Dieci anni dopo, l’11 Settembre per molti è un pezzo polveroso di storia. Punto di svolta della contemporaneità, è stato rubricato alla sola voce “guerra” da alcuni, “shock” da altri, ma pochi finora hanno cercato di inquadrarlo come uno dei picchi sismografici di un ciclo che viene da lontano. L’abbattimento delle Torri Gemelle è un’icona dell’immaginario del Ventunesimo Secolo. Il prodotto della diffusione e dispersione dei fatti in immagini. Meno testo scritto e più pixel. Meno parole e più bit. È la dissoluzione del racconto e del senso delle cose. Torri che crollano. Migliaia di volte in tv. Show e assuefazione. Torri distorte. George Steiner nelle prime pagine del suo libro «Nel castello di Barbablù», racconta come l’uso massiccio della posta a cavallo e la dimensione di massa delle guerre napoleoniche abbiano modificato la percezione della realtà. Bonaparte non era solo un formidabile artigliere, ma un uomo della Storia. Mentre Kant e Hegel scrivevano pilastri della filosofia, cannoni e baionette dell’Armèe riordinavano l’Europa. E le notizie galoppavano.
L’informazione/deformazione ha accelerato non solo i processi di incontro e creazione, ma anche di conflitto e distruzione. L’11 Settembre 2001 è stata la prova generale di una società occidentale iperconnessa che conosceva il male di un mondo sconnesso, quello dei talebani e di Osama Bin Laden. L’era degli shock globali si è trasformata in un videogame dove l’Occidente ha cominciato a ripiegare su se stesso.
Quella che alcuni polemisti hanno chiamato la “cultura del piagnisteo” si è diffusa e un micidiale senso di colpa ha pervaso l’animo di chi aveva portato la bandiera del self made man ovunque nel mondo. Questa ritirata delle forze della libertà continua e appare inarrestabile.

La Storia ha virato a Est lasciando l’Ovest scoperto e debole. Il Sud del mondo preme a Nord e la Terra di Mezzo d’Oriente è una polveriera. L’Egitto è un monito per tutti, ci insegna che le minacce covano anche tra i gelsomini, mentre Teheran presto avrà la Bomba e noi, dieci anni dopo, non sappiamo che fare.  Mario Sechi, Il Tempo, 11 settembre 2011 (nella foto: la mattina del 12 settembre 2001 tre pompieri di New York issano la bandiera americana  sulle macerie delle Due Torri a sottolineare l’immediata volontà del mondo libero stretto intorno agli Stati Uniti di non arrendersi al terrorismo)

.……Il decennale della tragedia dell’11 settembre ha vari modi per essere raccontato. Sechi ha scelto quello che a noi sembra il più realistico. Ha tralasciato la facile retorica con cui molti, sia mass-media che politici di ogni genere, da giorni e stamattina ancor più, hanno scelto di ricordare la tragedia che dieci anni fa sconvolse il mondo e lo cambiò. Sechi ha scelto di raccontare come il cambiamento del mondo continui nella direzione che gli attentatori avevano in mente. Non erano profeti ma di certo il loro intento, quello di sconvolgere la vita degli uomini e dell’Occidente, oltre che dell’America, appare perseguito da ciò che nel mondo sta accadendo, con il passaggio di ruolo guida, prima ancora che militare, economico (posto che è  l’economia a indirizzare e determinare le opzioni anche militari, come la recente vicenda della Libia ha dimostrato…)  dall’Ovest all’Est, con la Cina che possiede buona parte del debito pubblico americano e con i paesi emergenti dell’est asiatico  che si muovono da protagonisti sugli scenari del mondo. I principali attori  occidentali del momento, ad  iniziare da Obama con tutte le delusioni che ha provocato, preferiscono la retorica alla realtà, preferiscono nascondersi dietro le commemorazioni piuttosto che affrontare la realtà e tentare di invertirne la tendenza, per restituire all’Occidente il ruolo di centralità che può garantire gli equilibri mondiali con l’Occidente capace di fermare le invasioni dal’est. Ma ora non basta la retorica, non sono sufficienti le commemorazioni, occorrono decisioni coraggiose e determinate, sono necessarie scelte che impediscano al mondo di andare alla deriva. Per questo bisogna lavorare e per questo, così come dieci anni fa, insieme a tutto il mondo,  ci dichiarammo orgogliosamente americani, oggi altrettanto orgogliosamente ci dichiariamo  occidentali. g.