A Bari la Fondazione Tatarella ha ricordato Araldo di Crollalanza nell’anniversario della sua nascita, col suo biografo Domenico Crocco. Quando ero ragazzo, in Puglia e non solo, non c’era persona, di qualunque estrazione sociale e politica, che non si togliesse il cappello al nome di don Araldo. Oggi temo che tocchi spiegare chi era Araldo di Crollalanza e poi vi dirò perché lo faccio. Dunque, partiamo dalla fine. Crollalanza è l’unico ministro fascista, podestà e poi senatore missino a cui Bari, col voto unanime di destra e sinistra, il sostegno dell’Istituto Gramsci e del suo direttore Beppe Vacca, dedicò un busto nel 2001.
Crollalanza è stato il Ministro dei Lavori pubblici più fattivo della storia d’Italia. Nato a Bari da famiglia valtellinese, combattente nella Grande Guerra, giornalista, fascista della prim’ora, dai tempi dei Fasci d’azione rivoluzionaria del 1915 e poi in Piazza San Sepolcro nel 1919, in giovane età vedovo con sei figli, Crollalanza va ricordato per le grandi opere pubbliche che realizzò, la ricostruzione rapida ed efficace dopo il terremoto che lacerò il cuore del sud nel 1930; la bonifica dell’agro pontino e la malaria debellata, il rilancio dell’agricoltura a partire dal Tavoliere, la trasformazione di Bari con la nascita della Fiera del Levante, dell’Università di Bari, lo Stadio, il Lungomare coi suoi imponenti edifici pubblici, il Policlinico, il grande porto. E poi ancora la direttissima Firenze-Bologna, l’istituzione dell’Istituto di previdenza dei giornalisti, la nascita e lo sviluppo delle città di fondazione, come Littoria, Aprilia e Pomezia, acquedotti, strade e ponti che ancora resistono, e molte altre cose.
È memorabile quel che fece da Ministro dopo il terremoto in Irpinia e nel Vulture, novant’anni fa. C’erano stati 4mila morti e decine di migliaia senzatetto. Crollalanza si accampò nelle zone terremotate e vi restò fino al compimento dell’opera, nell’arco di tre mesi; rifiutò soluzioni d’emergenza o tendopoli e in poco tempo ricostruì diecimila case definitive, in muratura. Restituì alla fine quel che era riuscito a risparmiare nella ricostruzione… Ebbe l’encomio delle Nazioni Unite e non ci fu l’ombra di nessun Irpiniagate come poi nel terremoto irpino di cinquant’anni dopo e nei i seguenti. Poi passò a presiedere l’opera nazionale combattenti.
Pur provenendo dal fascismo social-rivoluzionario e mazziniano, Crollalanza rappresentava l’ala pragmatica del regime, amava la concretezza delle realizzazioni, con vero senso dello stato e amore del popolo, ripudiando ogni violenza e fanatismo ma anche ogni vetrina. Pragmatico ma non cinico, di alta dirittura morale; anche nello scegliere collaboratori e dirigenti puntò ai più bravi, anche non fascisti.
Diffidente verso Hitler e la Germania nazista, Crollalanza aderì alla Rsi ma non accettò alcun ministero. Nel dopoguerra fu arrestato ma ogni accusa nei suoi confronti decadde, il ministro dell’interno Romita parlò in suo favore e la commissione d’epurazione non trovò addebiti, né illeciti arricchimenti; Crollalanza non possedeva una casa, terreni né conti in banca. Fu scarcerato e assolto, e riprese dalla gavetta, come giornalista. Aderì sin dalla fondazione al Msi, di cui fu senatore rieletto per ben sette volte consecutive. A Bari per anni si praticò il voto disgiunto: alla Camera la gente votava il partito ideologico o clientelare – la Dc, il Psi o il Pci – ma al Senato votavano per don Araldo. I suoi voti arrivavano a quadruplicare quelli raccolti dal suo partito. Si ricorda solo un episodio sgradevole al Senato: nel 1979, nella seduta d’apertura del Senato toccava presiedere al più anziano ma era Crollalanza. Pur di impedire che un ex fascista anche solo per un giorno presiedesse Palazzo Madama, trasportarono quasi moribondo il più vecchio Pietro Nenni, che di lì a poco morì. Quasi a riparare quel torto, due anni dopo Fanfani conferì a don Araldo la medaglia d’oro del senato per i suoi 90 anni. A proposito di Nenni, Crollalanza una volta raccontò a Beppe Niccolai che l’ultima volta che vide Mussolini sul Garda gli chiese cosa avrebbero dovuto fare dopo la guerra; e Mussolini gli suggerì di guardare al suo ex-compagno Nenni…
Francesco Compagna, anch’egli ministro dei Lavori pubblici, lo indicò come campione di onestà e competenza. Una volta intervistai don Araldo, parlava con un’inflessione barese acuta, come il prof. Aristogitone di Renzo Arbore e si rivolgeva a me chiamandomi “giovanotto”.
Alla sua morte, nel 1986, Indro Montanelli elogiò la sua cristallina onestà ed efficacia, ricordò le numerose sue opere, aggiungendo: “Crollalanza non fece mai mostra di sé, mai partecipò a spedizione punitive, mai si fece un partito o una clientela personale, mai brigò per carriere politiche. Di lui si parlava pochissimo. Non apparteneva alla Nomenclatura del regime e non fece mai nulla per entrarci”. Poi a Montanelli sfuggì un clamoroso lapsus: “Una volta Di Vittorio mi disse: «Senza Crollalanza io non esisterei perché i miei genitori non avrebbero nemmeno avuto la forza di procrearmi». Impossibile confessione, perché Peppino Di Vittorio era coetaneo di Crollalanza, classe 1892, ambedue interventisti e combattenti nella Prima guerra mondiale. E l’opera di Crollalanza nel Tavoliere è a cavallo degli anni Trenta. Svista o testo alterato nella versione digitale? Vero è che il leader sindacale comunista e l’ex ministro fascista continuarono a stimarsi a distanza.
Perché vi ho raccontato tutto questo? Perché Crollalanza fu l’esempio di una persona seria, onesta e competente al governo, che fronteggiò l’emergenza e realizzò molto apparendo poco. Non fu una banderuola, non cambiò mai casacca e non si sporcò mai di odio o intolleranza. E Crollalanza era pugliese, come Conte, Casalino e il ministro Boccia… Marcello Veneziani, La Verità del 19 maggio 2020