico Rosi Bindi («Berlusconi ha violato il secondo comandamento»). Non esiste più il «Piccì», ma neppure il PDS, tantomeno i DS, e tra poco finirà il PD: oggi l’essenza del partito di sinistra è rappresentato dalla parola «oltre», che non significa oltretomba, come ha malignato Oliviero Toscani, ma oltre Berlusconi, così, tanto per essere autonomi negli orizzonti. Infine sarà anche vero, come dice la De Santis alla voce «playboy» del suo libro-dizionario, che «abbiamo imparato tutti a giocare, trasformandoci in una playhumanity in cerca di eccitazioni momentanee» e quindi «finisce che il vecchio playboy non sappia davvero con chi flirtare», ma alla fine, se proprio vogliamo, indovinate chi è l’ultimo playboy? 23 MARZO 2011