Fino a pochi anni fa l’Italia e la sua stampa si mostravano sensibilissimi a ogni critica nei nostri confronti provenisse dall’estero. E spesso con i toni di una patetica permalosità salvo che oggetto delle critiche fossero il capo e il governo del partito avversario (ad esempio Berlusconi), nel qual caso la fonte della critica straniera diveniva ipso facto un indiscutibile oracolo di Delfi.

Con tali precedenti sorprende l’eco limitatissima (non su questo giornale) che ha avuto la diagnosi spietata della situazione italiana che nel suo numero in edicola ha fatto l’Economist. Poco importa che si possa discutere sull’esattezza di certe classifiche, di questo o quel dato. Quel che conta è il giudizio complessivo. La nostra economia non cresce da decenni, le imprese straniere comprano a man bassa i nostri marchi e le nostre imprese, grazie a leggi e procedure sciagurate la burocrazia è in grado di paralizzare ogni cosa, e infine, priva di qualsiasi idea direttrice la classe dirigente spreca risorse e non è capace di porre rimedio a niente. Insomma, ci dice il settimanale inglese — che, non lo si dimentichi, ispira e al tempo stesso riflette l’opinione di chi nel mondo più conta — siamo un Paese in pieno declino. Nell’arena mondiale valiamo poco o nulla.

In altri tempi si sarebbero levate voci di protesa; oggi no. Perché forse è ai nostri stessi occhi che ormai le cose stanno realmente così. Perché forse abbiamo noi stessi ormai introiettato come un fatto acquisito la decadenza del Paese ed è per questo che non facciamo una piega se qualcuno la nota e ne parla. Solo l’universo politico acquartierato nel centro di Roma tra auto blu in terza fila e portaborse, sembra non rendersi conto di nulla. Del resto se pure si accorgesse della reale situazione in cui versa l’Italia, che altro potrebbe fare se non misurare la propria incapacità di concepire un’idea, di mobilitare energie, di battersi per la salvezza? Ernesto Galli della Loggia, Il Corriere della Sera 31 ottobre 2020