L’attacco ai giornali cattolici Joan Lui è convinto di predicare meglio dei preti. Ma nel ruolo di profeta salva Italia ne vogliamo solo uno, due sono troppi:
o Monti o Celentano.
Dopo ieri sera ho scelto definitivamente. Ogni anno il Festival di Sanremo ci mette di fronte a un tragico dilemma: ma davvero questo baraccone è la misura dello stato di salute della nazione? E se così fosse, non dovremmo preoccuparci seriamente? C’è stato un tempo in cui effettivamente il Festival è stato specchio del costume nazionale, con le sue novità, le sue piccole trasgressioni, persino le sue tragedie. Ma tutto ha un tempo e questo (troppo iellato) non è più il tempo di Sanremo o di Celentano, se vogliamo rinascere. Monti o Celentano? Se davvero il nostro premier vuole compiere il titanico sforzo di cambiare gli italiani («l’Italia è sfatta», con quel che segue), forse, simbolicamente, dovrebbe partire proprio dal Festival, da uno dei più brutti Festival della storia. Via l’Olimpiade del 2020, ma via, con altrettanta saggezza, anche Sanremo, usiamo meglio i soldi del canone. O Monti o Celentano. O le prediche del Preside o quelle del Re degli Ignoranti contro Avvenire e Famiglia Cristiana.

Rivolta del web contro il monologo

Non mi preoccupa Adriano, mi preoccupano piuttosto quelli che sono disposti a prenderlo sul serio. E temo non siano pochi. Ah, il viscoso narcisismo dei salvatori della patria! Ah, il trash dell’apocalissi bellica! Cita il Vangelo e bastona la Chiesa, parla di politica per celebrare l’antipolitica: dalla fine del mondo si salva solo Joan Lui. Parla di un Paradiso in cui c’è posto solo per cristiani e musulmani. E gli ebrei? Il trio Celentano-Morandi-Pupo assomiglia a un imbarazzante delirio. A bene vedere il Festival è solo una festa del vuoto, del niente, della caduta del tempo e non si capisce, se non all’interno di uno spirito autodistruttivo, come possano essersi accreditati 1.157 giornalisti (compresi gli inviati della tv bulgara, di quella croata, di quella slovena, di quella spagnola, insomma paesi con rating peggiore del nostro), come d’improvviso, ogni rete generalista abbassi la saracinesca (assurdo: durante il Festival il periodo di garanzia vale solo per la Rai), come ogni spettatore venga convertito in un postulante di qualcosa che non esiste più. Sanremo è il Festival dello sguardo all’indietro (anni 70?), dove «il figlio del ciabattino di Monghidoro» si trasforma in presentatore, è il Festival delle vecchie zie dove tutti ci troviamo un po’ più stupidi proprio nel momento in cui crediamo di avere uno sguardo più furbo e intelligente di Sanremo (più spiritosi di Luca e Paolo quando cantano il de profundis della satira di sinistra), è il Festival della consolazione dove Celentano concelebra la resistenza al nuovo. Per restituire un futuro all’Italia possiamo ancora dare spazio a un campionario di polemiche, incidenti, freak show, casi umani, amenità, pessime canzoni e varia umanità con l’alibi che sono cose che fanno discutere e parlare? Penso proprio di no. Aldo Grasso, Il Corriere della sera 15 febbraio 2012

P.S. Mentre scrivevo questo pezzo mi sono arrivati gli insulti in diretta da Sanremo. Ma non ho altro da aggiungere.

.………….Ma noi si.  Al di là delle critiche di Grasso che condividiamo totalmente, va detto che Celentano ieri sera sè mostrato per quel che  ormai  è,  una squallida macchietta,  peggiore delle altre del passato,   un imbonitore da quattro soldi, un balbettante ipocrita della saggezza a buon mercato, pagato profumatamente dalla Rai che pretende i soldi da tutti, anche dai cattolici praticanti per sentire questi ultimi insultare  il Vaticano, la stampa cattolica, arrivando Celentano  lì dove nemmeno il tanto deprecato Berlusconi era mai giunto, invocare cioè  la chiusura dei giornali la cui unica colpa agli occhi del ormai decrepito molleggiato è stata quella, recente, di aver aspramente criticato il grosso cachet assicurato dalla Rai, con i nostri soldi, ad un personaggio che ieri sera più che un uomo di spettracolo è apparso un mafioso in sedicesimo. Senza dimenticare l’insulto proprio ad Aldo Grasso, deficiente! lo ha definito Celentano in diretta, dal palcoscenico di una manifestazione leggera che è stata trasformata in un una occaisone di vendetta personale di questo bellimbusto che da anni approfitta del dono che il buon Dio gli ha dato, cioè la bella voce con cui, non lo neghiamo, ha incantato generazioni di italiani, compreso noi, per ergersi a giutiziere che manco Charles Bronson saprebbe fare più cinicamente meglio. Un’ultima cosa. Celentano che si è improvvisato autentico interprete del Vangelo s’è mostrato anche poco pratico dei suoi esortamenti, tra cui quello che invoca perchè “la mano destra non sappia quel che fa la mano sinsitra”. Ci riferiamo alla devoluzione del suo faraonico cachet in beneficienza. Il tutto però attraverso i fari della comunicazione mediatica che ha acceso i riflettori su un gesto che per essere sincero e quindi apprezzabile  doveva effettuarsi nella discrezione che eleva l’atto. Invece Celentano e la sua consorteria hanno trasformato il gesto cui sono stati costretti dalla violenta  reazione alla scandalosa enormità del compenso,  in occasione per farsi pubblicità gratuita grazie alla quale ovviamente trarranno vantaggio, come sarà facile constatre tra qualche giorno,  nella vendita del nuovo disco di Celentano. Il che, tra l’altro, dimostra che l’ex supermolleggiato che è apparso moscio e sgonfiato non è poi più tanto sicuro delle sue sole qualità canore per cui fa ricorso alla pubblicità per esser certo di fare centro. g. P.S. Pare che la direttrice generale della RAI abbia “commissariato”  il festival: farebbe bene a commissaria se stessa perchè ha ceduto al ricatto di Celentano che ha preteso di essere accolto a scatola chiusa. S’è visto cosa ne è uscito. g.