Sul balcone no, questa volta Luigi Di Maio non è uscito. Ma obbligando Zingaretti e Renzi a ribaltare il loro no sul taglio dei parlamentari e costringendo Salvini (col centro-destra) a ribadire necessariamente il sì anche dopo il ribaltone denunciato, il Capo grillino che aveva puntato tutto, dopo le batoste, su questa scommessa, ce l’ha fatta. Ha vinto. Stappata la bottiglia resta il nodo: era proprio questa la madre di tutte le battaglie? Oltre i simboli, infatti, resta la realtà. Entusiasta, l’ex «plurisconfitto» ha gongolato: «È una riforma che farà risparmiare 300mila euro al giorno». Tanti: 109 milioni l’anno. Un miliardo abbondante in 10 anni. Non saranno le cifre ancora più grosse sparate nei mesi scorsi ma, con una Camera e un Senato che sfiorano insieme il costo di un miliardo e mezzo, sarà un taglio pesante. Meno convincente, è che quel terzo di parlamentari in meno possa portare a una «semplificazione perché con meno parlamentari avremo meno testi pieni di emendamenti, norme e contronorme che complicano la vita dei cittadini italiani». Difficile da sostenere, dopo aver presentato l’anno scorso la Finanziaria alle 10:33 del 27 dicembre con due ore e 55 minuti a disposizione dei deputati per leggere 436 pagine per un totale di 133.170 parole.
Un’autocisterna di leggine, commi e cavilli sui quali i singoli parlamentari, di fatto, non avevano quasi potuto mettere lingua. Certo, ci avevano già provato in tanti, da destra e da sinistra, a dare una sforbiciata ai parlamentari. E ogni volta la riduzione era saltata. E se ci avevano provato in tanti a partire dalla lontana «Commissione Bozzi» nei primi anni ‘80, ben prima dell’onda populista, significa che tutti sapevano quanto il numero dei rappresentanti dei cittadini fosse esagerato. Per capirci: prima della riforma avevamo un deputato ogni 96mila abitanti contro i 114mila necessari nei Paesi Bassi, i 116mila in Germania e in Francia, i 133mila in Spagna. Oggi diventiamo tra i virtuosi: ci sarà un parlamentare ogni 151.210 italiani. Cioè ci vorranno tre volte più abitanti a deputato che in Austria, quattro più che in Portogallo, cinque più che in Grecia o in Irlanda. Quindi, se il taglio sarà accompagnato da una seria riforma elettorale, evviva. Era ora. Guai, però, se il taglio di ieri fosse davvero, per il M5S, solo uno scalpo da mostrare alle folle armate di forconi. Era una battaglia sacrosanta? Certo non era l’unica.
A proposito dei costi del Palazzo, ancora una volta in primo piano, ad esempio, sarebbe il caso di riflettere su altre spese abnormi. Sulle quali, da tempo, c’è assai meno attenzione. Dice ad esempio lo stesso sito della Camera, in una pagina non facilissima da trovare, che dopo la scadenza del tetto massimo di 240.000 euro fissato (con qualche scappatoia) dal governo Renzi, oggi un tecnico o un assistente parlamentare anziano può arrivare al lordo a 137.368 euro più 24.215 di «oneri previdenziali», un documentarista o tecnico ragioniere a 241.221 più 42.398, un consigliere parlamentare a 361.389 più 63.818. Per carità, tutti bravissimi. Ma c’è o no molta meno attenzione su di loro rispetto ai parlamentari, i nemici additati alla plebe furente? Scrive Sergio Rizzo nel suo ultimo libro La memoria del criceto, che a leggere i bilanci dal 2005 ad oggi, negli anni in cui più dura è stata la polemica contro la casta politica, i dipendenti di Montecitorio sono drasticamente calati da 1.873 a 1.063. Creando tra l’altro problemi non secondari alla gestione del Palazzo.
Ma a causa dei costosi pensionamenti, la somma di tutti gli stipendi e di tutte le pensioni dei dipendenti avrebbe toccato nel 2018 «dicono ancora i bilanci, 450,6 milioni. Circa metà dell’intero costo della Camera». Prima le due voci insieme pesavano per circa un terzo del bilancio. Del resto, la paga media pro capite che già era «vertiginosa, al confronto con quella delle altre amministrazioni» risulta essere salita in 13 anni (anni durissimi per la crisi) da 109.183 euro l’anno lordi a 162.958. Fatti i conti, «un aumento del 49,2 per cento nominale, che corrisponde a un più 25,4 per cento reale, depurato cioè dell’inflazione». E qui torniamo alla domanda che facevamo prima. Dopo tanti tentativi fatti dalle maggioranze più diverse per oltre trentacinque anni con due riforme votate e bocciate poi dagli elettori, il taglio dei parlamentari è davvero benvenuto. Ma attenzione: vinta «la madre di tutte le battaglie» grilline si metterà mano, finalmente, a quelle svolte virtuose invocate da anni? Gian Anonio Stella, Il Corriere della Sera 9.10.2019