Duecento milioni di euro all’anno buttati al vento. Da decenni. Un miliardo e quattrocento milioni di euro che la nostra generazione pagherà dal 2014 al 2020 e che verranno ancora una volta inseriti nel bilancio comunitario nonostante sobrietà, rigore e tagli.

Benvenuti a Bruxelles, ma anche a Strasburgo. Perché in tempi di crisi economica, l’anomalia della doppia sede del Parlamento Europeo è un tema che grida vendetta. E che continua a gravare inesorabilmente sulle tasche dei contribuenti europei. Carovane di politici che da Bruxelles partono per Strasburgo.

Una volta al mese, i 754 deputati, insieme agli assistenti, ai funzionari e ai faldoni, viaggiano alla volta della città dell’Alsazia e si trasferiscono lì per quattro giorni per svolgere la seduta plenaria. In un anno più di cinque mila persone percorrono i 450 chilometri che ci sono tra le due città, chi con un volo charter, chi con un pullman, chi con più di un treno, visto che non ci sono linee ferroviarie ad alta velocità e che solo sei capitali europee, tra cui Parigi, hanno un collegamento diretto con Strasburgo.

Gli unici a felicitarsi della transumanza sono i gestori dei ristoranti e degli hotel che in quel periodo fanno letteralmente lievitare i prezzi di beni e servizi perché tanto pagano i cittadini – ché la comunità servirà pur a qualcosa. Durante la sessione plenaria, i prezzi delle stanze di albergo a Strasburgo lievitano quasi del 100%, per non parlare di quelli di bar e ristorazione. L’argomento non è nuovo ed è stato più volte affrontato dai membri dell’istituzione. Lo scorso 23 ottobre, il 75% dei parlamentari europei ha votato per un ritorno a un’unica sede, fissando la deadline al giugno 2013.

Insomma, quasi tutti sono concordi: quello che il Parlamento stesso ha definito travelling circus (circo itinerante) deve finire. Peccato siano anni che viene emessa questa sentenza, senza però che il Consiglio Europeo faccia nulla. Cosa c’entra il Consiglio? C’entra eccome. Perché per eliminare una delle sedi del Parlamento Ue, bisogna modificare il Trattato di Lisbona, e per fare ciò è necessaria la decisione unanime del Consiglio, appunto.

Solo che tra i membri c’è la Francia, che ha più volte annunciato che porrebbe il veto. Alla nazione di Hollande non andrebbe giù di perdere il flusso turistico-commerciale di Strasburgo. Basti citare un esempio a prova dell’ostracismo d’Oltralpe. Quando il 9 marzo 2012 il Parlamento Ue voto a favore dell’accorpamento e svolgimento di due delle dodici sessioni plenarie nella stessa settimana del mese di ottobre, la Francia si appellò alla Corte di Giustizia Europea. Non stupisce dunque che si areni sempre tutto. Nonostante le reiterate richieste trasversali dei membri del Parlamento e nonostante il volere dei cittadini.

Una petizione lanciata dall’allora commissario per gli Affari Interni, Cecilia Malmström, e poi rilanciata da due parlamentari europei (Edward McMillan-Scott e Alexander Alvaro) dal nome SingleSeat e favorevole alla sede unica di Bruxelles è stata firmata da circa un milione e duecentomila cittadini europei.

Le sessioni plenarie, tra costi per viaggi, staff e altre voci, gravano circa 200 milioni euro all’anno. Se il Parlamento avesse una sola sede operativa, il risparmio sarebbe enorme. Senza parlare poi dell’inquinamento atmosferico e delle emissioni di anidride carbonica prodotte, contro le quali l’Ue è in prima linea nel porre limiti agli stati membri salvo poi razzolare male. Infatti, secondo il rapporto del Parlamento Ue, se ci fosse solo una sede si risparmierebbero 19mila tonnellate di CO2 all’anno emesse nell’atmosfera.

Nel 1989, il Parlamento adottò una risoluzione nella quale veniva dichiarato che l’assenza di una singola sede porta a far sì che l’elettorato europeo trovi difficoltà a identificarsi con il Parlamento Europeo. Insomma, la preoccupazione che l’Ue fosse un oggetto politico non identificato era ben presente già 30 anni fa. Da allora a oggi non è cambiato nulla, se non che sono aumentate e affiorate decine e decine di agenzie e di uffici dispersi tra tre diverse città, perché una parte degli uffici amministrative hanno sede in Lussemburgo. Non c’è due senza tre, insomma.

L’ultimo emendamento approvato dal Parlamento Ue con 432 voti a favore, 218 contrari e 29 astensioni, sostiene che l’UE, nel contesto delle politiche di austerità in corso, debba dimostrare responsabilità e prendere misure concrete immediate per stabilire una sede unica per il Parlamento. Al momento, sembra che l’austerità non collimi con questo progetto. Se a ciò si aggiunge che la sede del Parlamento Ue di Strasburgo è costata quasi 500 milioni di euro ed è praticamente vuota nove mesi l’anno e che tra i progetti dello stesso Parlamento c’è quello della Casa della storia europea, un museo in costruzione a Bruxelles nel quale verrà mostrata la storia del dopoguerra e che costerà 50 milioni di euro (sarà completato nel 2015), ecco che il rigore lascia spazio alla crescita. Della spesa, però. 12 dicembre 2012

.…………….Le caste, di ogni dove, vivono alla grande alle spalle dei popoli. L’Unione Europea che autorizzò i bombardamenti di Belgrado sotto i quali morirono bambini,  donne e anziani, è stata insignita del Premio Nobel per la Pace dopo aver fatto la guerra con i missili e le bombe prima e con le rappresaglie economiche dopo, cioè ora, contro i paesi più deboli, come la Grecia, o meno solidali come noi, l’Italia. Questa satessa Unione Eurpea, menre affama i popoli, spende e spande per meglio godere dei privilegi acocrfdati alla casta, non solo quella politica, sopratutto l’altra, la peggiore, cioè quella burocratica. C’è chi ha scrftto chese  il comunismo è morto,  alla sua morte è sopravissuta la burocrazia, riferendosi a qeula sovietica.  Evidentemente non conosce quella asserragliata nei polverosi e spesso deserti saloni dei palazzi di Bruxelles  e di Strasburgo da dove amministrrano ormai non più la crescita ma la morte per inedia dei popoli europei. Talvolta, purtroppo, con l’aiuto di qualche maldestro professorone italiano, tanto saccente quanto refgrettario alle critiche. Parliamo di Monti, di altri sennò? g.