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FELTRI: E’ STATA VERA CENSURA, DICONO MINZOLINI, PANSA E BATTISTA.

Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

Per il direttore del Tg1: “Folle zittire Feltri, il doppiopesismo è fastidioso”.  L’editorialista del “Corriere” Pier Lugi Battista contro Scalfari e D’Avanzo: “Arroganti”

«Quando viene imbavaglia­to un giornalista è censura, no­nostante quello che pensano a Repubblica ». L’ultimo a sma­scherare il doppiopesismo del­la stampa di sinistra sul caso Fel­tri è l’editorialista del Corriere della Sera Pierluigi Battista. La sospensione a tre mesi del diret­tore editoriale del Giornale comminata dall’Ordine dei giornalisti per il caso Boffo ha di­viso il mondo politico e dell’in­formazione, riaprendo la vec­chia ferita sul destino degli ordi­ni professionali (il referendum radicale per abolirli venne scon­­fitto dall’astensionismo, il mo­vimento per l’Italia del sottose­gretario all’Attuazione del pro­gramma Daniela Santanchè sta raccogliendo le firme per can­cellare quello dei giornalisti). La questione Feltri, secondo Battista, si muove sul terreno scivoloso della libertà di stam­pa. «Che idea bislacca può mai avere chi la rivendica solo per sé – si è chiesto Battista sul Cor­riere di ieri – per poi negarla, con la stessa arrogante perento­rietà, a chi non gli aggrada?». I destinatari del messaggio sono il fondatore di Repubblica Euge­ni­o Scalfari e il cronista giudizia­rio Giuseppe D’Avanzo, che qualche giorno fa hanno spara­to­a palle incatenate contro Fel­tri.

A loro è arrivato anche il mes­saggio in codice del direttore del Tg1 Augusto Minzolini, in­tervenuto domenica sera alla trasmissione Niente di persona­le su La7 : «La condanna è una cosa folle – ha detto Minzolini al conduttore Antonello Piroso- il fatto che qualcuno sia zittito di­mostra un doppiopesismo che mi dà fastidio: per molti altri er­rori macroscopici fatti da altra stampa, l’Ordine non intervie­ne ». Chi pensa che la difesa di Fel­tri condotta da Battista e Minzo­lini rientri in una qualche logi­ca politica è stato spiazzato già nei giorni scorsi, quando a dife­sa del direttore editoriale del Giornale sono scesi in campo giornalisti tradizionalmente più vicini all’emisfero sinistro dei media come il direttore del TgLa7 Enrico Mentana, l’ex nu­mero uno dell’ Espresso e della Stampa Giulio Anselmi e il di­r­ettore del Fatto quotidiano An­tonio Padellaro. Se per quest’ul­timo «conta più il parere dei let­tori che sanno giudicare anche più severamente degli ordini deontologici», Anselmi è con­vinto che Feltri abbia sbagliato su Boffo: «Giusto che paghi, ma non mi piace che si impedisca ad un giornalista di fare il suo mestiere. Si poteva pensare ad una sanzione economica». Nel mirino c’è sempre l’Ordi­ne dei giornalisti («non serve a niente, va abolito», parere con­diviso anche da Giampaolo Pansa sul Riformista ), che pro­prio ieri ha risposto piccato alle critiche mosse da destra e sini­stra. «Sono emerse inesattezze e vere e proprie falsificazioni», ha detto il segretario del Consi­gl­io nazionale dell’Ordine Gian­carlo Ghirra: «Non abbiamo agi­t­o per capriccio, passione politi­ca o simpatie personali ma ab­biamo fatto rispettare la legge. Né potevamo inventare sanzio­ni ». Quanto al «bavaglio» com­minato per tre mesi a Feltri Ghir­ra sembra arrampicarsi sugli specchi:«L’Ordine non ha alcu­na intenzione di impedire a ne­s­sun cittadino italiano la possibi­lità di manifestare il suo pensie­ro con parole e scritti. E per for­tuna nessuno può riuscirci». A quanto pare invece sì.

MENTRE FINI RINNEGA IL SUO PASSATO, ANCHE TREMAGLIA RINNEGA IL SUO?

Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Costume, Politica | No Comments »

Egregio onorevole Mirko Tremaglia, lei ha concluso il suo intervento allo storico incontro di Bastia Umbra con un «alla faccia di Berlusconi!», facendo venire giù il fastoso e tecnologico teatro (già, ma chi ha pagato tutta quella berlusconiana grazia di Dio?) per gli applausi.

La cosa mi ha lasciato un po’ perplesso. Forse alla sua veneranda età ha dimenticato un particolare non proprio trascurabile. È solo grazie al disprezzato Berlusca che lei, un «ex ragazzo di Salò», è potuto assurgere ai fasti di un ministero ancorché senza portafoglio nel 2001-2006; e per di più l’abominevole uomo di Arcore la difese quando veniva accusato di aver fatto giungere al governo il primo «ex repubblichino» nella storia della Repubblica italiana «nata dalla resistenza». Ed è grazie a questa insperata poltrona che lei è riuscito a coronare il sogno della sua lunghissima vita: quello di concedere il voto agli italiani all’estero, benché con una legge tanto pessima nel suo meccanismo e nella sua attuazione pratica che riuscì a portare – con sospetto di brogli – più voti al centrosinistra che al centrodestra nelle elezioni del 2006, contribuendo concretamente a far vincere l’Ulivo di Prodi & C. Nonostante ciò, non venne cacciato a pernacchie dal centrodestra medesimo.

Oggi, dunque, onorevole Tremaglia, lei prorompe in un «alla faccia di Berlusconi!» per lasciare il Popolo della libertà e passare a Futuro e libertà. Benissimo. Ma si è mai chiesto chi è che guida il Fli? Non sarà per caso quel signore che ha portato lei e tanti altri in questo stesso Pdl sciogliendo Alleanza nazionale, e con questo Pdl vincere le elezioni del 2008 e farla rieleggere in Parlamento? Forse sì. E illustre onorevole, caro, vecchio, smemorato «ragazzo di Salò», padre di quell’unico e insostituibile Marzio che il fato ha sottratto a lei e a noi troppo presto, non si ricorda per ipotesi cosa questa guida, questo condottiero, questo duce democraticissimo, ha affermato in merito a certi argomenti ai quali lei dovrebbe essere particolarmente sensibile? Ad esempio, il fascismo: «Fu il male assoluto», ebbe a dire nel 2003.

Ad esempio, rincarando la dose, la Repubblica sociale nelle cui file armate lei militò: «Una pagina vergognosa della storia italiana». E infine, per chiudere degnamente il cerchio: «L’antifascismo è un valore» e sinonimo di democrazia, e la resistenza anch’essa lo fu, a parte qualche trascurabile eccezione che voleva farci diventare un Paese stalinista. Però, nonostante tutto, come costui ha scritto all’Anpi di Bologna pochi giorni fa, «commemorare gli eroici combattenti partigiani che si opposero ai rastrellamenti degli antifascisti è un dovere delle istituzioni».

Onorevole Tremaglia, devo dedurre che anche lei la pensi ormai così, nonostante che a tali rastrellamenti magari ha pure partecipato. Sicché, non ritiene, onorevole fillino, che suo figlio Marzio, che quale assessore alla Cultura della Regione Lombardia volle creare – forse anche pensando a suo padre – un istituto per la storia della Rsi, oggi diretto dal professor Roberto Chiarini, si stia rivoltando nella tomba?

LA SCUDISCIATA DI MARINA BERLUSCONI A BOCCHINO, SCUDIERE DI FINI

Pubblicato il 14 novembre, 2010 in Costume, Politica | No Comments »

La frecciata è di quelle velenose, al curaro. E per essere sicuro che le tossine facessero effetto, l’onore­vole Italo Bocchino l’ha ripetuta due volte davanti alle telecamere di Annozero . Si parlava delle dimissioni dei finiani al governo che arriveranno domani, per «ga­lateo istituzionale»: così si è capito quanto Futuro e libertà tenga alle buone maniere, come siano beneducati i suoi mi­nistri che, prima di pugna­­larlo, aspettano che il pre­mier rientri dall’Estremo Oriente e trascorra (augu­rio bocchiniano) «una do­menica in famiglia a d Arco­re e una serata con Lele Mo­ra ». Michele Santoro non credeva alle sue orecchie: «Battute così non ce le sia­m o mai consentite nemme­no Travaglio e io». Ma il veleno vero stava nella coda. Il braccio armato di Fi­ni ha spiegato che si dimettevano per­ché «Berlusconi ha detto: Palazzo Chigi è mio, l’ho costruito io, lo devo lasciare a Piersilvio e Mari­na ». Replicato due volte a distanza di pochi minuti per cer­tificare l’effetto. Nessuno nello stu­dio di Annozero ha raccolto l’accosta­mento del Cavaliere ai monarchi che ce­dono il trono in li­nea di sangue. È sta­ta invece la stessa Marina Berlusconi a reagire. L’ha fatto ieri in un breve dia­logo con l’agenzia Ansa. «Si è trattato di una battuta di pes­simo gusto, come del resto quasi tutto quello che dice l’onorevole Bocchi­no – ha ribattuto il presidente di Finin­vest e Mondadori, oltre che consiglie­re di Mediobanca – ; comun­que, battuta per battuta, ri­spondo che mio padre di ca­se ne ha già abbastanza, e che oltre tutto se le è pagate con il frutto del suo lavoro e con i suoi soldi, e non con quelli dei propri elettori e del partito». Ogni riferimen­to a Montecarlo è puramen­te voluto. Replica sferzante, che stronca la strampalata ipo­tesi di una successione per via ereditaria alla guida del Pdl, e tuttavia segna in qual­che modo una discesa in campo della donna più in­fluente d’Italia ( copyright della rivista americana For­bes, che la colloca al 48˚ po­sto tra le 100 più potenti del mondo, unica italiana). Ma­rina è sempre stata accanto al padre, in famiglia e in azienda. Ne ha seguito le or­m e nella carriera professio­nale, come manager del gruppo e in Mondadori. E negli ultimi mesi, con il sus­seguirsi degli scandali a sfondo sessuale e dopo la rottura del rapporto con Ve­ronica Lario, la primogeni­ta di Silvio Berlusconi si è messa alla testa dei quattro fratelli in sua difesa. A fine maggio 2009, in pie­n a bagarre per il caso di No­emi Letizia, disse al Corrie­re della Sera che era «orgo­gliosa » del padre, che si era «superata ogni decenza» quando il segretario del Pd Dario Franceschini bollò Berlusconi come un cattivo genitore. Già allora all’indi­gnazione per l’offesa perso­nale ( «Quale diritto ha di di­re una sola parola su Berlu­sconi padre?») e alla rabbia per le polemiche mediati­che su Noemi ( «Una monta­gna di infamie costruite sul nulla») si era unito il giudi­zio politico: «C’è un dise­gno portato avanti da chi non sa più nemmeno che cosa sia la politica». Passato qualche mese, quando gli attacchi al pre­mier coinvolsero le azien­de di famiglia, in altri due colloqui con il Corriere (scelto come contraltare al pulpito preferito da Veroni­ca, cioè Repubblica ), Mari­na Berlusconi ruppe di nuo­vo il silenzio. E anche in quelle occasioni la reazio­ne unì la difesa del gruppo («uno scandalo giuridico la sentenza sulla vicenda Mondadori» con il risarci­mento di 750 milioni di eu­ro a favore di De Benedet­ti), l’orgoglio familiare («contro mio padre c’è una caccia all’uomo») e la criti­ca a una certa politica: «C’è un’aria irrespirabile, l’op­posizione si fa con dossier e pettegolezzi. Un pezzo di Italia, piccolo ma pericolo­so, non riesce ad accettare il fatto che la maggioranza degli italiani vuol essere go­vernata da Silvio Berlusco­ni » . Convinzione ribadita lo scorso settembre, dopo lo strappo di Gianfranco Fini e la disputa sollevata da al­cuni autori Mondadori: «Fi­ni ha accusato mio padre di stalinismo, ma in quanto ad assolutismo è lui a poter vantare innegabili frequen­tazioni. Siamo a Segrate da vent’anni, paghiamo 2,2 mi­lioni di euro di imposte al giorno: se la casa editrice è così, non lo è “nonostante” la famiglia Berlusconi, ma anche grazie al nostro esse­re liberali. Basta con l’eroi­smo a tassametro». In quel­l’occasione Marina rilan­ciò la polemica contro De Benedetti, imprenditore che «predica bene ma raz­zola male, malissimo», edi­tore di «un quotidiano che in fatto di editoria plurali­sta e liberale ha ben poco da insegnare». Un argine a tutto campo, una difesa de­cisa e convinta, tutt’altro che d’ufficio. L’allusione di ieri a Montecarlo segna una nuova tappa: a brigan­te, brigante e mezzo. «Mio padre si è sempre compor­tato allo stesso modo: reagi­re, andare oltre, costruire e guardare avanti»: una lezio­ne che anche Marina ha fat­to propria.

…. Bocchino è un perfetto kapò, come quelli descritti nel film omonimo di Gillo Pontecorvo con Luarent Terzieff. Erano i kapò,  quelli che per salvare la pelle nei lager nazisti offrivano i loro bassi e servili servigi agli aguzzini del loro popolo. E non andavano per il sottitle, pronti a vendere la pelle degli altri deportati in cambio di un tozzo di pane. Il tempo fu galantuomo e fece giustizia del loro squallore. Sarà così anche per Bocchino.  Tempo al tempo. g.

FELTRI: ENNESIMA INTIMIDAZIONE. GLI FANNO PAGARE LE VERITA’ SU FINI, di Vittorio Sgarbi

Pubblicato il 12 novembre, 2010 in Costume, Politica | No Comments »

Quali sono i peccati che la moderna inquisizione rimprovera a Feltri? Di avere fatto un’inchiesta parzialmente documentata su Dino Boffo, direttore dell’Avvenire, giornale della Cei, conferenza episcopale italiana. Il presidente della Cei è monsignor Bagnasco, uomo sensibile e intelligente, s’è distinto negli anni scorsi per la sua dichiarata avversione alle unioni gay e alle manifestazioni del gay pride. È stato, per quelle posizioni, insultato e maledetto, come Benedetto XVI chiamato Maledictus XVI, e minacciato fino ad essere tutelato da una scorta. Per coerenza nessuno discute che a dirigere Chi sia stato scelto Alfonso Signorini (dichiaratamente gay) ma sembrerebbe inopportuno che dirigesse l’Avvenire. Per coerenza, dico, non per inadeguatezza professionale. Si tratta di adeguare le funzioni ai principi. Potrebbe un musulmano dirigere Civiltà Cattolica? Potrebbe un cristiano dirigere la rivista degli atei? Tutto è possibile, ma soltanto la malignità del destino potrebbe consentire un così evidente ribaltamento. Se dunque la Cei avversa non l’omosessualità ma la sua legittimazione, può apparire incoerente che a dirigere l’Avvenire sia un omosessuale.
Cosa ha fatto dunque Feltri se non evidenziare una contraddizione? E, al di là delle imprecisioni, è vero o non è vero che Boffo è gay e che alcuni suoi comportamenti sono stati sanzionati da una condanna? E perché Boffo s’è dimesso dall’Avvenire? La contraddizione c’era o non c’era? Averla indicata, o anche sospettata, senza una denuncia per diffamazione può motivare una sospensione di tre mesi dall’attività di giornalista? Quale diritto ha l’Ordine di ostacolare, intimidire, impedire la ricerca della verità? Che informazione è quella che nasconde e impedisce di far conoscere la verità? Per ipocrisia, per opportunismo, per quieto vivere. Il cardinale Bagnasco si è poi redento davanti al mondo gay difendendo Boffo e la sua indiscussa professionalità.
Ma il tema è un altro. E Feltri lo ha evidenziato non con il pettegolezzo (che pure è una forma di giornalismo) ma con una serie di verifiche, accertamenti, fonti giudiziarie. La «velina» avvelenata non era un elemento essenziale rispetto alla verità dei fatti. Non so, poi, se nei tre mesi di condanna ci sia anche la colpa di avere detto la verità, confermata dai magistrati, sulla famiglia Tulliani e sulla evidente circonvenzione non di un uomo ingenuo ma del presidente della Camera. Un’inchiesta precisa, punto d’arrivo di una serie di intelligenti osservazioni sul mutamento genetico-politico di Fini da due anni a questa parte.
Solo Feltri e Il Giornale l’avevano segnalato. E infatti vediamo ciò che è avvenuto. Feltri andrebbe premiato per avere, rispetto a ogni altro giornalista, intuìto quello che Fini e i suoi hanno poi realizzato. Una formidabile intuizione storica che ha anticipato le vicende attuali della politica italiana. Dunque chi vede bene e vede meglio degli altri dev’essere punito, anche e soprattutto se la realtà conferma le sue interpretazioni, dando all’informazione non un ruolo passivo ma una capacità di avvertire lo spirito dei tempi.
Pannella da anni propone l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti. L’attuale condanna di Feltri è un onore per il giornalista ed è una medaglia che premia la libertà di pensiero e la libertà di stampa. Dopo questa decisione l’Ordine dovrebbe estinguersi, sparire e le persone libere meditare all’infinità di pettegolezzi, di insinuazioni e di diffamazioni che la stampa libera si consente, senza punizioni, e che soltanto Feltri paga.

E ORA LA GIUSTIZIA SIA VELOCE, SOPRATUTTO FEROCEMENTE SEVERA

Pubblicato il 11 novembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

E’ morto a Milano il tassista che per aver investito, senza volerlo, un cane,  è stato bastonato ferocemente da tre mascalzoni che ora stanno in galera. Il povero tassista che si era fermato, era sceso dall’auto, aveva tentato di prestare soccorso al cane, dopo essere stato massacrato di botte e in ultimo colpito da una violenta ginocchiata al capo da uno dei tre energumeni (fra di loro c’è anche una donna!), era stato trasportato in ospedale e ricoverato in coma. Così è rimasto per quasi un mese e poche ore fa è morto. Ora i tre assalitori,  che hanno anche goduto di una cortina di protezioni tra i presenti al pestaggio che hanno tentato di depistare le indagini, sono accusati di omicidio volontario.  E’ il minimo. Ma devono rimanere in carcere e devono essere processati al più presto e devono essere condannati  al massimo della pena possibile  e devono scontarla per intero. Non per vendetta, ma per doveroso rispetto di un uomo che ogni giorno faceva il suo dovere, si guadagnava da vivere, per sè e la propria famiglia, che nutriva rispetto per tutti, anche per un cane dinanzi al cui corpo,  investito per caso,  non è fuggito, e che ha fatto una morte che fa rimanere increduli. Ci sono e ci sono stati anche nel recente passato episodi di automobilisti, ubriachi o drogati, che hanno stroncato la vita di persone inermi, talvolta giovani vite, ma mai era accaduto che costoro rimanessero vittime di una specie di “giustizia” privata, messa in atto  tra l’altro con la crudeltà con cui è stato ucciso il povero Luca Massari a Milano. Se la giustizia, quella pubblica,  che opera nel nome del popolo italiano  consentisse che gli autori di tanta selvaggia esecuzione di un uomo la facessero franca o se la cavassero con poco,  non solo verrbbero meno al loro dovere ma aprirebbero la strada ad altri episodi del genere e se oggi è accaduto per un cane investito, la prossima volta potrebbe accadere per una briciola di pane caduta per caso dinanzi al negozio di qualche suffragetta in cerca di emozioni. Ci auguriamo fortemente che la domanda di giustizia che  prepotente sale nell’anino della gente trovi adeguata risposta. g.

IN NOME DELLA LIBERTA’ DI STAMPA (per la sola stampa di sinistra) L’ORDINE DEI GIORNALISTI SANZIONA VITTORIO FELTRI CON TRE MESI DI SOSPENSIONE

Pubblicato il 11 novembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

L’Ordine dei giornalisti imbavaglia Feltri. Ancora un attacco contro le voci libere della stampa. Il Consiglio dell’Ordine nazionale dei giornalisti ha sospeso per tre mesi il direttore del Giornale Vittorio Feltri. L’Odg ha ridotto da sei a tre mesi la sospensione inflitta dall’Ordine della Lombardia a Vittorio Feltri per il caso Boffo. A quanto si apprende, nell’ultima votazione (la terza) il Consiglio si è diviso a metà: 66 i voti favorevoli a confermare la sospensione di sei mesi, 66 quelli per la riduzione della sanzione a tre mesi. Come da regolamento, ha prevalso la soluzione più favorevole all’imputato.

“Non mi aspettavo niente di meglio”: è questa la prima reazione di Vittorio Feltri alla notizia della riduzione, da parte del Consiglio dell’Ordine nazionale dei giornalisti, da sei a tre mesi della sospensione inflitta dall’Ordine della Lombardia. “D’altronde – commenta Feltri -, si era visto subito che la maggioranza era ostile, così come peraltro accaduto a Milano”.

“Gli errori li fanno tutti in questo mestiere, ma se Repubblica sbaglia 50 volte nessuno se ne accorge. Se succede a noi è una tragedia”: lo ha detto Vittorio Feltri in una pausa della riunione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, poco prima che l’ordine decidesse sulla sua sospensione. La richiesta era stata proposta nel marzo 2010 con una sentenza dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Per Feltri, che stamane ha spiegato la sua posizione ai vertici nazionale dell’Ordine, rispondendo alle domande dei consiglieri assistito dal suo avvocato, “qualunque giornalista dovrebbe capire queste cose. Io ho pubblicato la rettifica”. Rettifica che è stata pubblicata il 4 dicembre 2009. Nel maggio 2010, Feltri ha fatto ricorso contro la sentenza dell’Ordine della Lombardia, chiedendo l’annullamento, la revoca o una riforma del provvedimento, chiedendo anche la sospensione della sanzione. “Ho detto di essere iscritto all’ordine da 43 anni e da 25 anni sono direttore – ha spiegato il giornalista – Ma in tutta la mia carriera sono stato censurato una volta. Auguro a tutti di non trovarsi nella mia situazione. La disoccupazione, anche temporanea, non mi sembra una cosa civile”. E ancora: “Facciamo le lotte per la libertà di stampa… ma ora facciano come vogliono, che devo fare?”.

.…..al Direttore Feltri va tutta la nostra solidarietà. Sul caso Boffo, ora spesso richiamato come metodo Feltri fu tratto in inganno da una inforamtiva risultata falsa. Subito dopo Feltri si scusò pubblicamente con Boffo e pubblicò la smentita sul Giornale (nel frattempo però, Boffo, che si era dimesso da direttore del quotidiano dei vescovi italiani era stato subito sostituito e ha dovuto attender un bel pò perchè gli si trovasse un’altra collacazione all’interno della organizzazione cui fa capo il quotidiano dei vescovi italiani). Magari tutti quelli che, ingiustamente,  vengono sbattuti ion prima pagina e sottoposti al ludibrio mediatico da parte di certa stampa di sinistra o quelli che vengono fatti oggetto di scurrili e false accuse da parte di certi giornalisti sempre e solo di sinistra ricevessero le scuse quando si accerta che le accuse erano false e gli autori dei falsi perseguiti come accaduto per Feltri….magari! Invece, i giornalisti di sinistra godono di una vera e propria licenza di insulto, e non parliamo dei giudici. Ultima  quella di Milano che ha accusato Maroni di aver detto il falso in Parlamento per il caso Ruby, e si scopre che Maroni ha solo letto ciò che era contenuto in una ordinanza del Tribunale dei minori di Milano dove lavora l’accusatrice di Maroni.  Maroni ha querelato la giudice incontinente ma chissà quando Maroni avrà giustizia. Mica la giudice è Feltri. g.

SAVIANO: CHE VERGOGNA L’ARRINGA DELLO SCRITTORE

Pubblicato il 10 novembre, 2010 in Costume | No Comments »

Lo scrittore a “Vieni via con me” di Fabio Fazio ha usato Giovanni Falcone come punto di riferimento senza avere il coraggio di nominare neanche uno dei suoi nemici politici.

Roberto Saviano Che tristezza il Roberto Saviano reticente. Una lunga arringa televisiva, assumendo Giovanni Falcone a punto di riferimento, senza avere avuto il coraggio di nominare neanche uno dei suoi nemici politici. Ha usato l’immagine di Alfredo Galasso, ultima ruota di un carretto sgangherato, ma s’è dimenticato di dire che era esponente del partito di Leoluca Orlando, oggi alleato di Antonio Di Pietro. Non ha mai pronunciato il nome di Luciano Violante, che candidò Agostino Cordova alla procura antimafia per bloccare e annientare Falcone. E quale fu la scusa per candidarlo? Perché aveva più anzianità. Come si fa a ricordare il Leonardo Sciascia che si scaglia contro i “professionisti dell’antimafia” (e aveva ragione), scegliendo il bersaglio sbagliato (Paolo Borsellino), come lui stesso riconobbe, senza dire una parola su chi e perché volle sconfiggere Falcone? E anche le parole di Ilda Bocassini sono state decontestualizzate, non ricordando quelle durissime che rivolse alla corrente di sinistra della magistratura, la sua: Magistratura Democratica.
Ma Saviano pensa sul serio che se Giovanni Falcone avesse avuto la convinzione che Giulio Andreotti fosse mafioso e Claudio Martelli avesse preso i voti della mafia avrebbe accettato di collaborare con loro, sebbene in un ruolo istituzionale? Ma davvero considera Falcone un tale uomo da niente? Ciò che mette tristezza, ma tanta, è che Saviano ha voluto denunciare, giustamente, la congiura del silenzio e della bugia, che attorno alla memoria di Falcone è cresciuta, ma non ha avuto il coraggio della chiarezza, a costo di tirarsi addosso le polemiche dalla parte sbagliata. Sono fra quanti considerano demenziale la polemica del centro destra contro Saviano. Ho letto il suo libro e so che è molto ben scritto. Un’operazione culturale di grande importanza. Non è il primo che scrive di camorra, né il più preciso. Però è il più bravo. Ma è rimasto prigioniero del successo e del luogo comune, che lo opprime più della scorta. Sa chi può attaccare e con chi non si deve permettere, sa come lisciare il pubblico per il verso del pelo, perché sa che quel pubblico è intriso di pregiudizi. Quindi riesce a dire che le unanimi celebrazioni di Falcone sono mendaci, ma non riesce a dire perché. E non riesce a dire che i carabinieri che collaborano con Falcone e Borsellino sono stati o sono sotto processo, in un Paese in cui pochissimi (due, che io sappia) hanno il coraggio di denunciarlo e urlarlo.
Perché ieri non ho sentito neanche nominare l’inchiesta “mafia-appalti”? È scomoda, è politicamente scorretta? Noi ne parliamo, lui ha sorvolato. Mi dispiace, veramente. Saviano ha un potere enorme, uno spazio straordinario, una credibilità considerevole. Ieri ha sprecato tutto, in omaggio al santino di se stesso. Il marketing della propria immagine e la libertà di giudizio non vanno d’accordo. La tribuna televisiva induce al conformismo. Peccato. Non essere riuscito a sottrarsi all’Italia delle tifoserie dissennate è, prima di tutto, uno spreco. Peccato.

DAVIDE GIACALONE per IL TEMPO, 10 NOVEMBRE 2010

UN RISCHIOSO “FUTURISMO” FAMILIARE: IL GIORNALE DEI VESCOVI ITALIANI SCONFESSA FINI E RILEVA CHE E’ PORTATORE DI “QUALCOSA DI INACCETTABILMENTE VECCHIO”

Pubblicato il 9 novembre, 2010 in Costume, Politica | No Comments »

L’AVVENIRE, il giornale dei Vescovi italiani, pubblica oggi, con richiamo in prima pagina, la lettera dell’avv. Fabio Russo di Roma, il quale, citando il Fini di Perugia, chiede al direttore del giornale una sua opinione sul percorso  dello stesso Fini e del suo partito sui temi etici della famiglia. Il Direttore dell’Avvenire risponde accusando Fini di essere portatore di “qualcosa di inaccettabilmente vecchio” e va giù duro, che più duro non si può, sull’ateo Fini che vorrebbe divenire il leader del centrodestra italiano, immemore che i Valori della Destra non comprendono il suo “ateismo” di risulta. Ecco il testo della lettera e la risposta del Direttore dell’Avvenire.

Lettere al direttore

9 novembre 2010

Il direttore risponde

Un rischioso futurismo familiare

Caro direttore,
le cito un passaggio dal discorso di Fini a Bastia Umbra: «…Bianchi e neri; cattolici, ebrei e musulmani; uomini e donne; eterosessuali ed omosessuali; italiani e stranieri: qualsiasi persona, la persona umana, senza distinzioni e discriminazioni, deve essere al centro dell’azione della politica e avere la tutela dei propri diritti…».
Poi, a seguire: «…In Italia dobbiamo colmare il divario e allinearci agli standard europei sulla tutela tra le famiglie di fatto e quelle tradizionali…». E infine: «… Non c’è in nessuna parte dell’Europa, e lo dico a ragion veduta, un movimento politico come il Pdl che sui diritti civili sia così arretrato…». Nel novero dei diritti civili da tutelare va certamente ricompreso, per Fini, il diritto delle coppie omosessuali ad adottare figli. Perché le coppie eterosessuali sì e quelle omosessuali no? Anche questo è un sacrosanto diritto! In nome degli standard europei bisogna poi equiparare in tutto e per tutto le famiglie di fatto alle vecchie, tradizionali e scontate famiglie fondate sul matrimonio. Che cosa aspettiamo ad adeguarci a questi standard?
Credere ancora nella famiglia fondata sul matrimonio è un chiaro sintomo di arretratezza culturale…
Fabio Russo, Roma
Capisco la sua amara ironia, gentile avvocato. E condivido la sua profonda perplessità: il «partito moderno» anzi «futurista» di Gianfranco Fini, ultima evoluzione della destra post-fascista faticosamente nata dalle ceneri del Msi­Dn, sta rivelando di portare nel suo Dna qualcosa di strutturalmente e – per quanto ci riguarda – di inaccettabilmente vecchio: la pretesa radicaleggiante di dividere il mondo in buoni e cattivi, in arretrati e progrediti culturalmente, sulla base di una premessa e di un pregiudizio ideologico. Il ronzio di fondo che accompagna le dichiarazioni del leader ricorda, poi, le sicumere dell’anticlericalismo proprio, con le sue ambizioni e le sue miserie, di una certa Italia liberale in tutto e con tutti tranne che nei confronti dei cattolici.
L’accattivante elenco finiano di differenze da comporre in giusta armonia – che lei opportunamente cita, caro amico – culmina per di più in affermazioni che con il rispetto delle diversità nulla hanno a che vedere e che teorizzano, piuttosto, l’ingiusto annullamento delle diversità. Un retorico elogio della confusione, all’insegna del più piacione dei relativismi.
Nonostante l’ostentato (e sarkoziano) richiamo all’idea di una «laicità positiva».
Spiace, infatti, constatare che il primo a fare le spese lessicali e programmatiche del riproporsi di un Fini-pensiero purtroppo già noto sia stato l’istituto della famiglia costituzionalmente definita (articolo 29), cioè quella unita regolarmente in matrimonio e composta da un uomo e una donna e dai figli che hanno messo al mondo o accolto in adozione. Il neoleader di Fli e attuale presidente della Camera si mostra, insomma, pronto a ridurre la «famiglia tradizionale» a una possibilità, a una mera variabile in un catalogo di desideri codificati, manco a dirlo, secondo gli «standard europei». Bizzarro, deludente e rischioso argomentare che si somma all’altrettanto pericolosa scelta di campo che l’ha indotto a osteggiare una legge – quella sul «fine vita», approvata in prima lettura al Senato e ferma alla Camera – tesa a scongiurare la surrettizia e anti-umana introduzione di pratiche eutanasiche nel nostro ordinamento. Come potremmo non annotare e tenere in debita considerazione tutto questo? E, proprio guardando al futuro oltre che al presente, come potrebbero non tenerne conto con lucidità i potenziali interlocutori politici di Fini? (mt)
.….Ci sembra che peggiore sconfessione dei vaniloqui di Fini non ci potrebbero essere. E costui vorrebbe divenire il premier? Ma non scherziamo….

IERI SERA A RAI TRE IN SCENA IL TEOREMA DI SAVIANO: INFANGARE BERLUSCONI (PER IL QUALE SCRIVE E INCASSA COSPICUI DIRITTI D’AUTORE ) E IL GIORNALE

Pubblicato il 9 novembre, 2010 in Costume, Gossip | No Comments »

….E INTANTO LA TRASMSSISONE DEL TRIO FAZIO-SAVIANO-BENIGNI, COSTATO 2 MILIONI E MEZZO DI EURO PER 4 PUNTATE, INCASSA  PER TUTTE E QUATTTO LE SERATE, SOLTANTO 810 MILA EURO DI PUBBLICITA’: OVVIAMENTE LA DIFFERENZA LA PAGHERA’ LA RAI, CIOE’ NOI, CON IL CANONE IMPOSTO AI CITTADINI COSTRETTI LORO MALGRADO A SORBIRSI LE TONNELLATE  DI FANGO,  SPARSE SUL CAPO DEL GOVERNO, VOTATO DA MILIONI DI ELETTORI,    DAL SUPER PAGATO FAZIO, DAL GUITTO CHE PIU’ GUITTO NON SI PUO’, DALL’AUTORE DI UN SOLO LIBRO NARRATO COME LO SCRITTORE DEL SECOLO. g.

di Stefano Filippi

Fabio Fazio, l’intervista­tore più morbido di Gigi Mar­zullo, ha trovato un nuovo mestiere: il barman. Il suo Vieni via con me , program­ma costosissimo e strombaz­zato come la grande novità della tv italiana, è un gigante­sco e cos­tosissimo shaker do­ve viene frullato di tutto, dal­la suora- banchiera favorevo­le alla nuova moschea di To­rino al cantante che riesuma i pezzi di Giorgio Gaber, dal­le lettere dei telespettatori al nuovo guru della politica ita­liana, Roberto Saviano. Un cocktail agitato, non mesco­­lato, e scodellato in prima se­rata con un solo obiettivo: screditare Berlusconi e il Giornale.

Saviano è un Celentano meno sconclusionato e più ideologizzato, un telepredi­catore più lungo e infinita­mente più monotono, ma più feroce. Fazio vuol fare il brillante, con il solito sorrisi­no sfottente cita un vasto campionario di luoghi co­muni sull’Italia, definizioni di Churchill, Prezzolini, Mussolini. Ma subito dopo fa l’elenco delle prostitute che esercitavano a Pompei prima dell’eruzione, dalle «tope» di bettola fino a quel­le «colte, più raffinate, che si prostituivano per influenza­re la politica. Poi Pompei crollò e il crollo continua an­cora oggi». È l’aperitivo di benvenuto del più ricco bari­sta Rai. L’«elenco»dovrebbe essere uno degli elementi ca­­ratterizzanti il programma, tra i cui autori ci sono Miche­le Serra (firma di Repubbli­ca ) e Francesco Piccolo (del­l’ Unità ). Ma è soltanto una noia. Compreso il catalogo delle definizioni di omoses­suale letto dal governatore pugliese Nichi Vendola, gay dichiarato ma non proprio un fine dicitore cui è stata re­galata la passerella.

Il pezzo forte è lo show di Saviano. Lo scrittore di Go­morra entra sulla scena tri­colore, ma in realtà domina­ta dal rosso, alle 21.17 e parla per oltre mezz’ora. Come ha ampiamente spiegato su Re­pubblica , si dedica a smonta­re la «macchina del fango», la sua «ossessione». «Sento che la democrazia è letteral­mente in pericolo, se ti poni contro questo governo ti aspetta l’attacco della mac­china del fango», sentenzia come un oracolo. Riconosce che «non siamo né in Cina né in una dittatura fascista», bontà sua. Spiega che «una cosa è fare un errore, un’al­tra farsi corrompere»: viva la banalità. «La privacy è sacra, un pilastro della democra­zia: nessuno ha il diritto di fo­tografarti in bagno perché perdi credibilità»: sembra di sentire Berlusconi. Invece no: «Un conto è la riservatezza, un conto è sce­gliere le amiche da candida­re ». Ed ecco che nel frullato­re finisce anche il Giornale, le cui prime pagine su Mon­tecarlo e Boffo giganteggia­no sullo sfondo ( come aveva­mo rivelato giorni fa). Così il fango ha nome e cognome, senza possibilità di contrad­dittorio, senza difesa, senza appello.

Per tenere fede alla sua fama di bastonatore del­la malavita organizzata, Sa­viano rispolvera farraginosa­mente la tragedia di Giovan­ni Falcone. Come dire: que­sto è il destino di chi è bersa­gliato dalle macchine del fango. E l’equazione del teo­rema- Saviano è facile da fa­re: il governo Berlusconi è co­me la mafia. Ecco dunque il program­ma partorito da Rai3 dopo il lungo braccio di ferro con i vertici aziendali che stenta­vano a firmare i contratti. Avevano ragione, non foss’altro che per la quantità di sbadigli. Trasmissione an­nunciata da Fazio, cancella­t­a da Masi perché troppo co­stosa, poi tornata in auge con partecipazioni gratis, in­fine riammessa perché ­sembrava- i problemi di sol­di erano spariti.

Alla fine l’unico ad appari­re senza gettone è stato Ro­berto Benigni, e nel suo mo­nologo l’ha ricordato a ogni pie’ sospinto. E anche lui si è occupato di prostitute, «fur­ti con spasso», martellando ossessivamente su Berlusco­ni. Da Ruby alla P3, da Ghedi­ni al figlio Pier Silvio, fine al­la prole di La Russa e ai diret­tori del Giornale , Feltri e Sal­lusti, «che hanno dossier e informazioni certe che la Co­stituzione è gay, frocia, omo­sessuale »: un guitto senza freni. E per fortuna non vole­va parlare di gossip ma sol­tanto di politica. In realtà, quanto ai soldi, i curatori avevano proposto alla Rai un budget di 2.816.000 euro per quattro puntate, di cui 2.400.000 per i conduttori. Settecentomila euro a settimana. «Un’invenzione» si scan­dalizzò Saviano ad Annoze­ro e l’ha ripetuto ieri su Re­pubblica . Le prenotazioni pubblicitarie però non sono state all’altezza: 810mila eu­ro. Con una perdita prevista di due milioncini. Il numero di Tv sorrisi e canzoni in edi­cola rivela che soltanto la scenografia di Vieni via con me negli studi milanesi di via Mecenate è costata 500mila euro mentre i micro­foni, telecomandati e di ulti­ma generazione, sono costa­ti 50mila euro ciascuno.

LA CASSAZIONE TIENE A MOLLO FINI

Pubblicato il 3 novembre, 2010 in Costume, Politica | No Comments »

La Cassazione tiene a mol­lo Gianfranco Fini, e dai fonda­li del tribunale di Grosseto fa riemergere l’inchiesta sulle im­mersioni fuorilegge. Per capi­re di cosa si stia parlando oc­corre andare indietro nel tem­po: a domenica scorsa e al 26 agosto del 2008. Tre giorni fa il presidente della Camera, infi­schiandosene del suo ruolo istituzionale, ha criticato la «di­sinvoltura » e il «malcostume» del presidente del Consiglio «nell’uso privato di incarico pubblico». Disinvoltura e mal­costume che, ad avviso dell’uo­mo di Montecarlo e delle rac­comandazioni Rai, hanno «messo l’Italia in una condizio­ne imbarazzante». Niente a che vedere, ovviamente, con l’imbarazzante condizione che nel 2008 portò lui e la sua compagna Elisabetta, scortati dai pompieri, a immergersi nelle acque vietatissime del parco nazionale dell’isola di Giannutri. Incurante dei divie­ti noti anche al più profano de­gli appassionati di diving , il sommozzatore Fini venne bec­cato e fotografato­ come si leg­ge nelle carte dell’inchiesta ­«con altre persone a passare da uno yacht all’imbarcazione dei vigili del fuoco, il tutto in un’area marina iper protetta, la costa dei Grottoni, zona uno, vale a dire un’area inter­detta a qualsiasi attività che non sia di carattere scientifi­co ». La gita in barca immortalata dalle sentinelle di Legambien­te auto­rizzò le associazioni am­bientaliste a parlare sia di «uti­lizzo dei parchi naturali come piscine riservate alle alte cari­che dello Stato» sia di vigili del fuoco distratti dal loro lavoro per consentire a Gianfranco e ad altre persone «di immerger­si nelle acque vietate per fini lu­dici e vacanzieri in mancanza del nulla-osta dell’EntePar­co ».

Beccato in flagranza Fini mandò avanti il portavoce: «Non abbiamo alcuna difficol­tà a commentare una colpevo­le leggerezza non conoscendo esattamente i confini dell’area protetta». Una leggerezza. Non conoscevano. Aggiunse, il portavoce, una cosa ovvia: se c’è da pagare una multa que­sta verrà doverosamente paga­ta. Così è stato.Per l’immersio­ne proibita con scorta di pom­pieri Gianfranco ed Elisabetta sono stati costretti a conciliare 206 euro a testa. Antonio Di Pietro liquidò la figuraccia isti­tuzionale alla sua maniera: «La cosa più grave non è solo quella che (Fini, ndr ) ha fatto immersioni in una zona proibi­ta ma che ci stava con una bar­ca dei vigili del fuoco spenden­do soldi dello Stato per fare il bagnetto lui e l’amichetta sua. Aver impegnato mezzi dello Stato così è penalmente rile­vante o no?». Il 3 settembre 2008 se lo chiedeva il presiden­te del Codacons, Giancarlo Rienzi, che ai vigili del fuoco di Grosseto inoltrava formale ri­chiesta affinché pure lui e la sua barchetta ancorata a Tar­quinia fossero scortate nella medesima area off limits per tutti, tranne che per Fini: «Avendo saputo che il vostro comando è stato a tal punto di­sp­onibile e premuroso da scor­tare il presidente della Came­ra alla zona in questione, sono certo che non vi saranno pro­blemi da parte vostra nel voler accompagnare anche me». Il comandante dei pompieri Francesco Notaro, imbarazza­to, rispose a Rienzi che l’auto­rizzazione ad accedere a Gian­nutri «non rientra nelle nostre competenze» e che al massi­mo lo avrebbe potuto ospitare in centrale per mostrargli «la professionalità del personale sommozzatore e le speciali at­trezzature a disposizione». Che Fini non avesse lo straccio di un permesso lo confermò anche Mario Tozzi, presiden­te del parco nazionale dell’ar­cipelago toscano («nessuno mi ha chiesto il permesso, lì non ci si può nemmeno fare il bagno, figuriamoci immerger­si con le bombole»). Il Coda­cons decise così di interessare la magistratura, ma sia il pm che il gip chiesero l’archivia­zione no­n ritenendo sussisten­te e documentata alcuna fattis­pecie penalmente rilevante. La terza sezione della Cassa­zione, però, il 4 ottobre ha ac­c­olto il ricorso del Codacons ri­conoscendolo «soggetto legit­timato » a sollecitare chiari­menti ed ha riaperto il procedi­mento, accogliendo le rimo­stranze dell’avvocato Giusep­pe Ursini che lamentava come il Codacons non fosse stato sentito dal gip come da proce­dura. Per questo motivo la cor­te di Cassazione ha annullato «senza rinvio il decreto impu­gnato » disponendo «di tra­smettere gli atti al pm per l’ulte­riore corso».