Va bene, se proprio vogliamo farci del male, riprendiamo ancora una volta l’appassionante discussione sui sistemi elettorali, cerchiamo la formula magica che non troviamo da qualche decennio. Ma se invece di proporzionali variamente corretti, di maggioritari con o senza scorporo, di uninominali e secondi turni alla francese o all’australiana, provassimo a parlare del semplice, elementare, quasi banale problema che sta alla base della coazione a formare governi di coalizione in tutta Europa tra forze diverse e antagoniste? Nell’Europa postbellica i partiti che hanno dato vita all’alternanza democratica, i pilastri di un sistema che è durato bene o male decenni, banalmente prendono la metà dei voti che prendevano prima, mancano di una maggioranza perché la maggioranza degli elettori ha disertato, è andata altrove in modo strutturale e non congiunturale, permanente e non episodico. Per quanto geniale sia il sistema elettorale che dovrebbe garantire una maggioranza, la maggioranza non c’è più nei numeri ed è sempre più ridotta al rango di minoranza tra le minoranze, per cui la maggioranza si può ottenere solo sommando (le grandi coalizioni) le diverse minoranze.
È un’epoca storica che si è chiusa e i numeri mancanti ne sono la sanzione finale. Nella democrazia postfranchista in Spagna i due partiti-cardine, i socialisti e i popolari, oramai non raggiungono insieme il 50% dei consensi. In Francia i socialisti a sinistra e i repubblicani a destra sono spariti sotto i colpi del macronismo e del lepenismo. In Germania la somma dei cristiano-democratici e dei socialdemocratici si riduce sempre più (oramai siamo quasi a poco più del 40%, contro il 70 di pochi anni fa). In Gran Bretagna solo la forza micidiale del bipartitismo di Westminster impedisce la frammentazione che peraltro si manifesta impetuosa appena le maglie si allentano, come nelle elezioni europee. In Italia i due partiti (Pdl e Pd) che soltanto 11 anni fa, 2008, erano i cardini del sistema bipolare dell’alternanza democratica facevano insieme circa il 70% dei voti popolari, oggi raggiungono una cifra infinitamente inferiore. Invece di inventarsi sistemi elettorali, i partiti farebbero bene a interrogarsi sulla fuga dei voti, che però interpretano sempre come il decreto di un destino cinico e baro. Proporzionale o maggioritario. Pierluigi Battista,  Il Corriere della Sera, 18 novembre 2019