L’ITALIA DELLE TRUFFE, 300 MILIONI NEL 2012 DAI PONTI SCIVOLOSI ALLE MERENDINE

Pubblicato il 10 febbraio, 2013 in Costume, Giustizia, Politica | Nessun commento »

Ponte della Costituzione a Venezia, progettato dall'architetto spagnolo Santiago CalatravaDal ponte di Venezia ’scivoloso’ al maestro marchigiano che mette in tasca alimenti destinati agli alunni, passando per casi malasanità, corruzione, frode. E’ l’Italia degli sprechi e delle frodi fotografata in un dossier messo a punto dalla procura generale della Corte dei Conti che ha messo insieme le iniziative più rilevanti dei procuratori regionali. Casi che nel 2012 hanno comportato un pregiudizio economico che “in base ad un calcolo necessariamente provvisorio si valuta in oltre 293,632 milioni di euro”.

La Corte dei Conti ha scandagliato l’attività condotta lo scorso anno da tutte le procure regionali e ha messo insieme “le fattispecie di particolare interesse, anche sociale, rilevanti per il singolo contenuto e per il pregiudizio economico spesso ingente”. Dal parcheggio messo sotto sequestro a Genova perché insisteva in un sito sottoposto a vincolo storico-paessaggistico al giro di mazzette nelle camere mortuarie dei nosocomi di Milano, dalle consulenze “inutili” (così le definisce la stessa magistratura contabile) della provincia di Napoli o della “erronea” utilizzazione del tariffario da parte delle Asl calabresi per le prestazioni specialistiche e di laboratorio, la casistica delle truffe e dei danni allo Stato è ampia. Nei faldoni finiti nel mirino dei magistrati contabili anche consulenze non lecite, “imprudenza nella stipulazione di contratti di finanza derivata”, omessa riscossione delle imposte. Fonte ANSA, 10 fe3bbraio 2013

CHI VOTA GRILLO SI RITROVA FALCE E MARTELLO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 10 febbraio, 2013 in Politica | Nessun commento »

Molti elettori sono tentati di votare la lista di Grillo. Su Cinquestelle si è scritto mol­to e dicono che il comico ci riserverà fuochi d’artificio per il gran fi­nale della campagna elettorale. Non ne dubitiamo. Negare la sua capacità di at­trarre simpatia e, su alcuni temi, anche consenso sarebbe da stupidi. Lo dicono i sondaggi, da oggi proibiti, lo si sente di­re al bar e perfino in qualche salotto be­ne. L’uomo catalizza su di sé tutta l’at­tenzione in maniera esclusiva e milita­re, tanto che chi, all’interno del suo mo­vimento, ha tentato di farsi riconoscere dal grande pubblico è stato espulso. Non si tratta solo di ambizione od os­sessione. È una strategia politico-me­diatica ben studiata, tanto che i giorna­li, a differenza di quanto avvenuto con altri partiti, non hanno passato al setac­cio e radiografato liste e candidati del movimento. Detto che Grillo non andrà in Parlamento, noi elettori ancora oggi non sappiamo chi saranno i futuri sena­tori e deputati Cinquestelle. Brava gen­te, ci dice Grillo, pescata dalla società ci­vile. Di questo non ne dubitiamo,ma c’è bravo e bravo, nel senso che ci sono bra­vi liberali, bravi comunisti, bravi fasci­sti. È un caso che gli espulsi più celebri di Cinquestelle abbiano trovato posto nel­le liste di Ingroia e del Pd? Io non credo, e un primo esame dei candidati «anoni­mi » di Grillo lo conferma. La sua è una società civile che arriva soprattutto dal­l’area della sinistra radicale, dal movi­mento No Tav, dai Cobas, dal mondo dell’ambientalismo ideologico. Ciò è le­gittimo, ma mi chiedo perché nascon­derlo con tanta meticolosità. E forse una risposta è che il dichiararlo rende­rebbe meno appetibile quel voto tra gli elettori indecisi che in passato hanno sempre dato la preferenza al centrode­stra. Insomma, chi vota Grillo non manda in Parlamento il simpatico comico, ma persone che mai e poi mai avrebbe vota­to se solo informato. Non perché inde­gne, ma perché lontane anni luce dalla propria idea politica. Ammazzare la ca­sta è un conto e può anche stuzzicare l’appetito. Farsi rappresentare e affida­re il proprio futuro a radicali di sinistra è altra cosa. Perché esaurita la risata del «li abbiamo mandati a casa», ci sarà po­co da ridere. Il Giornale, 10 febbraio 2013

NAPOLITANO SCOPRE L’ACQUA CALDA: IL COMUNISMO E’ FALLITO (CON UN POST SCRIPTUM: MA ERA TANTO BELLO…)

Pubblicato il 9 febbraio, 2013 in Costume, Storia | Nessun commento »

Napolitano dice che il comunismo ha fallito (con un post scriptum: ma era tanto bello)

Di acqua sotto i ponti ne è passata, ma ancora tanta ne deve passare. Certo, sono trascorsi parecchi anni da quel maledetto 1956 quando, all’indomani dell’invasione dei carri armati sovietici a Budapest – che sparavano sulla folla inerme – e della fucilazione dei rivoltosi ungheresi, Giorgio Napolitano non solo non ne prendeva le distanze ma elogiava l’Urss che, a suo dire, rafforzava la pace nel mondo. Cinquantasette anni dopo Napolitano è presidente della Repubblica, è stato il regista della stagione di Monti, di cui ha santificato l’azione dal primo all’ultimo giorno, dando il “la” al coro dei laudatores. E ora interviene in campagna elettorale con una confessione storica a metà, che serve soprattutto a tranquillizzare quella parte di mondo cattolico che ha molte riserve sulla sinistra. Sceglie – guarda caso– il giornale del Vaticano, l’Osservatore Romano, per dire che il «comunismo ha fallito», un modo come un altro per dire “non preoccupatevi, il matrimonio Bersani-Monti s’ha da fare”. C’è un “ma”: parla infatti del «rovesciamento di quell’utopia rivoluzionaria che conteneva in sé promesse di emancipazione sociale e di liberazione umana» e che aveva finito «come, con fulminante espressione, disse Norberto Bobbio, per capovolgersi, nel convertirsi di fatto nel suo opposto». Come dire: l’ideologia era ottima, la concretizzazione sbagliata. Quindi è una finta bocciatura anche perché – al di là della teoria del dissolvimento dello Stato, ormai finita nel dimenticatoio – il punto cruciale è nell’insieme di conseguenze negative e drammatiche che ha avuto la dottrina marxista (e quindi l’ideologia). Che – checchè ne dica o ne pensi Napolitano – non è mai stata tesa né all’emancipazione sociale né alla liberazione umana. Tutto questo senza neppure scomodare gli effetti delle correnti di pensiero trotzkista o leninista, su cui sarebbe superfluo soffermarsi. 9 febbraio 2013

10 FEBBRAIO: RICORDARE LE VITTIME DELLE FOIBE TITINE CANCELLANDO I NOMI DEI CARNEFICI DALLA TOPONOMASTICA ITALIANA

Pubblicato il 9 febbraio, 2013 in Politica, Storia | Nessun commento »

A quasi 70 anni dai fatti, ci sono ancora dozzine di strade e piazze intitolate al Maresciallo, “il boia degli italiani”

Provate a immaginare una giornata della memoria dell’Olocausto celebrata in un Paese dove ci siano delle vie o piazze dedicate ad Hitler oppure a uno dei suoi gerarchi.

Domani, 10 febbraio, lo Stato ricorda l’esodo di oltre 200mila istriani fiumani e dalmati e la tragedia delle foibe con le sue migliaia di vittime. Però una dozzina di vie di città italiane sono ancora intitolate al maresciallo Tito, boia degli italiani alla fine della seconda guerra mondiale.

Da due anni il sindaco di Calalzo (Belluno), Luca de Carlo, e il suo assessore, Antonio Da Col, sono impegnati nella battaglia per cambiare la toponomastica dedicata al fondatore della Jugoslavia comunista. Nel 2011 hanno scritto al presidente Giorgio Napolitano: «Sarebbe un segnale fondamentale per ricomporre le tragedie della storia, se Lei decidesse di accogliere il comune sentire delle nostre genti ritirando le onorificenze a Tito (oltre che ai suoi colonnelli Ribicic e Rustja) e contestualmente disponendo la rimozione in tutto il Paese dei toponimi ad essi intitolati». Nessuna risposta è mai arrivata dal Quirinale.

Josep Broz Tito venne decorato nel 1969, dall’allora presidente Giuseppe Saragat, come «Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana» con l’aggiunta del Gran cordone, il più alto riconoscimento. Nessuno ha mai pensato di levargli questa onorificenza per «indegnità», come è previsto dalla legge. L’Italia l’ha fatto lo scorso anno, per la stessa onorificenza di Tito, che Napolitano aveva appuntato sul petto di Bashar al Assad nel 2010. Il presidente siriano, pur immerso fino al collo nel bagno di sangue nel suo Paese, non ha mai ucciso però un solo italiano.

Oltre a Tito sono stati decorati dal Quirinale i suoi uomini più fidati: Mitja Ribicic, Cavaliere di Gran Croce e l’ammiraglio jugoslavo Franjo Rustja. Il primo, nel 1945, era un alto ufficiale della polizia segreta attiva contro gli italiani. A Lubiana, nel 2005, venne aperta un’inchiesta a suo carico per crimini di guerra, ma 60 anni dopo è stato impossibile trovare le prove.
L’ammiraglio Rustja nei terribili 40 giorni dell’occupazione di Trieste (maggio-giugno 1945) era primo assistente al comando del IX Corpus. L’unità di Tito che deportò e fece sparire per sempre molti italiani.

Lo scorso anno il sindaco di Calalzo ha inviato la lettera contro le vie e piazze dedicate a Tito alla dozzina di comuni italiani che le ospitano tutt’oggi.

Luigi Aurelio Verrengia, nel 2011 primo cittadino di Parete nel casertano, aveva dichiarato: «Non sono favorevole alla rimozione, a meno che non sia determinata da disposizioni legislative. Penso che sia orrenda la storia delle foibe, ma resta pur sempre la valutazione che Tito ebbe una funzione storica rispetto all’antinazismo e all’antifascismo».

Il sindaco di Scampitella, in Campania, aveva promesso di farlo, ma via Tito campeggia ancora su Google map vicino a via Kennedy. Stesso discorso per Campegine (Reggio Emilia) dove una mozione di Pdl e Lega per cancellare via Tito è stata respinta. «Nonostante tutto è stato un grande statista» aveva detto nell’occasione Luca Vecchi, capogruppo del Pd. Via Maresciallo Tito spicca anche a Cornaredo, in Lombardia. A Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento, è vicina alla strada dedicata a Palmiro Togliatti e a quella a Mao Tse Tung.

Non a caso i sindaci interpellati non hanno risposto al sindaco di Calalzo, che ieri, assieme a una delegazione dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia, che rappresenta gli esuli, è andato a protestare dal prefetto di Belluno. «Sono state levate le medaglie ad Assad e a Tanzi, dopo il crack Parmalat, ma non a Tito – spiega De Carlo a il Giornale -. Lancio l’idea di una raccolta di firme in Rete per ritirare l’onorificenza al boia degli italiani e cambiare i nomi di vie e piazze a lui intitolate».

Sembra assurdo, ma nel silenzio tombale del Quirinale e di tanti comuni è l’unico scossone di un paese che celebra le vittime delle foibe con manifesti di rito intrisi di luoghi comuni  e allo stesso tempo continua a onorare il loro carnefice, il comunista Tito e i suoi complici.

IL MONTE (DEI PASCHI) E DEI FAVORI: SCONTI A PD, CGIL E ARCI

Pubblicato il 3 febbraio, 2013 in Economia, Politica | Nessun commento »

Ecco il Monte dei favori:  sconti sui mutui a Pd, Cgil e Arci. E gli altri protestavano...Giuseppe Mussari e Susanna Camusso

di Franco Bechis

Ha una convenzione con il Partito democratico direzione nazionale, ormai estesa a gran parte delle federazioni locali. È  sui conti correnti del Monte dei Paschi di Siena che ora affluiscono i finanziamenti pubblici al Pd, come quelli privati  e la percentuale che viene chiesta dal partito sullo stipendio dei propri eletti, designati e nominati in incarichi pubblici e privati. Ma il Monte dei Paschi di Siena ha un rapporto commerciale speciale con l’intera galassia rossa: partito, associazioni, sindacato di riferimento. È  la banca rossa che si gioca questo primato ormai con un solo concorrente: il gruppo Unipol, nato e cresciuto fra le cooperative rosse. La banca rossa della rossa Toscana da una parte e la banca rossa della rossa Emilia dall’altra. Non è un caso se spesso fra i due gruppi c’è stata tensione (come all’epoca dei contrapposti piani su Bnl), se il partito si è spaccato spesso fra i tifosi dell’uno e dell’altro polo finanziario.

Monte dei Paschi di Siena ha una convenzione bancaria quadro con tutta la Cgil di Susanna Camusso. È  una convenzione talmente importante e favorevole da essere stata inserita fra i principali motivi di adesione alla Cgil nelle ultime campagne tesseramento del sindacato guidato dalla Camusso. Per non fare torto a nessuno dei due poli finanziari rossi la Cgil ha sottoscritto una convenzione assicurativa con il gruppo Unipol e una bancaria con Mps che «prevede per gli iscritti alla Cgil agevolazioni importanti nella gestione dei conti correnti, per i mutui, per i risparmi, i prestiti personali, anche a favore dei lavoratori atipici e immigrati».

Infatti le convenzioni Mps-Cgil sono più di una, in modo da dare un prodotto adeguato per ogni categoria assistita dal sindacato. C’è una convenzione generale di cui possono usufruire tutti gli iscritti. Ma ce ne è una per i pensionati della Camusso sottoscritta fra la banca senese e lo Spi-Cgil: 5 euro di spese bancarie al trimestre per operazioni illimitate, bancomat gratuito il primo anno, tassi assai favorevoli anche per lo scoperto di conto corrente da una a sei mensilità della pensione ricevuta, e in  più (per chi avesse questo privilegio), abbattimento del 50% di tutti i costi standard per la gestione, amministrazione e custodia di titoli, e addebito gratuito di tutte le utenze in conto corrente. C’è una convenzione per gli immigrati iscritti alla Cgil, che abolisce le commissioni su rimesse e bonifici all’estero fino a 250 euro e da lì in poi applica una commissione dello 0,15%. Si tratta in genere di condizioni assai vantaggiose, che non poche volte hanno provocato le proteste di altre forze sindacali che non sono riuscite ad avere con la banca rossa o altri istituti di credito convenzioni paragonabili.

Anche una parte consistente dell’associazionismo rosso ha trovato nel Monte dei Paschi di Siena la banca di riferimento, e chissà se il solido rapporto riuscirà a sopravvivere alla bufera politico-finanziaria di queste ore. Ci sono convenzioni specifiche ad esempio con buona parte della galassia Arci. Le condizioni dipendono anche dal numero degli iscritti. Il contratto ad esempio con Arci pesca è buono, ma non così favorevole come quello dei pensionati Cgil. Gli sconti maggiori riguardano l’abbattimento del 50% delle spese di custodia titoli e delle spese di istruttoria per le pratiche di mutuo fondiario, per cui sono garantiti finanziamenti a 40 anni. Tassi più favorevoli di quelli di mercato anche per i prestiti personali a rimborso rateale per importi fino a 60 mila euro rimborsabili in un arco massimo di dieci anni.

La raffica di convenzioni dimostra come il Monte dei Paschi sia diventata ben al di là di Siena la banca rossa per eccellenza per il Pd, la Cgil e tutto il loro retroterra. Come lo dimostra la progressiva trasformazione compiuta dalla metà degli anni Novanta in banca di riferimento delle lotte intestine al Pd. Qualcosa si è capito durante le primarie dell’autunno scorso, quando Matteo Renzi, infilzato da Pier Luigi Bersani per il suo rapporto con Davide Serra e i paradisi fiscali, lo ha zittito: «Spieghi lui Mps e le operazioni con  Banca 121 e Antonveneta». Parole non colte nella loro profondità. Assai interessanti ora che è esploso lo scandalo finanziario legato proprio a quelle operazioni di Mps. Libero, 3 febbraio 2013

…..…C’è ancora qualcuno che possa mettere in dubbio il legame tra il PD e il Monte dei Paschi di Siena?

IL QUIRINALE, CIOE’ NAPOLITANO CI COSTA 228 MILIONI DI EURO L’ANNO

Pubblicato il 2 febbraio, 2013 in Costume, Politica | Nessun commento »

Tre milioni di euro per le spese di acqua, luce, gas e tv; 372mila euro per abiti e biancheria; 545mila euro per la manutenzione dei mobili, 144mila euro per bestiame e macchinari agricoli. E altro ancora…

Non basta tagliare alcuni rami per sfoltire un albero gigante. Per questo, al netto della riduzione del personale e della spesa, il Quirinale continua a gravare inesorabilmente sul bilancio dello Stato (e quindi dei contribuenti).

Duecentoventotto milioni di euro. Una cifra che, se paragonata a quella di Buckingham Palace o del palazzo presidenziale tedesco, fotografa perfettamente l’anomalia italiana. Il Colle costa quasi dieci volte in più dell’equivalente tedesco, circa otto volte tanto il palazzo della Regina Elisabetta, il doppio dell’Eliseo, tanto per fare solo alcuni esempi.

Tuttavia, per il segretario generale della Presidenza, Donato Marra, fare un paragone del genere è controproducente, specie “in riferimento alle forme di Stato monarchico” dove i “costi di funzionamento degli apparati delle Case reali gravano solo in parte su una dotazione specifica (appannaggio, civil list), mentre per la parte restante sono assunti direttamente a carico del bilancio dello Stato”.

Sul sito della presidenza della Repubblica viene spiegato che la dotazione a carico del bilancio dello Stato resta su un livello sostanzialmente analogo a quello del 2008, che è stato esteso a tutto il personale di ruolo il regime previdenziale contributivo, che tale personale di ruolo è stato ridotto di 24 unità (da 823 a 799) mentre è rimasto sostanzialmente stabile (da 103 a 102 unità) l’ammontare del personale comandato e a contratto; che anche il personale militare e delle forze di Polizia distaccato per esigenze di sicurezza si è ridotto di 42 unità (da 861 a 819). Insomma, nel corso del settennato il personale complessivamente a disposizione dell’Amministrazione si è pertanto ridotto di ben 461 unità.

Tuttavia resta il fatto che la spesa complessiva prevista ammonti a 228 milioni di euro. Ma come viene ripartita questa spesa? Dal documento analitico di bilancio pubblicato sul sito della presidenza della Repubblica si evidenzia per esempio una cifra di più di 3 milioni di euro per le spese di acqua, luce, gas e tv; superano i due milioni e mezzo (2.620.828) le spese della voce “consiglieri e consulenti” del Presidente della Repubblica.

Inoltre, 185mila euro servono per portare Giorgio Napolitano in giro per il mondo; 372mila euro per abiti e biancheria; 545mila euro per la manutenzione dei mobili. Se non bastasse, ci sono poi 398mila euro per le spese di cucina, banchetti e cene istituzionali. Per il bestiame e le attrezzature agricole, il Colle spende 144mila euro.

Tra le voci più costose del bilancio c’è quella relativa alla tenuta di Castelporziano per la quale (oltre a uno specifico contributo del ministero dell’Ambiente di 500mila euro e i quasi 50mila euro derivanti dalla vendita di esemplari di fauna selvatica della tenuta) si spendono, sola per la gestione forestale e faunistica, 120mila euro.

E poi ci sono 580mila in agenzie di informazioni, pubblicazioni, servizi fotografici e video, 160mila euro di spese postali. Insomma, se da un lato è apprezzabile lo sforzo attuato nel ridurre la spesa complessiva, dall’altro questa resta comunque a livelli spropositati. Sopratttutto in tempo di crisi economica. Il Giornale, 2 febbraio 2013

.………………Insomma lo Stato, cioè noialtri, paghiamo a Napolitano anche i tanti doppiopetti che indossa con rara eleganza, con l’eleganza di un re, del resto, anche per la sua rassomiglianza con lo scomparso ultimo Re d’Italia, Umberto 2°, così lo avevano ribattezzato nel suo PCI, sin dai tempi dell’Assembela Costituente. Perchè l’on. Napolitano, alla faccia del rinnovamento, vive con gli emolumenti di appartenenbte alla Casta sin da allora, cioè da ben 67 anni, e gli ultimi sette li ha vissuti da re e imperatore, quale nemmeno l’unico che si potuto fregiare, legittimamente di questo titolo, Vittorio Emanuelel 3°, abbia mai fatto. Ovviamente, come tutti,  l’on. Napolitano predica e si commuove spesso e volentieri, specie quando si occupa della gente italica che non può coniugare pranzo e cena, ma vive gaudente anche queste ultime settimane che lo separano dalla fine del mandato, ben sapendo che dopo e finchè campa lo attende il laticlavio senatoriale, un comodo ufficio con tanto di segretari e segretarie e  macchina e autista, il tutto a spese dxello Stato. Non c’è male per un ex comunista la cui unica preoccupazione era il benessere delle classi operai. Ma per queste resta solo il Paradiso nell’altro mondo…in questo il Paradiso è riswervato a Napolitano e i taqnti come lui. g.

BERSANI CI SBRANA (E CI FA PAGARE LA NUTELLA), di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 2 febbraio, 2013 in Politica | Nessun commento »

Bersani lo aveva promesso: chi parla o scrive del Pd e del Montepaschi di Siena lo azzanniamo. Detto fatto. Ieri ha annunciato di averci querelato. Non conosciamo ancora i dettagli ma possiamo immaginare. Ha paura, il segretario, di perdere le elezioni proprio sul più bello, come già capitò a un suo avo, Achille Occhetto. Quindi guai a riportare e amplificare, come abbiamo fatto in questi giorni, uno scandalo che il procuratore di Siena ha definito «esplosivo» e che coinvolge tutta la finanza di sinistra (i pm di Milano parlano della «banda del 5 per cento», riferendosi a presunte tangenti).

La querela non mi spaventa, né intimorisce. Come noto ne ho viste di peggio. E oggi offro a Bersani nuovi spunti per nuove querele. Infatti pubblichiamo come i suoi consiglieri regionali lombardi (compreso il fedelissimo capogruppo Luca Gaffuri) spendevano i nostri soldi: Nutella, gelati, ombrelli, cene e quant’altro. Che fa, segretario? Ri-denuncia me o butta fuori loro dal partito? Oltre che da un ex segretario accusato di tangenti (Penati), da finanzieri e banchieri imbroglioni, Bersani è assediato anche da decine di Belsito. Ma non si può dirlo, figuriamoci scriverlo. Meglio che la gente non sappia di che pasta è fatto il partito degli onesti, dei puri e illibati. Caro segretario, se ne faccia una ragione: a voi di sinistra vi hanno beccato con le mani nella Nutella, quella vera e, metaforicamente parlando, quella assai più dolce dei quattro miliardi che potrebbero mancare nei conti del Montepaschi (e da noi ripianati con l’Imu).

Questa volta, le assicuro segretario, non ho intenzione di ricadere nel reato di omesso controllo. Lavorerò e vigilerò perché tutto, ma proprio tutto quello che riguarda banche e consiglieri di area Pd, venga scritto senza sconti od omissioni. Un partito che si dice democratico dovrebbe approvare e incentivare. Lei sceglie la strada della querela generica, senza chiedere eventuali smentite o precisazioni che sarebbero ben accette e che la invito a fare. Ciò si chiama minaccia, intimidazione, pratica nota e applicata nei regimi comunisti. Appunto. Il Giornale, 2 febbraio 2013

MPS: ADESSO CI DEVONO SPIEGARE, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 31 gennaio, 2013 in Costume, Economia, Politica | Nessun commento »

Da oggi la finanza legata alla sinistra ha un nome: quelli del 5 per cento, che è il valore delle tangenti che i signori trattenevano per sé.

Il presidente di Mps Alessandro Profumo

La presunta superiorità morale ed etica di quel mondo sta crollando sotto i colpi di una inchiesta, quella sulla banca Monte dei Paschi, che il cauto procuratore di Siena ha definito ieri «esplosiva». Il buco creato dai banchieri del Pd lo abbiamo già tappato noi, versando quei quattro miliardi di Imu sulla prima casa che corrispondono alla somma girata a Siena dal governo Monti per tamponare il buco e salvare la baracca.
Ora Bersani la smetta di minacciare. Ci sbrani, se vuole mantenere la parola data per tentare di silenziare il caso. Ma credo che il suo problema sia oggi quello di non essere rincorso con i forconi dai suoi elettori, truffati dalla banca e beffati dall’uso disinvolto di euri pubblici fatto dai consiglieri Pd della Regione Lombardia (20 indagati, compresi i soci che fanno capo a Di Pietro). Ma anche Monti la deve smettere di fare il santarellino indignato. Il suo governo ha dato, di fatto, copertura economica e mediatica a quello che è il più grande scandalo bancario della Repubblica. Di più. Il suo ministro dell’Economia, quello dell’Imu, del rigore, dell’aiuto al Montepaschi, del «non abbiamo soldi per i terremotati», quello che ieri si è presentato in Parlamento per autoassolversi, non la racconta tutta. Per esempio, lui che all’epoca era già ai vertici dell’economia italiana, non ha spiegato come mai il Monte dei Paschi gli concesse un mutuo superiore al valore della casa che stava per comperare. Prassi anomala, con i tempi che corrono è già tanto se a un comune mortale le banche finanziano il 50 per cento del necessario.
Insomma, Bersani e Monti volevano farci fessi, con i loro loden e le loro primarie democratiche. Per fortuna non è che tutti gli altri sono «qui a pettinare le bambole», come ama dire il leader del Pd. E adesso che lo spieghino agli elettori cosa è successo. E ci restituiscano i soldi dell’Imu, che noi in questo schifo non c’entriamo nulla. Il Giornale, 31 gennaio 2013

.…………….Oggi i giornali titolano che la Banca senese era governata da una banda di malfattori. Ma a sentire la papessa Bindi ieri sera a Porta a Porta la faccenda è diversa. Come nessu no lo dice, nè lo ha detto la Bindi che dall’alto della presunta supeirorità etica del centrosinistra tentava, inutilmente, di arginare l’offensiva assai documentata del direttore di Libero Maurizio Belpietro ( a proposito, il PDL eviti di mandare in trasmisisone belle “guaglione” ma assai inadatte a controbattere una come la Bindi…) che tra l’altro ha citato lo statuto del PD  senese che tutti i nominati negli enti, pubblici e privati, come appunto il Monte dei Paschi di Siena, hanbno l’obbligo di versare oboli sostanziosi al partito. Come Mussari, il pluriindagato in quyesta storiaccia, che al PD ha versato in qualche anno ben 700 mila euro. “Liberalità“, li ha definiti la Bindi… Dopo di che, ogni commento è inutile e superfluo.g.

TRE DOMANDE DI PARTE A UN PRESIDENTE DI PARTE, di Marcello Veneziani

Pubblicato il 30 gennaio, 2013 in Politica, Storia | Nessun commento »

Illustre Presidente Napolitano, dopo aver sentito il suo vibrante discorso sul fascismo e l’antisemitismo, mi permetta di rivolgerle tre brevi domande.

La prima. Sapeva che il presidente dell’infame Tribunale della razza, nonché firmatario del «Manifesto della razza», Gaetano Azzariti, diventò il più stretto collaboratore del suo leader Togliatti al ministero di Grazia e Giustizia, dopo essere stato Guardasigilli con Badoglio? Avete mai avuto nulla da ridire, lei e il suo Partito, sul fatto che poi, grazie a questi precedenti, lo stesso Azzariti sia diventato presidente della Corte costituzionale fino alla sua morte nel 1961?

La seconda. Sapeva che il primo concordato tra lo Stato italiano e gli ebrei fu fatto nel 1930 dal regime fascista? Una commissione composta da tre rappresentanti degli ebrei e tre giuristi varò un concordato in cui, scrive De Felice, «il governo fascista accettò pressoché in toto il punto di vista ebraico». Il presidente del consorzio ebraico, Angelo Sereni, telegrafò a Mussolini «la vivissima riconoscenza degli ebrei italiani» e sulla rivista ebraica Israel Angelo Sacerdoti definì la nuova legge «la migliore di quelle emanate in altri Stati».

Terzo. Presidente, ha mai detto e scritto qualcosa sulle centinaia di italiani, comunisti, antifascisti e a volte anche ebrei, che fuggirono dall’Italia fascista e furono uccisi nella Russia comunista con l’avallo del segretario del suo partito, il sullodato Togliatti? In Italia, persino sotto il Duce, avrebbero avuto una sorte migliore…  . Il Giornale, 30 gennaio 2013

.……………..Non aspetti risposta Veneziani da Napolitano, uno dei più fedeli sudditi italiani del regime comunista, responsabile non solo della morte delle centinaia di militanti comunisti italiani fuggiti nel paradiso proletario  trovandovi il carcere e la morte, ma non ha mai versato una lacrima sui milioni di russi amamazzati e trucidati dal regime sovietico nei lunghi  e terribili anni delle purghe staliniste, nei lager siberiani o  nelle carceri moscovite dove scomparivano nel nulla, come se mai fossero esistiti. Certo, il regime fascista fu sicuramente un regime autoritario e liberticida, ma allo stesso modo, assai peggio, lo fu il regime sovietico ma mentre del primo, ad ogni occasione, se ne ricordano le nefandezze, dell’altro si fa di tutto per occultarne addirittura l’esistenza, come se  dal 1917 al 1989, la Russia, e tanta parte del mondo, siano state governate da tante mammollette e non, invece, dai peggiori carnefici  che la storia ricordi, non foss’altro per il numero delle vittime, c’è chi sostine decine di milioni di vittime. Ma Napolitano pare non averne nè memoria nè pentimento, non tanto personale, quanto della sua parte politica che mai ha fatto i conti con la storia e con se stessa. Del resto, Togliatti, accusato di aver personalmente autorizzato l’assassinio di tanti comunsiti italiani non ortodossi, è lo stesso Guardasigilli che non solo, come ricorda Veneziani, arruolò al ministero che guidava il presidente del Tribunale della razza voluto da Mussolini dopo la promulgazione delle leggi razziali, ma fu lo stesso che volle l’amnistia per gli ex fascisti, molti dei quali, tantissimi, transitarono dal fascismo al comunismo, spesso diventandone autorevoli esponenti, come negli anni roventi del primo dopoguerra un libro, “Camerata dove sei?”, documentò con nomi e cognomi, da ex littori a famosi intelettuali che smisero la sahariana per indossare la camicia rossa. Ma di questo, disinvoltamente, pur nella fremente ira del momento, Napolitano ha preferito tacere, Ovviamente tacerà anche alle domande di Veneziani. g.

LO SVILUPPO DELL’IGNORANZA, OVVERO IL CAPITALE UMANO TRASCURATO

Pubblicato il 30 gennaio, 2013 in Cultura, Politica | Nessun commento »

La vergogna della mancata riforma elettorale non ha ostacolato un’abbondante fioritura di promesse sui provvedimenti da assumere all’indomani delle elezioni. Immediati, si dice, e draconiani. Nei primi cento giorni, nei primi dieci giorni, nella prima settimana, nella prima seduta del consiglio dei ministri, con il primo decreto legge… E allora dimezzamento dei parlamentari, regolamentazione dei conflitti d’interesse, nuova legge elettorale, abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, eliminazione di questa o quella tassa (e perché non di tutte le tasse?) e via vaneggiando. La classe politica, rosa dall’ansia che l’opinione pubblica pensi di lei quello che effettivamente pensa, si compiace di immaginarsi risoluta, volitiva e imperiosa. E si concentra non sul breve, ma sul brevissimo termine, quasi che l’illusione di immediatezza possa compensare il suo crescente discredito.

Del resto, questa nevrotica compressione dell’orizzonte temporale, che diventa una sorta di presbiopia, di incapacità di vedere lontano, non è una novità. È anzi il carattere saliente, o meglio la peggior malattia, del (mancato) riformismo italiano. Non è affatto vero che non abbiamo avuto riforme. Ne abbiamo avute troppe. Una girandola di riformine e riformette, messe insieme alla bell’e meglio, lasciate a mezzo come scheletri di edifici mai finiti, abbattute dal successivo governo, parzialmente ricostruite dal successivo del successivo. Non le riforme ci sono mancate, ma un indirizzo riformatore determinato e costante, in grado di sopravvivere oltre i due o tre anni di vita media dei governi. Una politica, la nostra, priva della terza dimensione, in cui l’idolatria dell’urgenza ha cancellato la profondità temporale. La ragione vera, cioè quella pratica, di questa angustia mentale è che i frutti di molte riforme non sono affatto immediati, non si vedono nell’arco di una legislatura. E sono perciò, elettoralmente parlando, ininfluenti. Quindi inutili. Nulla illustra meglio questo assunto del complesso formazione – istruzione – educazione, ossia valorizzazione del capitale umano. La cui pressoché totale assenza dal dibattito elettorale è stupefacente ancor prima che scandalosa.

È ben vero che se ne fa menzione nei programmi dei partiti, ma o in modo riduttivo, come nel programma del Pd sotto la sola voce «Istruzione» (che si risolve poi in promesse, assai elettorali, di aumenti di stipendio agli insegnanti). O in modo disorganico e rimandando la pratica a tempi migliori, come nel programma di Monti. Presenze compunte e doverose, come l’elemosina in chiesa, in sintonia con quella visione ornamentale della cultura che è il sintomo più vistoso della nostra arretratezza. In realtà, se su questi temi si tossicchia, si deglutisce e poi, all’atto pratico, si procede a qualche ulteriore taglietto (tanto quelli protestano comunque…) è perché non si riesce a capire di che cosa si stia in effetti parlando. Non si riesce a vedere il nesso tra una scuola rabberciata, una formazione professionale spregiata, un’università sgangherata, tassi di lettura desolanti e la loro logica conseguenza, cioè una bassa, bassissima produttività.

Viviamo in un Paese in cui il 5 per cento della popolazione adulta (dai 14 anni in su) legge da solo quasi il 50 per cento dei libri acquistati. Abbiamo cioè un’infrastruttura culturale ottocentesca, un elitarismo ridicolo, ma esigiamo la democrazia dei consumi e il welfare del terzo millennio.

Una politica cieca non riesce a liberarsi dall’assillo dell’urgenza e a deporre qualche spicciolo – non miliardi, per carità, non centinaia di milioni – in un ideale salvadanaio chiamato crescita culturale del Paese. Se lo facesse, ma con costanza però, con metodo e per un tratto di tempo sufficientemente lungo, si potrebbe, forse, raggiungere il grande obiettivo, mancato fin dal tempo dell’unità nazionale. Che non è il sabaudo e militaresco «fare gli italiani» (e chi, di preciso, avrebbe poi dovuto farli?), ma quello all’apparenza più modesto di dare a tutti gli italiani gli strumenti essenziali per costruire sé stessi.

Più che di essere fatti gli italiani hanno bisogno di essere trattati per quel che sono, il maggior capitale, la maggior risorsa, la maggior materia prima di cui l’Italia disponga. Solo in questo modo cesseranno di essere dei sottoposti, meritevoli di attenzione solo quando devono andare a votare. E potranno davvero costruire la loro convivenza. Cioè un Paese maturo, civile, consapevole. Pienamente europeo. Gian Arturo Ferrari, Il Corriere della Sera, 30 gennaio 2013

……..Oh, se a Ballarò oppure a Porta a Porta, o sulla 7, o altrove, si discutesse di questa accorata denuncia dell’unico sviluppo che miete successo nel nostro Paese, ovvero quello dell’ignoranza. Speranza vana. E sopratutto inutile, visti i tanti Crozza che girano sull’etere che invece del sapere o, almeno, del buon dire, spargono tanta, ma tanta ignoranza. g.