Tra i partiti politici in Parlamento e il governo tecnico-presidenziale di Monti è in corso un duello riservato e confidenziale, il cui esito appare ignoto agli stessi protagonisti. Tutto fa ritenere che i duellanti siano stati trascinati nella sfida senza avere la piena consapevolezza dell’alto livello dello scontro. Forse è stata la forza delle cose a imporre una svolta istituzionale a due protagonisti così diversi e inconsapevoli.

In tutto il mondo in generale e in Italia in particolare, si vive all’interno di stati-nazioni, inadeguati e insufficienti a fronteggiare la complessità istituzionale della globalizzazione. In economia troviamo risposte, anche crudeli al superamento del limite nazionale, ma in politica il sovranazionale è o inaccettabile o fumoso e velleitario. Nella storia dei popoli ogni fine di ciclo che modifica gli equilibri di potere sociale investe gli assetti istituzionali e mette in discussione i fondamentali costituzionali.
In Italia è già successo durante il ’900. Nel 1923-28 il fascismo diede una soluzione autoritaria alla crisi del Parlamento e dei partiti politici, che non avevano capito la vastità del conflitto sociale provocato dalla guerra e la tragedia civile generata dal ritorno dalla trincea dei giovani ufficiali della piccola borghesia. Invece nel 1943-45 i partiti del Cln diedero una soluzione democratica alla crisi dello stato unitario e totalitario del fascismo. Il fascismo aveva risolto il problema del superamento del pluralismo politico in Parlamento, con la soppressione dello stesso Parlamento e con l’identificazione del partito unico con lo stato.

Il tutto si realizzò a Statuto albertino invariato. Il 3 giugno del 1923, dopo pochi mesi dalla marcia su Roma, Mussolini pronunciò al Senato un illuminante discorso, e disse: “Si dice che questo governo non ami la Camera dei deputati. Si dice che si vuole abolire il Parlamento o svuotarlo di tutti i suoi attributi essenziali. Signori, sarà tempo di dire che la crisi del Parlamento non è una crisi voluta dal sottoscritto o da quelli che seguono le mie idee: il parlamentarismo è stato ferito non a morte, ma gravemente, da due fenomeni tipici del nostro tempo: da una parte il sindacalismo, dall’altra il giornalismo; il sindacalismo che raccoglie in determinate associazioni tutti quelli che hanno interessi speciali e particolari da tutelare e che vogliono sottrarli alla incompetenza manifesta dell’assemblea politica; ed infine il giornalismo, che è parlamento quotidiano, la tribuna quotidiana, dove uomini venuti dall’università, dalle scienze, dall’industria, dalla vita vissuta, vi sviscerano i problemi con una competenza che si trova assai difficilmente sui banchi del Parlamento. Ed allora questi due fenomeni tipici dell’ultimo periodo della civiltà capitalistica sono quelli che hanno ridotto la importanza enorme che si attribuiva al Parlamento. Insomma il Parlamento non può più contenere tutta la vita di una nazione, perché la vita delle nazioni moderne è eccezionalmente complessa e difficile”.

Cosa avvenne in Italia e in Europa con la nefasta teoria del partito che si fa stato, è scritto nella storia tragica del ’900. Ma le culture durano più a lungo nella vita dei popoli e vanno oltre le stesse rotture sociali e politiche. L’intreccio tra partito o partiti dominanti e stato è il triste lascito che le ideologie totalitarie lasciarono in eredità alle nuove generazioni. Il 20 novembre del 1946 la prima sottocommissione dell’Assemblea costituente approvò con il consenso di tutti i partiti e l’opposizione della destra liberale, l’o.d.g. di Dossetti: “La prima sottocommissione ritiene necessario che la Costituzione affermi il principio del riconoscimento giuridico dei partiti e delle attribuzioni ad essi di compiti costituzionali”. Con quel voto nasce la Repubblica parlamentare dei partiti ai quali si affidarono compiti costituzionali palesi e occulti.

Lo stato fascista fu travolto dalla guerra
e con esso il Partito nazionale fascista costituzionalizzato con il Gran consiglio del fascismo. La Repubblica parlamentare dei partiti è finita con la crisi dello stato-nazione e con il rigetto della costituzionalizzazione del partito politico. Il duello attuale tra governo Monti e partiti politici residuali della Prima Repubblica non avviene sul terreno del debito pubblico, ma nel campo straordinariamente politico della doppia crisi italiana: la fine della Repubblica dei partiti tutta interna alla crisi dello stato-nazione.

Non lasciamoci fuorviare da argomenti banali e superficiali. Non è in crisi la politica. E’ in crisi il partito politico. E’ in crisi quella particolare forma di partito che si fa stato e che pretende di essere nazione. Decostituzionalizzare i partiti vuol dire rivedere l’art. 49 della Costituzione. I partiti non possono essere organi dello stato o sovrapposti allo stato. Devono tornare alla loro funzione originaria: essere corpi intermedi nella società per mediare tra cittadini e stato. Altro che liberalizzare i taxi! Occorre sciogliere il legame incestuoso partiti-stato. I partiti devono essere nello stato ma non possono essere lo stato. Solo così i partiti avranno la forza autonoma di poter giudicare anche le degenerazioni dello stato o le cessioni di sovranità nazionale. di Rino Formica, il Foglio 19 gennaio 2012

………….Rino Formica,ex senatore,  ex vicesindaco di Bari, ex  vice di Craxi, ex ministro delle Finanze, ha superato da tempo gli 80 ma è ancora atentamente vivace sulla scena della politica come dimostra questo suo intervento  sul Foglio di Ferrara di questa mattina. Analisi lucida e circostanziata , da cui si può anche  dissentire, ma non può non condividersi la tesi secondo cui non è in crisi la Politica, ma i partiti, gli strumenti che la Costituzione volle fossero incaricati di operare il rapporto tra cittadini e Stato. Incarico che nel tempo è stato stravolto, avendo i partiti usurpato funzioni e ruoli che non competevano loro, specie quello di sostituirsi allo Stato. E’ quel che è accaduto, da qui, secondo Formica, da sempre attento e lucido analista dei fatti della politica, la grave crisi in cui versa il sistema. Come uscirne? Secondo Formica rimodulando il ruolo dei partiti, semplice a dirsi ma difficile a farsi. Specie con questi partiti che ormai rispondono solo a se stessi, avendo abiurato, da tempo,  alle regole della democrazia interna, e di fatto trasformandosi in apparati totalitari che non consentono nè discussioni nè ricambi. Perciò, l’analisi di Formica, seppure giusta, è difficile che possa trovare applicazione. g.