L’altra sera ad Arcore, circondato dai suoi uomini, il Cavaliere ha invertito l’ordine dei fattori e ha reimpostato, ancora una volta, la tattica dei timidi negoziati con il Pd e con Pier Luigi Bersani. “E’ dal governo che si deve partire”, ha detto Berlusconi preoccupato, “il presidente della Repubblica viene dopo”. E dietro questa novità improvvisa, che ribalta la pur debole strategia adottata fino a ieri, s’indovina un sentimento di inquietudine o forse un’epifania, una rivelazione, la terribile certezza di avere sbagliato a insistere perché prima di tutto si discutesse di chi debba andare a fare il capo dello stato. Insomma il Cavaliere e la sua corte ora hanno l’impressione fondata di essere intrappolati in una meccanica perversa che comunque vada esclude Berlusconi dalla scelta del prossimo presidente della Repubblica per consegnarlo inerme a quella tenaglia politico-giudiziaria che secondo l’avvocato Niccolò Ghedini si stringe “nel giro di qualche mese”. Tra il 20 e il 21 aprile si conclude il processo Ruby con la possibile condanna per prostituzione minorile, poi arriva il turno del processo d’Appello per frode fiscale a Milano e infine, tra settembre e dicembre, la sentenza di Cassazione a Roma sul caso Mediaset.

“Vogliono stapparlo come una bottiglia di champagne”, dice Fabrizio Cicchitto, che da vecchio socialista craxiano ha una certa esperienza in tema di martirio politico e giudiziario. “Tuttavia – dice l’ex capogruppo del Pdl alla Camera – perché lo schema sanguinolento si chiuda, perché sia conclamato il caso psichiatrico di questa sinistra fuori controllo, ci vuole prima un nuovo presidente della Repubblica incline alla pulizia etnica, alla rimozione fisica del puzzone di Arcore”. Così Antonio Polito, l’editorialista del Corriere della Sera, vede una specie di “progetto di ingegneria istituzionale” per la decapitazione del centrodestra “che, eliminato Berlusconi, potrà anche sopravvivere, avere una sua dignità, essere riconosciuto e accettato. Ma prima bisogna fare fuori Berlusconi”. E il Pd – spiega Polito – “è come se si fosse messo in trappola, perché le sue azioni, anche involontarie, portano a questo esito cruento. Bersani ha interpretato le ultime elezioni come un enorme spostamento a sinistra del suo elettorato, per lui è stato come se il Pd fosse stato punito nelle urne per essersi mostrato tiepido con Berlusconi, per aver governato nella strana maggioranza che sosteneva Monti. Nel Pd adesso pensano che il loro elettorato voglia soprattutto chiudere i conti per sempre con Berlusconi, che Beppe Grillo sia un fenomeno di sinistra, una roba loro, ma non è così, gli italiani vogliono soprattutto stabilità al governo e riforme”. Martedì sera, a “Porta a Porta”, l’ex capogruppo del Pd Dario Franceschini lo ha praticamente ammesso, lui che al Quirinale vorrebbe un democristiano selvatico e morbido come Franco Marini: “Abbiamo sbagliato, abbiamo coltivato la presunzione di poterci scegliere l’avversario”. Come dire: un peccato ideologico che oggi stiamo perpetuando.

La meccanica che descrive Polito è quella scivolosa del grillage giudiziario del Cavaliere, quella che porta all’inseguimento maldestro del Movimento cinque stelle, all’abbraccio non ricambiato con Grillo, e infine, dunque, all’individuazione di una larga, larghissima, maggioranza per portare al Quirinale l’esecutore, o meglio, come si usa dire in questi giorni, il “facilitatore” della sentenza berlusconicida: Romano Prodi, o forse i professori Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà o comunque un profilo simile, un presidente della Repubblica, e capo del Csm, “incline al massacro”, come dice la ruvida e appassionata Daniela Santanchè, o come dice invece Alessandro Gilioli, la firma dell’Espresso, giornalista integralmente antiberlusconiano: “Una figura diversa da D’Alema, da Violante o da Napolitano stesso. Un presidente che non coltivi più rapporti ambigui con il Caimano”. Dunque se adesso Grillo non sbaglia tutto – cosa possibile, visto che i candidati del Movimento 5 stelle al Quirinale sono Imposimato, Boccassini e Settis cioè persone che persino il Pd potrebbe non votare – la strada è spianata. E Gilioli spiega cosa significa avere Zagrebelsky o Rodotà al Quirinale: “E’ l’occasione storica per mettere fine a un vulnus ventennale della democrazia, a Berlusconi. A quella che proprio Zagrebelsky chiamò profeticamente nel 1994 – nel libro ‘I misteri di Forza Italia’ – ‘la formula del potere perpetuo, aggiungendo queste parole: ‘Se questo progetto andrà in porto sarà per l’acquiescenza e la cecità degli altri’”. Insomma per sconfiggere Berlusconi “non c’è bisogno della Boccassini. Basta Zagrebelsky. A scrutinio segreto è molto probabile che trenta o quaranta deputati di Grillo lo votino”. Salvatore Merlo, Il Foglio quotidiano, 4 aprile 2013

……………Questa la strategia dei nemici giurati di Berlusconi ma più ampiamente della nostra  democrazia,  che si vuole trasformare, in barba alla storia recente e ai valori perenni della democrazia senza aggettivi, in democrazia popolare. Nella quale ogni dissenso veniva stroncato e ogni dissidente conosceva la strada dell’ostracismo, della persecuzione,  del gulag, prima morale poi materiale. Riusciranno gli ultimi epigoni di un totalitarismo di stampo bolscevico,  sconfitto dalla storia e dal Cavaliere religioso, Papa Giovanni Poalo II, che impugnò la spada della resurrezione dei popoli dell’est, a resuscitarlo attraverso la sconfitta, o, peggio, la “morte” del Cavaliere laico Silvio Berlusconi? Tutto dipenderà dalla capacità di quanti, pur all’interno del PD, sopratutto gli ex democristiani che qualcosa del passato avranno conservato ma anche gli ex o post comunisti che dalla caduta dell’impero del male anche loro qualcosa hanno appreso,   riusciranno ad impedire che questo obiettivo venga colto. Nel nome della libertà, innazitutto. g.