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SONO I PARTITI A ESSERE IN CRISI, NON LA POLITICA, UN’IDEA PER USCIRNE.

Pubblicato il 19 gennaio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Tra i partiti politici in Parlamento e il governo tecnico-presidenziale di Monti è in corso un duello riservato e confidenziale, il cui esito appare ignoto agli stessi protagonisti. Tutto fa ritenere che i duellanti siano stati trascinati nella sfida senza avere la piena consapevolezza dell’alto livello dello scontro. Forse è stata la forza delle cose a imporre una svolta istituzionale a due protagonisti così diversi e inconsapevoli.

In tutto il mondo in generale e in Italia in particolare, si vive all’interno di stati-nazioni, inadeguati e insufficienti a fronteggiare la complessità istituzionale della globalizzazione. In economia troviamo risposte, anche crudeli al superamento del limite nazionale, ma in politica il sovranazionale è o inaccettabile o fumoso e velleitario. Nella storia dei popoli ogni fine di ciclo che modifica gli equilibri di potere sociale investe gli assetti istituzionali e mette in discussione i fondamentali costituzionali.
In Italia è già successo durante il ’900. Nel 1923-28 il fascismo diede una soluzione autoritaria alla crisi del Parlamento e dei partiti politici, che non avevano capito la vastità del conflitto sociale provocato dalla guerra e la tragedia civile generata dal ritorno dalla trincea dei giovani ufficiali della piccola borghesia. Invece nel 1943-45 i partiti del Cln diedero una soluzione democratica alla crisi dello stato unitario e totalitario del fascismo. Il fascismo aveva risolto il problema del superamento del pluralismo politico in Parlamento, con la soppressione dello stesso Parlamento e con l’identificazione del partito unico con lo stato.

Il tutto si realizzò a Statuto albertino invariato. Il 3 giugno del 1923, dopo pochi mesi dalla marcia su Roma, Mussolini pronunciò al Senato un illuminante discorso, e disse: “Si dice che questo governo non ami la Camera dei deputati. Si dice che si vuole abolire il Parlamento o svuotarlo di tutti i suoi attributi essenziali. Signori, sarà tempo di dire che la crisi del Parlamento non è una crisi voluta dal sottoscritto o da quelli che seguono le mie idee: il parlamentarismo è stato ferito non a morte, ma gravemente, da due fenomeni tipici del nostro tempo: da una parte il sindacalismo, dall’altra il giornalismo; il sindacalismo che raccoglie in determinate associazioni tutti quelli che hanno interessi speciali e particolari da tutelare e che vogliono sottrarli alla incompetenza manifesta dell’assemblea politica; ed infine il giornalismo, che è parlamento quotidiano, la tribuna quotidiana, dove uomini venuti dall’università, dalle scienze, dall’industria, dalla vita vissuta, vi sviscerano i problemi con una competenza che si trova assai difficilmente sui banchi del Parlamento. Ed allora questi due fenomeni tipici dell’ultimo periodo della civiltà capitalistica sono quelli che hanno ridotto la importanza enorme che si attribuiva al Parlamento. Insomma il Parlamento non può più contenere tutta la vita di una nazione, perché la vita delle nazioni moderne è eccezionalmente complessa e difficile”.

Cosa avvenne in Italia e in Europa con la nefasta teoria del partito che si fa stato, è scritto nella storia tragica del ’900. Ma le culture durano più a lungo nella vita dei popoli e vanno oltre le stesse rotture sociali e politiche. L’intreccio tra partito o partiti dominanti e stato è il triste lascito che le ideologie totalitarie lasciarono in eredità alle nuove generazioni. Il 20 novembre del 1946 la prima sottocommissione dell’Assemblea costituente approvò con il consenso di tutti i partiti e l’opposizione della destra liberale, l’o.d.g. di Dossetti: “La prima sottocommissione ritiene necessario che la Costituzione affermi il principio del riconoscimento giuridico dei partiti e delle attribuzioni ad essi di compiti costituzionali”. Con quel voto nasce la Repubblica parlamentare dei partiti ai quali si affidarono compiti costituzionali palesi e occulti.

Lo stato fascista fu travolto dalla guerra
e con esso il Partito nazionale fascista costituzionalizzato con il Gran consiglio del fascismo. La Repubblica parlamentare dei partiti è finita con la crisi dello stato-nazione e con il rigetto della costituzionalizzazione del partito politico. Il duello attuale tra governo Monti e partiti politici residuali della Prima Repubblica non avviene sul terreno del debito pubblico, ma nel campo straordinariamente politico della doppia crisi italiana: la fine della Repubblica dei partiti tutta interna alla crisi dello stato-nazione.

Non lasciamoci fuorviare da argomenti banali e superficiali. Non è in crisi la politica. E’ in crisi il partito politico. E’ in crisi quella particolare forma di partito che si fa stato e che pretende di essere nazione. Decostituzionalizzare i partiti vuol dire rivedere l’art. 49 della Costituzione. I partiti non possono essere organi dello stato o sovrapposti allo stato. Devono tornare alla loro funzione originaria: essere corpi intermedi nella società per mediare tra cittadini e stato. Altro che liberalizzare i taxi! Occorre sciogliere il legame incestuoso partiti-stato. I partiti devono essere nello stato ma non possono essere lo stato. Solo così i partiti avranno la forza autonoma di poter giudicare anche le degenerazioni dello stato o le cessioni di sovranità nazionale. di Rino Formica, il Foglio 19 gennaio 2012

………….Rino Formica,ex senatore,  ex vicesindaco di Bari, ex  vice di Craxi, ex ministro delle Finanze, ha superato da tempo gli 80 ma è ancora atentamente vivace sulla scena della politica come dimostra questo suo intervento  sul Foglio di Ferrara di questa mattina. Analisi lucida e circostanziata , da cui si può anche  dissentire, ma non può non condividersi la tesi secondo cui non è in crisi la Politica, ma i partiti, gli strumenti che la Costituzione volle fossero incaricati di operare il rapporto tra cittadini e Stato. Incarico che nel tempo è stato stravolto, avendo i partiti usurpato funzioni e ruoli che non competevano loro, specie quello di sostituirsi allo Stato. E’ quel che è accaduto, da qui, secondo Formica, da sempre attento e lucido analista dei fatti della politica, la grave crisi in cui versa il sistema. Come uscirne? Secondo Formica rimodulando il ruolo dei partiti, semplice a dirsi ma difficile a farsi. Specie con questi partiti che ormai rispondono solo a se stessi, avendo abiurato, da tempo,  alle regole della democrazia interna, e di fatto trasformandosi in apparati totalitari che non consentono nè discussioni nè ricambi. Perciò, l’analisi di Formica, seppure giusta, è difficile che possa trovare applicazione. g.

MONTI DAL PAPA NON BACIA L’ANELLO E LA MOGLIE NON METTE IL VELO

Pubblicato il 14 gennaio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Ci aveva fatto sorridere ieri vedere in TV l’ex centralinista della ex CISNAL, ora UGL, la signora Renata Polverini, per volontà di Berlusconi presidente della Regione Lazio, all’incontro con il Papa insieme ad sindaco di Roma Alemanno e al presidente della Provincia Zingaretti, vestita di nero e con  una elegante veletta nera che le ricopriva il capo e quasi per intero il viso. Ci aveva fatto sorridere perchè   la ex  popolana appariva travestita da regina, perchè solo le cattolicissime  Regine,  secondo un antico rituale quando si recano in visita dal Papa si vestono di nero e indossano sul capo la veletta in segno di rispetto e riverenza. Ci aveva fatto sorridere la Polverini,  è vero, ma in fondo ci aveva fatto piacere perchè il Papa è il Papa, il Vicario di Cristo sulla terra, il Capo della Chiesa cattolica,  il Vescovo di Roma, il Capo dello Stato del Vaticano. E tutto sommato cme dice il proverbio meglio abbondare che deficiere. Ha scelto di deficiere invece l’attuale presidente del Consiglio il super laico Mario Monti che recatosi in visita ufficiale dal Papa, vi si è recato indossando una qualsiasi quanto anonima grisaglia,  dinanzi al Papa non si è genuflesso, al Papa non ha baciato l’anello.  E peggio di lui la moglie, che essendo la moglie di un sobrio ha recitato la parte della sobria. Anche lei si è presentata all’incontro in maniera scialba, con l’evidente scopo di sottolineare la sua laicità, e ovviamente senza alcun velo che le coprisse il capo. Eppure entrambi i coniugi, secondo quanto riferiscono i zelanti telegiornali dal giorno in cui hanno avuto la fortuna di essere innalzati sui troni della politica italiana, la domenica mattina vanno a messa. Ma a messa ci si va inginocchiandosi e, le donne, coprendosi il capo. Perciò ci pare che la esibizione ultralaicistica di entrambi ci poteva essere risparmiata, poteva essere risparmiata al popolo italiano che ora più che mai  solo in Dio può fare affidamento, visto che gli uomini hanno fallito. Come lo stesso Monti che chiamato a salvarci,  per il momento affonda nella inconcludenza e nella incongruenza: ultime notizie non solo il declassamento alle treb dell’Italia, ma anche la marcia indietro quasi generale dei partiti che lo sostengono in materia di liberalizzazioni se è vero che nelle ultime ore si sarebbero tirati indietro su quelle dei tassisti e delle farmacie, mentre pare che sarebbero d’accordo sulla liberalizzazione dei caldarrostai che potranno vendere la loro merce in ogni angolo di Roma e per tutti i giorni dell’anno, anche in pieno agosto, salvo qualche sporadico distinguo da parte dei caldarrostai cileni che invece sono contrari. Scherzi a parte, ci apre che Monti abbia perduto una buona occaisone per essere, oltre che mostrarsi all’altezza del ruolo. g.

E IL PREMIER PAGA LO STIPENDIO ANCHE ALLA MOGLIE DI CATRICALA’

Pubblicato il 14 gennaio, 2012 in Costume | No Comments »

E il premier paga lo stipendio pure alla moglie di Catricalà

Un curriculum di tutto rispetto. Su questo nulla da eccepire, per carità. E nemmeno sulla lunga scalata alla Presidenza del consiglio dei ministri, peraltro cominciata in tempi non sospetti. Però è curioso constatare che Diana Agosti, moglie del sottosegretario Antonio Catricalà, lavora negli stessi corridoi del marito. La sposa e lo sposo, seduti sulle stesse poltrone di Palazzo Chigi. E questo perché il presidente Mario Monti, lo scorso dicembre, ha confermato almeno fino alla fine di febbraio (e su indicazione del suo sottosegretario) la signora Diana Agosti Catricalà a capo del Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio.

Una carica che vale, come quella di tutti i dirigenti di prima fascia, 90 mila euro. Nulla di scandaloso: il capo del governo si è portato Antonio Catricalà a palazzo Chigi, dove la moglie era già arrivata per concorso nel 1984. Ma il fatto che l’abbia riconfermata, fa riflettere gli italiani sulla vecchia piaga del familismo che non risparmia gli enti, né le istituzioni e tantomeno lascia immune il premier Monti. Alla faccia delle tanto predicate sobrietà, serietà, trasparenza e soprattutto dell’opportunità. Catricalà, consorte e, naturalmente, la fedele Giulia Zanchi: anche lei dalla presidenza dell’Antitrust è arrivata direttamente a capo della segreteria di Palazzo Chigi.

La formidabile carriera di lady Catricalà, nasce e cresce per intero negli uffici della Presidenza del consiglio. Diana comincia come consigliere alla Direzione generale della proprietà letteraria artistica e scientifica, a metà degli Ottanta. Nel 1999 vince il concorso per dirigente e arriva a ricoprire il suo primo incarico di direzione nel Servizio convenzioni del Dipartimento per l’informazione e l’editoria. L’anno dopo viene nominata alla direzione del Servizio reclutamento e mobilità in un altro Dipartimento: quello del personale. Nel 2001 il ministro dell’Economia e delle Finanze la chiama a dirigere il servizio di controllo interno del suo dicastero. È il primo incarico, per Diana Agosti Catricalà, alla Direzione generale. Nel 2003 torna alla Presidenza con l’incarico di Dirigente generale del Dipartimento per il coordinamento amministrativo e assume, dopo quattro anni, l’incarico di capo del Dipartimento risorse umane e dei servizi informatici; funzioni che ricopre fino all’assunzione delle attuali: al vertice del Dipartimento per il coordinamento amministrativo dell’Ufficio di Monti. E del marito.

Insomma il premier non solo si trova a dover fare i conti con un governo intasato da consiglieri di Stato e burocrati pubblici con incarichi doppi, tripli o quadrupli; Monti ha anche il problema delle poltrone multiple in famiglia. Poltrone ben retribuite. Poltrone riconfermate, ma che lasciano perplessi gli italiani.  Il cosiddetto «decreto salvaitalia» dovrebbe sferrare una sforbiciata agli indecenti stipendi spettanti per legge a certi doppi incarichi. In sostanza la norma stabilisce che chiunque è chiamato a ricoprire ruoli direttivi in ministeri, enti pubblici e authority non possa intascare una somma aggiuntiva superiore al 25 per cento dello stipendio di destinazione. Se il decreto verrà applicato, la scure non risparmierò nessuno, tantomeno Paolo Troiano: ex capo di gabinetto all’Antitrust di Catricalà (tanto per restare in famiglia), consigliere di Stato e componente della Consob (fuori ruolo da sei anni) e con 322 mila euro di emolumenti. Il taglio potrà avere l’effetto di «mutilare retribuzioni potenzialmente faraoniche grazie al regalone del triplo stipendio» come scrive Sergio Rizzo sul Corriere. E in questo caso, per il sottosegretario a Palazzo Chigi Antonio Catricalà, che sommava l’indennità da presidente dell’Antitrust allo stipendio di presidente di sezione del Consiglio di Stato, si prospetta un salasso. Anche se la poltrona all’Antitrust era comunque in scadenza e senza possibilità di rinnovo. Alla fine, insomma, gli andrà anche bene. Com’è andata di lusso alla moglie, riconfermata da Monti alla Presidenza del consiglio. di Cristiana Lodi, Libero 14 gennaio 2012

………...Questi sono i moralizzatori, anzi nel caso di Catricalà,  che non ha chiesto alla moglie di fare un passo indietro, questi sono i persecutori degli evasori. Catricalà, ex capo dell’antitrust, è lo stesso che qualche sera alla trasmissione di Vespa prometteva: “spari ad alzo zero” sugli evasori, ancorchè presunti,  salvo precisare che si trattava di un modo di dire. Ma a lui non è passato nemmeno per la “capa” che essendo lui sottosegretario alla presidenza del Consiglio, lo stesso ruolo che aveva Gianni Letta,  la cui moglie al più si limitava a preparare le crostate alla frutta in casa sua, avrebbe dpovuto avvertire la sensibilità di chiedere alla moglie di trasferirsi altrove. Ma si sa…le prediche si fanno ai peccatori, non certo ai salva…tori della Patria. g.


UNA CASA INGUAIA MONTI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 13 gennaio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

C’è chi sul terremoto ride, come l’imprenditore Piscicelli, quello che poi pagò l’albergo di lusso all’ormai ex sottosegretario Carlo Malinconico. E c’è chi sul terremoto risparmia un bel po’ di soldi, come il neoministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi. Mi spiego. L’uomo scelto da Monti per riportare ordine e moralità tra i dipendenti dello Stato, come noto ha acquistato dall’Inps, nel 2007, un appartamento a prezzi stracciati (1.500 euro al metro) in centro a Roma, di fronte al Colosseo. Per ottenere il super sconto, Patroni Griffi, presentò anche una perizia dalla quale risultava che lo stabile era a rischio sismico. Oggi noi documentiamo come quel quartiere di Roma non sia classificato a rischio sismico, cosa del resto provata dal fatto che da duemila anni il Colosseo è in piedi e non ha mai subito neppure una piccola scossa. Vuoi vedere che il capo dei capi del Paese ha fatto il furbetto? Diciamo che alcuni indizi non depongono a suo favore. Il primo è che nella trattativa con l’Inps, Patroni Griffi aveva come avvocato proprio Carlo Malinconico, uomo come noto propenso a non pagare i conti attraverso sotterfugi. Il secondo: non è certo nobile che, alla faccia del rigore etico sbandierato da Monti, percepisca ben due mega stipendi dallo Stato, uno come ministro, l’altro come magistrato in aspettativa.
Raccontiamo questo (e probabilmente ancora non è tutto) senza alcun compiacimento. Ma forse Patroni Griffi farebbe bene a riflettere sull’opportunità di rimanere su quella sedia prima di fare la fine dell’amico e collega Malinconico: sbugiardato da inchieste giornalistiche ed ex amici imbarazzanti. Già ieri si è ingarbugliato in giustificazioni fumose ed è caduto nel ridicolo dichiarando che dalla finestra di casa sua non può vedere bene il Colosseo perché dovrebbe fare contorsioni «incompatibili per uno come me che soffre di vertigini». Poverino. Due stipendi, una casa di lusso sottratta per due lire al patrimonio dei pensionati italiani, e neppure vede bene il Colosseo. Faccia una cosa: venda l’appartamento, incassi la plusvalenza e sparisca. Che ben più di vertigini il suo governo ha fatto venire ai milioni di italiani costretti a pagare una nuova tassa su case comprate a prezzo pieno, con il mutuo e senza furberie. Che a questi signori più che la testa girano altre parti del corpo, perché al sacrificio non si può aggiungere la presa per i fondelli. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 13 gennaio 2012
……………….Fa bene Sallusti a scavare.Prima il sottosegretario che non pag ai conti, poi il ministro che compra a prezzo stracciato, chi sarà il prossimo? E dire che Monti sosteneva nell’Aula un tempo sorda e grigia che il suo govenro non aveva scheletri nell’armadio e prometteva che avrebbe messo online i redditi dei suoi ministri. Di sceletri ne sono venuti fuori e che scheletri, ma nessuno ha visto online i redditi dei ministri montiani. On line ci sono solo i controlli nella vita privava degli italiani da parte degli sceriffi di Befera: c’è da rigirare il film “La vita degli altri” , questa volta ambientato  non nella Germania comunista della Stasi, ma nell’Italia pseudo democratica di Monti.

DOPO MALINCONICO, SCANDALO IN VISTA PER IL MINISTRO (DI MONTI) PATRONI GRIFFI

Pubblicato il 11 gennaio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Filippo Patroni Griffi, ministro per la Pubblica amministrazione, nel 2008 acquistò dall’Inps un casa vicina al Colosseo ad un prezzo scontatissimo come immobile “non di pregio”. Do­po un lungo braccio di ferro con l’istituto previdenziale davanti a Tar e Consulta, l’abitazione “popo­lare” di 109 metri quadrati è costa­ta solo 177mila euro. Per il Catasto l’immobile è in un’area “ballerina”, cioè a rischio sismico, ma è nel pieno centro di Roma. L’ambiguità del ministro: il successore di Brunetta ha un doppio stipendio eppure attacca i privilegi.

Roma – Annuncia una Pubblica amministrazione «efficiente e trasparente», promette di tagliare le auto blu anche agli enti locali e di non ammettere deroghe al tetto per gli stipendi dei manager pubblici ma proprio lui, Filippo Patroni Griffi, potrebbe provocare il nuovo strappo all’immagine di rigore e correttezza del governo Monti, dopo le dimissioni del sottosegretario Carlo Malinconico.

La casa del ministro Filippo Patroni Griffi in via Monte Oppio, a Roma, vicina al Colosseo

La casa del ministro Filippo Patroni Griffi in via Monte Oppio, a Roma, vicina al Colosseo
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Il fatto è che sul ministro per la Pubblica amministrazione pesa la storia della casa al quartiere Monti, vicino al Colosseo, acquistata dall’Inps nel 2008 ad un prezzo scontatissimo come immobile «non di pregio». E per il Catasto a rischio sismico, anche se la capitale di terremoti non ne ha mai visti. Dopo un lungo braccio di ferro con l’istituto previdenziale davanti a Tar e Consulta, l’abitazione «popolare» di 109 metri quadrati è costata solo 177mila euro.

Da settimane a perseguitare Patroni Griffi non è solo l’accostamento con Malinconico, ma soprattutto quello con la famosa casa di Claudio Scajola: stessa vista sull’Anfiteatro Flavio, pagata cinque volte di più. L’ex ministro del governo Berlusconi è finito nei guai giudiziari e si è dovuto dimettere perché nel 2004 tirò fuori appena 600mila euro per 180 metri quadri, mentre un milione e 100 mila euro per i magistrati li avrebbe versati l’imprenditore Diego Anemone. Ora Patroni Griffi si trova a dover giustificare un privilegio calcolato 1.630 euro al metro quadrato. Ma respinge ogni parallelo. «Credo siano situazioni molto diverse- dicela mia vicenda non è assimilabile. Non è personale, ma ha riguardato tutti gli acquirenti degli enti previdenziali di tutta Italia, secondo parametri fissati per legge, quindi è una situazione diffusa e generalizzata».

Quanto alla vicenda Malinconico, prima delle dimissioni Patroni Griffi si dice sicuro che tutto si chiarirà ma evita altri commenti: «Vorrei rispondere di faccende che riguardano me». Il ministro chiede anche di non dimenticare, per la storia della casa al Colosseo, i tanti «anni di professionalità » alle sue spalle. Anni di prestigiosi incarichi nella Pubblica amministrazione in cui, e questa è un’altra spina nel fianco, è diventato un campione del doppio stipendio, mantenendo sempre la sua retribuzione da consigliere di Stato fuori ruolo e aggiungendo di volta in volta quella degli altri ruoli in ministeri e autorità. Ecco perché crea qualche imbarazzo che proprio lui si occupi ora di mettere fine allo scandalo del cumulo degli stipendi, autotagliandosi la retribuzione. Patroni Griffi era ieri all’audizione sulle linee programmatiche del suo dicastero alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro della Camera.

Auspica, sul tetto per i compensi dei manager pubblici pari allo stipendio del Primo presidente della Cassazione (305mila euro lordi l’anno), che non ci siano deroghe. La norma riguarderà anche lui, che guadagnerà di meno. Nel decreto «Salva-Italia» è stato infatti inserito, in sede di conversione, il terzo comma che prevede possibili deroghe per le posizioni apicali di alcune amministrazioni. Ma Patroni Griffi si augura che nel testo «quasi pronto per essere inviato alle Camere» vi sia «l’applicazione a tutti i soggetti interessati, con una riduzione automatica al tetto fissato».

Quanto ai tagli delle auto blu, per il ministro bisogna «estirpare l’idea» che «siano uno status symbol ».Sono,invece,«un mezzo operativo per consentire di lavorare meglio all’ufficio». Dopo il 20 gennaio ci sarà una verifica degli effettivi risparmi per sapere quanto si è speso nel 2011 e qual è il costo attuale delle auto di servizio. Sulla riorganizzazione della pubblica amministrazione e l’individuazione delle eccedenze, il ministro annuncia che punterà sulla mobilità. «Anche se una cosa è spostare una persona dal quartiere Prati all’Eur,altra cosa da Vercelli a Catania». Si guarda bene dal citare il quartiere Monti. Annamaria Greco, Il Giornale 11 gennaio 2012

REGALI ALLA SEGRETARIA DI FINI DA PARTE DELL’IMPRENDITORE CHE PAGAVA L’ALBERGO ALL’EX SOTTOSEGRETARIO MALINCONICO. MA FINI RSTA AL SUO POSTO, IMPERTERRITO .

Pubblicato il 11 gennaio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Per un Malinconico che si dimette a causa delle vacanze in hotel pagate dall’imprenditore della «cricca» Francesco De Vito Piscicelli, c’è qualcuno che non si dimetterà mai, nonostante le promesse passate.

Gianfranco Fini

Gianfranco Fini resta saldo sulla sua poltrona, incurante di Montecarlo e delle intercettazioni dell’inchiesta su G8 e Grandi eventi che hanno portato alla luce i rapporti tra lo stesso Piscicelli e il suo entourage, professionale e familiare. In particolare è la storica segretaria di Fini, Rita Marino, che viene più volte pizzicata a chiacchierare con Piscicelli di affari relativi all’appalto per la piscina di Valco San Paolo, una delle opere previste per i mondiali di nuoto del 2009.

L’imprenditore spende spesso il nome della Marino, e talvolta quello di Fini, anche per «sbloccare» situazioni delicate in Campidoglio. E sempre Piscicelli, stando a una relazione del Ros, a giugno 2008 parlando con l’altro imprenditore coinvolto nelle indagini, Riccardo Fusi della Btp, parla di un appuntamento con il fratello del presidente della Camera. «Ti cercavo di dire, stamattina – dice Piscicelli a Fusi in un’intercettazione – che lunedì alle 9 ho questo appuntamento con Massimo, il mio amico Massimo, eh… il fratello di Gianfranco». E il link con Fini lo fanno i carabinieri. «Il riferimento – scrivono – è molto probabilmente all’onorevole Gianfranco Fini, attuale presidente della Camera dei deputati. Il fratello Fini Massimo è coniugato con Patrizia (…) compare come socio della cooperativa Poliambulatorio Cave srl a cui è intestata la scheda telefonica 340… in uso a Massimo Fini».

Più abbondanti, come si diceva, i rapporti telefonici, e gli appuntamenti, emersi dalle carte dell’inchiesta a proposito di Piscicelli e Rita Marino, concentrati a cavallo tra fine 2009 e inizio 2010. Il 24 novembre, per esempio, ecco Piscicelli chiamare alle 10,48 il centralino di Montecitorio, che lo mette in contatto con la segretaria di Fini. P: «Rita, buongiorno, come sta?». M: «Buongiorno, bene, grazie, ha ricevuto tutto?». P: «Non ancora… va be’, ci vuole ancora qualche giorno». M: «Arriva, arriva». P: «Senta dottoressa, avevo bisogno di vederla un minuto per una cosa vitale, di una cosa importante che le devo parlare». M: «E io sono qua». P: «Mi dica lei quando vendo a disturbarla… domani mattina per lei va bene?». M: «Quando vuole». P: «Allora domani alle 10.30-11, va bene?». M: «Domani un attimo… allora, domani è 25, sì sì, va benissimo».

I rapporti sembrano stretti, se è vero che qualche giorno dopo, il 9 dicembre, quando il Rup (responsabile unico del procedimento) dei lavori per la piscina di Valco San Paolo, Enrico Bentivoglio, chiede a Piscicelli una strada per far incontrare Mauro Della Giovampaola col sindaco di Roma, Piscicelli taglia corto: «Vuole andare dal sindaco? E dobbiamo andare un attimo, fare un passaggio diverso (…) prendere Mauro, andare da Rita Marino e… vabbe’ mi organizzo».

Un’altra intercettazione mostra che il rapporto tra i due è bidirezionale. Parlando con un altro imprenditore di fondi da sbloccare, infatti, Piscicelli il 15 gennaio spiega: «Ieri mi stavo buttando giù, te lo giuro… no ma perché ti rendi conto che veramente, guarda, il nostro lavoro…era tutto fatto, pronto… il mandato alla ragioneria del Comune di Roma, mi chiama la mia amica (Rita Marino, ndr) della segreteria di Gianfranco (Fini, ndr) e va be’, dice: “corra là perché c’è qualcosa che non quadra”. Corro a vedere e questi mi dicono”(…) questo è un mutuo che dobbiamo fare” (…) per fortuna che dei 5,135 milioni del Comune (…) 3 e dispari sono mutuo…mentre un milione e mezzo è fondi».

A Rita Marino,  Piscicelli, per Natale, fa un bel regalo. Il 15 dicembre 2009, annotano i carabinieri, «informa la moglie che sta andando presso la gioielleria Bonanno per orientarsi sul tipo di regalo da fare per Rita, lasciando intendere che questo regalo è connesso con il pagamento del Sal per i lavori della piscina di Valco San Paolo».Fonte Il Giornale, 11 gennaio 2011

…………..Restiamo in attesa del solito e puntuale comunicato stmapa, magari a firma della moglia, nel quale Fini sosterrà che del regalo di Piscitelli alla sua segretaria lui non ne sa nulla…ma la sua segretaria quando chiamava se chiamava a nome di chiamava?

FINI E LE VACANZE AI TROPICI. ECCO LA DIFESA DI LADY FINI, OVVERO LA TULLIANI

Pubblicato il 10 gennaio, 2012 in Costume | No Comments »

“Nessuno scandalo, il viaggio alle Maldive è stato pagato con denaro guadagnato onestamente”. In una intervista al settimanale Chi Elisabetta Tulliani parla del viaggio fatto con Gianfranco Fini a Capodanno.

Gianfranco Fini in vacanza al mare

“Siamo partiti per tagliare un traguardo importante: Gianfranco ha compiuto sessant’anni”, spiega la compagna del presidente della Camera. E sottolinea: “Siccome non capita tutti i giorni, abbiamo voluto festeggiare in una maniera gradevole”.

Sulle critiche rivolte dall’opinione pubblica nei confronti dei politici che hanno trascorso le vacanze di Natale ai tropici, la Tulliani ci tiene a sottolineare: “Io penso quello che pensa anche Gianfranco (ne abbiamo parlato, ed è un pensiero che ci accomuna), cioè che quando si paga con bonifici bancari, con denaro guadagnato onestamente, non c’è niente di scandaloso”. In molti, tuttavia, hanno giudicato la scelta di andare in vacanza alle Maldive poco sobria, specialmente se presa in un periodo di crisi economica. “Fare una vacanza l’anno non è che sia questo gran lusso”, replica la Tulliani.

Nei giorni scorsi Fini è finito sotto i riflettori dei media per aver mancato il funerale di Mirko Tremaglia. Anche in questo caso la Tulliani ci tiene a puntualizzare: “Gianfranco il 31 dicembre ha preso l’aereo ed è andato a fargli visita alla camera ardente, lo ha salutato per l’ultima volta, è stato molto toccato da questa scomparsa. E’ partito alla volta di Bergamo anche se noi avevamo il nostro volo il giorno dopo”. Fonte: Il Giornale 10 gennaio 2012

.….Avevamo già duramente stigmatizzato altri caporioni della “casta”,  da Schifani (PDL) a Casini (UDC) a Rutelli (Terzo Polo) per la loro totale mancanza di sensibilità verso un intero popolo,  costretto a sacrifici vergognosi per sanare i debiti prodotti dalla spesso dalla politica e ancor più spesso dgli intrecci tra politica e affari, ed essersene andati a fare le vacanze di Natale o Capodanno alle Maldive, in un resort superlusso, di certo pagato con i loro soldi, ma comunque grave sotto il profilo morale e comportamentale. Ora ci si mette anche la signora Tulliani, più note alle cronache rosalspinto per i suoi passati amorazzi con il piuttosto rotondetto e attempato Gaucci (ma anche Fini ha 60 anni: alla signora piacciono attempati anzichèno) a moraleggiare sulle sue di vacanze in compagnia di Fini anche loro due alle Maldive, al sole, mentre al ghiaccio delle casse vuote sono rimasti gli italiani. Sono soldi onesti!?! Certo, quanto lo sono i ricchi stipendi dei parlamentari italiani, e ancor più ricco quello del presidente della Camera che dopo aver annunciato la sua presenza ai funerali di Teremaglia, ha preferito gli atolli asiatici. Povero Tremaglia. Non foss’altro che per aver seguito Fini nell’ultima penosa avventura, compromettendo il suo passato di “ragazzo di Salò″ finito coll’essere ascaro di una manovretta sotto la regia dei postcomunisti che  quelli di Salò hanno  sempre definito poco peggio che carogne, Tremaglia meritava più di un saluto, anche una rinuncia. Ma si sa. Per un pelo di donne ci si può dimenticare di onorare gli amici, anzi, i camerati Ma Fini è mai stato amico di qualcuno? g.

INCREDIBILE, ORA SI E’ RAZZISTI SE DICI DI ESSER EITALIANO

Pubblicato il 10 gennaio, 2012 in Costume, Cronaca, Politica | No Comments »

Mai più vantarsi del made in Italy. Questo tricolore che tanto sbandieriamo, soprattutto negli ultimi mesi di enfasi unitaria, sta diventando scomodo. Abbiamo vissuto anni in cui il solo pronunciare la parola patria e mettere alla finestra una bandiera diventava oggetto di caccia all’uomo: era, quella, la stagione di una certa egemonia, che eliminava come nostalgie fasciste anche le più elementari espressioni di identità nazionale.

Macelleria di Treviglio (Bergamo)

In seguito la storia ha un po’ camminato. Prima gli slanci repubblicani e risorgimentali di Ciampi, poi tutto il fritto misto del centocinquantesimo anniversario, in qualche modo hanno ripulito la bandiera dalle sovrastrutture ideologiche, restituendole la sua missione originaria di unire, non certo di dividere. Un buon lavoro di tutti quanti. Ma potrebbe essere inutile. La luna di miele sembra già finita: improvvisamente, esibire il tricolore e proclamarsi italiani procura una nuova patente, nemmeno così nuova, nemmeno così originale, più che altro buona per tutti gli usi e per tutte le occasioni: razzismo. Né più, né meno.

È L’Eco di Bergamo a raccontare l’esperienza surreale di Antonino Verduci, macellaio in Treviglio, vetrina direttamente sul centro storico. Non è ben chiaro come e perché, ma ad un certo punto le sue vendite hanno cominciato a scendere in modo preoccupante, per via di un’inspiegabile nomèa nata attorno al negozio: è gestito da marocchini musulmani, si raccontava in giro, magari vende carne particolare che arriva da chissà dove.

Stanco di passare per quello che non è, bravo o cattivo che sia come venditore, comunque non straniero, il macellaio ha dunque deciso di avviare una personalissima campagna pubblica, «per fare chiarezza, per evitare qualsiasi equivoco»: sul vetro del suo negozio sono comparsi un tricolore e un cartello molto chiaro, «Macelleria italiana».

In modo istintivo e artigianale, la mossa del macellaio è un po’ quella che si vedono costretti ad adottare i costruttori di biciclette nostri per distinguersi dall’invasione dei prodotti asiatici: «Bicicletta tutta made in Italy», scrivono sui loro telai. Lo stesso fanno gli scarpari, i sarti, gli stessi fornitori di alimentari. Contro la marea dei prodotti più o meno taroccati, più o meno sottocosto, e comunque di provenienza esotica, l’ultima frontiera delle nostre aziende è puntare tutto sulla propria italianità, che per fortuna significa ancora qualcosa.

Questa l’intenzione del macellaio trevigliese, ma evidentemente anche l’intenzione più elementare, in questa era di perbenismo conformista e di buonismo tanto al chilo, diventa un boomerang pericoloso. Neppure il tempo di farsi la vetrina made in Italy e il macellaio si ritrova messo al muro, al muro più odioso dell’epoca moderna, quella rete dei social-network dove tanta bella gente sfoga tutta la sua furia inquisitrice, fustigatrice, moralizzatrice, senza mai esporsi e rimetterci in proprio. Il popolo di Facebook, come viene troppo rispettosamente definito, prontamente lancia la sua fatwa: «Orrore», «Macellaio razzista», «Boicottiamolo», «Ricorda la scritta negozio ariano ai tempi del nazismo», e via bombardando. Italiani e marocchini, più italiani che marocchini, tutti a lapidare il razzista del tricolore. In nome della vigilanza permanente antirazzista, il pessimo soggetto va perseguitato pubblicamente. Magari, dipingiamogli un marchio indelebile sullo stipite o sulla saracinesca: a suo tempo funzionava….

Diciamolo: forse dovremmo smetterla di dare tanto peso all’eminente popolo della rete. Sinceramente, sta diventando un termometro troppo autorevole per tutto, dalla politica al costume, dalla cultura alla giustizia. Stiamo attribuendo a questa massa informe e anonima, che lancia i suoi siluri da chissà dove, il ruolo di ago della bilancia su qualunque fenomeno e su qualunque questione. Anche in questo caso, la denuncia contro il macellaio razzista mobilita anime troppo equivoche e sfuocate, perché davvero l’Italia intera debba sentirsi così malmessa. Purtroppo, però, vale la famigerata regola: infanga infanga, qualcosa resterà. Così, alla riapertura del lunedì mattina, la macelleria tricolore si ritrova in qualche modo sotto protezione, con passaggi di volanti della Polizia a scanso di effetti collaterali.

Anche questo è un segno dei tempi: dal lontano pregiudizio verso le insegne «Macelleria islamica» siamo arrivati alla «Macelleria italiana» sotto scorta. Bello: potremo tutti raccontare ai nostri nipoti che ad un certo punto, chissà come, dichiararsi italiani significò essere razzisti. Purtroppo, noi c’eravamo. Il Giornale, 10 gennaio 2012

…..Lasciamo il commento ai nostri lettori. Piuttosto, chissà se il presidente Napolitano assai sollecito nel fare telegrammi e andare in visita, uno di telegrammi lo manderà al macellaio di Treviglio, magari per ordinargli un chilo di filetto da mettere in tavola al Quirinale. E quanto alle visiste , ci piacerebbe che egli partecipasse ai funerali dei due anzini coniugi baresi che ieri l’altro si sono lasciati morire causa la miseria, abbandonati da tutti, compreso lo Stato capace di pretendere sacrifici e altrettanto incapace di comprendere e alleviare  i disagi. Questo Stato può piacere a Napolitano, ma non piace a noi. g.

IN SEMILIBERTA’ UNA DELLE BESTIE DELLA UNO BIANCA

Pubblicato il 9 gennaio, 2012 in Costume, Cronaca | No Comments »

Semiliberta’ per Marino Occhipinti. Fu condannato all’ ergastolo per omicidio guardia giurata. I parenti delle vittime sono  ‘fuori dalla grazia di Dio’

VENEZIA – Marino Occhipinti, uno dei componenti della ‘banda della Uno bianca’  che seminò terrore e morte a Bioklogna e dintorni,   condannato all’ergastolo, ha ottenuto la semiliberta’ dal Tribunale di sorveglianza di Venezia. L’ordinanza e’ stata depositata dopo che e’ stata emessa in camera di consiglio, come si apprende da autorevoli fonti del Tribunale stesso.

Occhipinti è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio della guardia giurata Carlo Beccari, compiuto durante un assalto ad un furgone portavalori davanti alla Coop di Casalecchio (Bologna) il 19 febbraio 1988. Occhipinti, ex poliziotto della Squadra mobile di Bologna, è in carcere a Padova dal 1994 ed ha già usufruito di un permesso nel 2010.

PARENTI VITTIME: FUORI DA GRAZIA DIO – “Siamo fuori dalla grazia di Dio”. Questa la reazione di Rosanna Zecchi, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della Uno Bianca, informata della semilibertà ottenuta da Marino Occhipinti. “Gli auguro solo – ha detto al telefono con l’ANSA – di non pentirsene”. La notizia “amareggia” l’associazione, anche se dopo la richiesta fatta nei giorni scorsi “io me lo immaginavo, ma speravo che tenessero conto di quello che lui ha fatto. Ne prendo atto, ma sono perplessa. Non so cosa dire”. Forse la decisione del tribunale è dovuta, ha detto ancora Zecchi, “a questa cosa che vogliono liberare le carceri”. Occhipinti, ha sottolineato la presidente dell’associazione, “ha ucciso una persona, un giovane. Poi si è dissociato dicendo che fu un atto di debolezza. Ma non è stato così: è stato zitto per sette anni. Se avesse parlato, altri si sarebbero potuti salvare. Lui sapeva che cosa agiva nella questura di Bologna”.

PADRE DI BECCARI: MARCISCA IN GALERA – “Non accetto niente. Lui deve star dentro, deve marcire dentro”. Così Luigi Beccari, anziano padre di Carlo, ucciso dalla Banda della Uno Bianca, ha commentato la notizia della semilibertà ottenuta da Marino Occhipinti. Che è stato condannato all’ergastolo proprio per l’omicidio della guardia giurata, compiuto durante un assalto ad un furgone portavalori davanti alla Coop di Casalecchio, alle porte di Bologna, nel 1988. “Sono avvelenato, siamo tutti avvelenati”, ha spiegato Beccari. “Mi hanno detto – ha aggiunto – che sua madre vuole venire in casa mia, a chiedere perdono. Ma quale perdono, quali scuse? Io ho un figlio morto, e ora sono solo, in una carrozzina. Mia moglie è in una casa di riposo e non abbiamo nessuno. Quel delinquente lì deve stare dentro”.Fonte ANSA, 9 gennaio 2012

..…..Siamo vicini ai parenti di questa e delle altre vittime degli ex poliziotti della Questura di Bologna che per passare il tempo organizzavano rapine e uccisioni a freddo. Presi sono stati condannati all’ergastolo, cioè, come si scrive in questi casi, “fine pena mai”, Invece prima del previsto è arrivata la fine della pena, perchè come è consuetudine della magistratura italiana ora è stata concessa la semilibertà, cioè di giorno fuori e di notte in galera, ma tra breve si passerà alla libertà vigilata e quindi alla libertà totale. Alla faccia della povera guardia giurata che facendo il suo dovere per un misero stipendio ci rimise la vita. A Lui, alla vittima, come alla altre vittime,  non c’è possibilità che qualcuno gliela restituisca la vita come la si sta restituendo ora a uno degli assassini, e poi a tutti gli altri. E poco importa che, come sostiene il legale dell’assassino, si sta solo applicando la legge. Ebbene, è la legge che è sbagliata e va cambiata. g.

MALINCONICO SI DIMETTA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 9 gennaio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Il sottosegretario del premier, chiamato a giustificarsi, è incappato in una serie di contraddizioni. E i ministri dell’”urgenza” non hanno fretta di pubblicare i loro redditi

Carlo Malinconico, sottosegretario di Monti, ha raccontato un paio di bugie e fatto ben più di una omissione cercando di spiegare come mai le sue lussuose vacanze in Argentario siano state pagate da imprenditori un po’ spregiudicati e al centro di alcuni scandali che riguardano appalti pubblici.

Di cose pubbliche Malinconico se ne intende, ha un curriculum dentro l’amministrazione dello Stato che non finisce più e che comprende pure due anni da braccio destro dell’allora premier Romano Prodi. Eppure, nonostante queste frequentazioni politiche vecchie e nuove, importanti e austere, ha pure lui il vizio di non sapere chi gli paga le cose. È in buona compagnia, successe di recente a un prestigioso ministro del governo precedente. Ci riferiamo al caso Scajola, che inciampò nel pasticcio della casa vista Colosseo che non sapeva bene chi gli aveva pagato (e che, coincidenza, veniva più o meno dallo stesso giro di Malinconico, imprenditori generosi con i politici). Ci sono però due differenze tra i casi in questione. La prima, evidente, è tra casa e vacanze. La seconda è che Scajola si dimise, Malinconico pare non abbia nessuna intenzione di farlo. Ricordo che fummo proprio noi del Giornale i primi, tra lo stupore generale, a chiedere le dimissioni di Scajola. Pensavamo che un ministro che si trova in un pasticcio e che per spiegarlo ci mette una pezza che è peggio del buco debba trarne le conseguenze, a maggior ragione se ci sono di mezzo soldi, privilegi e rapporti poco trasparenti. Rispetto a quel maggio 2010 non abbiamo cambiato parere. Politicamente, ancor prima che per l’aspetto penale,la posizione del ministro era indifendibile perché gli italiani perdonano molto ma non tutto. E tra quel poco su cui non transigono ci sono proprio i privilegi della casta nella vita privata, a partire proprio da casa e vacanze. Per questo vorremmo sentire il parere sul caso Malinconico del premier Monti. Un pasticcio del genere inzuppato pure di bugie è conciliabile con l’etica, il rigore e la serietà che il governo sta chiedendo a tutti gli italiani? Noi pensiamo di no, pensiamo che Carlo Malinconico debba lasciare subito l’esecutivo, come fece Scajola con grande dignità. Non vorremmo che in nome dello spread passasse anche il principio della doppia morale: una per giudicare l’operato dei ministri di Berlusconi; l’altra, molto più lasca, per quelli del governo Monti (che ancora, nonostante la promessa, non hanno depositato la denuncia dei loro ingenti patrimoni). Alessandro Sallusti, Il Giornale 9 gennaio 2012

………..Questa del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Malinconico, (anche il cognome fa la sua parte…) è una brutta faccenda. Ci sembra che le dimisisoni siano un obbligo e anzi ci meraviglia che non le abbia già datre e ancor più ci meraviglia che il funereo superMonti che un giorno o l’altro sarà chiamato a fare la pubblicità delle Pompe Funebri non abbia immediatamente dimesso il suo sottosgretairo. Non erano loro che dovevano essere al di sopra di ogni dubbio o sospetto? g.