No, sia come Presidente del Consiglio sia come segretario del Partito democratico, Matteo Renzi esagera e sbaglia. La «partita», qualunque sarà il risultato, non finisce domenica 4 dicembre sera. In democrazia, non esiste una sola partita. C’è un lunghissimo campionato fra idee, proposte, persone e soluzioni. C’è un pubblico, che vorremmo più attento, meglio preparato, maggiormente incline a partecipare che, di volta in volta, esprime, anche andando/non andando alle urne (spettacolo) il suo parere, ma che spesso, legittimamente, lo cambia e al quale urge ricordare che deve assumersi tutte le responsabilità dei suoi comportamenti e delle conseguenze. Lunedì 5 dicembre mattina dopo avere, variamente, festeggiato e/o preso atto con dolore dell’esito referendario, dopo essersi accapigliati nei talk show, quei politici, che hanno a cuore le sorti del Paese e che non intendono essere subalterni ai mercati e agli operatori finanziari, si metteranno al lavoro. Potranno sbrigare il compito anche delle modalità con cui eventualmente sostituire il presidente del Consiglio, ma dovranno, secondo la Costituzione vigente, farlo insieme al Presidente della Repubblica. Mai come in un’occasione simile, Mattarella sarà tenuto a esercitare il suo potere di moral suasion convincendo i riluttanti ad anteporre gli interessi del paese a quelli personali, di carriera e di prestigio. Politici responsabili, se davvero volevano queste riforme oppure se davvero sono riformatori, ma si opponevano alla qualità delle riforme del governo Renzi, ritornano comunque sul discorso/percorso di adeguamento (i vincitori) e di aggiornamento (i perdenti) costituzionale.

Dopo fin troppi mesi (quasi otto) di dibattiti intensi e, spesso, personalizzati e acrimoniosi, è lecito sperare che tutti abbiano avuto e sfruttato la possibilità di imparare qualcosa. Per quanto schierato, non ho mai creduto che tutto il male si trovi/stia dalla parte del governo né che tutto il bene fosse/sia collocato nell’inevitabilmente variegato schieramento del No. Dunque, tutti, ciascuno al suo livello, dovremmo avere imparato qualcosa non solo sulle preferenze altrui, ma anche sulle soluzioni proposte, sul grado di funzionalità e di accettabilità, sulle carenze. Nessun tavolo delle riforme e nessuna Assemblea costituente (che delegittimerebbe del tutto la Costituzione vigente): le riforme ripartono, senza diktat, dalle sedi deputate in Parlamento: le Commissioni e i loro componenti. Questo è anche un modo, forse il migliore, per dimostrare al presidente emerito Giorgio Napolitano, che il Parlamento non è umiliato, ma, in quanto luogo della rappresentanza politica degli italiani (anche se, certo, con il Porcellum non abbiamo una rappresentanza apprezzabile), è perfettamente consapevole di dovere dare risposte semplici, precise, accurate a disfunzioni che esistono, sulle quali il dibattito referendario ha fatto, se non piena, abbastanza luce. Ricordando a tutti che le revisioni costituzionali sono, forse più di qualsiasi altra materia, quelle per le quali vale nella maniera più assoluta l’assenza di qualsiasi vincolo di mandato, sulle quali non è lecito imporre nessuna disciplina di partito, i parlamentari cercheranno di mettere a buon frutto il consenso, ce n’è, ce n’è, che si è espresso su alcune revisioni. Mireranno a migliorare o a cambiare del tutto altre revisioni sulla base di quello che, se hanno fatto una campagna elettorale non allarmistica, demonizzante e manipolatoria, ma informativa e sul merito, non possono non avere ascoltato dai moltissimi cittadini che hanno partecipato ai dibattiti e alle assemblee. Ho imparato dai classici della democrazia, ma anche dai contemporanei, che, oltre a non tagliare le teste, la democrazia si distingue dagli altri regimi per la sua capacità di produrre apprendimento collettivo e di correggere i suoi errori. La mattina del 5 dicembre, vincitori e vinti dovranno dimostrare che questo insegnamento vale anche per ciascuno di loro e per tutti. Gianfranco Pasquino, Il Corriere della Sera, 22 ottobre 2016

………………...Pasquino è un politologo e costituzionalista eccellente, è di sinistra ma è sempre stato equilibrato nei giudizi e nelle proposte. Questa nota descrive ciò che dovrebbe essere perchè la nostra democrazia superi l’esame di maturità dopo la difficile prova referendaria che sta dividendo il Paese fra buoni e cattivi, ovviamente secondo i punti di vista dei due concorrenti, fra il  SI e il NO. Auspico che il NO prevalga e in questo senso è maggiormente calzante l’invito di Pasquino a riprendere subito il percorso di una nuova proposta di riforma che sia calibrata sull’interesse del Paese e non di una parte, peggio di un 2uomo solo al comando” che è di per sè negazione della democrazia. Su un punto però non concordo con Pasquino lì dove ritiene che una Assemblea Costituente eletta per fare le riforme condivise sarebbe una delegittimazione della Carta Costituzionale. Non  ne spiega il motivo e sorvola sul fatto che la Carta Costituzionale è stata scritta e approvata da una Assemblea Costituente, quella eletta il 2 giugno del 1946. g.