Carlo Nordio per “il Messaggero”

Robert H. Jackson, capo del collegio d’ accusa al processo di Norimberga, esordì così: «Il fatto che quattro grandi potenze, inorgoglite dalla vittoria e lacerate dalle ferite, trattengano la mano della vendetta e sottopongano volontariamente i loro nemici al giudizio della legge, è uno dei più significativi tributi che la forza abbia mai pagato alla ragione». Sono parole nobili e solenni. Tuttavia, a distanza di settant’anni, ci si domanda ancora se fossero vuota retorica, utopistica illusione o ragionevole speranza. Probabilmente, un po’ di tutte e tre.

Il più grande processo della storia fu condotto dal Tribunale Militare internazionale per giudicare 22 criminali nazisti i cui delitti non avessero una precisa collocazione geografica. Con l’ accordo di Londra dell’ 8 Agosto 1945, Stati Uniti, Regno Unito, Urss e Francia, in rappresentanza delle Nazioni Unite, posero i fondamenti di diritto sostanziale e processale che avrebbero disciplinato il giudizio.

Successivamente furono nominati 8 giudici, uno effettivo e un supplente, per ognuna della 4 potenze. Le imputazioni erano anch’ esse quattro: 1) cospirazione contro la pace, 2) guerra di aggressione 3) crimini di guerra e 4) crimini contro l’ umanità. Nessuno capì mai la differenza tra le prime due imputazioni. La terza si riferiva al maltrattamento e uccisione di prigionieri, devastazione di villaggi, saccheggi ecc. La quarta comprendeva lo sterminio di massa, anche se la parola genocidio non fu mai usata.

IL PROCESSO DI NORIMBERGA

Gli imputati erano il vertice nazista, o quello che ne restava dopo il suicidio di Hitler, Goebbels e Himmler. Alcuni erano di primissimo piano: Göring, capo della Luftwaffe, seconda carica dello Stato, creatore della Gestapo e dei campi di concentramento. Ribbentrop, ministro degli Esteri, tristemente famoso per il patto con Molotov che avrebbe spartito la Polonia. Kaltenbrunner, successore di Heydrich, capo del Servizio Centrale di sicurezza (RSHA), comprendente la Gestapo e il Sd, responsabile della soluzione finale degli ebrei nei campi di sterminio.

IL PROCESSO DI NORIMBERGA

Altri erano militari di rango elevato, Raeder e Doenitz per la Marina, Keitel e Jodl per la Wehrmacht. A questi due ultimi si rimproverava la redazione e trasmissione degli ordini del Führer sui vari massacri di partigiani, internati, spie. Infine altri personaggi minori, banchieri, industriali, fanatici antisemiti. Su tutti troneggiava Albert Speer, il geniale architetto che aveva ricostruito l’ industria bellica tedesca, solo per vederla, alla fine, totalmente devastata.

Il processo iniziò il 20 novembre 1945 e si concluse ai primi di Ottobre del 46, dopo l’audizione di centinaia di testimoni, l’ esame di migliaia di documenti, e la raccapricciante documentazione filmata dei campi di sterminio colmi di cadaveri. L’ accusa non fu sempre all’ altezza della situazione, forse il processo era stato preparato troppo in fretta e senza un’ istruttoria adeguata. Il presidente, l’ imparziale e impeccabile sir Geoffrey Lawrence, richiamò all’ ordine varie volte accusatori e difensori. I russi, tutti militari, minacciarono di andarsene. Il tribunale minacciò a sua volta di arrestare uno di loro. Ma alla fine tutto si sistemò. Se la forza, come aveva detto Jackson, aveva ceduto alla ragione del diritto, quest’ ultima dovette ora cedere alla ragion di Stato.

LA DIFESA

I difensori erano tutti avvocati di prima scelta: su tutti spiccavano Hermann Jahrreiss e Otto Stahmer, che furono insuperabili nello spiegare il principo di irretroattività di una legge afflittiva in genere e penale in specie. Un monito non ascoltato dalla legge Severino. Le difese eccepirono inoltre un inconveniente di fatto: che i vincitori giudicavano i vinti.

E infine invocarono il principio del tu quoque: anche voi – dissero cautamente – avete massacrato militari prigionieri, come a Katyn, e innocenti civili come a Dresda e Hiroshima. Quanto alla guerra di aggressione, l’ Impero Britannico non era forse stato costituito con l’ occupazione di paesi pacifici e neutrali?

Alcune di queste obiezioni erano fondatissime: l’ irretroattività della legge penale è un principio cardine di ogni civiltà; quanto alle guerre di conquista, tutte le nazioni, quando hanno potuto, hanno aggredito le più deboli, se questo era loro conveniente. Altre obiezioni erano assurde: paragonare Auschwitz con Dresda è semplicemente ridicolo, e comunque un crimine non esclude l’ altro. Alla fine, dodici imputati furono condannati a morte: Bormann era latitante, Goering evitò il patibolo avvelenandosi, gli altri furono impiccati seduta stante. Sette furono condannati a vari anni di prigione.

Tre furono assolti. Tutto sommato, fu un processo abbastanza regolare.

Fu anche giusto? Formalmente forse no, ma sostanzialmente si. Il fatto che il vincitore faccia giustizia, non significa di per sé che questa sia iniqua. Certo, legge e giudice furono costituiti ad hoc. Ma che altra scelta c’ era? Molti imputati avevano commesso misfatti tanto scellerati da meritare il patibolo, e qualcuno disse anche di più. La pena – eccessiva per il generale Jodl – fu compensata da quella – troppo mite – per Speer e dall’ assoluzione di Von Papen. Anche visto retrospettivamente, Norimberga costituì davvero uno sforzo titanico per affermare il primato della legge su quella della forza.

IL FALLIMENTO

Ma il tentativo di costituirne un precedente vincolante fallì, né poteva essere altrimenti. Dopo alcuni processi contro imputati minori, e qualche decina di impiccagioni, la giustizia si fermò: per stanchezza, per impotenza, per opportunità politica. I reduci di Norimberga scontarono quasi tutti la pena fino in fondo, ma i loro colleghi detenuti dagli angloamericani furono sempre scarcerati in anticipo.

I sovietici si regolarono da par loro: ne utilizzarono alcuni come spie, sbirri e torturatori; del resto Gestapo e polizia segreta moscovita si erano sempre reciprocamente ammirate e copiate. Gli altri prigionieri furono giustiziati sommariamente, o lasciati morire nei gulag di stenti e di malattie. Quanto all’ Italia, la fucilazione di Mussolini e dei gerarchi a Dongo non fu un modello di giusto processo. Nessuno può realmente considerare tale la condanna a morte pronunciata dal Clnai e subito eseguita (forse) dal colonnello Valerio. Comunque, come disse Churchill, ci risparmiò una Norimberga Italiana.

Ma il fallimento non fu questo. Fu proprio nella smentita, crudele ma prevedibile, degli ideali di Jackson e di tutti coloro a cominciare da Kant che sognavano una giustizia sovranazionale di competenza diffusa ed esclusiva. Dopo Norimberga furono infatti costituti vari tribunali per i crimini di guerra: alcuni, come quello di Sartre e Russell, erano caricature politicamente tarate.

Altri invece erano, e sono, retti da norme e da trattati. Qualche sentenza è addirittura stata pronunciata, qualche criminale balcanico è ancora dietro le sbarre. Ma se pensiamo alle stragi quotidiane in mezzo mondo, quelle di cui parlano tutti e quelle di cui non parla nessuno, la sola idea di un tribunale con effetti repressivi e al contempo deterrenti si rivela una vuota astrazione metafisica. A conferma delle note affermazioni di Tucidide che i forti dominano sempre i più deboli; e che questi ultimi farebbero lo stesso, se un giorno le parti fossero invertite.

…….Il giudice Carlo Nordio ha descritto con esemplare chiarezza il processo di Norimberga  che vide sul banco degli imputati i massimi dirigenti nazisti  che ebbe una traspozisione sullo schermo con un film del 1961 interpretato magnificamente da Alec Baldwuin che è facilmente rintracciabile su youtube.