Archivio per la categoria ‘Il territorio’

IL LAVORATORE E IL POLITICO….

Pubblicato il 8 dicembre, 2011 in Il territorio | No Comments »

SENZA PAROLE

DA MONTI UNA PIOGGIA DI TASSE: E’ LA STRADA PIU’ FACILE

Pubblicato il 3 dicembre, 2011 in Economia, Il territorio, Politica | No Comments »

Il governo tecnico ha la mano pesante. E aziona la leva fiscale senza pietà. D’altronde i medici pietosi non hanno mai salvato alcun paziente, e l’Italia è malata grave.

Mario Monti

Mario Monti
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Il morbo che la affligge è il debito pubblico, ormai cronico dopo quarant’anni di pessima amministrazione. Da notare che i politici responsabili d’aver sperperato denaro l’hanno sempre fatta franca. E il conto adesso lo pagano, come sempre in questi casi, i cittadini. Dal premier però ci si aspettava qualcosa di diverso dalle solite stangate.

Anche lui invece – forse per la fretta di affrontare l’emergenza – pare comportarsi alla vecchia maniera: e cioè prelevando sangue dal corpo anemico dei contribuenti onesti, quelli che hanno sempre versato di più. Prendiamone atto. Per commentare la manovra in arrivo usiamo una frase celebre: «Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse; l’abilità consiste nel ridurre le spese» (senza demolire la qualità dei servizi, s’intende). La scrisse all’inizio del 1900 il padre della scienza delle finanze italiana, Maffeo Pantaleoni. Oltre un secolo più tardi, Tommaso Padoa-Schioppa tentò maldestramente di correggere il maestro con la seguente espressione: «Le tasse sono belle ». Talmente belle che gli evasori italiani sono rinomati nel mondo.

Transeat. Aggiungiamo soltanto che il presidente del Consiglio se non altro ha provato a incidere sulla spesa corrente,quella che provoca l’innalzamento del debito, ritoccando il sistema pensionistico (vedremo lunedì prossimo come) e annunciando tagli alla sanità. Poca roba rispetto alle necessità di bilancio, ma è sempre meglio del niente fatto finora dagli esecutivi incapaci di eseguire il loro compito: non vivere al di sopra delle proprie possibilità, preoccuparsi di recuperare le risorse prima di spartirle. Prediche inutili. Per il resto, a giudicare da quanto si è saputo, il professore bocconiano non ha resistito alla tentazione di agire sul piano dell’ovvietà: aumentare i tributi, esattamente il contrario di ciò che suggeriva Pantaleoni, del quale abbiamo ricordato l’insegnamento.

E allora che dire? Per inasprire le aliquote dell’Iva e dell’Irpef (sui redditi stupidamente considerati alti, quando invece sono bassissimi: circa 70mila euro ed oltre), per reintrodurre l’Ici sulla prima casa e aggiungere un’Ici (patrimoniale) sulla seconda e la terza, per rivalutare gli estimi catastali degli immobili (minimo 15 per cento), per tagliuzzare qua e là, parliamoci chiaro, forse non era indispensabile un governo di docenti: come già abbiamo avuto modo di dire, sarebbe potuto bastare un ragionier Rossi, un Andreotti qualunque.

Infatti, il gigantesco apparato burocratico messo in piedi in sessant’anni di Repubblica delle banane, i numerosi enti dannosi che costano e non producono (le Authority per esempio, o i Tar, ma ce ne sono a bizzeffe), le Regioni, le Province eccetera non saranno nemmeno sfiorati dalle cesoie.

In sostanza, con i provvedimenti che Monti si accinge a presentare non andremo da nessuna parte. Nel senso che non sistemeremo i conti pubblici, non aggiusteremo lo spread, non cominceremo neppure l’opera di risanamento sollecitata dalla Ue. La speranza è che il premier abbia qualche altra carta da giocare e che il Parlamento gli spiani la strada anziché, com’è sua abitudine,creargli ostacoli e vanificare i suoi deboli sforzi. Difficile essere ottimisti. Antonio Di Pietro, sulle pensioni, ha già detto a Monti: marameo. Idem la Lega. Vittorio Feltri, Il Giornale, 3 dicembre 2011

MONTI GUADAGNA 72 MILA EURO AL MESE E CHIEDE SACRIFICI A CHI NE GUADAGNA 7.200 ALL’ANNO

Pubblicato il 3 dicembre, 2011 in Il territorio, Politica | No Comments »

VARIANTE AL PIANO REGOLATORE GENERALE DI TORITTO: COSA SI ATTENDE?

Pubblicato il 26 novembre, 2011 in Il territorio | No Comments »

Riceviamo e pubblichiamo una lettera opinione di un nostro visitatore. Eccola.

QUEL PROVVEDIMENTO CHE NON TI ASPETTI

A dire il vero, percorrendo la ex statale 96, dove da anni fanno bella mostra, grandi, scoloriti, tristi cartelloni dei sogni (TORITTO 2, ZONA ARTIGIANALE, ZONA INDUSTRIALE), il dubbio che qualcosa non funzioni, affiora. Per esempio il PRG.

Qualche giorno fa, il Responsabile del settore Urbanistica ha assunto una determinazione che non lascia presagire nulla di buono.

Vediamo di cosa si tratta.

Nel 2002, viene approvato il PRG.

Nel 2004 entra in vigore il Piano di Assetto Idrogeologico che di fatto blocca l’attuazione del PRG (per la verità ancora fermo ai blocchi di partenza).

Trascorrono 3 anni.

Nel 2007, a febbraio, il sindaco annuncia che il PRG non va e va modificato: a novembre dello stesso anno   l’amministrazione affida al responsabile del settore Urbanistica ing. Nicola Crocitto, l’incarico di redigere una variante al PRG che tenesse conto del PAI.

Trascorrono 2 anni.

Nel 2009, l’amministrazione incarica una società di Foggia di offrire supporto all’ing. Crocitto nella redazione di questa variante.

Trascorre un anno. A novembre del 2010 il sindaco convoca una conferenza cittadina e informa che la variante è pronta: a gennaio (2011) sarà adottata dal consiglio comunale, entro l’annno (2011) sarà definitivamente approvata.

Trascorre un altro anno.

In questi giorni la società incaricata di supportare l’ing. Crocitto chiede ed ottiene di recedere dal contratto di consulenza e servizi.

E la variante al PRG?

Ad oggi ancora nulla di concreto, solo “elaborati bozza” che i cittadini non conoscono (e la pianificazione partecipata?!) prodotti, pare, dalla società di Foggia la quale incassa poco più di 20.000 euro  ed inspiegabilmente abbandona l’ing. Crocitto nel momento più delicato.

Sin qui i fatti.

Ci asteniamo da qualsiasi commento sull’operato delle amministrazioni Geronimo che hanno più volte dichiarato pubblicamente che la variante al PRG era lì lì per venire alla luce (dal 2007 sono ormai trascorsi 5 anni).

Non possiamo però non ricordare a noi stessi che il conto di questa inerzia lo stanno pagando: le imprese edili, gli idraulici, i falegnami, i fabbri, gli elettricisti, i tecnici, i commercianti, i proprietari dei suoli edificabili e, di conseguenza, praticamente tutti noi, sfortunati abitanti di questo paese.

….Sin qui la lettera del nostro visitatore. Aggiungiamo di nostro una domanda, anzi due. Cosa si attende? Si attende che qualche “miracolo” sblocchi la gettata di cubature del progetto “Toritto2″ cosicchè definitivamente saranno state vanificate le attese dei proprietari dei suoli che da anni pagano l’ICI senza poter costruire? A proposito, è vero che gli acquirenti dei suoli di Toritto2, di cui si conoscono nomi e cognomi, dal 2008 ancora non sono stati accertati nel ruolo dell’ICI e quindi di fatto l’evadono? g.

LA “CASTA” DELLA POLITICA GRAVA SULLE FAMIGLIE ITALIANE 350 EURO L’ANNO

Pubblicato il 29 ottobre, 2011 in Il territorio | No Comments »

Camera dei deputati

Quanto ci costa la politica? Domanda retorica ma che ora ha una risposta, grazie a uno studio realizzato dalla Confcommercio.

Alle famiglie italiane, rivela l’organismo, la politica costa 350 euro all’anno. Un piccolo gruzzolo, che moltiplicato per le famiglie italiane, fa qualcosa come 9 miliardi e 350 euro, 150 a persona. Basterebbe tagliare di un terzo questo comparto, spiega Confcommercio, per ottenere alcuni vantaggi, come quello di abbassare di 0,8 punti percentuali l’aliquota Irpef.

Lo studio non si limita peraltro a segnalare l’opportunità di una riduzione delle spese per la politica, ma segnala anche dove si potrebbe intervenire con più facilità. “Si potrebbe partire dai costi della rappresentanza politica“, e quindi dai soldi che ogni cittadino spende per eleggere i suo rappresentanti e far funzionare gli organismi legislativi, sia nazionali che decentrati. Eliminare poi di poco più di un terzo il numero dei parlamentari si riuscirebbe ad avere un risparmio quantificabile in 3,3 miliardi l’anno. Una cifra che, da sola, permetterebbe appunto di ridurre di 8 decimi di punto l’aliquota Irpef per oltre 30 milioni di contribuenti o, altra ipotesi formulata da Confcommercio, di destinare 2.900 euro all’anno alle famiglie in condizione di povertà assoluta. 29 NOVEMBRE 2011

QUELLI CHE DISSERO DI NO…IL NUOVO LIBRO DI ARRIGO PETACCO

Pubblicato il 27 settembre, 2011 in Cultura, Il territorio, Storia | No Comments »

Quelli che dissero di no. 8 settembre 1943: la scelta degli italiani nei campi di prigionia inglesi e anericani.

Il più famoso è il Duca D’Aosta, l’eroe dell’Amba Alagi, al quale gli inglesi, dopo la strenua resistenza,  resero gli onori delle armi prima di deportarlo in India in un campo di prigionieri di guerra non cooperatori. Ad un generale suo sottoposto che gli proponeva di allearsi con gli inglesi, il Duca rispose: “dovrebbero arrestarci entrambi, lei che ha parlato ed io che l’ho ascoltata”. Il Duca non rientrò mai in Italia, morì di malaria in prigionia, in quel campo di non cooperatori, uno dei tanti allestiti da inglesi e americani,  dove tantissimi soldati italiani, dopo l’8 settembre, rimasero prigionieri, taluni per molti anni, prima di rientrare in Patria, senza aver accettato di cooperare con i vincitori. A narrarre la loro storia, a ricordarne i nomi, da Alberto Burri a Giuseppe Berto, a Gaetano Tumiati,   da Walter Chiari e Raimondo Vianello,  entrambi arruolatisi nella RSI, ignorati dalla pubblicistica della Resistenza  e liquidati come fascisti irrecuperabili,  è il libro di Arrigo Petacco, da oggi in libreria, dal titolo emblematico: Quelli che dissero di no. 8 settembre 1943: la scelta degli italiani nei campi di prigionia inglesi e americani, edito da Mondadori, 19 euro. “E’ un libro che fa male ai sentimenti questo di Petacco, ha scritto nel recensirlo Pietrangelo Buttafuoco. E’ documentato, e ogni pagina diventa sceneggiatura di un film, di un documentario, di un tornare dentro le profondità del nostro essere italiani e cavarsene fuori col terrore di non essere  oggi all’altezza di quella dignità e di quel coraggio o di quella spavalderia. Come fuggirsene dal campo di prigionia in Kenya per scalare il monte omonimo solo per piantare in cima il tricolore e magari finire in una tavola di Achille Beltrami sulla Domenica del Corriere”. E aggiunge Buttafuco ” non c’è il ritratto autoassolutorio degli italiani brava gente in Quelli che dissero di no. C’è al contrario, il racconto degli “italiani di carattere”, quelli della strada impervia, straordinari a dimostrare quanto fosse vera la parola d’ordine del credere, obbedire combattere,  rispetto alla disfatta fin troppo facile della stragrande maggioranza dei voltagabbana, tanti al punto di raccapricciare lo stesso nemico che, per la prima volta nella storia, s’impegna a rieducare il prigioniero, a trasformarlo in un cobelligerante. Tutto ciò mentre pochi uomini sdegnosamente rifiutavano l’elemosina di trasformarsi da vinti in vincitori. Ci sono pagine commoventi in questo libro così estraneo all’albertosordismo fino a diventare contravveleno alla vulgata ufficiale sull’esercito sconfitto”.  E, conclude Buttafuoco, “c’è ovviamente la storia mai conosciuta  in questo libro vivo come un racconto fatto a voce.” La storia, vogliamo sottolinearlo,  di uomini, noti e meno noti, che nei  campi della prigionia, furono protagonisti di testimonianze di ordinaria normalità, tanto ordinaria da sfiorare l’eroismo, come il colonnello Paolo Sabbatini, medaglia d’oro al valore militare, prigioniero in un “fascist kriminal camp” detenuto alle pendici dell’Himalaia in India,  non collaborazionista, che come tutti gli altri prigionieri  bruciava le lettere che gli arrivavano da casa per non  farsi prendere dalla nostalgia.  così resistere alla richiesta di farsi traditore, o come Beppe Niccolai, futuro fondatore del MSI e il tenente Giovanni Dello Jacovo, futuro deputato del PCI, entrambi, nello stesso campo,  non collaboratori, che si meritarono dagli stessi carcerieri  una medaglia di riconoscimento:” You are true soldiers”.  E’ un libro,  però, avverte   Buttafuco, “di straordinaria attualità in queste giornate in cui tutti attendono un nuovo Dino Grandi e ci aiuta a non poco a scandagliare la psicologia di noi italiani, sempre in bilico tra fedeltà e mugnugno, nell’eterno contrappasso”.  Un libro da leggere e da meditare. g.

……………Anche  molti soldati torittesi furono prigionieri non cooperatori, alcuni in India, altri in America.  Fra questi,  una  indimenticata figura  della politica locale, Francesco Giannini, don Ciccio per tutti, icona storica della Destra torittese. Catturato in Africa,  fu prigioniero in un “fascist kriminal camp” in India, non cooperatore e non collaborazionista, e ricordava  sempre con orgoglio questa sua scelta, sebbene gli fosse costata il rientro in Patria con molto ritardo, nel 1949. Gli fummo molti vicini e ora ci piace ricordarLo in occasione della recensione del libro di Petacco dedicato ai  soldati italiani prigionieri non cooperatori.g.

LICENZIARE I PADRETERNI……..E ANCHE I VANESI….

Pubblicato il 21 settembre, 2011 in Il territorio | No Comments »

La copertina del pamphlet di Rizzo e Stella: Licenziare i padreterni, l'Italia tradita dalla Casta, Rizzoli editore, 9 euro.

Licenziare i padreterni” è il titolo dell’ultima  denuncia “politico-letteraria” di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, i due giornalisti del Corriere della Sera, autori di altri bestseller sui costi della politica: La Casta. Così i politici politici italiani sono diventali intoccabili (2007), La Deriva. Perchè l’Italia rischia il naufragio (2008), Vandali. L’assalto alle bellezze d’Italia (2001). Sono anche autori di  tanti scoop giornalistici, come quello sulle Comunità Montane a livello del mare e di inchieste sugli scandali italiani degli ultimi 30 anni. Quest’ultimo pamphlet, appena arrivato nelle librerie è aggiornato all’agosto 2011 e certifica sino all’ultimo centesimo gli sprechi della politica, dai costi degli organi dello stato ai vitalizi d’oro della casta,  e i mancati tagli ai costi della stessa,  nonostante le tante promesse e i tanti impegni, solennemente assunti e puntualmente disattesi. Non a caso il  breve ma assai istruttivo pamphlet di Rizzo e Stella ha come sottotitolo “l’Italia tradita dalla Casta” ed è dedicato, provocatoriamente, “a tutti coloro che confondono i privilegi con la democrazia”. Il libro, edito come gli altri  di Rizzo e Stella, dalla Rizzoli, costa 9 euro e si legge tutto d’un fiato, sino all’ultimo rigo, anzi sino al’ultima pagina, un esilarante  “postscriptum”, troppo bello per non anticiparlo qui per gli amanti del genere . Eccolo.

Post-Scriptum. Telefonata:”Buongiorno, è la presidenza della Provincia di Bari. Stiamo organizzando un convegno sui costi della politica e il presidente Francesco Schittulli vorrebbe chiederle di partecipare. Glielo posso passare?”  “Prego” Drin…Drin…Drin….”Pronto, buongiorno, sono il presidente. Scusi un attimo che esco dalla sala operatoria così parliamo meglio. Eccomi. Scusi, sa, stavo per cominciare un intervento…..”. P.S…..Non  si era detto che le Provincie sono così indispensabili che chi le amministra non ha il tempo di respirare?”

Sin qui l’ironia di Stella e Rizzo che colgono nella perfomance telefonica di Schittuli una palese  contraddizione: fa chiamare dalla Presidenza della Provincia ma sta in sala operatoria. Delle due l’una, o ha detto una bugia chi ha chiamato,  oppure Schittulli sì è portato in sala operatoria la segretaria…. Chissà, poi, cosa direbbero Rizzo e Stella se sapessero che Schittulli,  che ha fatto suo, solo a parole,  il motto mussolinano “largo , pardon, lavoro, ai giovani” ha  affidato l’incarico di  suo portavoce pagato 70 mila euro l’anno ad un signore ultrasessantenne, pensionato d’oro dello Stato, preferendolo ad un dipendente della Provincia, oppure ad un giovane disoccupato. Un caso da inserire in un prossimo libro sulle furbizie della “casta” alla pugliese. g.


LA MISISONE IMPOSSIBILE DI BERLUSCONI IN TRINCEA, di Giuliano Ferrara

Pubblicato il 18 settembre, 2011 in Il territorio | No Comments »

Berlusconi incastrato: non ha commesso reati ma un errore politico. Si scusi per ripartire, ma resista e contrattacchi

Tecnicamente Berlusconi è incastrato. Quel che emerge dalle intercettazioni non è reato, non è un crimine, ma è peggio: è un devastante errore politi­co. Un uomo di Stato non deve parlare con un telefonino pe­ruviano, non deve maneggiare i liquidi in quantità sconsi­derate, non deve trovarsi in mezzo a piccole intermediazio­ni con aziende pubbliche, non deve imbarcare una compa­­gnia di giro rutilante sugli aerei di Stato, non deve fare in pri­ma persona quel che l’amicizia il diletto o l’imbarazzante condizione di sorvegliato speciale gli suggerisce, e per giun­ta n­on deve a nessun costo essere esposto in questi compor­tamenti davanti a tutti. Incastrato. È la parola giusta, di veri­tà, che chi ama Berlusconi e lo sostiene con consapevolez­za politica, e perfino amicizia personale, non deve nascon­dere. Né a sé stesso né ai lettori né a lui.

Dunque se ne deve andare? Subito? Difendersi da privato cittadino o da depu­tato? Deve farlo nell’interesse del­la maggioranza che lo ha eletto e poi lo ha sostenuto in Parlamen­to, nell’interesse del suo partito e del suo Paese, soprattutto del suo Paese? La mia risposta è «no», non deve. C’è qualcosa di importante e dignitoso che gli resta da fare. De­ve andare dai magistrati e dir loro la verità, che non è una verità cri­minale. Si è divertito in modo im­­prudente, ma si è solo divertito. E quando una ragazza ha insistito un po’ troppo, le ha detto che «a tempo perso» faceva il primo mini­stro. Ridendo, con l’autoironia che è sua, con la percezione da mo­nello del fatto che la faccenda sta­va diventando un po’ imbarazzan­te, perché poi lui, sì, se la godeva co­me desiderava e voleva, il che è in­sindacabile, ma aveva molte altre cose da fare, e le faceva.

Berlusconi deve scuse formali, non per il gusto delle belle donne («che sono care», come diceva nel documentario Silvio forever! con bella e simpatica improntitudine italiana, condivisa dal resto della vecchia nazione maschia), non per quello, ma per la situazione in cui si è cacciato, aiutato dalla sua folle giocosità, da una punta di in­nocentemanonimpeccabilesciat­teria, dalla solita corte che i grandi si portano sempre appresso. Le co­se specifiche per cui deve scusarsi le ho elencate all’inizio di questo ar­ticolo, che non avrei mai voluto scrivere (come chi legge immagina da sé). Le scuse ci vogliono, l’inter­rogatorio va reso, e non a Palazzo Chigi ma a Napoli. Con o senza av­vocati. Berlusconi non è un gang­ster, non deve nascondersi dietro il collegio dei bravi avvocati che fan­no di tutto per preservarlo di fronte all’accanimento che lo colpisce: è stato per quasi due decenni il capo degli italiani, di un’Italia diversa da quella che c’era sempre stata, un dandy colpito dall’invidia purita­na ma anche un uomo di idee e di fatti incancellabili, ha meriti e re­sponsabilità storiche, pubbliche, che non può nascondere sotto la sabbia della mera difesa della vita privata. Deve essere umano come lo è sempre stato. Sa di avere sba­gliato, deve scusarsi.

Poi, il contrattacco. Gli italiani sa­ranno anche cinici ma non sono stupidi. Sanno che la vita privata è grigioscura. Sanno che se Agnelli, Carli, Colombo e molti altri emi­nenti protagonisti della nostra sto­ria, come è avvenuto per Martin Lu­ther King e per John Kennedy, fos­sero stati sottoposti allo screening barbarico, oltre che grottesco, toc­cato a Berlusconi, nessuno sareb­b­e sopravvissuto per la monumen­talizzazione in memoriam. Sanno che nel modo in cui è trattato Berlu­sconi, da un pugno di magistrati e dai mass media, c’è qualcosa di atroce, di losco, di civilmente irre­sponsabile, di antinazionale, di sommamente ingiusto. Un grande imprenditore e impresario corag­gioso, pieno di idee e di fuoco nella pancia, ha conquistato la guida del­­lo Stato, ed è questo il peccato origi­nale che l’Italia parruccona non gli ha mai perdonato. E in questo la maggioranza degli italiani sente di essere stata manipolata e inganna­ta.

L’ultimo inganno sarebbe darla vinta ai suoi avversari e nemici.C’è una soluzione sana, seria, politica­mente credibile e responsabile per interrompere la legislatura o for­mare un nuovo governo che sap­pia fare alcune cose recenti fatte dall’armata Berlusconi, come la nomina di Draghi a Francoforte, quella di Saccomanni alla Banca d’Italia, una manovra di argine fi­nanziario al disastro internaziona­le della «comunità di debito» chia­mata Europa (banche tedesche comprese)? C’è gente in grado di af­fro­ntare con forza questioni dram­matiche e urgenti come il mercato del lavoro, i livelli abnormi di spesa pubblica improduttiva, il bisogno di misure per la crescita economi­ca capaci di scardinare assetti cor­porativi e sindacali arcaici? Non c’è.

Eliminato Berlusconi personal­mente, posto che Berlusconi accet­ti di andarsene senza un’ordalia elettorale che oggi nessuno vuole, le soluzioni possibili, interne alla maggioranza o di unità nazionale, non danno alcuna garanzia di riu­scita, di significato. Eppoi, questo è il punto decisivo, l’Italia non deve festeggiare la liberazione da Berl­u­sconi e dal berlusconismo in nome di disvalori belluini come quelli che hanno portato a centinaia di migliaia di intercettazioni usate co­me arma impropria di lotta politi­ca, alla esibizione di un tredicenne nel ruolo di Torquemada in uno sta­dio di Milano, e alla trasformazio­ne di peccati personali in reati pub­blici, la via più sicura verso l’ingiu­s­tizia e l’asservimento a una mora­le insincera, più fatua e dannosa di qualsiasi telefonata tra il premier e Tarantini.

Fatte le sue scuse, ammessi i suoi errori, umano e vero, Berlusconi deve resistere e contrattaccare.

È una missione quasi impossibile, l’unica degna. GIULIANO FERRARA.

.……..Dobbiamo ammetterlo, Ferrara ha ragione. Con tutti gli erorri che gli possiamo imputare, non possiamo non riconoscere a Berlusconi i suoi   meriti politici e storici:  nel 1994 salvò l’Italia dalla infernale  macchina da guerra del PCI di Occhetto che avrebbe stritolato  e nel 2008 realizzò il grande sogno dell’Italia moderata e anticomunista, cioè la nascita di un unico grande partito del centro destra. Fra questi due avvenimenti si inseriscono quelli che Ferrara chiama un pò eufemisticamente  “errori” per i quali egli deve chiedere scusa agli italiani, ai milioni di elettori, tra cui tantissimi giovani, e tante, tante ragazze che mai si sognerebbero di infilarsi nel letto di un settantantenne per ottenere soldi e favori. Non è facile, non sarà facile, accettare le scuse e fare finta di niente, sopratutto da parte di chi considera l’etica pubblica un bene incommensurabile, pure dobbiamo riconoscere che Ferrara ha ragione. Berlusconi riconosca che i suoi comportamenti privati, ancorchè penalmente irrilevanti, non sono stati consoni alla sua storia e sopratutto al suo ruolo e riconosca di aver  offeso la dignità e la fede e i valori di milioni di elettori che dal 1994 gli hanno dato fiducia e credito….poi……. poi  riprenda il suo ruolo e compia l’ultimo grande gesto d’amore per l’Italia anticomunista: favorisca il passaggio indolore  del testimone,  da se stesso, leader unico e indiscusso,  ad una classse dirigente che  dopo di lui non si dilani, impedendo che il PDL faccia la fine della Dc che si infranse in mille pezzi come purtroppo aveva vaticinato, inascoltato, Aldo Moro. Solo così  Berlusconi potrà sperare e noi con lui che la Storia non lo ricordi per le squallide storie raccontate da un parvenu come Tarantini e lo ricordi invece per i suoi meriti verso l’Italia. g

LETTERA AL “FOGLIO” DI SILVIO BERLUSCONI

Pubblicato il 17 settembre, 2011 in Il territorio, Politica | No Comments »

Caro direttore,
è vero, come Lei scrive, che il mio comportamento, così come descritto dai giornali in questi giorni, appare scandaloso. Ma il mio comportamento non è stato assolutamente quello che viene descritto ed io Le confermo, come ho già avuto modo di dirLe, che non ho fatto mai nulla di cui io debba vergognarmi. E’ invece, per fare un esempio, del tutto inaccettabile e addirittura criminale che persone che sono solo state presenti a mie cene con numerosi invitati siano marchiate a vita come “escort”. Mi dispiace anche, per fare un altro esempio, dei falsi pettegolezzi che sono stati creati grazie ai soliti brogliacci telefonici sulla signora Arcuri, che è stata invece mia ospite inappuntabile in Sardegna e a Palazzo Grazioli.

Non ho affatto intenzione di respingere una richiesta di testimonianza, che è mio interesse rendere, tanto che ho già inviato una dichiarazione scritta ma che ha, così come congegnata, l’aria di un trappolone politico-mediatico-giudiziario. Pretendo però come ogni cittadino che i magistrati rispettino anche loro la legge. Da tre anni sono sottoposto a un regime di piena e incontrollata sorveglianza il cui evidente scopo è quello di costruirmi addosso l’immagine di ciò che non sono, con deformazioni grottesche delle mie amicizie e del mio modo di vivere il mio privato, che può piacere o non piacere, ma che è personale, riservato e incensurabile. Il problema però è che da tre anni è in atto un mascalzonesco tentativo di trasformare la mia vita privata in un reato.  Ed è questo uno scandalo intollerabile da parte di un circuito mediatico e giudiziario completamente impazzito di cui nessuno sembra preoccuparsi e di cui nessuno si scusa.

Questo incommensurabile scandalo non riguarda solo me. Decine, centinaia di persone sono esposte al ludibrio e al linciaggio, senza alcuna remora sia quando si tratti di gente comune o di personalità della vita pubblica e di questioni di bottega domestica sia perfino quando si tratti di vicende che determinano lo status del Paese sulla scena internazionale. Non è mai successo prima.

Nessun uomo di Stato è stato fatto oggetto di una aggressione politica, mediatica, giudiziaria, fisica, patrimoniale e di immagine come quella a cui sono stato sottoposto io. È un trattamento inaccettabile, che si accompagna a una campagna di delegittimazione che punta a scardinare il funzionamento regolare delle istituzioni per interessi fin troppo chiari. La campagna si è intensificata quando ho vinto le elezioni per la terza volta, quando il sistema è stato semplificato e reso più trasparente in senso bipolare, quando si è capito che era alle porte una legislatura aperta alle riforme necessarie alla crescita di questo Paese e alla sua modernizzazione. Missione difficile per la quale ho cercato di mettere in campo gente nuova, estranea ai vecchi giochi dell’establishment, gente giovane e votata al “fare”. Questa campagna non è mai finita, si è nutrita di attacchi a me, al mio partito, ai miei uomini, ai miei ministri, alla generazione di giovani che ho promosso in politica, e si è sparso su tutti il magma eruttivo dello scandalismo per ridurre in cenere una alta popolarità e una grande speranza. Sfruttando ogni aspetto della mia vita privata e della mia personalità, cercando di colpirmi definitivamente con mezzi diversi da quelli della critica politica e della verifica elettorale.

Lei dice bene: Berlusconi è uno scandalo permanente, perché è scandalosa la pretesa di governare stabilmente un Paese con il mandato degli italiani, è scandaloso che un imprenditore rubi il mestiere a una classe politica fallimentare, è scandalosa la pretesa di fronteggiare la grande crisi mondiale con mezzi e con propositi diversi da quelli tradizionali. Ho presentato il mio governo alle Camere nel 2008 chiedendo uno sforzo comune per la crescita e proponendo una fase nuova e pacificata nella vita nazionale dopo le drammatiche divisioni del passato e l’imbarbarimento del linguaggio e dei metodi politici. Ho cercato di fare il mio dovere e di riunificare il Paese, come con il discorso di Onna il 25 aprile. Ho ammonito tutti, nel gennaio di quest’anno, sulla necessità di arrivare alla primavera-estate, mentre nuove regole e parametri incombevano sul sistema finanziario europeo e mondiale, con la più grande frustata della storia al cavallo dell’economia.

Non tutto quello che in politica si vuole è poi possibile ottenerlo, e non nego anche miei possibili errori. Ma l’obiettivo di distruggere un uomo politico e una leadership, usando mezzi impropri e di dubbia legalità, come ha fatto e fa il circuito mediatico-giudiziario, costituisce un tentativo che sa di profonda, radicale ingiustizia e che va combattuto per la libertà di ciascuno di noi.

Io non mollo, caro direttore. Per quanto lo spionaggio sistematico e l’accanimento fazioso mi abbiano preso di mira, e con me vogliano arrivare a pregiudicare l’autonomia e la sovranità del Parlamento e del popolo elettore, c’è ancora in questo Paese, in questa Italia che amo e che è stata divisa da una partigianeria senza principi, un’opinione pubblica, un insieme di persone e di gruppi leali allo spirito repubblicano, una maggioranza di italiani che non sono disponibili ad avventure e a nuovi ribaltoni decisi nei salotti, nelle redazioni e in certi ambienti giudiziari.

Il mio appello è a tutte le persone e le forze responsabili, e non deriva da interesse personale. È un appello in nome dei valori di libertà, di autonomia e di indipendenza dell’individuo di fronte allo Stato, un monito che viene raccolto ogni giorno da molti e il cui frutto sarà pronto per il giudizio dei cittadini quando si terranno, nel 2013, le prossime elezioni politiche.

Alcuni circoli mediatico-finanziari anglofoni mi hanno giudicato inadatto a governare l’Italia ma gli italiani sono stati di diverso parere, e ho dalla mia, dal tempo in cui entrai in politica, risultati che saranno scritti nei libri di storia. Saranno ancora una volta gli italiani, e poi gli storici, a dare il loro giudizio su un Paese in cui si fanno centomila e poi altre centomila intercettazioni ancora per devastare attraverso i media il lavoro quotidiano di chi ha avuto l’investitura democratica per guidare l’Italia in questi anni difficili.  Silvio Berlusconi

PRIGIONE E LIBERTA’, di Davide Giacalone

Pubblicato il 15 settembre, 2011 in Giustizia, Il territorio | No Comments »

Marco Milanese Se il parlamentare Marco Milanese deve restare libero perché il parlamentare Alfonso Papa è carcerato? E se Papa si trova in galera, perché il parlamentare Alberto Tedesco siede al suo posto in Senato? Il tentativo di mascherarsi dietro la “libertà di coscienza” è ridicolo. Le forze politiche che vi ricorrono mostrano di mancare di responsabilità, oltre che di vergogna. I singoli parlamentari che se ne fanno scudo dovrebbero ricordare che una coscienza si dovrebbe averla, per volerla libera. Quando fu concesso l’arresto di Papa, con il determinante voto leghista e l’entusiasmo della sinistra, descrissi la scena come orrida. Non intendevo certo difendere Papa. Lui, come Milanese e Tedesco, mi paiono politicamente indifendibili. Una responsabilità per chi li ha candidati. Ma in gioco era ed è l’istituzione Parlamento, sicché l’arresto di un suo componente può essere concesso solo davanti a fatti gravissimi e conclamati. L’autorizzazione parlamentare non è una specie di primo processo, non concederla non significa considerare innocente il soggetto, ma un istituto a difesa dell’autonomia e sicurezza del Parlamento. Votandosi sulla sorte di una persona è chiaro che il voto è segreto, ma deve essere pubblica la motivazione, deve essere noto il ragionamento svolto da ciascuna forza politica, altrimenti si scade nella complicità e nel killeraggio. Su che votano, i colleghi parlamentari? Su casa sarebbero libere, le loro coscienze? Rispondono: sull’esistenza o meno del fumus persecutionis. Vale a dire sull’ipotesi che ci sia in atto un disegno persecutorio, da parte della procura. E Milanese sarebbe un perseguitato, mentre Papa no? Sarebbe un perseguitato Tedesco, che i suoi compagni di sinistra non ebbero il coraggio di difendere e che, con immensa ipocrisia e falsità, chiese lui stesso d’essere arrestato? Non scherziamo. La verità è che su Papa la sinistra mostrò d’essere forcaiola con gli avversari e garantista con sé stessa (cosa che capita anche ai parlamentari e alla pubblicistica di destra, perché se c’è una cosa poco diffusa, dalle nostre parti, è la cultura del diritto), e la Lega si prese una bella vacanza giustizialista, in modo da tornare nelle piazze e nei bar di casa e cercare di riprendere il posto e il tono di un tempo. Peccato che quella vacanza, ora, produce l’impossibilità di spiegare perché un altro parlamentare, per giunta amico di un loro amico (Giulio Tremonti), debba essere salvato. Il prossimo 22 settembre ci sarà il voto in Aula. Correggano il tiro e provino a dire qualche cosa di decente: no, non concediamo l’arresto di Milanese perché non si sottrae un membro al Parlamento senza che vi sia alcuna reale esigenza cautelare e senza che ricorra neanche uno dei motivi per cui un cittadino può essere privato della libertà, ma aggiungiamo anche che la custodia cautelare non deve mai essere uno strumento d’indagine, vale a dire di ricatto, e che il nostro voto a difesa di Milanese prelude ad una seria riforma, che la finisca con la sistematica violazione dell’articolo 275 del codice di procedura penale, talché nelle carceri italiane soggiornano troppi cittadini che la Costituzione c’impone di considerare innocenti. Un gesto tardivo, che giungerebbe nella fase terminale di una legislatura ulteriormente fallimentare nell’assicurare giustizia agli italiani, ma pur sempre il segno che, almeno, si è in grado di capire qual è la posta in gioco. Non lo faranno, sicché saranno libere le loro coscienze, ma anche il nostro giudizio. Pessimo. Il Giornale, 15 settembre 2011

.………….Come non essere d’accordo con quanto scrive Giacalone che sull’argomento è tornato più volte? Come non rimanere stupefatti dinanzi a decisioni che vengono prese volta a volta senza che nessuno nel Parlamento  abbia titolo per condannare chicchessia al carcere senza processo? Anche a noi dell’on. Papa poco ci importa, ma siamo d’accordo con Giacalone quando afferma che la questione è di principio e, peraltro, in sintonia con i Padri Costituenti che vollero garantire ai deputati una sorta di difesa dalla possibile ingerenza della Magistratura e che se vengono invocati come Santi un giorno si e l’altro pure per la Carta Costituzionale che si vorrebbe “intoccabile” non si capisce perchè solo per l’art. 68 della Costituzione avrebbero sbagliato. E lo stupore  è rinvigorito dalla notizia che un gip milanese, il cui nome da oggi diventerà un altro totem per la difesa della “legalità repubblicana”, ha chiesto il rinvio a giudizio di Berlusconi per il reato di “concorso nella rivelazione di segreto d’ufficio”. Nulla di nuovo sotto il sole si dirà, visto che questo processo, se rinvio ci sarà,  non farà altro che allungare il numero dei processi a carico di Berlusconi. Ma questo ha una particolarità, anzi due. La prima è che il pm titolare dell’inchiesta aveva chiesto l’archiviazione non avendo riscontrato alcun reato nel fatto che Berlusconi avesse ascoltato il nastro della intercettazione dell’ex n. 1 della Unipol, Consorte, nel corso della quale Consorte informa Fassino della scalata dell’Unipol al sistema bancario italiano. Nonostante ciò, il gip non ha accolto la richiesta e ha ordinato al pm il rinvio coatto a giudizio di Berlusconi perchè “è storicamente provato che avesse sentito il nastro della conversazione che glie era stato regalato”. La seconda particolarità è costituita, oltre che dal fatto che diviene reato l’aver ricevuto  in regalo la registrazione di una intercettazione telefonica,  dalla rivelazione  in se di una intercettazione telefonica che tra l’altro non è direttamente imputabile a Berlusconi,  in un Paese nel quale le intercettazioni telefoniche, benchè coperte da segreto istruttorio, vengono divulgate a vagonate su tutti i giornali senza che a nessuno degli autori venga mai contestato alcunchè. Da ultimo le rivelazioni dell’Espresso sul caso Lavitola-Tarantini. E questo basta a dimsotrare che ha ragione Giacalone quando afferma che la riforma della Giustizia è atto doveroso e necessario, per assicurare agli italiani non solo i doveri ma anche i diritti. Come deve essere in tutti gli stati a ordinamento democratico. g