Si parla ogni giorno, ultimamente,  sui giornali, specie quelli cosiddetti di opinione (Il Corriere della Sera, Repubblica, etc etc) di “peones” del Parlamento, cioè deputati nominati da Berlusconi,  i quali sarebbero pronti al “sacrificio” di immolarsi sull’altare di una ritrovata “autonomia” per far saltare il governo e con il governo Babbo Natale, cioè Berlusconi. E’ una barzelletta, il solito tam tam agitato per far saltare i nervi della maggioranza e magari ottenere senza sfrozi che Berlusconi tolga il disturbo da sè, magari pronto a ricolmare di “benessere” quewlli che ora vorrebbero, come Bruto, pugnalarlo alle spalle. Le cose stanno un pò diversamente da quello che scrivono i giornali e in attesa di averne la prova in Parlamento, specie alla Camera, leggiamoci questa lettera al Direttore, pubblicata stamani da Il Tempo, che con  ironia e sarcasmo, smonta la tesi del Corrierone e della strega cattiva, cioè Repubblica,  a proposito degli aspiranti suicidi pronti a rinunciare a prebende e privilegi, prima fra tutti la pensione, per uccidere, sicari da operetta,  per conto altrui, il nemico pubblico n. 1. g.

Caro direttore,
meno male, si fa per dire naturalmente, che, in queste ore, ci sono le alluvioni che esondano anche giornali e tg perché almeno chi legge e ascolta ha modo di seguire una cronaca che capisce: fatti e non i fiumi di di parole, di scenette e di microfonate interviste – sempre le stesse – su un governo Berlusconi che ancora c’è, ma domani non si sa perché ora potrebbero mancargli i voti in Parlamento, anzi no, anzi forse, anzi chissà. È comprensibile che i direttori, avendo da qualche giorno un preoccupante vuoto di intercettazioni e di gossip al pepe e sale da dare in pasto alla gente, tentino di tutto per tenere su copie e share ed evitare flop nelle edicole.

Del resto, quando c’è di mezzo la pagnotta, uno è autorizzato a inventarsi la qualunque cosa. Ma che noia, che “déjà vu” voler per forza, in mancanza di altri più freschi argomenti, tentare di annegare di nuovo il povero lettore in pagine e pagine di politica condite da una “suspence” che non esiste e che, se c’è, pare da circo Togni. Meno male però che, per riempire le pagine, ci sono ora i peones. Sentendo aria di prime pagine che non hanno calcato in vita loro, eccoli rifarsi, in fretta, il maquillage e entrare in scena armati di amletici dubbi su un Berlusconi ormai no, ma forse, invece, ancora sì e chi li capisce è bravo. Copioni già visti e che paiono presi dagli armadi della prima repubblica. Eh si, perché i veri thriller da spasmo alle coronarie come quelli di Agata Christie, caro direttore, sono tutt’altra cosa perché, come diceva Carlo M. Cipolla, uno dei pochi economisti che si faceva capire quando scriveva, la politica, signori miei, è pura matematica o, se preferite, trigonometria nel senso che due più due fa sempre quattro almeno per chi ha imparato, fin dalle elementari, a far di conto. Credo che il Cavaliere la pensi come Cipolla e, difatti, quando provano a sparargli addosso, non riesce a prendere troppo sul serio questi peones che ora spuntano come margherite. E per una serie di motivi che i giornali potrebbero riassumere in un colonnino o al massimo due, quanto basterebbe per spiegare ai lettori come stanno veramente le cose. Punto primo. Se cadesse questo governo e si andasse subito alle elezioni, proprio questi peones ora animati da irredentismo, non saprebbero che pesci pigliare perché dove lo troverebbero un altro partito e soprattutto un altro Berlusconi disposti a rieleggerli, in Parlamento, a costo zero, auto blu compresa? Ma ci sarebbe sempre una via di fuga chiamata Casini. Ma via, chi crede davvero alla possibilità che l’Udc, in quattro e quattr’otto, possa trasformarsi da pesciolino in balena? Se, invece, pensassero di aggrapparsi alle maglie della sinistra, potrebbero finire anche peggio perché è probabile che verrebbero fatti a pezzi in un istante. Punto secondo. Anche se si andasse verso un fantomatico governo di larghe intese, che destino avrebbero questi peones? È possibile che possa essere riservato loro, per riconoscenza (che però, in politica, è stata sempre assai pelosa) un qualche strapuntino, ma non certo sottosegretariati o altro. E poi tutto finirebbe lì, in pochi mesi o, al massimo, in un anno perché alle prossime elezioni resterebbero lo stesso in mutande o forse anche peggio. Cioè a casa a sfogliare album di ricordi. Punto terzo. Ma chi è così tonto da poter pensare che un tipo amabile ma di lunga scuola come Gianni Letta, bussi all’improvviso alla porta del grande Capo e osi dirgli: «Guarda, mi devi scusare, caro presidente, ma ora, se non ti dispiace, il Cavaliere lo faccio io e tu torni nella stalla a mangiare fieno?». Tutto questo per dire, caro direttore, che i giornali con le loro cronache bizantine, non sempre, anzi quasi mai la raccontano tutta giusta. E io credo che si dovrebbe fare meno “scherzi a parte” e avere, invece, un po’ più di rispetto per i poveri lettori. Si può non avere alcuna simpatia per Berlusconi ed io, difatti, confesso di non averne mai avuta troppa, ma da questo a dire che lui possa lasciare baracca e burattini dicendo «pardon» a tutti, anche ai recalcitranti peones, mi sembra una barzelletta da ortolano che porta al mercato le zucche. Insomma ci vuole ben altro per tirarlo giù da quella sedia. A meno che all’improvviso non si stufi di suo e decida di dare un calcio nel sedere alla politica e a chi gli vuol male. È possibile, ma bisognerebbe entrare nella sua testa per sapere se abbia qualche fondamento una simile eventualità. Io, a conti fatti, penso di no. Perché il Cavaliere come pistolero si sente ancora imbattibile. Come John Wayne. Vittorio Bruno, Il Tempo, 6 novembre 2011