I partiti agonizzano, i sindacati rantolano e neanche gli italiani stanno troppo bene. Ci attende un futuro orfano di queste grandi organizzazioni? A leggere i numeri, il futuro è già iniziato. Il Pd in un anno ha perso l’80% dei suoi iscritti: ora sono 100 mila, quando il partito di Alfano ne dichiara 120 mila. Ammesso che sia vero, dato che alle Europee l’Ncd in Campania ha ottenuto meno voti che iscritti. Ma pure la metà basterebbe a rendere felice Forza Italia, che fin qui ha racimolato la miseria di 8 mila iscrizioni.

Sulla carta, va meglio ai sindacati: 12 milioni e 300 mila tessere. Non senza dubbi, anche in questo caso: nel 2012 la Confsal ha denunziato almeno 3 milioni d’iscritti fantasma. E in ogni caso con un’emorragia nel settore privato (un milione d’associati in meno fra il 1986 e il 2008) e una flessione anche fra i dipendenti pubblici (dal 10% al 16% nella sanità, nelle Regioni, nei ministeri). A turare la falla, soccorrono immigrati e pensionati. Non i giovani, che se ne tengono a distanza. Sicché pure in Italia sta per risuonare l’annuncio della Thatcher: nel 1987 disse che il numero degli azionisti aveva superato quello degli iscritti al sindacato. Del resto è un’onda che viene da lontano. Nel 1990 la Dc sommava 2.109.670 iscritti; otto anni dopo il Ppi ne aveva 197 mila. E l’onda bagna tutto il globo. Dagli anni Ottanta la militanza nei partiti è calata del 64% in Francia, del 50% negli Usa, del 47% in Norvegia. Insomma il problema non è Renzi, non è lui che ha ucciso il Novecento. Il problema è che in Italia mancano soluzioni di ricambio, rispetto alla crisi dei Parlamenti che s’accompagna alla crisi dei partiti. Obama non ha dietro di sé un partito strutturato; però gli americani hanno a disposizione i referendum (174 durante le ultime presidenziali), le esperienze di democrazia deliberativa, il recall (che consente la revoca degli eletti). E noi, come ci attrezziamo per questa nuova democrazia senza sindacati né partiti?

Quanto ai sindacati, difettano di strumenti alternativi. Lo Statuto dei lavoratori sarà vecchio, ma si discute dell’articolo 18, non di coinvolgere i lavoratori nella gestione delle imprese. Quanto alle segreterie politiche, fanno un po’ come gli pare, dato che manca una legge sui partiti. Come manca sulle consultazioni pubbliche, di cui gli ultimi governi abusano fingendo d’ascoltare i cittadini. In compenso la riforma costituzionale menziona il referendum propositivo, accanto a quello abrogativo. Quest’ultimo fu attuato con 22 anni di ritardo; speriamo di non rinnovare l’esperienza. Perché una cosa è certa, nel nostro incerto quotidiano: la crisi dei partiti ha aperto un vuoto. Per non farci risucchiare, dobbiamo restituire lo scettro ai cittadini. Michele Ainis, Il Corriere della Sera, 9 ottobre 2014