Circola in questi giorni un appello firmato da un gruppo di economisti — fra i quali Francesco Giavazzi che del tema si è già occupato sul Corriere — contro il nuovo statalismo, le azioni neo-protezioniste del governo Letta. I sottoscrittori fanno riferimento a tre interventi a gamba tesa del governo volti a bloccare gli investitori stranieri: l’operazione che ha portato la Cassa depositi e prestiti al pieno controllo di Ansaldo Energia, quella su Telecom Italia e, infine, la ristatalizzazione di fatto di Alitalia attraverso l’intervento delle Poste.

In tutti e tre i casi, anziché lasciare che il mercato seguisse il suo corso e che le suddette aziende venissero acquisite da investitori disposti a rischiarvi i propri soldi, si è scelta, cambiando le regole ex post, a giochi ormai aperti, la via statalista. Pessimi segnali inviati ai mercati da quello stesso governo che diceva di volere attirare capitali esteri, di voler far cambiare idea a coloro che non investono in Italia perché ritengono il nostro Paese inaffidabile. Le vicende di cui si occupa l’appello, peraltro coerenti con una lunga tradizione statalista, hanno di singolare il fatto che si devono all’azione non di un governo di sinistra ma di un governo ove la destra ha un peso pari a quello della sinistra. Che un governo di sinistra possa decidere interventi di tal fatta lo si può pure capire. Perché lo esigono i sindacati e perché, nei ranghi della sinistra, sono tanti quelli che continuano a preferire l’intervento pubblico alla libera competizione di mercato.

L’unico problema fastidioso davanti al quale può trovarsi la sinistra quando statalizza è che le può accadere di mettersi in urto con quella Europa di cui si considera la più fedele interprete italiana. Come sta accadendo nella vicenda Alitalia: è difficile dar torto agli inglesi mentre chiedono la condanna dell’Italia per violazione dei trattati in materia di concorrenza. Ma che dire della destra? Non toccherebbe a lei la più fiera difesa del mercato? Non toccherebbe alla destra contrastare le pulsioni stataliste della sinistra? E invece no. Queste operazioni si sono fatte col consenso e l’attiva partecipazione del Pdl. L’anomalia italiana è che in questo Paese non è statalista solo la sinistra.

Lo è anche la destra. Si può capire, naturalmente, che sulla vicenda Alitalia il Pdl abbia la coda di paglia e voglia in qualche modo coprire l’errore che, a suo tempo, venne commesso da Berlusconi quando sbarrò il passo a Air France, ma questo da solo non dovrebbe essere un buon motivo per razzolare in modo opposto a come si predica. Non ha molto senso battersi contro l’Imu o altre tasse e poi lasciare che l’intervento pubblico dilaghi. Poiché le tasse alte sono solo un sintomo, o l’effetto, di una presenza statale che non si sa contenere né ridurre. Prima di contrapporsi fra lealisti e ministeriali quelli del Pdl dovrebbero riflettere su che cosa vorranno proporre al Paese quando arriverà il momento di farlo. Il che implica anche una presa d’atto delle ragioni di fondo dei fallimenti dei governi Berlusconi, del fatto che le (troppe) parole spese sulla «rivoluzione liberale» non fossero accompagnate da atti in grado di dare davvero senso, e credibilità, a quelle parole. Piuttosto che sui gradi di fedeltà al capo sarebbe forse più sensato, per il Pdl, dividersi tra chi pensa che non ci siano autocritiche da fare e chi pensa che sia infine necessario cambiare registro.  Angelo Panebianco, Il Corriere della Sera, 19 ottobre 2013