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Soprattutto è da sperimentare la troika economica, un po’ troppo assortita, con un’esponente di Confindustria allo Sviluppo e uno delle Coop al Lavoro, dove dovrebbe nascere la riforma chiave per aprire il cuore dei burocrati di Bruxelles. Ed è una vera e propria scommessa la scelta di cambiare nel pieno della crisi dei marò il ministro degli Esteri, sostituendo una delle italiane più note nel mondo, Emma Bonino, con una delle migliori giovani del Parlamento, Federica Mogherini, che dovrà ora imparare un mestiere nuovo e complicato.
10 FEBBRAIO: GIORNO DEL RICORDO DELLE VITTIME DELLE FOIBE
Pubblicato il 8 febbraio, 2014 in Il territorio | No Comments »
Con questo manifesto le Associazioni Dalmate, Giuliane e Istriane degli esuli di quelle terre italianissime commemorano nel Giorno del Ricordo a Loro dedicato, gli uomini, le donne, i ragazzi, gli italiani di ogni tendenza politica, trucidati dai partigiani comunisti di Tito, in una brutale pulizia etnica alla fine della seconda guerra mondiale, scomparsi, talvolta anora vivi, nelle foibe carsiche tra Trieste e Fiume. Per 50 anni e oltre, il loro martirio insieme ai loro nomi, sono rimasti ignorati dalla storia ufficiale che voleva i partigiani, compresi quelli titini, identificati nel rulo di buoni e di liberatori. La tenacia e l’orgoglio degli esuli di mquelle terre sono stati capaci di vincere l’oblio e finalmente le atrocità titine e di tanti pseudo “liberatori” sono venute alla luce e il Parlamento italiano, infine, ha dovuto restituire dignità e onore alle vittime delle foibe titine, istituendo la Giornata del Ricordo in Loro memoria e in Loro onore.
ITALICUM 2.0: LA NUOVA PORCATA ELETTORALE A FIRMA CONGIUNTA
Pubblicato il 29 gennaio, 2014 in Il territorio, Politica | No Comments »
ROMA – Soglia più alta per ottenere il premio di maggioranza, sbarramento meno severo per i piccoli partiti che entrano in coalizione. E’ l’Italicum “2.0″, la versione aggiornata della legge elettorale.
- PREMIO MAGGIORANZA. La nuova legge, come il Porcellum, è un sistema proporzionale con un premio di governabilità che assicura la maggioranza assoluta al partito o alla coalizione vincente. Ma diversamente dalla vecchia legge, per ottenere il premio bisognerà aver superato una soglia minima: il 37% dei voti (nella prima versione dell’Italicum bastava il 35%). Il premio di maggioranza è fissato al 15% dei seggi (non più al 18%). Ma c’è un limite: il “bonus” concesso ai vincitori non potrà far superare il tetto dei 340 seggi, pari al 55%.
- DOPPIO TURNO. Che succede se nessuno supera la soglia del 37%? I primi due partiti o coalizioni di partiti si sfidano in un doppio turno per l’assegnazione del premio. Il vincitore ottiene 327 seggi, i restanti 290 vanno agli altri partiti (restano fuori dal conteggio i deputati eletti all’estero).
- SBARRAMENTI. L’ingresso in Parlamento viene precluso a chi non supera un minimo di voti. Per i partiti che si presentano al di fuori delle coalizioni (come ha fatto il M5s nelle ultime elezioni), c’è una soglia molto alta, l’otto per cento. Per i partiti che si presentano nell’ambito di un’alleanza con altre forze politiche, la nuova versione dell’Italicum abbassa ulteriormente lo sbarramento portandolo dal 5 al 4,5%. Anche le coalizioni dovranno superare una soglia minima di consensi: la percentuale stabilita è del 12%. Per i rappresentanti delle minoranze linguistiche sono previsti meccanismi che garantiscono la loro rappresentanza.
- SALVA-LEGA. La tagliola degli sbarramenti viene alleggerita per i partiti a forte vocazione regionale, come la Lega Nord. Chi si presenta in non più di sette regioni non deve raggiungere le percentuali previste per i partiti nazionali: per entrare in parlamento basterà aver ottenuto il nove per cento in tre circoscrizioni.
- CANDIDATI. Gli elettori non potranno mettere il voto di preferenza. Ogni partito presenta una lista con tanti candidati quanti sono quelli da eleggere nel collegio (si va da un minimo di tre a un massimo di sei). I seggi vengono assegnati seguendo l’ordine delle liste: ad esempio, se un partito ottiene tre seggi vengono eletti i primi tre candidati della lista.
- PARITA’ UOMO-DONNA. Le liste dei candidati dovranno garantire la presenza paritaria di uomini e donne: 50% e 50%, ma senza alternanza obbligatoria (che avrebbe portato in Parlamento una “valanga rosa”). Le liste potranno avere anche due uomini uno di seguito all’altro, ma non di più.
- CANDIDATURE IN PIU’ COLLEGI: La prima versione vietava ai candidati di presentarsi in più di un collegio, la nuova concede questa possibilità. Si discute ancora se ci si potrà candidare in 3 o in 5 collegi.
- IL NODO DEI COLLEGI. L’Italicum prevede una delega al governo per il ridisegno dei collegi elettorali in cui sarà divisa l’Italia: l’esecutivo dovrà farlo in 45 giorni, un periodo di tempo che rende possibili eventuali elezioni anticipate prima dell’estate.
- NO PRIMARIE. Nulla dice il nuovo Italicum sulle primarie per la scelta dei candidati da mettere in lista. Se farle o no, e con quali regole, resterà una scelta autonoma dei singoli partiti.
- IL SENATO. ALla base dell’accordo tra Renzi e Berlusconi c’è l’idea di abolire il Senato. Ma se il progetto dovesse fallire? L’Italicum prevede una clausola che rende applicabile il nuovo sistema anche per l’elezione del Senato: percentuali, soglie e premio di maggioranza sono le stesse della Camera e vengono assegnati su base nazionale, con riparto regionale. Fonte ANSA, 29 gennaio 2014.
….Sin qui le notizie sull’accordo raggiunto da due soli partiti sullo schema della nuova legge elettorale che elude totalmente le indicazioni della Consulta in materia di soglia e di liste bloccate. Benchè la Corte sia stata più che chiara i due partiti maggiori hanno concordato una soglia minima di accesso al premio di maggioranza del 37% che consente ad un partito o a una coalizione di aggiudicarsi con poco più di un terzo degli elettori il 55% dei seggi a cui accederanno i soliti nominati perchè alla faccia del tanto declamato “cittadini al centro delle decisioni” in verità gli elettori dovranno mettere la croce solo sulla lista e poi i nomi saranno quelli scelti dalle oligarghie di partito. Non solo. C’è la beffa per i partiti minori i quali in nome del “mai più ricatti dai piccoli partiti” saranno esclusi di fatto dall’ingresso in Parlamento. Infatti viste le soglie minime di accesso che sono fissate per i partiti in coalizione al 4,5%, basta fare un pò di conti: se il partito egemone di una coalizione ottiene diciamo il 21%, per raggiungere il 37% deve aggiungere il 16% riveniente da 4 partiti che hanno raggiunto ciascuno il 4%, nessun parlamentare viene assegnato ai 4 partti “minori” e tutti vanno al partito egemone. E dove li troveranno i partiti egemoni i partiti minori disposti a dare sangue senza riceve nulla? Evidentemente ai partiti minori dovanno essere riconosicuti posti nelle lise bloccate dei partiti egemoni, per cui le chiacchiere di Renzi in materia di ricatti resteranno aria fritta. Non solo. Anche per le coalizioni c’è lo scoglio della soglia minima fissata al 12% per accedere alla ripartizone dei seggi, soglia studiata per impedire di fatto che si formino coalizioni alternative alle due egemoni. Neanche in Unione Sovietica è vigente una legge antidemocratica come questa messa a punto dal rottamatore della politica italiana. E dulcis in fundo c’è da segnalare che della riduzoone del numero dei parlamentari che dovevano scenedere al disotto di 500 non v’è più traccia perchè tutti i calcoli vengono fatti sui numeri attuali cioè 630 deputati da ripartirsi praticamente tra i partiti che potranno accedere alla ripartizione dei seggi: 630 nominati dai padroni dei partiti senza che i cittadini elettori possano in alcun modo scegliere liberamente i parlamentari da eleggere cosicchè essi possano esercitare il loro mandato così come prescrive la Carta Costituzionale, cioè senza vincolo di mandato. Possibile che il custode supremo della Carta, l’inossidabile ex comunista inneggiattore dei carri armati sovietici che uccidevano i ragazzi di Budapest, non abbia nulla da dire in materia? Siamo davvero alla frutta della democrazia e della libertà e purtroppo non v’è chi sia capace di agitare la bandiera della rivolta e della rinascita. g.
PRIVATIUZZARE PER FINTA – IL CASO EMBLEMATICO DELLE POSTE, di Francesco Giavazzi
Pubblicato il 29 gennaio, 2014 in Il territorio | No Comments »
La «privatizzazione» delle Poste è l’esempio di ciò che accade quando un governo debole e pressato dai conti pubblici, perché non è capace di tagliare le spese, si trova a dover cedere a interessi particolari anziché operare nell’interesse dei cittadini e dello Stato. L’operazione pare costruita su due principi: far contenti i sindacati concedendo loro un implicito diritto di veto su qualunque modifica del contratto di lavoro. E non contrapporsi a un management che si è abilmente conquistato la benevolenza del governo rischiando 70 milioni della propria cassa per coprire le perdite di Alitalia.
Se l’obiettivo fosse stato la massimizzazione dei proventi, la privatizzazione avrebbe dovuto essere strutturata in modo diverso. Gli investitori cercano aziende trasparenti, con obiettivi e strategie chiari, che non usino i ricavi di un’attività per coprire le perdite di un’altra. È il caso delle Poste. L’azienda è, al tempo stesso, un grande banca (con BancoPosta): la maggiore del Paese per numero di sportelli; una compagnia di assicurazione (con PosteVita) e il gestore di un servizio di spedizioni (oltre a essere, da qualche mese, uno dei maggiori soci di Alitalia e possedere una propria compagnia, Mistral). E poi vi sono PosteMobile, operatore di telefonia con 3 milioni di clienti; Postel che offre servizi telematici allo Stato; PosteTributi (attività di riscossione). Come un investitore può comprendere se le attività bancarie e assicurative sono gestite in modo efficiente? Come capire in che modo vengono allocati i costi degli oltre 13.000 uffici postali fra le tre attività che svolgono, posta, banca e assicurazione? Le Poste hanno anche un grande patrimonio immobiliare: come valutare se è sfruttato bene?
Sono questi i motivi per i quali in Germania Postbank fu scorporata dalle poste e venduta a Deutsche Bank prima della privatizzazione. Anche la britannica e ora privata Royal Mail svolge solo il servizio di spedizione. L’unica azienda che fa tre cose assieme sono le poste francesi, che infatti rimangono al 100% pubbliche.
E che dire del modo con il quale viene scelto il management? I veri investitori vogliono che gli amministratori possano essere sostituiti se non massimizzano il valore dell’azienda: improbabile che ciò accada in una società della quale il governo mantiene il 60% delle azioni (il governo di Berlino è sceso al 21%). Tanto più se è lo stesso management che, è vero ha completamente trasformato l’azienda, ma poi si è fatto coinvolgere nel salvataggio Alitalia.
Il ricavo per lo Stato non è l’unico obiettivo di una privatizzazione. Il trasferimento di un’attività economica dal settore pubblico ai privati è anche l’occasione per migliorare la concorrenza nell’interesse dei cittadini. Le Poste sono una ragnatela di posizioni dominanti. Hanno un numero di sportelli superiore a Banca Intesa, che li ha dovuti ridurre per favorire la concorrenza. Attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, il risparmio postale è investito nella Tesoreria dello Stato, non a tassi di mercato, ma a interessi negoziati. Quando i tassi scendono l’adeguamento del rendimento che il Tesoro paga avviene lentamente, generando un sussidio improprio dello Stato (cioè dei contribuenti) alle Poste e alla Cassa.
E ancora, privatizzare è anche una strada per attirare investimenti dall’estero, per affermare l’apertura del Paese al mercato, per far fare un passo indietro allo Stato nella gestione dell’economia, per mostrare ai mercati che si vuole davvero ridurre il debito pubblico e non continuare a finanziare una spesa che non si riesce a tagliare. Invece, ancora una volta si è imboccata una strada di cui ci pentiremo: l’ennesima occasione perduta.Francesco Giavazzi, Il Corriere della Srra, 29 gennaio 2014
…..Giavazzi, come sempre, predica benne…peccato che dopo aver predicato vada a far l’esperto per conto del governo che le sue prediche ampiamnete ctiticano. E’ successo durante l’infausto regno di Monti, aspramente e giustamenbte criticato da Giavazzi, che lo chiamò a far da consulente sulle questione su cui diffusamente aveva scriutto Giavazzi. Ed infatti di sue critiche si eprsero le tracce. Intendiamoci, ciò che scrive oggi sul Corriere della Srra Giavazzi sono appunti sacrosanti come sacrosanta è la definzione di “privatizzazione per finta” data a quella delle Poste che, come è chiaro, rimane pubblica al 60% mentre il rimanente 405 viene messo in vendita per finanziare lo Stato che attraverso il suo 605 continuerà a non far funzianre bene le Poste, a ridurre i servizi, spesso a peggiorarli lì dove sono almeno decenti, con grave danno a carico dei soliti ignoti: gli utenti. Questo tipo di priovatizzazione noin è solo fasulla, ma appare una vera e propria truffa. g.
IL CONSIGLIERE DELEGATO ALL’AGRICOLTURA DELLA GIUNTA GERONIMO “PIZZICATO” MENTRE SMALTISCE ILLEGALMENTE INGENTI QUANTITA’ DI ACQUE DI VEGETAZIONE
Pubblicato il 27 dicembre, 2013 in Il territorio | No Comments »
Gli uomini del Corpo Forestale dello Stato del Coordinamento Territoriale per l’Ambiente di Altamura, diretti dal Commissario Capo dr. Giuliano Palomba, durante un servizio di prevenzione e vigilanza, nel territorio di Toritto, interessato da un grave e diffuso fenomeno di smaltimento illegale di acque di vegetazione dei frantoi, hanno sorpreso in flagranza di reato un imprenditore agricolo, il quale alla guida del trattore con al traino un carro cisterna (rimorchio) era intento allo sversamento, sul bordo strada della SS 96, di ingente quantità di acque reflue di vegetazione di provenienza olearia.
Tale sversamento aveva determinato, un evidente e consistente fenomeno di ruscellamento e lagunaggio nei terreni attigui alla strada, con conseguenza di degrado ambientale.
Gli agenti accertatori hanno provveduto al sequestro del trattore agricolo e relativo rimorchio ed hanno proceduto a denunciare l’uomo, di anni 62, presidente di una Cooperativa Olearia, all’autorità giudiziaria per aver violato la normativa sui rifiuti. Fonte : Corpo Forestale dello Stato.
… Sin qui il comunicato stampa del Corpo Forestale dello Stato che non precisa il nome e anche il ruolo politico-anmministrativo del responsabile di un vero e proprio disastro ambientale a poche centinaia di metri dall’abitato. Si tratta del presidente dell’Oleificio sociale che è anche Consigliere Delegato all’Agricoltura dell’Amministrazione Geronimo. Non solo, il signor Sforza Vito, questo il nome di cotanto “imprenditore”, smaltiva abusivamente, illegalmente, colposamente, le acque reflue di vegetazione per il cui smaltimento esistono precise e inderogabili norme abbondantemente violate, nella sua veste di “appaltatore” del servizio per conto della medesima Cooperativa di cui è presidente. Avete capito bene: è il classico caso del controllore-controllato, cioè il signor Sforza, nella sua veste di presidente, ha appaltato a se stesso, ovviamente a pagamento, un servizio della Cooperativa. E per giunta, egli che nella sua veste di delegato all’agricoltura, prima e più di qualsiasi altro aveva il compito e l’onere di sorvegliare la tutela del territorio agricolo, si è reso colpevole del suo disastroso inquinamento come è facile constatare dalle foto che sono state diffuse. Ora, al di là degli opportuni provvedimenti sanzionatori, sia amnministrativi che penali che saranno inflitti al responsabile di tale atto di incivile violenza all’ambiente, ci attendiamo l’immedita revoca da parte del sindaco Geronimo della delega di delegato all’agricoltura al sig. Sforza che deve a sua volta dimettersi da consigliere comunale avendo così gravemente mancato ai suoi doveri di amministratore pubblico. g.
P.S. VALE LA PENA DI RICORDARE CHE POCHE SETTIMANE FA, PIU’ O MENO NEGLI STESSI LUOGHI DOVE SONO STATE SMALTITE DOLOSAMENTE LE ACQUE REFLUE DI VEGETAZIONE, FURONO RITROVATI, DOPO BEN UN ANNO DAL LORO ABBANDONO, INGENTI QUANTITA’ DI AMIANTO, DENUNCIATO DALLA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO. IN QUELLA OCCASIONE IL SINDACO SI LAMENTO’ DEL FATTO CHE CHI AVEVA INFORMATO LA GAZZETTA, NON AVESSE SENTITO IL DOVERE ( E SIAMO STATI D’ACCORDO CON LUI) DI AVVERTIRE PRIMA CHE LA STAMPA IL COMUNE E I SUOI ORGANI BUROCRATICI ED AMMINISTRATIVI PERCHE’ VI PROVVEDESSERO. SE LE SUE LAMENTAZIONI ERANO SINCERE NON AVRA’ ALCUNA REMORA ORA, DI FRONTE ABEN PIU’ GRAVE EPISODIO DI MALCOSTUME, A DIMISSIONARE IL DELEGATO ALL’AGRICOLTURA.
ECCO QUANTO COSTA IN ITALIA LA POLITICA: 23 MILIARDI L’ANNO, 757 EURO A CRANIO
Pubblicato il 18 dicembre, 2013 in Il territorio | No Comments »
E’ un esercito di 1 milione e 124 mila addetti: il 5% della forza lavoro del Paese che vale l’1,5% del Pil – Ogni italiano sgancia 757 euro l’anno per mantenere questo carrozzone di mangiapane a tradimento – Accorpare i comuni farebbe risparmiare 3,2 miliardi, l’utilizzo dei fondi delle province solo per i compiti di legge 1,2 miliardi…
Ci sono i politici in senso stretto: ministri, parlamentari, consiglieri regionali, provinciali e comunali. Poi portaborse, funzionari e addetti stampa, che sempre più numerosi li accudiscono. E ancora: grand commis di Stato e fedelissimi insediati nei Cda delle aziende pubbliche.
È l’esercito della politica, quello che tutti dicono di voler sforbiciare ma che ancora conta un milione e 124mila addetti. Il 5% della forza lavoro del Paese, che vale anche una fetta della sua economia: l’1,5% del Pil. Che detto così non fa effetto, ma che decriptato in 23,2 miliardi di euro, pari a 757 euro l’anno per contribuente fa colpo.
Anche perché il terzo rapporto della Uil sui costi della politica dice che rispetto al passato la spesa è aumentata. E nonostante il blitz di Letta per togliere soldi ai partiti e le promesse di Renzi sulla restituzione del finanziamento al suo partito, «c’è il rischio che con questa legge di stabilità il prossimo anno aumentino di oltre 27 milioni i costi di Parlamento, Presidenza del Consiglio e organi istituzionali vari», ammette il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy.
Ma i costi più ingenti non vengono da lì, perché i politici di professione, ministri, parlamentari e consiglieri vari sono «solo» 144mila, circa il 10% del totale. Che però, sia detto a scanso di equivoci, si dividono alla fine una bella torta di quasi 3 miliardi di euro, comprensiva dei costi del personale che quegli organi fanno funzionare. Ma il grosso viene dal sottobosco della politica, popolata da quasi un milione di «nominati». Che dire ad esempio dei 2,2 miliardi spesi per consulenze, a fronte di una pubblica amministrazione che gronda di dipendenti non sempre ad alto tasso di produttività?
Anche se poi quello che consolida le posizioni di potere dei partiti e dentro i partiti è quella mai scalfita occupazione di società, consorzi, enti pubblici, fondazioni e aziende partecipate, che con la il loro stuolo di dirigenti, direttori e funzionari costa quasi 6 miliardi. E questi sono i costi di stipendi e gettoni. Perché quanto questa presenza invasiva pesi sul buon andamento economico di un bel pezzo della nostra economia è un calcolo arduo da fare, ma che darebbe ben altri risultati
Se poi avessimo ancora voglia di indignarci basterebbe gettare un occhio a quel parco di auto blu e grigie che arriva a costare altri 2 miliardi, secondo una stima che la Uil giudica pure «prudenziale». Spesa che sicuramente non trova uguali in Europa, dove nei Paesi a noi più vicini in auto blu girano il capo del governo e pochi altri. Però quello che ci rende più o meno uguali ai nostri partner europei è la tendenza dei partiti a vivere sempre più di contributi statali. Nel nostro continente solo la Svizzera non versa un soldo ai propri partiti. In Francia, Spagna e Germania lo Stato è un finanziatore persino più generoso del nostro.
«Questo – spiega il professor Piero Ignazi, docente di politica comparata all’Università di Bologna – ha creato partiti Stato-centrici, dove il rafforzamento delle strutture centrali è andato di pari passo con la perdita di peso del partito nel territorio». «E il rafforzamento delle strutture centrali -prosegue- la si deve anche e soprattutto alla capacità di estrarre risorse dallo Stato e alla possibilità di utilizzare le strutture statali a fini partigiani».
Ma questa forza che deriva soprattutto dagli ingenti finanziamenti pubblici è paradossalmente anche causa della crisi di rappresentanza dei partiti, «che avendo abbandonato il partito del territorio hanno finito per perdere contatto con la realtà», chiosa il Professore.
Resta il fatto, commenta il leader della Uil, Luigi Angeletti, «che oltre un milione di persone che vivono di politica non ce le possiamo permettere». Di qui le proposte del sindacato per ridurre di almeno 7 miliardi abbondanti quella torta da 23. L’accorpamento dei comuni ne farebbe risparmiare 3,2, l’utilizzo dei fondi delle province solo per i compiti di legge un altro miliardo e due, 1,5 miliardi si otterrebbero con una più sobria gestione delle regioni e un altro miliardo e due verrebbero da una razionalizzazione dello Stato. Tutte cose che si possono fare se i partiti torneranno ad essere capaci di estrarre risorse dalla società anziché dallo Stato. FONTE : La Stampa, 18 dicembre 2013
……………..L’altra faccia della politica divoratrice è il sindacato che in quanto a voracità non è secondo ai partiti e alla politica, esente da qualsiasi controllo perchè come i partiti non ha alcuna veste giuridica sebbene firmi contratti che vengono fatti valere erga omnes benchè firmati da organismi – i sindacati – che a malapena rappresentano il 20 per cento dei lavoratori italiani, comprendendo nel calcolo anche i lavoratori iscritti ai sidacati non confrederali, e, sopratutto, i pensionati che sono l’80% degli iscritti. Di questo Angeletti, capo di un sindacato lillipuziano, ovviamente non parla. A proposito Angeletti è capo della UIL da almeno un ventennio: manco Mussolini…. g.
AD ASSISI IL CONCERTO DI NATALE DIRETTO DALL’ITALOAMERICANO STEVEN MERCURIO
Pubblicato il 14 dicembre, 2013 in Il territorio | No Comments »
Questa mattina nella Basilica di San Francesco in Assisi si è tenuto il tradizionale Concerto di Natale alla presenza, quest’anno, del Presidente della Camera dei Deputati e del Presidente del Senato della Repubblica, oltre che di numerose altre autorità. Il Concerto, come già nelle edizioni del 2010 e del 2011, è stato diretto dal Maestro italoamericano Steven MERCURIO, cittadino onorario di Toritto. Il Concerto, registrato, sarà trasmesso in eurovisione la mattina di Natale da RAI 1 subito dopo la benedizione “urbi et orbi” di Papa Francesco.
UCRAINA: CENTINAIA DI MIGLIAIA DI ANTICOMUNISTI ABBATTONO LA STATUA DI LENIN
Pubblicato il 8 dicembre, 2013 in Il territorio | No Comments »
Alcuni manifestanti pro-Ue hanno abbattuto una statua di Lenin a Kiev. Lo fa sapere la polizia ucraina, citata dall’agenzia Interfax. Oggi centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza contro la decisione del governo ucraino di congelare un accordo di associazione tra Ucraina e Ue. Secondo l’agenzia Itar-Tass, ad abbattere il monumento dedicato al padre della Rivoluzione d’Ottobre sono stati dei militanti del partito ultranazionalista Svoboda. I manifestanti hanno legato delle corde attorno alla statua e l’hanno fatta cadere al suolo.
Successivamente – sempre secondo Itar-Tass – hanno intonato l’inno nazionale ucraino. Dopo essere stata abbattuta, la statua di Lenin che sorgeva a Kiev, in viale Shevchenko, è stata decapitata da un gruppo di nazionalisti. Secondo la versione online del Kyiv Post, il monumento è stato tirato giù dal suo piedistallo con un cavo d’acciaio dai manifestanti, che in questo momento lo stanno facendo a pezzi con una mazza. Il gruppo di nazionalisti, dopo aver abbattuto la statua avrebbe urlato “Ianukovich è il prossimo!” e avrebbe quindi intonato l’inno nazionale ucraino.
Circa 200mila manifestanti pro-europei si sono già riuniti nel centro di Kiev, in Ucraina, per chiedere le dimissioni del presidente Ianukovich in seguito al suo voltafaccia sull’accordo di associazione con la Ue a favore della Russia. La piazza dell’Indipendenza, nota anche con il nome di Maidan, cuore della Rivoluzione arancione nel 2004 che portò al potere i filo-occidentali, é già colma di persone e i manifestanti continuano ad affluire. Moltissime le bandiere ucraine in piazza, ma ci sono anche bandiere dell’Ue e dei partiti dell’opposizione. Il grande albero di Natale montato in piazza è stato riempito di vessilli dell’opposizione e striscioni con slogan contro il governo, tra cui anche una gigantografia con il volto dell’ex premier in carcere Iulia Timoshenko (VAI). La maggior parte dei manifestanti viene dall’Ucraina centrale e da quella occidentale, culturalmente e linguisticamente meno vicine alla Russia.
…Viva l’Ucraina libera, europea e anticomunista!
ADDIO MANDELA, “SANTO” D’AFRICA
Pubblicato il 6 dicembre, 2013 in Il territorio | No Comments »

Se soltanto trovassimo una pozione magica per farlo tornare giovane… ». In un Sudafrica che, dopo la fine della sua presidenza nel 1999, si è progressivamente avvitato in una specie di crisi esistenziale che rischia di compromettere la sua eredità, milioni di cittadini solevano invocare un suo impossibile ritorno sulla scena politica anche dopo che aveva compiuto i novant’anni. E ora che si è spento, Nelson Mandela è destinato a diventare un personaggio leggendario, l’incarnazione di un sogno che, purtroppo, si è avverato solo in piccola parte: quello della «nazione arcobaleno», in cui neri, bianchi, indiani e meticci avrebbero convissuto in armonia e prosperità. Se dovessimo stilare una classifica tra i vincitori del Nobel per la pace dell’ultima generazione, Mandela è sicuramente quello che lo ha meritato più di tutti, perché il passaggio senza spargimento di sangue e senza collassi economici dal vecchio regime di supremazia bianca a una democrazia dominata dalla maggioranza nera è stato un capolavoro politico forse senza eguali nel mondo moderno. L’età avanzata e una certa fragilità, dovuta anche ai 27 anni trascorsi nel carcere di massima sicurezza di Robben Island, non gli hanno consentito di portare l’impresa a compimento.
Il suo posto nella storia, perciò, non dipenderà tanto da quello che è riuscito a realizzare nei suoi quattro anni da primo presidente nero della Repubblica sudafricana, quanto dalla sua capacità di imporre le prospettive di una società unita, al di là delle laceranti divisioni che hanno caratterizzato la sua storia.
Quando nacque nel villaggio di Mvezo, nel cuore del Transkei, il 18 luglio 1918, terzo figlio di un capotribù Xhosa, il futuro Nelson Mandela venne chiamato Rolihlahla Dalibhunga. Furono i missionari metodisti a dargli il nome con cui è diventato famoso, a curare la sua istruzione e infine a mandarlo al College di Fort Hare, la prima università per neri del Sudafrica. Una volta laureato, aprì uno studio legale in società con Oliver Tambo, un altro futuro protagonista della resistenza contro l’apartheid, ma si buttò quasi subito in politica, in difesa dei diritti dei neri che, con la vittoria del partito nazionalista nelle elezioni del 1948 e le successive leggi razziali, erano stati ridotti a non-cittadini.
Tra i fondatori dell’African National Congress, l’attuale partito di governo, fu arrestato una prima volta nel 1956 (e prosciolto dall’accusa di volere costituire un regime comunista), nominato nel 1961 comandante della «Lancia della nazione», il movimento di liberazione del partito, spedito all’estero a cercare appoggi nel 1962 e arrestato nuovamente al suo rientro in patria nel 1963. Stavolta, il tribunale lo condannò all’ergastolo, ma il discorso di denuncia che pronunciò davanti alla Corte prima di sparire per un quartodi secolo nelle carceri dell’ apartheid destò una enorme eco in tutta l’Africa e rimane, per molti, il punto più alto della sua militanza.
Anche durante la segregazione a Robben Island, Mandela riuscì a rimanere la guida suprema dell’ ANC, il principale punto di riferimento per i compagni sfuggiti all’arresto che, in clandestinità o in esilio, continuavano la lotta.
I suoi stessi carcerieri erano in qualche modo intimiditi dalla sua personalità e – in realtà non infierirono mai contro di lui.
Infatti, quando il regime dell’apartheid cominciò a vacillare, fu a lui che si rivolse per cercare una soluzione. Già nel 1985, il presidente Botha gli offrì in segreto la libertà un cambio di un ripudio della lotta armata, ma Mandela rifiutò. Il governo decise egualmente di trasferirlo da Robben island al carcere di Pollsmoor, nel tentativo di costruire, attraverso di lui, un ponte verso la comunità nera, e il 4 luglio 1989 lo stesso Botha si decise a incontrarlo. Il colloquio mise le basi per gli sviluppi successivi, che in quattro anni hanno radicalmente cambiato il volto del Paese: la liberazione del Madiba (il patriarca) il 2 febbraio 1990, la legalizzazione dell’ANC, la nomina di Mandela a suo presidente, il conferimento del premio Nobel per la pace (insieme a F.W. De Klerck, successore di Botha e ultimo presidente bianco), la proclamazione di una nuova Costituzione che sanciva l’eguaglianza di tutti i cittadini indipendentemente dal lorocolore e la elezione di Nelson Mandela a nuovo capo dello Stato, con lo stesso De Klerck come vice per rassicurare la minoranza bianca.
Non si può dire che Mandela sia stato un buon presidente: un po’ per l’età ormai avanzata, un po’ per la totale mancanza di esperienza amministrativa, il suo governo ha lasciato molto a desiderare: non ha garantito alle masse delle township i progressi che si aspettavano, ha tollerato la corruzione della nuova classe dirigente, non ha combattuto con sufficiente determinazione la diffusione dell’ AIDS. Ma il suo carisma era tale che tutto gli è stato perdonato. Il suo vero capolavoro è stato il superamento della frattura tra le varie comunità fino a quel momento divise dall’apartheid, all’insegna del motto «Chi ha coraggio non deve avere paura di perdonare » . Così, si è inventato la famosa «Commissione per la verità e la riconciliazione », davanti alla quale sono sfilati tutti coloro, bianchi e neri, che avevano commesso dei crimini nel corso del conflitto razziale e che- salvo nei casi più graviin cambio della piena confessione si sono guadagnati l’impunità.
Famosi sono rimasti anchealcuni suoi gesti, come quello di sostenere la squadra di rugby degli Springbock, autentici simboli del potere bianco che erano stati esclusi per anni dalle competizioni internazionali proprio su pressione dell’ANC, e di festeggiare con loro la vittoria nei campionati del mondo del ‘ 95; oppure, come quello di invitare a palazzo per il the le vedove dei suoi predecessori bianchi che lo avevano incarcerato.
Il suo passato di rivoluzionario lo ha anche spinto a commettere degli errori, come l’appoggio dato fino alla fine a Cuba e alla Libia; e, quando, ormai ritirato a vita privata, si è piegato troppo spesso ai voleri del suo ambiguo successore Mbeki. Con tutti suoi difetti, Mandela passerà comunque alla storia come il personaggio di maggiore statura espresso dall’ Africa postcoloniale: un uomo leale e generoso in un mondo di intrinseca ferocia, uno dei pochi visionari che siano riusciti a trasformare la loro visione in realtà. In un certo senso, è stata per lui una fortuna la graduale perdita di contatto con la realtà del Paese che ha contrassegnato i suoi ultimi anni: la crescente corruzione nell’ANC, gli affari sporchi di vari suoi familiari, il crescente malcontento delle masse tradottosi di recente in scioperi e violenze non lo hanno più toccato; ed è morto sereno, come meritava. Livio Caputo, Il Giornale, 6 dicembre 2013
FINALMENTE: LA CORTE COSTITUZIONALE SEPPELLISCE IL PORCELLUM
Pubblicato il 4 dicembre, 2013 in Il territorio | No Comments »
La Corte Costituzionale ha seppellito il Porcellum, il sistema elettorale che lo stesso ideatore definì una “porcata”. Dichiarati incostituzionali il premio di maggioranza e la mancanza di preferenze, ovvero, le liste bloccate. Bocciato quindi il sistema elettorale che ha portato gli attuali deputati e senatori nei Palazzi e promosso invece il ricorso presentato dall’avvocato 80enne Aldo Bozzi che combatteva contro lo status di “cittadino-suddito”. Una sentenza storica e un terremoto politico visto che la Consulta ha di fatto delegittimato l’attuale Parlamento e quindi l’impianto politico-istituzionale italiano. Con il Porcellum, dal 2006 ad oggi, il Parlamento ha approvato leggi, eletto il presidente della Repubblica… Nelle prossime settimane saranno note le motivazioni e soltanto da allora la sentenza sarà efficace. Insomma, tranquilli tutti, per ora non succede nulla, ma subito dopo la pubblicazione, qualsiasi atto dell’attuale parlamento può essere dichiarato incostituzionale… L’unico fatto certo fin da subito è che i partiti ormai non possono più rinviare la riforma elettorale, fosse anche il “ritocco” di quella attuale per arrivare al proporzionale con una preferenza o tornare al Mattarellum. Non sono più illazioni, bisogna trovare un accordo, necessariamente, altrimenti si rischia di andare allo scioglimento anticipato delle Camere perché mantenere in vita un Parlamento che si sa essere stato eletto in modo incostituzionale, dopo l’ufficialità della sentenza, può essere comunque dichiarato invalido e con esso tutti i suoi atti. Ancora una volta sono i giudici delle leggi a dettare l’agenda alla politica che non ha più alibi. A questo punto serve una riforma vera, strutturata, che abbia una lunga durata e dia un forte assetto al quadro politico istituzionale. Mai come ora, i partiti devono riprendere il dialogo e la collaborazione per una legge seria e duratura per il Paese.
E’ una notizia tanto attesa quanto clamorosa perché accoglie per intero le ragioni dei cittadini esposte nei ricorsi che hanno condotto lo Consulta ad assumere una decisione storica. Finalmente si pone fine sia al Parlamento dei nominati sia al alla scandalosa assegnazione di seggi, come in occasione delle elezioni dello scorso febbraio, senza ragionevoli basi elettorali. Al’ultima competizione per la Camera, la coalizione di centrosinistra con appena il 29,55 dei voti si è vista assegnare ben 340 seggi su 630, mentre alla coalizione di centrodestra con il 29,00% dei voti sono andati poco più di un centinaio di seggi, e i rimanenti agli altri partiti. Semplicemente scandaloso, come scandaloso era l’assegnazione dei seggi a liste bloccate, come accadeva e accade nei regimi totalitari, sottraendo ai cittadini elettori, in barba alla Costituzione , il diritto di scegliere il candidato all’interno di ciascuna lista. Ora bisognerà attendere la pubblicazione della sentenza per conoscere nel dettaglio le conseguenze immediate di questa decisione storica della Consulta, soprattutto due: l’eventuale ritorno immediato, in assenza di interventi legislativi consoni alla Carta Costituzione, al vecchio Mattarellum , cioè al sistema uninominale, e l’eventuale dichiarazione di decadenza dalla carica di parlamentare per ben 148 deputati del Pd, non ancora convalidati dalla Giunta per le e Elezioni della Camera e la ridistribuzione dei seggi tra gli altri partiti: insomma, una rivoluzione nella rivoluzione. Comunque, finalmente!. E’ finita l’epica dei nominati, è finita l’epoca delle veline, è finita una brutta pagina della storia recente della politica del nostro Paese. g.