«Il presidenzialismo rompe», titola l’Unità . E in effetti tutte le riforme sono una gran rottura per chi non vuol cambiare. Bisogna però capire se ciò che rompono era già rotto. In casi del genere anche il più prudente dei conservatori dovrebbe accettare l’urgenza del cambiamento. Ebbene in Italia da due anni e mezzo il governo non è più espressione del voto dei cittadini: prima con il Berlusconi-Scilipoti, poi con il Monti-Passera e ora con il Letta-Alfano, si è dovuti ricorrere a soluzioni in vario grado extra-elettorali. Di conseguenza il capo dello Stato, figura non eletta direttamente dai cittadini, svolge di fatto da tempo il ruolo di primo piano nella formazione dei governi e del loro programma. La legge elettorale non riesce più a dar vita a una maggioranza in entrambe le Camere. La Corte costituzionale sta per sancirne la illegittimità. Il nostro sistema politico è già rotto, che altro ci vuole a capirlo? Chi dice che non è una priorità cambiarlo usa dunque lo stesso argomento di Grillo, per il quale non era una priorità nemmeno fare un governo.

Eppure è bastato un barlume di possibile accordo tra i partiti sulla riforma costituzionale per far scattare il riflesso pavloviano di chi da vent’anni crede che riforme e berlusconismo siano sinonimi: e giù allarmi di svolta autoritaria, pericoli di scorciatoie carismatiche, mobilitazioni in difesa della Costituzione più bella del mondo, che non si tocca perché non è cosa vostra (dunque è cosa nostra?). Siccome è impossibile dipingere la Francia semi-presidenziale come una Repubblica delle banane, allora si lascia intendere che lo sia l’Italia, malata cronica di autoritarismo e sempre in cerca di un nuovo duce. Gli stessi che sostenevano l’improbabile tentativo di Bersani di reclamare Palazzo Chigi con l’argomento che in Francia Hollande aveva ottenuto l’Eliseo con il 29% dei voti al primo turno, ora inorridiscono all’idea del secondo turno e dell’Eliseo. Chi ha speso anni a raccomandare una radicale rigenerazione della nostra democrazia rappresentativa, ora si accontenterebbe di una «manutenzione». Non è questione di sistemi. Hanno respinto a turno anche il modello americano perché dà troppi poteri al presidente, l’inglese perché ne dà troppi al premier e il tedesco perché ne dà troppi al cancelliere. Ora bocciano il francese per salvare l’unico potere cui tengono: il loro potere di veto.

Qualche giorno fa il governatore Visco ha detto che l’arretramento del nostro Paese dipende dal fatto che da 25 anni non riusciamo più a «rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici» del mondo. Più o meno la data a partire dalla quale la nostra politica ha cominciato a dividersi tra chi vorrebbe cambiare tutto per non cambiare nulla e chi pensa di fargli un dispetto non cambiando davvero mai nulla. Sarebbe ora di accettare l’idea che anche una comunità, come tutti gli esseri viventi, può perire per paura di cambiare. Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 4 giugno 2013

……Il “sospetto” di Polito è più che fondato. E riguarda tutti. La battaglia per introdurre il presidenzialismo nel nostro Paese è datato da almeno 4 decenni. Agli inizi degli anni 70 del secolo scorso fu la bandiera del MSI almirantiano che puntò tutte le sue carte elettorali  sulla modifica istituzionale mirata alla elezione diretta del Capo dello Stato per sottrarla alle alchimie dei partiti. Non fu soolo il MSI in questa battaglia. Ben presto gli si affiancò il Movimento Nuova Repubblica di Randolfo Pacciardi, repubblicano dell’Edera, antifascista vero, non imputabile quindi di revanscismi autoritari che impugnò la bandiera del presidenzialismo, anch’esso però senza fortuna, perchè osteggiato dai partiti, in primo luogo il PCI che si erse a difesa della Costituzione così come era stata sfornata dalla Costituente. A distanza di 4o anni siamo al punto di partenza.  Da una parte c’è chi si ostenta una voglia di cambiamento e invoca una riforma costituzionale intestata al presidenzialismo o al semipresidenzialismo alla francese, e chi invece vede ciò con il fumo negli occhi. Il timore di Polito che condividiamo è che gli uni e gli altri potrebbero giocare la partita, come spesso accade in Italia, dell’ecquivoco. Nel senso che usano la contrapposizione  verbale solo per spoerare il momento di caduta verticale di credibilità dei partit, i per superarlo e quindi proseguire con lo stesso sistema, vecchio e decrepito,  che pe4rò assicura a chi lo gestisce, al governo e/o all’opposizione, rendite vitalizie di potere cristallizzato. Le prossime settimane, al più i prossimi mesi, ci diraqnno se i dubbi di Polito, che sono anche i nostri, sono fondati o meno. g.