Qualcosa di losco, che sa di imbroglio e di fuori gioco sta accadendo in questi giorni gravi non tanto e non solo per il governo, ma per la salute della democrazia. Partiamo dall’ovvio: il gioco della democrazia, come il bridge, il calcio o gli scacchi è fatto di regole. Al contrario, le dittature si abbattono invece con insurrezioni, i veementi raduni di «indignati», si rovesciano con le armi, mentre i governi democratici si battono invece soltanto in due modi: in Parlamento e nelle urne. Se si usa nella lotta politica democratica l’armamentario con cui si abbattono le dittature, si abbatte la democrazia. È una regola storica dura e brutale che tutti dovrebbero conoscere, ma che in questi mesi viene dimenticata e calpestata.I fatti: parte per primo il senatore Pisanu con un discorso politico pienamente legittimo, dicendo che a suo parere Berlusconi farebbe bene a dimettersi per far spazio s un nuovo governo o d’emergenza. È un’opinione più che legittima.
Ma ecco che passa un solo giorno e l’onorevole nonché fine intellettuale e vicepresidente della Camera, Rocco Buttiglione fa un’affermazione bizzarra: dice che se Berlusconi si dimetterà potrà ottenere un «salvacondotto» che lo metterà al riparo dai processi giudiziari. In che possa consistere un tale salvacondotto non previsto dai codici né dalla tradizione, non si sa. Ma richiama alla memoria le vicende libiche: si dice a Gheddafi che se si toglierà di mezzo avrà un salvacondotto e non ci saranno vendette: potrà andarsene indisturbato.

Ed ecco che arriva giovedì 8 settembre (l’8 Settembre!) quando La7 manda in onda il film Silvio Forever di Roberto Faenza, con successivo dibattito fra Eugenio Scalfari, Giuliano Ferrara, Paolo Mieli, condotto da Enrico Mentana. Mieli mantiene una linea ragionevole anche se critica («Berlusconi ha comunque il merito storico di aver dato al Paese un’alternativa di destra democratica»), Ferrara una linea affettuosa con benevoli rimbrotti mentre Scalfari segue la linea dell’equiparazione del berlusconismo al fascismo.
Non è una novità, ma è un falso gravissimo e gravido di sventure per l’Italia: non esiste infatti, un «ventennio» berlusconiano, mentre si potrebbe al massimo potrebbe parlare di un «diciottennio» in cui Berlusconi è uno dei protagonisti politici: governa una prima volta dal 10 maggio del 1994 per essere rovesciato dieci mesi dopo. Si ripresenta contro Prodi nel 1996 e perde. Si ripresenta nel 2001 e vince. Si ripresenta nel 2006 e perde. Si ripresenta nel 2008 e vince e pochi dubitano che alle prossime elezioni, perda di nuovo. Dunque, di quale «ventennio» dittatoriale i farnetica?

Ma Scalfari sostiene che occorre «un Dino Grandi che convochi il Gran Consiglio del fascismo e faccia cadere Berlusconi». Allusione gravemente impropria anche perché Scalfari, che fu un giovanotto fascistissimo, sa che non esiste nemmeno per forzata analogia una situazione paragonabile a quella del 1943, anche se vale la pena ricordare che Mussolini fu l’unico dittatore della storia costretto alle dimissioni per un voto di sfiducia di un organo costituzionale e che in seguito a quel voto andò a presentare le sue dimissioni nelle mani del capo dello Stato che lo fece arrestare senza dirglielo, costringendolo a girovagare per le caserme di Roma in un’ambulanza piena di carabinieri fedeli al re. Dunque, l’allusione a Dino Grandi c’entra come i cavoli a merenda. Ma in chi non conosce bene la storia evoca la falsa analogia fra Mussolini e Berlusconi, suggerendo che Beppe Pisanu potrebbe essere il nuovo Dino Grandi.

Appare però sicuro che una grande manovra sia effettivamente in corso per far scaturire un governo d’emergenza o di salvezza nazionale. Ma sta di fatto che per poterlo varare occorrono due condizioni necessarie e sufficienti. La prima è che Berlusconi si dimetta e la seconda è che tutta o larga parte dell’attuale maggioranza berlusconiana dia la fiducia ad un nuovo governo senza Berlusconi. Forse la seconda condizione scatterebbe quasi automaticamente, ma per ora manca del tutto la prima: Berlusconi non ha, a quanto pare e malgrado le sue imprecazioni contro il «paese di merda», alcuna intenzione di mollare. Infatti il piano per dar vita a un nuovo governo prevede un pressing personale e crescente per costringere il presidente del Consiglio a mollare.
E il pressing sarebbe, anzi è, di carattere giudiziario: secondo le voci che circolano nuove intercettazioni, nuove richieste di arresti, nuovi colpi di scena dovrebbero, nelle intenzioni, funzionare come mazze ferrate per indurre Berlusconi a mollare la presa. Ed ecco che, alla promessa del tutto bizzarra e praticamente inattuabile del «salvacondotto», si aggiunge un nuovo elemento di scena: la promessa, anzi la garanzia, di sospendere o impedire ogni «vendetta». Sì, avete letto bene: vendetta. E anche qui balza agli occhi l’impropria simmetria, analogia o tentata specularità con il fascismo: la vendetta per eccellenza è piazzale Loreto a Milano, i cadaveri di Mussolini, Petacci, Bombacci e altri gerarchi appesi per i piedi allo stesso distributore di benzina che il giorno prima aveva visto sposti i corpi di alcuni partigiani passati per le armi.

Naturalmente nessuno dice «piazzale Loreto», ma dopo l’allusione a Dino Grandi (il fascista che fa cadere il fascismo) e al salvacondotto (che secondo alcuni fu offerto a Mussolini prima dell’arresto) ecco ieri l’altro a Chianciano Francesco Rutelli, ospite di un convegno dell’Udc: «Se Berlusconi dovesse fare un passo indietro deve essere chiaro che non ci sarà da parte nostra alcun proposito di vendetta».

L’ha ripetuto ieri a Repubblica Italo Bocchino: «Ci attendiamo da lui un gesto di grande generosità (cioè le dimissioni, ndr) e non si consumerà alcuna vendetta».

Ora, ammetterete, né il «salvacondotto» né la «vendetta» fanno parte dell’attrezzeria del linguaggio democratico, della lotta politica democratica, anche quella più brutale, feroce, ma costituzionale. Che sta dunque succedendo? Vorrei essere chiaro: qui non si tratta nemmeno di difendere Berlusconi. Qui si tratta di difendere il buon nome dell’Italia e della sua democrazia. Benché sia giusto stare bene attenti nel difendere la democrazia anche dalle possibili insidie striscianti, è un dato di fatto che ci troviamo in piena democrazia con un governo di pienissima legittimità democratica. Io stesso che come dirigente del Pli e membro del gruppo misto ho votato la sfiducia parlamentare il 14 dicembre per vedere se il Parlamento sapeva e poteva esprimere un’altra maggioranza, ho visto come tutti che non esiste. Ma evidentemente ci sono molte manovre e lavori in corso e questo fa parte del gioco politico perché la politica è un mondo in perenne attività. Ma che cosa c’entrano i salvacondotti e le sospensioni della vendetta? Non è questo il Paese dove poco fa hanno vinto Pisapia e De Magistris? Non è questo il Paese in cui l’opposizione di Di Pietro è stata premiata ai referendum?

Non si rendono conto coloro che usano il linguaggio fasullo delle inesistenti analogie con il fascismo, che così facendo accoltellano la democrazia e il Parlamento? Davvero sfugge a queste menti finissime che oggi è la democrazia ad essere azzerata nel cuore, nella memoria e nelle menti degli italiani? Chi concederà loro, se la democrazia crollasse, il salvacondotto per le gravi responsabilità e la vendetta della storia, la stessa damnatio memoriae che colpisce ancora oggi i pavidi e gli opportunisti che sgretolarono e distrussero la democrazia spianando la strada al fascismo? Paolo GUZZANTI, Il Giornale, 11 settembre 2011

……Non ci piace granchè Guzzanti, fors’anche per le sue dirette discendenze, ma questa volta dobbiamo riconoscere che la racconta giusta….del resto le avevamo già colte anche le incredibili rassicurazioni di Buttiglione Bocchino, a cui si è unito anche Rutelli, circa “salvacondotti” per Berlusconi dai suoi processi se accettasse di togliersi dai c…i. Come se l’Italia,  e la sua Giustizia,  fosse una specie di  repubblica delle banane  o dei mau-mau do ve la giustizia la si amministra nob con la bilancia della legge ma con le regole dei satrapi. g.