La sparizione della democrazia nei partiti è l’origine della malattia che sta conducendo il sistema politico al collasso. Si possono immaginare mille riforme, ma senza una rigenerazione dei partiti qualsiasi sforzo è vano, perché è da questi organismi che emerge una classe dirigente. Quella che abbiamo in questo momento storico è la peggiore della storia repubblicana. Non avevano davanti il dopoguerra come De Gasperi e Togliatti, non dovevano ricostruire il Paese, come Fanfani e Saragat, non si battevano contro l’Utopia armata del terrorismo come Moro e Berlinguer, non dovevano fare i conti tutti i giorni con la Guerra Fredda. Si sono trascinati dalla fine degli anni Ottanta a oggi senza varare una riforma istituzionale per il Paese, autodistruggendo la rappresentanza fino a trasformare i partiti in organizzazioni di nomenklatura dove si coopta, nomina e spesso ruba. Così il centrodestra si è spappolato e il Pdl è un ectoplasma in balìa di un Fiorito che non è un caso isolato ma la punta dell’iceberg, mentre il Pd è il prolungamento di un esperimento antistorico, la funzione invariabile di un gruppo che ha costruito il suo futuro sotto l’ala di Berlinguer e poi l’ha cristallizzato in un eterno presente. Ora tocca a Matteo Renzi provare sulla sua pelle il «niet» del suo partito. Le anticipazioni del testo che verrà sottoposto al voto dell’assemblea del 6 ottobre sono un colpo gobbo: è in corso il tentativo di blindare le primarie del Pd con il doppio turno, l’istituzione di un albo degli elettori, il divieto di votare al secondo turno se non hai partecipato al primo e il ritiro della tessera elettorale. Ciò che non fu fatto per Prodi, Veltroni e lo stesso Bersani ora dopo la sfida del sindaco di Firenze diventa necessario e urgente. Invece di allargare la partecipazione il Pd la restringe. Parola d’ordine: incanalare il voto nel recinto delle tessere, contenere Renzi, farlo correre, ma da perdente in partenza. Qualche giorno fa ho espresso il mio apprezzamento per le primarie nel Pd – cosa di cui il Pdl avrebbe bisogno per riprendersi dal coma – ma se queste sono le regole, quel partito dovrà cambiare nome perché non potrà più dirsi democratico. L’Italia è a cavallo, tra «Francone» e il Politburo. Mario Sechi, Il Tempo, 4 ottobre 2012

……………Sechi nutre ancora speranza che i partiti, quelli nati da Tangentopoli, e che in una Tangentopoli permanente hanno trasformato il sistema politico italiano, siano in grado di rigenerarsi, solo a volerlo. Non è così. E il caso di Renzi che riguarda il PD ma che è comune a tutti i partiti stà li a dimostrarlo. Non abbiamo particolare  simpatia per Renzi, a differenza  di tanti destristi dell’ultim’ora che fanno finta di ammirare lo sfidante di Bersani ma non osano porre in campo alcuna alternativa seria al coma profondo della Destra italiana, pur nonostante  quanto sta per accadere nel PD per impedire anche solo per pura ipotesi che Renzi vinca la sfida contro Bersani, la dice lunga di come viene intesa la democrazia nel nostro Paese la cui nomenclatura  politicante  si riempie la bocca di richiami alla democrazia e alle sue regole ma di fatto si rinchiiude su stessa e, come dice Sechi, si alimenta al suo interno con cooptazioni e familismi amorali che fanno impallidire quelli descritti or sono 70 anni fa da sociologo americano che ne fece un vero e proprio trattato  di costume, anzi di malcostume.  Ecco, il caso Renzi dimostra che i partiti non hanno alcuna vllgia di rigenerarsi o di rinascere…chi li possiede ne vuole sapere di cambiare e, purtroppo, contro la forza, o lo strapotere,  la ragione non può far nulla. g.