CI RISIAMO, LE TOGHE SALGONO IN POLITICA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 17 gennaio, 2013 in Politica | Nessun commento »

Per dirla alla Mario Monti, le procure salgono in politica. Non è una novità, è vero, ma fa comunque un certo effetto vedere che puntualmente ad ogni campagna elettorale i pm fanno uscire dal letargo inchieste ferme da anni per buttarle in pasto all’opinione pubblica. Ieri è toccato alla Lega (perquisizioni in sede per la faccenda delle quote latte) e al Pdl (arresto dell’ex sindaco di Parma per vicende di anni fa). E nelle stanze che contano già si mormora di un imminente, nuovo, spettacolare blitz per fare un po’ di terra bruciata attorno al Pdl lombardo.

Lo schema si ripete da 18 anni: ha creato danni enormi al Paese ma non è mai riuscito a centrare l’obiettivo di azzerare l’unica alternativa alla sinistra. Anzi, semmai il contrario. Come nel caso del duo Santoro-Travaglio, più picchiano, più l’elettorato di centrodestra si compatta, perché la gente non è stupida come pensano pm rivoluzionari e opinionisti politici frustrati da continue sconfitte. Tipo Ingroia, il magistrato eroe degli antiberlusconiani che ci querelò quando, mesi fa, scrivemmo che si stava comportando da politico e che oggi ritroviamo candidato premier contro i suoi indagati. Abusi e partigianerie sono quotidiani. A Berlusconi è stato negato il rinvio del processo Ruby in quanto alle elezioni è candidato semplice e non aspirante premier. A Rosaria Capacchione, discussa candidata del Pd in Campania coinvolta in una delicata inchiesta, il tribunale ha invece concesso la sospensione del processo fino a dopo il voto per permetterle di fare campagna elettorale senza intralci. Ne so qualche cosa della bilancia truccata della nostra giustizia. L’ho provato sulla mia pelle, non è simpatico. Prepariamoci. Da qui alle elezioni saranno 40 giorni di fuoco. Spareranno dalle procure, dall’Europa, tenteranno con qualsiasi mezzo di fermare una rimonta che fino a una settimana fa ritenevano impossibile. La paura non è mai buona consigliera. Noi non l’abbiamo, loro sì. Questo è un vantaggio per chi non pensa di arrendersi agli intrighi della sinistra. 17 gennaio 2013

IL PIANO CASA’ NESSUNO LO VUOLE MA TUTTI SE LO PIGLIANO

Pubblicato il 15 gennaio, 2013 in Economia | Nessun commento »

Quando nel marzo 2009 l’allora premier Silvio Berlusconi lanciò l’idea del “Piano casa”, per offrire al  cittadino la possibilità di “effettuare interventi di ampliamento e/o ricostruzione della propria abitazione” e di “semplificare le procedure burocratiche inerenti lavori di edilizia”, sui media italiani scoppiò quasi il finimondo. Repubblica, non da sola, avviò una campagna martellante contro la nuova “legge truffa” (copyright del vicedirettore Massimo Giannini), colpevole allo stesso tempo di leso ambientalismo e di eccessivo liberismo. Scesero in campo, tra gli altri, anche il normalista Salvatore Settis, che parlò di “frutto di cinica improvvisazione in caccia di voti” fermato per un momento solo da “centinaia di morti”, disse riferendosi al terremoto in Abruzzo. Poi Andrea Carandini, archeologo e presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, che preferì l’espressione “legge scempio”. A quasi quattro anni di distanza, però, tutte le regioni italiane hanno confermato in questi giorni la volontà di proseguire con il Piano casa (unica eccezione, l’Emilia Romagna).

Molti governatori allora si dissero costretti da Roma a legiferare in materia. Il governo centrale infatti non poteva agire direttamente, così fu raggiunta un’intesa nella Conferenza stato-regioni nella quale si dettavano le linee guida; dopodiché le regioni approvarono i loro piani, ma con precisi limiti temporali, generalmente triennali. Come dire: proviamo, ma non ci crediamo, quindi siamo pronti a lasciar cadere tutto. Tuttavia in queste settimane, con Berlusconi via da Palazzo Chigi da un anno e Mario Monti dimissionario, non c’è regione che non abbia scelto di prorogare quei termini e continuare con il Piano casa, in maniera bipartisan e piuttosto felpata. “Le attese di un rilancio dell’economia sulla base del solo Piano casa furono esagerate. Ma certo oggi è venuto meno il pregiudizio politico del 2009 – dice al Foglio Luca Dondi, economista e responsabile Settore immobiliare di Nomisma – L’iniziativa già allora conteneva elementi positivi sull’aspetto della semplificazione delle procedure, ora questi aspetti positivi sono stati colti. Oggi poi ancora di più ci si rende conto che con un ‘mercato del nuovo’ in difficoltà, il settore immobiliare e delle costruzioni può limitare i danni soltanto con un rafforzamento della manutenzione”. E’ d’accordo anche Paolo Pietrolucci, presidente della Confedilizia di Roma e del Lazio: “Lo scontro fu soprattutto ideologico. Il Piano avrebbe poi avuto più successo se ci fosse stato un dibattito pubblico non incentrato soltanto sulla ‘stanzetta’ in più o in meno da costruire, ma  su una più ampia opera di riqualificazione”. La Cgil, in un report appena pubblicato dal dipartimento Politiche abitative, parla di “numeri decisamente inferiori alle aspettative”, però non cita alcuna cifra. Piuttosto ammette che “spesso, comunque, le leggi di proroga sono intervenute anche sulle norme di sostanza dei piani casa originari, nel tentativo di allentare i vincoli o incrementare il numero di domande”. L’intesa base prevedeva aumenti volumetrici del 20 per cento per le abitazioni e del 35 per cento nei casi di demolizione e ricostruzione. La Basilicata, prorogando a dicembre il Piano casa, ha per esempio consentito ampliamenti anche per immobili condonati o per i condomini.

Dall’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) fanno sapere che l’aggravarsi della crisi e le ristrettezze del credito hanno “rallentato tutto”, ma ricordano che al momento le regioni dove sono state presentate più “istanze” per ampliamenti, ristrutturazioni e via dicendo, sono il Veneto (26 mila richieste al luglio 2011) e la Sardegna (6.500 richieste alla stessa data, poi per Confartigianato diventate quasi 20 mila nel 2012). Tra i principali quotidiani, soltanto il Sole 24 Ore, sabato, ha registrato le ultime proroghe arrivate “al fotofinish” in Toscana (governo di centrosinistra), Campania (centrodestra) e Piemonte (Lega): “I governatori di ogni colore politico – ha commentato Giorgio Santilli – hanno dovuto riconoscere (magari senza dirlo) che il piano casa berlusconiano coglieva il cuore del problema italiano: l’eccesso di vincoli, di burocrazia, di procedure può uccidere l’attività economica anche più micro”. Non era una “legge truffa”? Fonte:Il Foglio, 15 gennaio 2013

L’ULTIMO SONDAGGIO: BERLUSCONI A 4 PUNTI DA BERSANI

Pubblicato il 15 gennaio, 2013 in Politica | Nessun commento »

L’improvviso. Quando tutto sembrava scorrere lentamente verso un finale già scritto sul palcoscenico della politica accade qualcosa che non ti aspetti. Il coro dei sondaggisti porta sussurri e notizie: i numeri stanno cambiando.

Dicono che la nave di Bersani non sta arrivando più così tranquillamente in porto, perde vento e forza, sta ancora lì in testa al 38,7 per cento, ma si lascia indietro un 2,9% di consensi. Potrebbe non farcela a governare, perché il Senato è sempre più a rischio, sempre più in bilico. E più passa il tempo più lui perde. Dicono che il professor Monti stia facendo davvero i conti con la realtà e quell’undici per cento lo condanna a non essere né il signore di una destra confortevole né una riserva per la nazione. Dicono soprattutto che lui, l’altro, quello che bisognava cancellare, sorride. Il vento sta soffiando dalla sua parte. Quasi tre punti in più in percentuale e a quattro passi da Bersani. Gli spettatori a questo punto si stanno rendendo conto che ancora tutto può succedere.

C’è spesso nel teatro un personaggio che scardina tutte le trame, mischia le carte, ribalta i giochi, cambia la storia. Qualche volta è il «fool» tanto caro a Shakespeare, quel folle che con le sue mattane porta in scena una saggezza antica, popolaresca. Il «fool» con il «quid». È Bertoldo o Arlecchino. È l’uomo di infinite facezie. È il mago Atlante dell’Orlando Furioso, che nel suo castello dove si incrociano i destini imprigiona o seduce i cavalieri, tanto che ognuno di loro entra inseguendo le proprie passioni e finisce per sfuggire dalle ossessioni di una vita. Tutti questi personaggi spezzano la trama, segnano l’inatteso, l’epifania. Insomma, quello che non ti aspetti. E sono la maledizione e il colpo di reni di ogni autore. Quando entrano loro in scena la storia deraglia, e spiazza: protagonisti, comparse e pubblico. E sembra quasi scappare dalle mani del narratore.

Il sospetto è che nello spettacolo di queste elezioni a giocare di nuovo il ruolo del fool sia ancora Silvio Berlusconi. Non è la prima volta. È successo nel 1994 quando ha lasciato a bocca aperta quanti assistevano alla frantumazione pubblica della gioiosa macchina da guerra. È successo nel 2006 quando con una rimonta improbabile ha costretto alla quasi patta la coalizione di Prodi. Questa volta perfino la rimonta veniva considerata impossibile. Il fool era stato messo fuori scena, e tutti ci siamo affannati a fare in modo che non fosse neppure scritturato, tanto per evitare sorprese. Si è cercato di coprire quel buco di sceneggiatura con altre figure, più giovani, più rassicuranti, meno ingombranti. Questa volta, si diceva, niente rischi. Lo spettacolo sarà magari un po’ più noioso, ma è stato raccomandato da tutte le accademie del mondo. L’Italia ha bisogno di qualcosa di sobrio, istituzionale, facile da tradurre, con tutti i sacri crismi dei corsi di scrittura creativa. Non c’è spazio per l’improvviso.

La trama era semplice. Bersani vince perché è uno con cui giocheresti a briscola senza sorprese. Con lui c’è l’ultima maschera che ti narra la solita filastrocca del Novecento. Al governo magari ci sarà qualcosa da aggiustare, ma questa volta tutti giurano che né un Vendola né un Renzi faranno saltare il banco. È quello che gli eredi di Occhetto aspettano da vent’anni, una riparazione a quella porta scorrevole che nel ‘94 ha cambiato il giusto corso degli eventi. È da allora che si considerano gli unici legittimati a guidare l’Italia. Monti si accontenta di spazzare via la destra berlusconiana e con sobrietà trattare con i vincitori un’equa distribuzione del potere futuro. La parola d’ordine sarà «normalizzare». Casini e Fini riproporranno la loro vecchia politica, coltivandosi una nicchia di rendite di posizione, con la soddisfazione morale di brindare alla sconfitta dell’ex alleato ora arcinemico. Dovevano essere loro a portare sulla scena il gusto della vendetta. In tutto questo la parte del folle l’avrebbero lasciata a Grillo. Il populista con guru a seguito. Così facile da demonizzare, così tranquillo da demonizzare.

E adesso? Cambia tutto. Saltano le certezze, paura e preoccupazione mettono nuovo sale nel piatto della politica. Bisogna fermarlo. Bisogna fermare il «fool». Il coro dei sondaggisti si fa più forte: i numeri stanno cambiando. E sulla scena si alza una preghiera: ci sarà pure un giudice da qualche parte? Vittorio Macioce, 15 gennaio 2013

GLI EQUIVOCI DELL’ANTIPOLITICA

Pubblicato il 14 gennaio, 2013 in Il territorio | Nessun commento »

Tutto cominciò con «Mani Pulite». Poi Berlusconi terminò l’opera. Fu nel 1992-93, infatti, che in Italia, sull’onda della protesta contro la corruzione dei partiti, iniziò a diffondersi fino a dilagare un sentimento di disprezzo per la classe politica in quanto tale, un sentimento di avversione profonda per la politica come professione, direi per la dimensione stessa della politica e per la sua naturale (e aggiungo sacrosanta) pretesa di rappresentare la guida di una società. Giunto il momento di tirare le fila alle elezioni del ‘94, l’uomo di Arcore cavalcò l’onda da par suo. Mise insieme tutti gli ingredienti appena detti; li miscelò con il confuso antistatalismo ideologico prodotto dalla globalizzazione; e si presentò come il profeta di quella società civile che nel biennio precedente era stata osannata da tutti (in Italia qualunque idiozia, purché di moda, può contare quasi sempre su adesioni unanimi: il federalismo è un altro caso), osannata come la matrice per antonomasia del «nuovo» e dell’«onestà».

Da allora tutto il fronte antiberlusconiano non si stanca di denunciare l’«antipolitica» che rappresenterebbe l’anima del «populismo» del Cavaliere, di denunciarne ad ogni occasione i pericoli. Ma ciò nonostante proprio da allora, e forse non per caso, esso sembra spinto irresistibilmente a imitarlo. Da allora anche gli avversari di Berlusconi sono diventati sempre più inclini a vellicare i luoghi comuni dell’antipolitica. Come si vede bene oggi, tanto al centro che a sinistra, con l’inizio di questa campagna elettorale.
Dietro un omaggio di facciata (per carità, non sia mai detto «scendere», bensì «salire», in politica), in realtà l’intera piattaforma centrista di Monti si fa un vanto esplicito, ripetuto, insistito, della propria (reale?) estraneità alla politica: estraneità che neppure si sforza di nascondere la sua effettiva ostilità alla politica. Ne è espressione eloquente il bando comminato a chiunque abbia seduto alla Camera o al Senato per più di un certo numero di anni.

Monti e i suoi collaboratori hanno aderito all’idea – questa sì tipica di ogni populismo – che la politica non ha bisogno di persone esperte dei suoi meccanismi, persone pratiche del funzionamento delle amministrazioni, conoscitrici dei regolamenti delle assemblee parlamentari. No. Il nostro presidente del Consiglio – parlano per lui le procedure con cui ha voluto formare le liste dei candidati – sembra aver fatto proprio, invece, il pregiudizio volgare secondo cui il professionismo politico sarebbe il peggiore dei mali. Mentre un industriale, un economista, un professore universitario – loro sì, espressione della celebrata «società civile» – sarebbero invece per ciò stesso non solo onesti e disinteressati, e capaci di scelte giuste nonché di farle attuare presto e bene, ma anche in grado di soddisfare quella condizione non proprio tanto secondaria che è il consenso.

Pure per questa via, insomma, affiora nell’insieme del montismo, se così posso chiamarlo, quell’opzione irresistibilmente tecnocratica che, se ne sia consapevoli o no, rappresenta essa pure un esito classico dell’«antipolitica».
La quale antipolitica poi, a ben vedere, alla fine non è altro che politica con altri mezzi. Lo dimostra quanto sta accadendo sempre in queste settimane stavolta a sinistra, nel Pd. Qui pure tutta l’operazione della designazione «dal basso» delle candidature elettorali è stata condotta – in maniera perlopiù non detta, ma comunque chiarissima – facendo leva sull’ostilità verso il professionismo politico, verso chi occupava da troppo tempo la fatidica poltrona. Come appare ormai evidente, si è trattato di una versione per così dire dolce della renziana «rottamazione», guidata però dall’abile regia della segreteria Bersani. La quale, facendosi forte del mito della «società civile» e del «rinnovamento» – reso in questo caso più perentorio dal comandamento del «largo ai giovani e alle donne» – se ne è servito per fare fuori buona parte della vecchia rappresentanza, a lei estranea, e sostituirla con «giovani turchi» e dirigenti interni vicini al nuovo corso. E quindi per rafforzarsi.

Ma naturalmente poche cose sono così sicure come il fatto che, al centro come a sinistra, coloro che risulteranno eletti con il crisma salvifico della società civile, anche loro, alla fine, si adegueranno disciplinatamente ai vincoli e agli obblighi della politica. Anche loro obbediranno a quella regola suprema della politica che chi ha più forza, più potere, comanda: e poiché la gran parte dei cosiddetti esponenti della società civile di forza propria ne hanno poca o nulla, proprio essi – c’è da scommetterci – risulteranno in definitiva i più obbedienti. Ernesto Galli della Loggia, Il Corriere della Sera, 14 gennaio 2013

.…..E’ sopratutto dedicato a Monti questo editoriale di Galli della Loggia, politologo e intellettuale, pubblicato oggi sul Corriere della Sera. E’ un serrato atto di accusa a chi si  nasconde dietro le solite frasi fatte, i richiami alla solita “società civile” che non si sa bene cosa sia e dove sia, le solite accuse di “populismo” rivolte a quanti si rivolgono al popolo che, lo si dometica spesso, è “sovrano” nelle democrazie occidentali e liberali. Ovviamente Galli della Loggia non sapeva ancora che l’appena “salito” in politica (ma forse voleva dire…al cielo!) sen. Monti è andato da Vespa per scirinare insulti e accuse a Berlusconi paragfonato al pifgferaio magico e ai suoi topolini finiti nel fiume. Peccato che il primo dei topolini che grazie a Berlusconi “salì” l’olimpo degli unti dell’Unine Europea, non sia finito egli nel fiume, anzi, al contrario ha indossato come il peggiore dei politici l’armatura da guerra e impugnato la più ignobile delle armi, quella  della diffamazione. Ma chi va con g.li zoppi (Casini e Fini9 non può che imparare a zoppicare. Finendo azzoppato. g.


ORA LA PAURA FA NOVANTA,

Pubblicato il 14 gennaio, 2013 in Il territorio, Politica | Nessun commento »

Di avere una fifa blu Bersani lo ha già dimostrato rifiutando di confrontarsi in tv con il Cav, peraltro con una scusa. I democratici hanno sostenuto, infatti, che il vis-a-vis è soltanto tra candidati premier mentre il regolamento prevede che possano andare i capi di coalizione.
Nelle file del «partito» di Mario Monti si registrano i primi mugugni dei «sedotti e scaricati» mentre Vendola lancia la sua sfida: «Non abbiamo bisogno di badanti per governare». Al leader di Sel l’alleanza con i montiani non va proprio giù specialmente se Casini diventerà il presidente del Senato. E riconoscendo che Berlusconi è un «fenomeno da non sottovalutare» apre a Ingroia, mettendo ulteriormente nei guai il segretario del Pd. La battaglia delle alleanze per la maggioranza in Senato si gioca in quattro regioni e l’area chiave è la Lombardia: lì il Pdl è già avanti di 4 punti sul centrosinistra.

Ma i sondaggi non sono il Vangelo. Lo sanno bene a sinistra dopo le sconfitte del 1994 e del 2008. Saranno gli elettori a scegliere tra concretezza e demagogia. Intanto Silvio Berlusconi stasera è di nuovo in tv. Sarina Biraghi, Il Tempo, 14 gennaio 2013

………….Mentre l’ex direttore de il Tempo, Sechi, si accinge a vestire i panni di senatore grazie al posto di capolsita montiano in Sardegna, il nuovo direttore riporta a destra il timone e la rotta del quotidiano più importante di Roma, i cui lettori di certo non seguiranno Sechi nel voto edlo 24 febbraio. g.

VITTORIO FELTRI: BERLUSCONI PER FARCELA DEVE CREDERCI E DEVONO CREDERGLI GLI ITALIANI

Pubblicato il 13 gennaio, 2013 in Politica | Nessun commento »

Preso atto con rassegnazione, e un fitto dolore di ventre, che al di là dei contenuti espressi – sempre discutibili – Silvio Berlusconi giovedì scorso ha dominato la scena nel capannone-studio televisivo di Servizio pubblico, i suoi detrattori ne minimizzano il successo attribuendolo a un uso eccessivo di populismo.

Vocabolo, questo, talmente di moda (sostitutivo di qualunquismo, ormai dismesso) da essere il più frequente negli articoli della Repubblica.
L’accusa di populismo viene rivolta non soltanto al Cavaliere, ma anche a Michele Santoro. Insomma, è tutto un populismo dilagante che, stando ai commentatori di punta, determinerà l’esito delle elezioni. Come fosse una scoperta che qualsiasi campagna elettorale trascuri le questioni tecniche, economiche e politiche, basandosi quasi esclusivamente sul lato sportivo. I confronti tra candidati, oggi quanto ieri, sono match: vincono i picchiatori, gli spiritosi, gli svelti di riflessi, i paraculi.
Su questo terreno il leader del Pdl è imbattibile. E pensare che l’impianto della trasmissione santoriana era simile a quello di un processo: mancavano giusto le toghe, ma il resto c’era tutto. C’erano alcune ragazze pm con il compito di lavorare ai fianchi l’imputato; il procuratore generale, Marco Travaglio, uno che sa il fatto suo, incaricato di rifilargli la stoccata decisiva; Santoro nel ruolo di presidente del tribunale. La fortuna del reo è stata di non avere un avvocato difensore e di essersi quindi dovuto arrangiare da sé. Si è arrangiato benissimo. Anzi, il fatto di essere solo contro tutti lo ha esaltato, gasato, eccitato. Cosicché ha recuperato la carica per non soccombere e, al momento opportuno, la lucidità per colpire, come si dice, in «contropiede», ottenendo l’assoluzione dai giudici supremi: i telespettatori. Ovvio, non è stato un vero e proprio processo politico né una tribuna elettorale, ma un torneo. E nei tornei, inclusi quelli mediatici, prevale – ripeto – il personaggio più accorto, astuto, rapido.
Chi si stupisce, chi si rammarica per l’esiguo spessore culturale della serata, chi si deprime per la vittoria di Berlusconi è un ingenuo e un disinformato: l’uomo davanti alle telecamere è un mattatore dai tempi che furono. Non avere valutato questo dato certo è imperdonabile. Come lo è avere pensato che il berlusconismo fosse tramontato perché nell’ultimo anno brillava sui giornali l’astro morente di Mario Monti. Figuriamoci. Il 50 per cento degli italiani non erano, non sono e non saranno mai di sinistra. Se offri loro un tetto di centrodestra, lo accettano con sollievo.
Fino a giovedì erano persuasi che il tetto Berlusconi fosse crollato; quando invece hanno constatato che era ancora intatto, sono corsi lì sotto a ripararsi. Ciò non significa che il Pdl sgominerà alle urne il Pd, quanto piuttosto che Pier Luigi Bersani, se vorrà entrare a Palazzo Chigi, dovrà sudare sette camicie, e forse non basterà. Le gioiose macchine da guerra esistono soltanto nella fantasia dei progressisti. Gli anticomunisti non si definiscono più anticomunisti, ma ci sono ancora, in carne e ossa, e avendo identificato in Berlusconi un vivo e non un morto gli andranno appresso sino al seggio.
Se tutti i potenziali berluscones risponderanno alla chiamata, per i progressisti saranno guai. L’esordio in campagna elettorale del vecchio leader Pdl è stato eccellente. Ma chi bene incomincia non è a metà dell’opera: è appena all’inizio. Ora l’ex premier dovrà stare attento a non commettere i soliti errori (per debolezza e/o generosità) nella compilazione delle liste. La scelta dei candidati è un’attività delicata: conviene non abbandonarsi alla seduzione della gnocca o alle coccole degli adulatori o dei signorsì. Qui, caro Silvio, serve uno sforzo per resistere a tentazioni molto umane, ma anche molto pericolose, come già ha sperimentato in un recente passato. L’occhio vuole la sua parte, d’accordo, ma non c’è mica solo l’occhio: il cervello, tanto per dire, ha le sue pretese.
Poi c’è il programma. Inutile scrivere il libro dei sogni senza precisare con quali risorse realizzarli. Lei, presidente, dice: abolisco l’Imu sulla prima casa e sostituisco il minore gettito tassando gli alcolici e i tabacchi. La prego: in questo caso non sarei rovinato solamente io, ma anche i produttori di vino (che in Italia sono autentiche colonne) e i Monopoli. Bisogna che il testo programmatico da esibire agli elettori sia breve e comprensibile: più numeri che parole, altrimenti sembrerà la consueta buffonata acchiappavoti. Non ci casca più nessuno.
Infine, avere trionfato a Servizio pubblico e riguadagnato consensi non è sufficiente. È necessario che lei si misuri in un faccia a faccia sia con Bersani sia con Monti. Due belle puntatone televisive, di un’ora e mezzo ciascuna, durante le quali si gioca il tutto per tutto. Vedo già la scena, assai solleticante. Il bocconiano che tiene una lezione per dimostrare che salvare l’Italia impoverendo gli italiani è una buona azione; lei che sciorina una serie di facezie per inchiodarlo al ridicolo e che propone due o tre cose urgenti da fare per sfamare gli affamati, la quale non è un’idea nuova, ma nemmeno peregrina. Bersani che si arrampica sui proverbi piacentini per sostenere che le tasse educano il popolo a perseguire il bene comune (dei tedeschi); lei che replica proponendo di detassare l’assunzione dei giovani per incentivare l’occupazione. Roba semplice che, però, non può rimanere lettera morta.

Per convincere è indispensabile essere convinti. Lei lo è? Se sì, vada avanti a testa bassa. Il traguardo è lontano, però raggiungibile. Nota conclusiva: avranno il coraggio Monti e Bersani di affrontarla in campo aperto? Insista. Se rifiutano, peggio per loro. Se accettano, ancor peggio per loro.  Vittorio Feltri, 13 gennaio 2013

BERLUSCONI-SANTORO: IL PARERE DEL CRITICO DEL CORRIERE DELLA SERA ALDO GRASSO

Pubblicato il 12 gennaio, 2013 in Costume | Nessun commento »

Nel tanto atteso incontro con Silvio Berlusconi, Michele Santoro ha commesso almeno tre errori (gravi per uno che conosce il mezzo come lui) all’interno di un programma più attento alle schermaglie retoriche che ai contenuti: «Servizio Pubblico» (La7, giovedì, ore 21.15).

1) È partito con il piede sbagliato. E il piede è quello di Giulia Innocenzi, il cui tono così saccente predispone al peggio lo spettatore. Quell’aria di supponenza da dove le deriva? Si crede la più autorevole del reame? Se Santoro avesse fatto parlare per primo Gianni Dragoni sugli introiti finanziari delle aziende del Cavaliere, forse avrebbe dato un’altra piega alla serata.

2) Il modello proposto da Santoro era quello classico del processo, dunque uno sperimentato modello teatrale. Il fatto è che Santoro, quando costruisce la serata, ha una concezione molto classica della messa in scena: scaletta rigida, tempi preordinati, «attori» che hanno studiato la parte. Berlusconi, invece, recita a soggetto, segue un canovaccio (che più volte abbiamo definito «disco rotto»), ma ha ancora la capacità di improvvisare. Da guitto, da commedia all’italiana, ma in grado di spiazzare.

3) Il vero coup de théâtre di Berlusconi è stata la lettera a Travaglio, una trovata scenica di grande effetto. La controlettera aveva essenzialmente un effetto parodistico (costruita nello stile travagliesco, a metà tra il cabaret e i mattinali di polizia) e Santoro non l’ha capito. Non cogliendo lo spirito è andato fuori dai gangheri, ha fatto una scenataccia. Che era esattamente quello che Berlusconi desiderava: fargli perdere le staffe, dimostrare di non aver paura di scendere nella fossa dei leoni. Così, vittima del narcisismo (invitare in studio la sua ossessione), Santoro ha finito per portare acqua al mulino di Berlusconi.

IL 41% DEGLI ITALIANI NON ARRIVA A FINE MESE

Pubblicato il 12 gennaio, 2013 in Economia | Nessun commento »

(Ansa)

Il 2012 è stato un anno nero per gli italiani. La crisi ha colpito l’80% delle famiglie, l’86% delle quali ha dovuto ridurre le spese. È quanto emerge da un sondaggio Confesercenti-Swg secondo cui il 41% della popolazione ha avuto difficoltà ad arrivare a fine mese sia con i propri redditi che con quelli familiari. E se nel 2010 circa il 72% del campione riusciva a far fronte alle spese della famiglia per tutto il mese, quest’anno la percentuale cala bruscamente al 59%. Cresce invece di 5 punti rispetto a due anni fa il numero di coloro che ce la fanno solo fino alla seconda settimana (ora il 23% del campione), mentre sale di ben 8 punti la platea di chi arranca fino al traguardo della terza settimana (passando dal 20% del 2010 al 28% del 2012). L’80% degli intervistati segnala che la crisi ha colpito anche il proprio nucleo familiare: il 37% ha ridotto fortemente le spese, il 21% ha invece tagliato sulle attività di svago. Problemi lavorativi per il 20% delle famiglie italiane che hanno registrato: la perdita del posto di lavoro (il 14%) o la cassaintegrazione per uno dei suoi membri (il 6%). Per gli italiani, quindi, evidenzia il sondaggio Confesercenti-Swg, il nuovo governo dovrà puntare tutto sull’emergenza lavoro: la maggioranza degli italiani (il 59%) vuole far leva sul nuovo esecutivo per porre alla sua attenzione l’emergenza lavoro, scelta dal 31% degli intervistati a causa del forte sentimento d’insicurezza sul futuro. È significativo che, subito dopo, gli italiani chiedano di abbassare le tasse e di ridurre i costi della politica (il 23% del campione in entrambi i casi). Ovvero meno spese e meno sprechi per liberare risorse utili a tagliare l’insostenibile pressione fiscale, come sostiene da tempo e con molta forza la Confesercenti.9 ITALIANI SU 10 NON CREDONO IN RIPRESA – Gli italiani sono sempre più scettici sull’uscita rapida dalla crisi. Per i prossimi dodici mesi, solo il 16% dei nostri concittadini – la metà dello scorso anno – vede in arrivo un miglioramento per l’economia del Paese, mentre il restante 86% pensa che il 2013 non porterà alcuna evoluzione positiva, ma addirittura un ulteriore peggioramento. È questo il quadro che emerge dal sondaggio Confesercenti-Swg sulle prospettive economiche dell’Italia per l’anno appena iniziato. La salute dell’economia italiana è giudicata negativamente dall’87% del campione. In particolare, spiega il sondaggio Confesercenti-Swg, il 36% la ritiene inadeguata, mentre il 51%, la maggioranza, addirittura pessima. A promuoverla solo il 13%, che la segnala come discreta (11%, in aumento del 3% sullo scorso anno) o buona (2%, in calo dell’1%). Anche sulle prospettive si registra una grave sfiducia. Solo il 16% degli intervistati vede una svolta (lo scorso anno erano esattamente il doppio (32%). Ad avere una visione più positiva sono i giovani sotto i 24 anni (22,9% di ottimisti) e chi vive nelle Isole (22,2%). Aumentano significativamente i pessimisti, che passano dal 30 al 44% del campione generale, che pensano che nel 2013 andremo incontro ad un ennesimo peggioramento dell’economia. Una percentuale che sale al 45,6% tra gli abitanti del Nord Ovest e addirittura al 49% nella fascia d’età 35-44 anni. Il 40% degli italiani ritiene invece che la situazione resterà la stessa del 2012: anche in questo caso, i valori massimi si registrano nella fascia d’età tra 18 e 24 anni, dove si registra un picco del 42,9%. Il Corriere della Sera, 12 gennaio 2013

SGOMINATO IL CLAN SANTORO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 12 gennaio, 2013 in Politica | Nessun commento »

Di ritorno dagli esclusivi alberghi delle Maldive, Michele Santoro si immerge nelle povertà italiane con Giulia Innocenzi e Luisella Costamagna a fare da vallette e belle statuine felici di recitare la parte a memoria manco fossero alla recita scolastica.

Molti di voi hanno visto, quindi risparmio i dettagli. Stiamo sul succo. Da una parte Michele Santoro e ciò che rappresenta, cioè quei rivoluzionari a parole inchiodati, un po’ per necessità un po’ per convinzione, al peggior conservatorismo. Dall’altra Silvio Berlusconi, un presunto conservatore che ha la rivoluzione nel sangue e che vorrebbe rivoltare l’Italia, e forse il mondo, come un calzino. Uno, Berlusconi, a spiegare perché e come cambiare la Costituzione per rendere finalmente governabile questo Paese. Gli altri, in primis Travaglio, a rivangare le solite ragazze del Bunga Bunga e rinfacciare un sostegno a Monti da loro stessi auspicato, implorato e benedetto all’epoca dei fatti.
Perché, se la memoria non mi inganna, a tentare di scongiurare l’insediamento di Monti con sostegno bipartisan, non furono Santoro né Travaglio, ma solo i giornali di centrodestra. Saremo anche un po’ così così, come sostengono i soloni, ma ci era evidente che si trattava di un trappolone per liberarsi di Berlusconi e del centrodestra in modo definitivo.
Berlusconi ieri sera aveva già vinto ancora prima di entrare in studio, fosse solo per l’attesa suscitata nel pubblico. Una volta nell’arena si è dimostrato che non poteva esserci partita. Persino Travaglio ha fatto la figura dello scolaretto impreparato. Non è questione di pagelle. È che la demagogia della banda Santoro, punta di diamante dell’antiberlusconismo militante, si è dissolta al cospetto di Berlusconi. Il quale avrà anche le sue colpe, ma non teme il confronto e parla alla gente invece che ai giornalisti.
Se la speranza di qualcuno era di veder dare il ko al Cavaliere, l’operazione è fallita, anzi credo nell’effetto contrario. Ma l’unica volta che Santoro è uscito dal suo programma con le ossa rotte è anche la prima che vince davvero, perché dopo tanto giornalismo-fiction finalmente ha provato l’ebbrezza di giocare una partita non truccata in partenza. Il Giornale, 12 gennaio 2013

C’E’ IL TERZO INCOMODO

Pubblicato il 11 gennaio, 2013 in Politica | Nessun commento »

Mai come questa volta, è condivisibile il D’Alema-pensiero espresso nella trasmissione di Lilli Gruber: «I termini reali della competizione elettorale sono che se non vince Bersani, vince Berlusconi. Con la stessa sicumera il presidente del Copasir ha aggiunto che il Cav non è finito. «Penso che sarà sconfitto. Non sottovaluto il rischio di questa sua, spero, ultima battaglia, ma mette in scena sempre la stessa storia».
Una speranza, perché ieri sera il Cavaliere, nel tanto atteso duello, quasi in punta di fioretto, con Santoro, non è apparso affatto all’ultima battaglia. Anzi. Tra camomilla e Zelig iniziale, Berlusconi ha risposto punto per punto al presentatore che ha fatto di tutto per irritarlo senza riuscirci. Neanche Travaglio ha colto l’impresa. E così anche nella fossa dei leoni il Cavaliere è riuscito a conquistare audience, a sostenere il miglior confronto televisivo fra le decine già viste, ha parlato a quel 50% di elettori che non votano solleticandoli sulle tasse imposte dal governo Monti.
E nel giorno in cui il presidente della Bce, Mario Draghi ha avvertito l’Europa di non cantare vittoria perché siamo ancora economicamente deboli, ha sottolineato che i mutui in Italia pesano mentre in Europa continuano a calare e ha ricordato che servono riforme strutturali per continuare nel risanamento, Monti e Bersani si sono sfidati a distanza ancora una volta sull’economia. Il segretario del Pd ha riproposto il suo cavallo di battaglia, la patrimoniale sugli immobili fino a un milione e mezzo «catastale», eliminando però l’Imu per chi paga fino a 500 euro. Ma della famigerata riforma del catasto non c’è menzione. Monti ha risposto ancora una volta attaccando il sindacato.

Pier Luigi e Super Mario devono convincersi che il duello non è più a due. C’è il terzo incomodo. Silvio Berlusconi. Sarina Biraghi, Il Tempo, 11 gennaio 2012

.……Due considerazioni. La prima. Questo editoriale, il primo se togliamo quello di saluto, del nuovo direttore de Il Tempo conferma che il quotidiano romano, da sempre voce dei moderati e primo giornale della Capitale, è davvero ritornato ad essere quotidiano libero e obiettivo, non lo era più con Sechi, il vecchio direttore che si è guuadagno il laticlavio di senatore. La seconda. Che conferma la prima e cioè che il Tempo, obiettivamente, rileva ciò che la stampa orientata a sinistra nnon  rileva e cioè che la partita del 24 e 25 febbraio non ha solo due concorrenti ma tre, e il terzo è il centro destra, cioè Berlusconi che, piaccia o non piaccia,  stando ai sondaggi e, come correttamente rileva il direttore de Il Tempo,  anche alla luce del confronto televesivo ieri sera da Santoro dove ha tenuto testa a Travaglio e ha fatto 9 milioni di spettatori, non è “terzo” dietro Monti ma l’alternativa, unica a Bersani e al PD. Di qui al 24 febbraio ci sono 40 giorni, quelli veri di campagna elettorale, e  i risultati veri diranno quanto ciò sia vero. g.