Franco Califano è morto ieri nella sua casa ad Aci­lia in seguito a una crisi respiratoria. Era nato a Tripoli, il 14 settembre del 1938.

Cantante, ma anche attore, scrittore e personaggio tv, il «Calif­fo » è stato autore di molti brani di successo. Era malato da tempo ma solo pochi giorni fa, il 18 mar­zo, si era esibito al Teatro Sistina di Roma.Con lui scompare a 75 anni il musicista romano dopo una vita davvero spericolata: piena di successi ma anche di momenti durissimi

C’era, certo che c’era un filo diretto tra la sua voce e quelle pa­role, intense, robuste eppure po­etiche, mai usate per caso e sem­pre nel posto giusto, nella canzo­ne giusta. Gli veniva così, a Fran­co Califano. I suoi toni e il roboa­re dei bassi le vestivano poi con un taglio sartoriale, neppure una piega. Ciao Maestro.
Avete mai sentito Tutto il resto è noia cantata da un altro? È paro­distica, quasi.C’è quel verso,«la barba fatta con maggiore cura», attenzione: «maggiore» e non «maggior»,che non poteva esse­re che suo. Popolano ma aristo­cratico. Agghindato a festa ma per un giorno qualunque. Aveva quel dono, Franco Califano, lo swing che ti porta fino all’aggetti­vo perfetto, alla metafora, all’al­lusione che spiega tutto ma nep­pure lui sapeva spiegarsi come facesse. «Me vengono» sorride­va, e così diceva anche dei suoi sonetti d’amore e di sesso. Oggi che non c’è più,morto da solo in casa, proprio lui che la apriva sempre agli amici, sarà un tem­porale di retorica sul grande au­tore che tutti diranno di aver sempre adorato.
In realtà non è così, e lui lo sa­peva benissimo, se ne rammari­cava, tra sé e sé si chiedeva come mai, ma com’è possibile. Ha scritto testi favolosi che si sono persi nel vuoto, e persino nel suo debutto, lo sconquassato singo­lo Ti raggiungerò del 1965, c’è il guizzo del talento che poi il di­sco L’evidenza dell’autunno ,
1973, aveva spiegato canzone dopo canzone, ammutolendo chi non s’aspettava che questo borgataro alto e spaccone, bello come Marlon Brando e vizioso come Steve McQueen, sapesse anche scrivere versi non eversivi né utopici ma semplicemente poetici, innamorati del bello e non di loro stessi. Mai autorefe­renziale, altro che, il Califfo. «Mi piace scrivere per altri, perché mi siedo lì, mi immagino di esser loro e però di parlare con il mio cuore».
Ha composto Minuetto , capo­lavoro. E ha firmato con Mino Reitano Una ragione di più , uno dei brani più belli, struggenti e passionali della nostra canzone d’autore, spesso sottovalutato perché orfano di impegno politi­co o­di visionarietà ideale ma fra­goroso e italianissimo nella co­struzione e nello sviluppo. An­che per questo Califano, che non ha mai dominato le classifi­che né riempito gli stadi, è diven­tato così popolare, amato, imita­to e parodiato fino alla noia. Se gi­rava per Roma, era realmente il Califfo. Bastava che prendesse la sua spider,e una volta l’ha fat­to anche con me dal centro fino a Fiumicino, e chiunque lo ricono­scesse gli sorrideva, si spostava, lo salutava manco fosse il vicino di casa che gli era andata bene.
Intanto, non sempre gli era an­data così bene. Finché erano i de­ragliamenti d’amore, pazienza, magari faceva arrabbiare qual­cuno ma poi basta. Ma nel 1970, quando finì nei guai nella vicen­da di Walter Chiari per possesso di stupefacenti, e nel 1983 sconfi­nò nel caso Tortora per droga e possesso d’armi, fu sempre as­solto con formula piena dalla corte ma comunque condanna­to dai cortigiani a esser sempre quello lì, quello ai confini, quasi un personaggio da commedia al­l’italiana. «Lo so, ma me ne im­porta poco» diceva. E poi lui era così, soffriva ma non lo ammette­va manco a pagarlo. Anzi: prima di uscire da Regina Coeli trascor­se le ore d’aria della vigilia sem­pre al sole, «così quando mi ve­dono abbronzato capiscono che sto bene e non sono battu­to ».
Già. E sorrideva fuori dalla por­ta, come sorrideva quel giorno. «Dimenticai di colpo un passato folle in un tempo piccolo» scris­se anni dopo in un altro capola­voro come Tempo piccolo , che ha un verso che lo spiega tutto, questo Califano nobile borgata­ro: «Dipinsi l’anima su tela ano­nima e mescolai la vodka con l’acqua tonica».In fondo,che an­dasse al Festival di Sanremo o a Music Farm o che fosse sul palco del Sistina di Roma come pochi giorni fa per l’ultima volta,Califa­no si dipingeva sempre su tela anonima, nel disperato e dolce bisogno di aiuto che ti impone la solitudine quando scopri che è l’unica fidanzata che riesci a non tradire. ……Ci accompagnato, come nessun  altro,   nella nostra giovinezza. Continueremo ad ascoltarlo,  commuovendoci, come sempre.