IN ATTESA DEL VOTO: L’AUTUNNO DEL GENERALE, di Giacomo Amadori

Pubblicato il 23 febbraio, 2013 in Il territorio | Nessun commento »

L'autunno del generale

Vendola al famoso pranzo con il giudice De Felice. Qui bacia un’altra delle invitate, Paola Memola

La stella di Nichi Vendola, o Nikita il rosso come lo chiamano in Puglia, sembra essersi appannata.

Oggi i giornali nazionali dedicano articoli ai comizi degli altri politici, ignorando completamente la kermesse organizzata a Bari ieri sera dal centro-sinistra, dove l’ospite di punta era proprio Vendola. Con lui sul palco, allestito in piazza Castello, c’erano anche il capogruppo al Senato Anna Finocchiaro e il sindaco Pd del capoluogo, Michele Emiliano. Il quale ha provato a rinfrancare le truppe invitando i presenti a tirarsi su di morale in questo modo: «A Piazza San Giovanni piove». E sì, perché, il convitato di pietra degli ultimi comizi della sinistra italiana sono state le piazze stracolme di grillini che hanno fatto da contraltare a quelle semivuote di Pd e Sel (tanto da costringere Pierluigi Bersani a chiudersi, per l’ultimo appello al voto, in un teatro).

Ieri sera piazza Castello faceva malinconia. Ad applaudire i loro aspiranti rappresentanti c’erano non più di trecento persone, riuniti come si fa tra vecchi amici al bar: saluti, abbracci e confidenze.

Un dirigente, desolato dalle notizie che provenivano da Roma e che parlavano di centinaia di migliaia di persone allo Tsunami tour grillino, ha sibilato a un parlamentare appena sceso dall’auto blu: «A questi bisogna offrirgli la presidenza della Repubblica». In attesa di vedere Grillo al Quirinale, per ora, l’unico risultato concreto è che, alla vigilia del voto, Vendola è scomparso dalle pagine dei giornali, superato alla vigilia delle urne, persino da Antonio Ingroia e il dimissionario Oscar Giannino.

Oggi l’unico pensiero al leader di Sel lo ha dedicato il vicedirettore del Fatto, Marco Travaglio, nel suo consueto editoriale. Un endorsement al contrario di cui Vendola, ne  siamo certi, avrebbe fatto volentieri a meno. Il titolo eloquente è «La foto di Fasano», con chiaro riferimento all’immagine pubblicata da Panorama.it, in cui si vede Vendola a tavola con il giudice per l’udienza preliminare che il 31 ottobre scorso lo ha prosciolto da un’accusa di abuso di ufficio.

L’incipit di Travaglio è un calcio negli stinchi: «Non è un bello spettacolo quello immortalato dalla foto pubblicata da Panorama, che ritrae il già allora governatore della Puglia in compagnia di quattro pm pugliesi (Carofiglio, Pirrelli, Iodice, Bianchi) e due giudici (Manzionna e De Felice), oltre a una giornalista e al capo della Mobile di Foggia. Dopo la foto di Vasto, abbiamo la foto del pranzo. E francamente era molto meglio la prima». Di fronte ai «non ricordo» autoassolutori di Vendola, Travaglio conciona in questo modo: «Siccome di quel pranzo si vocifera da mesi, Vendola avrebbe dovuto verificare presso la cugina (la festeggiata Paola Memola ndr) o gli altri commensali l’eventuale presenza della gip e poi ammetterla con le dovute spiegazioni. Il che avrebbe innescato il meccanismo previsto in questi casi dalla legge per dissipare ogni sospetto e dietrologia: l’astensione del gip».

Infatti secondo il vicedirettore del Fatto il giudice non poteva non ricordare quell’incontro: «Sicuramente la dottoressa De Felice sapeva di aver pranzato con il governatore Vendola  e avrebbe dovuto astenersi dal processo a suo carico».

Per Travaglio un giudice che pranza con il suo futuro imputato è sospettabile, qualunque decisione prenda. «Ora che è uscita quella foto molti penseranno che Vendola fosse colpevole e abbia beneficiato di un trattamento di favore. Tanto più in quanto il governatore aveva posto la gip in una situazione imbarazzante, annunciando che in caso di rinvio a giudizio si sarebbe ritirato dalla vita politica».

Infine Travaglio, ispirato dall’episodio ritratto nella foto pubblicata da Panorama.it, fa una riflessione sui rapporti tra politica e giudici: «Il magistrato politicizzato non è quello che lascia la toga e si candida in politica, ma quello che conserva la toga e frequenta i politici e poi magari li giudica».

Forse per questo Vendola ha preferito in questi giorni non rispondere alle domande dei giornalisti su quel pranzo e su quella foto. Invece di dare spiegazioni, ha trovato più comodo insultare Panorama, dichiarando, per esempio, ieri sera: «Non rispondo al fango». Chissà come avrà valutato questa mattina l’editoriale di Travaglio. Lo avrà liquidato come «fango amico»? O invece, zitto zitto, lo avrà mandato giù con il caffè, visto che non tutti i fanghi sono uguali? Bisognerebbe chiederlo al diretto interessato. Se rispondesse. Giacomo Amadori, Panorama on-line, 23 febbraio 2013

IN ATTESA DEL VOTO: IL NOSTRO VOTO E’ UN MID-TERN A RISCHIO PER MERKEL E UE, di Marco Valerio Lo Prete

Pubblicato il 23 febbraio, 2013 in Politica | Nessun commento »

A 24 ore dal voto di domani, i sondaggi sulle elezioni politiche italiane restano secretati, ma se anche fossero pubblici non aiuterebbero a fare sufficiente chiarezza sull’esito finale delle consultazioni. Quel che è certo, ha scritto ieri il commentatore Anatole Kaletsky sull’International Herald Tribune (la versione globalizzata del New York Times), è che “Angela Merkel potrebbe finire come il principale sconfitto delle elezioni italiane”. Anche per questo i mercati europei si preparano a ballare di nuovo. I dati macroeconomici, di per sé, non contribuiscono a rassicurare sul futuro dell’euro. Ieri mattina la Commissione europea ha reso note le sue previsioni aggiornate per l’inverno 2013, dalle quali emerge che il pil dell’Eurozona diminuirà nel complesso dello 0,3 per cento (e non più dello 0,1 per cento come previsto nel novembre scorso). La Francia, seconda economia dell’area, non crescerà quest’anno come non è cresciuta nel 2012, mentre il rapporto deficit/pil raggiungerà il 3,7 per cento quest’anno per poi salire al 3,9. Il pil italiano calerà di un punto percentuale nel 2013, e non più di mezzo punto come stimato finora da Bruxelles, mentre il tasso di disoccupazione continuerà a salire almeno fino al 2014, arrivando al 12 per cento. Il presidente del Consiglio uscente, Mario Monti, ha comunque enfatizzato gli aspetti positivi: “Per l’Italia è prevista l’uscita dalla recessione a partire dalla metà del 2013”, e poi “il paese ha corretto il deficit di bilancio nei tempi stabiliti e che anche nei prossimi anni rispetterà gli obiettivi”. In tutto questo Berlino si consola quest’anno con una crescita di mezzo punto percentuale. Poca cosa. A Bruxelles non a caso si discute sempre più apertamente di “concessioni” da fare a questo o a quel paese per raggiungere gli obiettivi di risanamento senza strozzare la ripresa.

Qui entra in campo il voto di domani: “Le elezioni italiane potrebbero avere effetti più distruttivi per il resto d’Europa che per l’Italia”, ha scritto Kaletsky. A generare appresione non sono gli scenari considerati comunque poco probabili, come un trionfo di Beppe Grillo o una decisiva rimonta di Silvio Berlusconi. E’ sufficiente l’“umiliante quarto posto che i sondaggi assegnano a Monti”, dietro Pd, Pdl e Beppe Grillo – si legge sul New York Times – perché presto “Merkel si troverà in un terribile imbarazzo: o sostenere un governo italiano che rifiuta ulteriori dosi di austerity e riforme ispirate da Berlino, oppure consentire il break-up dell’euro”. Entrambi gli scenari influirebbero pesantemente sul voto di settembre in Germania. Da qui l’idea che la cancelliera possa uscire come la “principale sconfitta” di un risultato incerto in Italia. Pessimista anche il think tank americano Center for strategic and international studies: “Quale che sia il risultato, l’Italia si allontanerà dal suo sentiero di austerity e responsabilità fiscale e, a seconda del tipo di coalizione, avrà un governo debole, instabile, con un’opposizione rafforzata”. Di diverso avviso gli analisti della banca londinese Barclays: “Un’alleanza tra centrosinistra e centristi guidati da Monti sarebbe positiva nel breve termine per i mercati finanziari”. Se tale maggioranza esistesse al Senato, garantirebbe il rispetto del risanamento fiscale previsto dal Fiscal compact.

La pensa in maniera simile Guido Rosa, presidente dell’associazione Banche estere in Italia, che pure precisa di non esprimere preferenze per questo o quel partito: “Le banche che rappresento vorrebbero lavorare anche di più nel nostro paese che è fortemente finanziarizzato. Il rischio principale adesso è l’instabilità politica. Si tratta di capire infatti se sarà perseguito il rigore fiscale come nell’ultimo anno. Poi però ci sono anche le riforme strutturali, non abbastanza discusse finora”. Sul medio-lungo termine si spinge anche la riflessione di un operatore di un’importante banca inglese che al Foglio spiega: nel giro di pochi mesi, gli investitori inizieranno a “prezzare” l’eterogeneità della coalizione Pd-Monti e la sua eventuale difficoltà a promuovere riforme come quella del mercato del lavoro. Lo ricordano i dati di Bruxelles: con la tendenza attuale, infatti, il pil non si riprende velocemente e il debito pubblico non diminuisce. di Marco Valerio Lo PreteIl Foglio Quotidiano, 23 febbraio 2013

IN ATTESA DEL VOTO: IL SENTIMENTO DI UNA NAZIONE, di Ernesto Galli Della Loggia

Pubblicato il 23 febbraio, 2013 in Politica | Nessun commento »

Le elezioni di domenica rappresenteranno la prova del fuoco per quella tendenza di fondo – la tendenza a governare in nome del «vincolo esterno» – con la quale negli ultimi trent’anni le classi dirigenti italiane hanno pensato di risolvere i problemi del Paese. Un Paese fin dall’Unità sentito (non a torto!) come assolutamente restìo a cambiare abitudini e pregiudizi inveterati, legato ai suoi vizi, ai suoi mille interessi contrapposti, leciti e meno leciti, ai suoi tenaci corporativismi d’ogni tipo; un Paese quindi sempre riottoso alle direttive dall’alto, alle norme, abituato a usare lo Stato e a piegarlo al proprio utile, ma mai o quasi mai a piegarsi all’utile di quello. Insomma politicamente indomabile.
Che tale fosse l’Italia che la Repubblica aveva ereditato dal passato le classi dirigenti hanno dovuto prenderne atto specialmente a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Allorché fu chiaro che il carnevale della spesa pubblica facile, iniziato quindici anni prima, stava creando una situazione finanziariamente insostenibile, e che però togliere a un tale Paese le rendite, i privilegi, gli abusi, o semplicemente ridimensionare i benefici, a cui esso si era ormai abituato, era impossibile. Impossibile riorganizzare l’amministrazione pubblica all’insegna del merito e dell’efficienza; impossibile rivedere il catastrofico ordinamento regionale; impossibile rivedere le leggi dappertutto eccessivamente permissive appena approvate; impossibile rifare la scuola sempre più sfasciata, e così via per molte, troppe voci. Impossibile beninteso stante il suffragio universale: dal momento che chiunque ci avesse provato avrebbe pagato di sicuro un prezzo elettorale catastrofico.
Si cominciò allora a toccare con mano quanto fosse ormai impossibile cambiare dall’interno il rapporto politica/società. Si cominciò allora ad ascoltare sempre più spesso il ritornello «Sì, è questo ciò che ci vorrebbe, ma non si può fare!», «Sì, le cose stanno così, questa è la verità, ma non la si può dire!». Lo sussurravano non pochi politici intelligenti e informati: ma regolarmente e inevitabilmente rassegnati. Intimidita, la politica si trovò ormai messa nell’angolo da un Paese che di prendere atto del modo in cui stessero le cose non voleva assolutamente saperne.
È a questo punto, in questa distretta sempre più soffocante, che – per convincere la società italiana di ciò di cui essa da sola non poteva convincersi, per farle accettare ciò che da sola non avrebbe mai accettato – la parte più avvertita della classe dirigente si decise a imboccare con decisione la strada del vincolo esterno. Sull’esempio – ormai si può dire – di quello che in fondo era stato lo stesso atto fondativo del regime repubblicano: quando dopo il 1943 fu per l’appunto un fattore esterno, la sconfitta militare e la vittoria alleata, a stabilire la democrazia in Italia.
Questa volta il vincolo esterno fu rappresentato dall’Unione Europea. Sarebbero state le direttive e le politiche comunitarie a mettere le briglie al Paese. Sarebbe stato l’euro a imporre il ravvedimento finanziario agli italiani dissipatori e riottosi. A partire dagli anni Novanta l’Unione Europea si trasformò nel salvagente al quale si aggrappò una parte maggioritaria della classe politica, via via che da un lato diveniva evidente la non riformabilità dall’interno della società italiana, e dall’altro, insieme, l’incapacità della politica nazionale di guadagnare con i propri mezzi il consenso necessario ad un mutamento di rotta.
Come in nessun altro luogo del continente l’adesione incondizionata all’europeismo e alla sua ideologia divennero così la nuova carta di legittimazione del sistema: obbligatoria per chiunque volesse non solo accedere al governo, ma perfino essere ammesso ad una piena rispettabilità politica. È inutile sottolineare quanto l’ultima fase della politica italiana si sia identificata con la prospettiva ora indicata. Che domenica si trova ad affrontare la prova del fuoco elettorale nella situazione più difficile principalmente, a me pare, per una ragione. La ragione è che il vincolo esterno, per risultare accettabile e non ferire il legittimo (insisto: legittimo, sacrosanto) sentimento di autostima di un Paese, deve essere assolutamente trasformato da chi se ne fa forte in un fatto nazionale. E cioè innanzi tutto produrre anche un immediato beneficio: altrimenti esso finisce per apparire inevitabilmente un’imposizione esterna fatta nell’interesse precipuo della parte esterna. Ora, disgraziatamente, in 14 mesi il vincolo esterno europeo è stato ben lungi dal soddisfare questa condizione dell’immediato beneficio. La situazione generale del Paese invece di migliorare è peggiorata. E dire, come si sente dire, «poteva andare molto peggio», non può avere altro effetto, sui molti che versano in condizioni di disagio, se non quasi di una presa in giro. Così come l’affermazione – anche questa molto ripetuta – «non c’era altro da fare» è un’affermazione che ha lo svantaggio di non poter essere suffragata da nessuna prova davvero convincente agli occhi degli elettori.

C’era un altro modo ancora, però, e a prescindere dagli effetti economici, in cui il vincolo esterno avrebbe potuto essere depurato della sua origine e trasformato in un dato dall’impatto fortemente nazionale: e non lo è stato. Se esso fosse diventato il pretesto per un invito appassionato – rivolto non già alle forze politiche, ma alla società italiana nel suo complesso – perché nell’occasione essa affrontasse uno spietato esame di coscienza, perché ripensasse una buona volta la propria storia iniziando a capire il peso, ormai insopportabile, delle sue troppe pigrizie, delle sue troppe incapacità, delle sue troppe indulgenze. Vi sono circostanze critiche in cui il governo democratico di un Paese deve essere capace anche di questo: di una pedagogia civile ispirata dalla verità e sorretta dalla cultura. In caso contrario il prezzo da pagare – non solo elettorale, e non solo per chi ha governato – può rivelarsi molto alto.

MONTI: SENZA LODEN E SENZA RISPETTO

Pubblicato il 22 febbraio, 2013 in Politica | Nessun commento »

A tre giorni dalla fine della campagna elettorale Mario Monti passa da un forum a una tv mostrando tutti i suoi timori per il risultato di lunedì. Non è bastato togliersi il loden per rincorrere due avversari come Berlusconi e Bersani. Oltre a mancargli il fiato, al premier mancano i numeri e qualche volta la lucidità, quella necessaria per non fare di ogni intervista un attacco al Cavaliere e soprattutto per non scivolare su pesanti gaffe. Tutti i candidati dovrebbero mettere al primo punto del loro programma (e della loro strategia) il rispetto dei cittadini elettori. Monti invece pur di attaccare il Cav dice che «se gli italiani votano ancora Berlusconi, il problema non è lui ma sono gli italiani». Un ottimo modo per tornare a mostrare quel distacco e quella sicumera del tecnico al governo al quale non serve niente, tanto meno il voto della gente che continua a votare centrodestra.

I timori, mascherati da stizza, crescono perché le critiche arrivano anche da oltre confine. Munchau, l’editorialista del Financial Times, ha scritto chiaramente che la politica d’austerità di Monti è sbagliata ed è giusta l’idea di Berlusconi di tagliare le tasse. A chiusura di giornata l’ultima gaffe è stata quella sulla Merkel, la cancelliera amica di Monti, «usata» per dire che non sarebbe contenta di vedere Bersani al governo. I tedeschi, lo sa bene il Prof, sono precisi e non inclini alle bugie e così hanno risposto immediatamente: «La Merkel non si è espressa sulle elezioni italiane e non lo ha fatto neanche in passato». Che giornataccia. E siamo a meno tre giorni. C’è tempo per segnare ancora qualche altro autogol.  Sarina Biraghi, Il Tempo, 22 febbraio 2013

ASSICURAZIONE RC: IN ITALIA PREZZI PIU’ ALTI DELL’80% RISPETTO ALLA GERMANIA

Pubblicato il 22 febbraio, 2013 in Economia, Politica | Nessun commento »

Rc auto, in Italia prezzi piu' alti in UeROMA – I premi rc auto sono in Italia in media più elevati e crescono più velocemente rispetto a quelli dei principali paesi europei. E’ quanto emerge da un’indagine Antitrust sul settore. Il premio medio è più del doppio di quelli di Francia e Portogallo, supera quello tedesco dell’80% circa e quello olandese di quasi il 70%.

La crescita dei prezzi per l’assicurazione sul periodo 2006-2010, rileva il Garante per la concorrenza, è stata quasi il doppio di quella della zona Euro e quasi il triplo di quella registrata in Francia. Anche per quanto riguarda la frequenza sinistri e il costo medio dei sinistri, il costo è in Italia tra i più elevati tra i principali paesi europei: in particolare, la frequenza sinistri è quasi il doppio di quella in Francia e in Olanda e supera di circa il 30% quella in Germania; il costo medio dei sinistri in Italia supera quello della Francia di circa il 13%, quello della Germania di oltre il 20% ed è più del doppio di quello del Portogallo. Tuttavia il numero delle frodi accertate ai danni delle compagnie in Italia appare quattro volte inferiore a quello accertato dalle compagnie nel Regno Unito e la metà di quello accertato in Francia.

Riformare il sistema del risarcimento diretto e introdurre nuovi modelli contrattuali finalizzati al controllo dei costi per ridurre i premi. Facilitare la mobilità tra una compagnia e l’altra, introducendo sistemi di confronto semplici e rivedendo il meccanismo delle classi di merito interne. E’ la ricetta dell’Antitrust per ridurre il costo delle polizze rc auto, a chiusura dell’indagine conoscitiva sul settore. FONTE ANSA: 22 febbraio 2013

…..Ecco un’altra cosa di cui nion abbiamo sentito parlare in campagna elettorale, cioè dell’industrai dello sfruttamento degli automobilisti da parte delle compagnie assicurative che fanno quello che vogliono alla faccia non solo degli utenti ma anche dei tanti antitrust del mondo. Chissà se stgasera alle ultime  battute, qualcuno dei contendenti si ricorderà di questo sistema organizzato di truffa ai danni degli automobilisti. g.

PANORAMA PUBBLICA LA FOTO DI VENDOLA CON IL GIUDICE CHE L’HA GIUDICATO E ASSOLTO

Pubblicato il 21 febbraio, 2013 in Giustizia, Politica | Nessun commento »

    La foto con il giudice: Vendola perde le staffe, minacca querele e non risponde

    La foto che ritrae Vendola a pranzo con il giudice Susanna De Felice che lo ha assolto lo scorso Ottobre

    di Maurizio Tortorella

    “Panorama risponderà in tribunale e sarà una delle ragioni per cui avrò una vecchiaia ricca e serena: non vorrei portare anche lei in tribunale, ci interrompiamo qui su questa questione, punto”.

    Con queste parole, (leggi qui ) e non senza un filo di nervosismo, ha risposto Nichi Vendola al giornalista del Fatto Quotidiano Manolo Lanaro, che oggi pomeriggio gli chiedeva una replica alla pubblicazione, su Panorama.it, della foto che ritrae il presidente della Regione Puglia allo stesso tavolo conviviale del giudice barese Susanna De Felice, che nello scorso ottobre lo ha assolto dall’accusa di abuso d’ufficio.

    Erano tante le possibili risposte a disposizione di Vendola. Per esempio, avrebbe potuto dichiarare: La foto è falsa, io non c’ero. Oppure: La foto è vera, ma io ero seduto lì per caso e mi annoiavo. O anche: Io ero stato invitato per caso alla festa da mia cugina e non conoscevo nessuno dei presenti…

    Il leader di Sinistra, ecologia e libertà ha invece scelto di non rispondere. Proprio lui, che soltanto ieri si era tolto il cappello («Chepeau!») davanti alla decisione di Oscar Giannino di rispondere con la coraggiosa trasparenza delle dimissioni alle accuse di falso piovutegli addosso per la vicenda delle lauree e del master vantati nei suoi curriculum, ma mai conseguiti.da PANORAMA.IT

    ………………Attendiamo con ansia di leggere il seguito di questa storia che si è già tinta di giallo. Perchè il numero in edicola di Panorama parla della foto ma dichiara di non possederla perchè chi ne è in possesso ha negato di di volerla cedere al settimanale della Mondadori. Pochce ore dopo, invece, la foto è pubblicata da Panorama.it e ovviamente ripresa dalla stampa di ogni tendenza. Vendola annuncia querele ma, secondo Panorama,  non nega la esistenza della foto,  e, sopratutto, di essere stato a tavola insieme al giudice che lo ha giudicato e assolto. Nessuno può dire   se  anche un altro giudice lo avrebbe assolto, ma se è  vero che il giudice De Felice si era attovogliata, sia pure in tempi precedenti, con il suo imputato, bene avrebbe fatto ad astenersi. Sarebbe stata la cosa più corretta. g.

    IL FATTORE “G” E LE PIAZZE, di Sarina Biraghi

    Pubblicato il 20 febbraio, 2013 in Politica | Nessun commento »

    Una prima domenica di Quaresima celebrata nelle piazze. Tra sacro e profano. Il colonnato del Bernini di piazza San Pietro ieri, con la sua imponente austerità, ha misticamente abbracciato la folla di pellegrini che ha assistito al penultimo Angelus di Benedetto XVI, il primo della storia celebrato da un Papa dimissionario che ha richiamato i fedeli a non cedere alle lusinghe del potere.

    In altre piazze italiane, da Savona a Milano, i candidati premier delle ormai vicinissime elezioni politiche, lusingavano i sostenitori con le loro promesse e le loro previsioni. E se la grande rinuncia di Ratzinger è stata un fulmine a ciel sereno, qualcuno ha minacciato sorprese ancora più grandi. Mettendo paura. A destra, a sinistra e anche al centro che nelle corse dei cavalli su Internet ( i sondaggi, si sa, sono vietati), appare sempre più un centrino. Perché chi sembra sorprendentemente crescere è il Movimento 5Stelle, lo tsunami-Grillo che non rade al suolo le piazze ma le riempie, che se ne infischia delle tv e dice in faccia alla gente, con tutta la sua rabbia, che i politici devono andare a casa, che i soldi che mancano si troveranno togliendoli a quelli che stanno in alto e che nessuno dovrà avere più privilegi. E poi assicura: «Lunedì ci sarà una bella sorpresina». Sicuramente indigesta per Berlusconi che definisce il genovese un «pericolo per la democrazia», ancor più rivoltante per Bersani che attacca: «Grillo vuole governare sulle macerie».

    Insomma se finora il comico sembrava il portavoce dell’antipolitica oggi rischia di arrivare sul podio, addirittura secondo, provocando uno tsunami in Parlamento. I candidati grillini, rigorosamente arruolati su internet e senza trascorsi politici, vengono anche da ambienti di estrema sinistra, dai centri sociali, dai comitati no tav, dai black bloc. Se Grillo ha costretto tutti a rimodulare i toni e i temi della campagna elettorale, non sarà certo facile pensare di governare con ottanta o addirittura cento grillini deputati. Né per il centrodestra, né per il centrosinistra. Lunedì prossimo dalle urne più che una sorpresa potrebbe uscire un botto.

    Quello dell’ingovernabilità. Per Grillo, comunque vada, sarà un successo. Per l’Italia una sconfitta epocale.  Sarina Biraghi, Diregttore de Il Tempo, 20 febbraio 2013

    .……………..Abbiamo come tutti tanta rabbia in corpo per quel che è sotto i nostri occhi, ciònondimenno guardiamo con apprensione e timore allo scenario che delinea il direttore de Il Tempo in questo suo editoriale. Pochi giorni ancora per sapere come andrà a finire. g.

    LUINGA VITA ALLE PROVINCIE, di Gian Antonio Stella

    Pubblicato il 20 febbraio, 2013 in Il territorio, Politica | Nessun commento »

    Lunga vita alle province

    Sono due settimane che l’Ansa non fa un titolo di politica sulla spending review . Nel solo 2012 erano stati 1.887, più di cinque al giorno, Natale e Ferragosto compresi. Non esiste pensosa analisi politologica che possa illustrare meglio come i leader impegnati nella campagna elettorale si siano sbarazzati della fastidiosa zavorra di quelle parole che per un anno avevano inchiodato alle sue responsabilità un Paese che troppo a lungo ha vissuto al di sopra dei propri mezzi.

    Sarebbe divertente, ora, notare come la svolta coincida col ritorno del Carosello , dove trionfava un panzone dal tonnellaggio smisurato che dopo gli incubi notturni si svegliava strillando felice alla cuoca che parlava veneto («Cossa ghe xè paròn?») ma era nera come la pece: «Matilde, la pancia non c’è più! La pancia non c’è più!».

    Il guaio è che i nostri problemi strutturali, come si incaricano quotidianamente di ricordare gli uffici studi con l’irritante asetticità dei numeri, ci sono ancora. E si ripresenteranno intatti, se non aggravati da un quadro di ingovernabilità, la sera del 25 febbraio. Non sono un incubo da cui ci si può risvegliare urlando «la crisi non c’è più!».

    Eppure tutto pare finito in secondo piano. I sacrifici? Già fatti. I tagli? Già sufficienti. Il risanamento? Già avviato. Come se ancora una volta troppi politici ritenessero indispensabile diffondere tra gli elettori messaggi segnati dal «trionfo della facilità, della fiducia, dell’ottimismo, dell’entusiasmo», per dirla con Piero Gobetti, perché «a un popolo di dannunziani non si può chiedere spirito di sacrificio». Comunque, non a lungo.

    Dice tutto, per fare un solo esempio, la questione delle Province che nelle settimane da «ultimi giorni di Pompei» dell’agosto 2011 sembrò essere così pressante da obbligare perfino la Lega Nord, cocciutamente contraria, ad accettare una robusta amputazione e a titolare anzi su La Padania «Costi della politica, tagli epocali». Dov’è finita la soppressione o almeno la drastica riduzione delle Province? Certo, una riga qua e là nei programmi è sopravvissuta. E con Grillo e l’Idv anche Berlusconi, pur sapendo che Maroni vuole abolire solo i prefetti, torna a promettere l’abolizione. Ma se Vendola parla di «superamento delle Province» e Monti di un compito da rilanciare, il Pd nel suo «L’Italia giusta» non dedica al tema (il presidente siciliano Rosario Crocetta del resto l’ha detto: «Non cancellerò le piccole Province») una sola parola. E così Casini, Ingroia o Fini il quale invita piuttosto a «rivedere le spese regionali…».

    La cartina di tornasole, del resto, è quanto è accaduto in Sardegna. Lì i cittadini avevano detto nettamente, al referendum del maggio scorso, cosa pensano. Quorum superato, 97% di «sì» all’abolizione immediata delle quattro nuove Province inventate nel 2002 con un solo voto contrario, 66% di «sì» alla domanda (solo consultiva, stavolta) sulla soppressione delle quattro vecchie. Da allora, però, tutto è bloccato. Dovevano essere cancellate il 28 febbraio. Ma è probabile (scommettiamo?) una proroga al 2015. Nel frattempo, la Corte dei Conti ha spazzato via le chiacchiere di chi aveva promesso che il raddoppio delle Province non sarebbe «costato un centesimo»: i dipendenti sono cresciuti del 29%, la spesa del 42%. Ma che importa, in campagna elettorale?

    .……………Stella mette il dito nella piaga: gli sprechi della politica che tutti vogliono eliminare ma che rimangono lì dove sono. Quello delle Provincie è il più noto e negli ultimi mesi il più chiacchierato. Da gennaio dovevano essere scdel lo scioglimento delle camere non è stato convertito in legge. Ma come nel caso del redditometro, strumento di vessatoria persecuzione  dei contribuenti onesti, per il quale Monti non ha trovato il tempo per eliminarlo o epurarlo delle norme vessatorie, anche il decreto sulle Provincie non è stato reiterato come pure si poteva fare per mandare a casa tanti mangiapane a sbafo che occuopano i posti a sedere nelle giunte provinciali, raro esempio di inutilità pratica di una istituzione che costa allo Stato e ai contribuenti centianaia di milioni di euro e che talvolta serve solo come strumento di ricatto a qualche personaggio in cerca d’autore per ottenere posti in prima fila per le prossime consultazioni amministrative. Ogni riferimento a gente di nostra conoscenza è puramente voluto. g.


    IL TORITTESE STEFANO SARPI AL COMANDO DEL PORTO DI TRANI

    Pubblicato il 19 febbraio, 2013 in Notizie locali | Nessun commento »

    Il Capo di 1^ classe (Nocchiere di porto) Stefano SARPI  (a destra nella foto) ha oggi assunto il comando dell’Ufficio locale marittimo e del porto di Trani.

    Nato a Bari il 17 febbraio 1972, sposato e con due figli, diplomato in informatica e scienze marinaresche, si è arruolato nella Marina militare nel 1989. Nel 1990 è stato destinato al Comando flottiglia corvette di Augusta, ove è stato impiegato nella missione di sostegno alle popolazioni civili di Noto, colpite dal sisma verificatosi nel dicembre di quell’anno.

    Transitato nel 1993 nel Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia costiera, dopo il previsto periodo di addestramento alla Scuola sottufficiali della Marina militare di La Maddalena, dal 1994 al 1997 è stato destinato alla Capitaneria di Marina di Carrara, come Nostromo di quel porto.

    Distintosi nel giugno 1994 nelle attività di supporto logistico e materiale alle popolazioni alluvionate del comune di Massa Carrara, nel 1997 ha preso parte alla missione militare internazionale Alba 2, finalizzata a sostenere la ripresa e lo sviluppo delle istituzioni e della comunità civile dell’Albania.

    Dal 1997 al 1999 è stato in servizio alla Capitaneria di porto di Roma – Fiumicino, in qualità di Nostromo del porto.

    Nel 1999 è stato trasferito alla Capitaneria di porto di Bari, ove ha prestato servizio fino ad oggi e da dove proviene.

    A Bari, sede del Comando regionale della Direzione Marittima, quale componente del Nucleo di polizia giudiziaria e Capo del team ispettivo per la pesca, ha partecipato a svariate operazioni di rilievo locale, regionale  e nazionale in materia di: repressione delle attività illegali di pesca e commercializzazione dei prodotti ittici; tutela dell’ambiente marino e costiero; traffico internazionale di sostanze stupefacenti; contrasto dell’immigrazione clandestina via mare. Tra gli esiti più significativi di tali attività si annoverano l’arresto di diciannove persone (tra i quali 15 “scafisti” e 4 pescatori di datteri) ed il sequestro di oltre duecento tonnellate di prodotti ittici, privi di tracciabilità o rinvenuti in cattivo stato di conservazione.

    Munito delle abilitazioni di Ispettore comunitario sulla pesca e di Ispettore ICAAT (contrasto delle catture illegali di tonno rosso), dal 2007 al 2011 ha partecipato, nel contesto di team ispettivi multinazionali e sotto l’egida di Agenzie governative comunitarie, ad alcune missioni di vigilanza sulla pesca marittima praticata nelle acque della Croazia e della Libia. In relazione alle esperienze professionali maturate, da anni collabora con docenti universitari di Bari (Facoltà di medicina veterinaria) e Foggia (Dipartimento di scienze agrarie, degli alimenti e dell’ambiente).

    «L’incarico che oggi assume nella prestigiosa sede di Trani – si legge nella nota diffusa dalla Capitaneria di Porto – è motivo di orgoglio ed, al contempo, di consapevole responsabilità nella convinzione che, in continuità con coloro che lo hanno preceduto, il personale militare e civile dell’Ufficio locale marittimo di Trani saprà profondere ogni sforzo allo scopo di corrispondere, in modo efficace, alle esigenze  ed ai bisogni della comunità, delle istituzioni e del ceto marittimo, a tutela di quelle esigenze di trasparenza e legalità che sono patrimonio comune ed indefettibile».

    ……Al neo comandante gli auguri di buon lavoro.

    IN ITALIA BOLLELLE DI LICE E GAS PIU’ CARE DEL 20% RISPETTO ALL’EUROPA

    Pubblicato il 18 febbraio, 2013 in Il territorio | Nessun commento »

    Gas ed energia al top delle tariffe Ue. Il caro gas e luce non dipende dai costi della materia prima ma ancora una volta da quanto incidono le tasse sui consumi delle famiglie. Paesi europei a confronto

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    L’Italia non detiene solo il record del Big Mac più caro d’Europa. Anche le forniture di gas ed energia condividono il primato dei prezzi più elevati tra i Paesi del vecchio continente. Con l’evidente differenza che fare a meno di queste ultime non giova alla salute. Anzi.

    Una famiglia media italiana spende circa 1.820 euro all’anno per le utenze di gas e luce, con costi unitari del 20% superiori rispetto a quelli in vigore in Spagna, Germania, Francia e Gran Bretagna: è questo, in breve, il fosco quadro che vede gli Italiani spendere di più anche in questo settore. A stabilirlo è un’analisi di Facile.it che ha analizzato le tariffe medie riservate alle famiglie italiane. Vediamo i conti nel dettaglio:

    GAS
    Per quanto riguarda i consumi di gas, una famiglia media italiana spende circa 1.300 all’anno (considerando un consumo annuo medio di 1.400 metri cubi): potrebbe risparmiare ben 260 euro l’anno se avesse le tariffe unitarie in vigore nei principali paesi europei. Il costo medio al metro cubo da noi è pari a 0,93 euro, contro lo 0,75 euro al metro cubo medio di Germania, Inghilterra, Francia e Spagna.

    LUCE
    Per la luce, invece, una famiglia tipo paga in Italia circa 520 euro all’anno (per un consumo annuo medio di circa 2.700 KWh): potrebbe risparmiare 73 euro ogni anno se potesse contare sulle tariffe unitarie in vigore negli altri Paesi considerati. Paghiamo infatti 0,191 euro per KWh, contro gli 0,164 euro per KWh spesi in media da Germania, Inghilterra, Francia e Spagna.

    Ma perché questa differenza?
    La spesa unitaria varia perché da noi i prezzi della materia prima gas e della quota energia della luce sono tassati maggiormente rispetto all’estero: da qui i rincari, che si ripercuotono sulle bollette.
    Nel dettaglio, il prezzo della materia prima gas in Italia è in linea con quello pagato dagli altri Paesi europei (0,62 euro/mc in Italia vs 0,62 euro/mc degli altri quattro Stati), mentre è molto forte la differenza di tasse ed imposte sulla bolletta (ben 0,31 euro/mc in Italia, contro uno 0,13 euro/mc per gli altri Paesi).
    Se sull’energia elettrica il prezzo italiano della quota energia è leggermente più alto rispetto alla media altri Paesi analizzati (0,132 euro/KWh in Italia vs 0,122 euro/KWh degli altri Paesi – con l’eccezione della Germania che è di molto sopra la media), è notevole il diverso peso delle tasse e delle imposte applicate alle bollette italiane (0,059 euro/KWh contro lo 0,042 euro/KWh degli altri Paesi considerati).

    Di seguito il dettaglio delle tariffe in vigore per il gas nei cinque Paesi europei:

    Nazione tariffe unitarie in vigore (€/mc) Tasse e imposte sulle bollette (€/mc) Costo materia prima (€/mc)
    Italia 0,93 € 0,31 € 0,62 €
    Spagna 0,82 € 0,13 € 0,69 €
    Germania 0,77 € 0,20 € 0,57 €
    Francia 0,76 € 0,12 € 0,64 €
    Gran Bretagna 0,63 € 0,03 € 0,60 €

    Queste, invece, le differenze per l’energia elettrica:

    Nazione tariffe unitarie in vigore (€/KWh) Tasse e imposte sulle bollette (€/KWh) Costo materia prima (€/KWh)
    Germania 0,227 € 0,099 € 0,128 €
    Italia 0,191 € 0,059 € 0,132 €
    Spagna 0,159 € 0,029 € 0,130 €
    Gran Bretagna 0,147 € 0,005 € 0,142 €
    Francia 0,123 € 0,036 € 0,087 €

    .…e nessuno che dica che bisogna ridurre i prezzi di luce e gas alla media europea.