risponde Luciano Fontana

Caro direttore,

nel 1952 il ministro Vanoni convoca mio padre Noè Cinti, apprezzato funzionario del ministero delle Finanze, e lo manda negli Stati Uniti per studiare il sistema tributario americano, convinto che il più urgente problema italiano sia quello dell’evasione fiscale. Mio padre parte, lasciando una moglie incinta e con quattro figli a carico, con grande senso del dovere, e svolge sei mesi di intensa missione visitando tutti i singoli Stati di quella nazione. Al ritorno porge al ministro un voluminoso plico con una dettagliata relazione: «Se vuole, posso riassumere in due frasi: 1) l’evasione fiscale è considerata furto allo Stato e giuridicamente più grave dell’omicidio, e per gli evasori c’è solo il carcere; 2) tutto è deducibile per cui nessuno si fa sfuggire una ricevuta». Il ministro congedò mio padre con una deprimente affermazione (simile a quella che ho sentito oggi alla radio del premier Conte) relativa al fatto che era contrario ai sistemi coercitivi. Settant’anni dopo siamo ancora alle prese con il problema enorme dell’evasione fiscale, forse è giunto il momento di applicare quanto suggerito allora.
Saverio Cinti

Caro signor Cinti,

La sua storia ci ricorda che giriamo sempre intorno allo stesso problema: come rendere semplice ed efficace la lotta all’evasione fiscale. In Italia non solo si pagano tasse alte, se ne pagano anche tante spesso complicate. Ridurre il peso del Fisco sulle imprese e i lavoratori è un’emergenza, combattere quella tassazione occulta dovuta a una burocrazia assurda una priorità. Come nella domanda se è nato prima l’uovo o la gallina, non so se i furbi siano il risultato o la causa di un sistema fiscale così penalizzante per l’economia. Di sicuro non aver varato poche regole semplici e certe favorisce l’esplosione dell’evasione fiscale.
La certezza di una pena severa è sicuramente un disincentivo all’evasione ma io ritengo che il punto fondamentale sia nel secondo suggerimento di suo padre: in ogni occasione i cittadini devono avere un vantaggio a chiedere la ricevuta fiscale, a non farsi ingannare da chi promette uno sconto in cambio della mancata emissione di una fattura. Il conflitto d’interesse tra i soggetti in gioco è una chiave decisiva. In Italia sta prendendo piede e qualcosa di simile è previsto anche nella discussione sulla riduzione del contante. Non ci resta che sperare che arrivino finalmente le mosse giuste. Lo slogan di Conte, «meno tasse e pagate da tutti», per ora è un desiderio. Luciano Fontana, Direttore del Corriere della Sera, 30 settembre 2019

.…Ha ragione il direttore Fontana. Il “trucco” sta proprio nel togliere agli evasori di ogni tipo le ragioni per cui il contribuente si rende complice dell’evasione, cioè come scrive Fontana i cittadini devono avere un vantaggio a chiedere, anzi pretendere la ricevuta fiscale dai suoi fornitori. In America accade così, il contribuente paga e riceve la ricevuta che viene poi utilizzata con percentuali diverse in sede di dichiarazione dei redditi. Ricordo un episodio durante una mia visita in Canadà.  Un italiano, si chiamava Fava, che gestiva una agenzia di viaggi di cui si servivano molti italiani, ci invitò a prendere un caffè che pagò con la carta di credito. Stupito chiedi ai miei connazionali il perchè dell’uso della carta per un costo minimale e mi fu spiegato che la ricevuta anche per i 4 caffè consumati sarebbe stata utilizzata  in sede di dichiarazione dei redditi per una pur piccola detrazione che unita alle altre avrebbero contribuito a ridurre l’importo finale delle tasse da pagare. Il tutto nell’ambito della legge. Perciò è quanto mai fondata l’opinione del direttore Fontana per cui “il buon esempio americano” è un utile antidoto all’evasione fiscale  che nel nostro sfortunato Paese si aggira intorno ai 100 miliardi di euro all’anno. p.g.