FATE RIDERE, FATE PENA, di Alessandro SALLUSTI

Pubblicato il 14 novembre, 2012 in Il territorio | Nessun commento »

Ieri in redazione abbiamo ricevuto due copie, una per me e una per Vittorio Feltri, di un nuovo libro fresco di stampa di Roberto Maroni, segretario della Lega.

Su uno la dedica autografa dice: «A Vittorio Feltri, il vero numero 1». Sull’altro: «Ad Alessandro Sallusti, buona lettura e buon lavoro». È lo stesso Roberto Maroni che contemporaneamente dava ordine ai suoi di mandarmi in carcere (Vittorio, non te lo auguro ma temo che presto mi seguirai) con una imboscata al Senato. È infatti della Lega l’emendamento alla legge salva-Sallusti (che ridere) che approvato ieri a scrutinio segreto prevede il gabbio per i giornalisti che incappano in condanne per diffamazione.

Nelle dediche di Maroni c’è la rappresentazione plastica della falsità dei politici: ossequiosi e melensi quando si tratta di chiedere ai giornalisti marchette ai loro libri e convegni, subdoli e arroganti quando hanno occasioni di vendetta. Devo dire che la Lega (insieme a quel fenomeno da baraccone di Rutelli, quello che vuole guidare il Paese e che si è fatto sfilare 20 milioni dalla cassa) in fondo è stata la più onesta: ha dichiarato le sue intenzioni, ci ha messo la faccia. Che però è di tolla. Scusi Maroni, lei si ricorda che è libero, e ha potuto fare il ministro dell’Interno, solo perché si è fatto fare una legge ad personam che ha abolito il reato di oltraggio a pubblico ufficiale per il quale era stato condannato a quattro mesi di carcere? Scusi Castelli, nobile senatore leghista, sa che lei è libero solo perché il Parlamento ha negato l’autorizzazione a procedere per diffamazione quando aveva dato dello sprangatore a Diliberto? E scusi senatore Calderoli, ci spiega come mai non ha mai pagato per quegli undici morti negli scontri fuori dal consolato di Bengasi seguiti alla sua idea geniale di presentarsi, in nome della libertà di opinione, al Tg1 con la maglietta anti Islam? E scusate, leghisti, come mai Bossi è a piede libero pur avendo subito decine di condanne per diffamazione a magistrati, capi dello Stato, avversari politici?

In attesa di risposte, vi dico che mi fate ridere e pena (voi, non i vostri elettori che rispetto). Solo un filo meno di quei vigliacchi del Pd e Pdl che con la benedizione dei loro capi (Angela Finocchiaro e Maurizio Gasparri) si sono trincerati dietro l’anonimato per vendicarsi dei giornalisti che più e più volte li hanno presi con le mani nella marmellata e a volte nella merda. Mi consola che io andrò a San Vittore, ma loro tra pochi mesi spariranno nel nulla dal quale provenivano. Cari senatori, cari deputati, lasciate perdere, non è cosa alla vostra altezza. Potete mandarci in galera e rovinarci, ma come diceva un Humphrey Bogart giornalista al potente di turno nel film L’ultima minaccia: «È la stampa, bellezza. La stampa! E tu non puoi fare niente». Proprio niente, vigliacchi senza volto. ALESSANDRO SALLUSTI, Il Giornale, 14 novembre 2012

……………Ad Alessandro Sallusti rinnoviamo tutta la nostra solidarietà, umana e politica. Lui è la vittima sacrificale di una politica in cui abbondano personaggi di mezza tacca solo per caso saliti sul podio della notorietà e del potere e altri, che di mezza tacca non sono, ma che hanno scarso senso dei Valori nel cui nome dicono di battersi, primo fra tutti la lealtà, tanto da sacrificarli sull’altare di provvisori e forse inutili obiettivi personali. Maroni che assomiglia sempre di più ad un prosciutto non stagionato, che ha dato l’ordine ai suoi di votare un emendamento che ripristina il carcere per i giornalisti che “diffamano” e che di certo manderà dietro le sbarre Sallusti, è lo stesso che ordinò ai deputati della sua corrente, solo per giochi interni di partito, di votare per il carcere al deputato pdiellino Papa che si è fatto dietro le sbarre di Poggioreale 4 mesi di carcere dichiarato poi dalla Cassazione illegittimo perchè illegittimo era l’ordine di cattura della Procura di Napoli. E a ripriva che l’uomo non ha molti scrupoli c’è questa vicenda che è miserabile perchè per  fare una “provocazione” , a sentir lui, ora manda in galera un giornalista reo solo di un reato fascista e comunque abnorme chesi  chiama “mancato controllo”, che però è uno dei pochi giornalisti che da destra ha combattuto una difficile battaglia contro la devastante macchina da guerra del giornalismo italiano schierato a piè pari contro il governo di cui la LEGA era parte e Maroni un “invincibile” ministro. Brutto affare. Più brutto il voto di quei senatori di destra che hanno partecipato con il loro voto a tasformare l’emendamento leghista in ordine di carcerazione per Sallusti. Del resto lo avevamo detto subito. Il PDL aveva il dovere di pretendere che Monti modificasse la legge che prevede il carcere per i giornalisti che in quanto fascista è antitetica all’ordinamento democratico dello Stato italiano,  con un decreto legge che in sede di conversione in legge poteva essere migliorato e reso efficace sotto gli aspetti non evidenziati dalla sinteticità del decreto legge. Ma Monti e insieme a lui la Severino si sono messi di traverso. Nè il PDL ha minimamente alzato la bandiera di guerra per difendere il soldato Sallusti, combattente tenace in una battaglia senza esclusioni di colpi che vede contrapposto il centrodestra al resto del mondo. Ed ha lasciato e lascierà che uno dei suoi più valorosi portabandiera finisca in carcere da dove evidentemente non potrà partecipare alla battaglia finale, quella che si combatterà nei prossimi mesi e che rischia di consegnare il Paese per  decenni alla sinistra ( perchè l’attuale centrodestra non è abituato alle traversare nel deserto per cui è facile prevedere che una sua – probabile – sconfitta ne determinerà il disfacimento). E se tanto è vero come pare che purtroppo lo sia, come può il centrodestra, si chiami PDL o come si dovesse eventualmente chiamare nell’immediato futuro, pensare di recuperare i voti del ceto medio e moderato se a questo si offre questo squallido spettacolo di resa al nemico e di abbandono nelle sue mani di uno dei suoi migliori e più coriacei combattenti? Mediti Alfano e oltre che opporsi al voto disgiunto per le regionali reclami a Monti e a Napolitano la libertà per il soldato  Sallusti. g.

ECCO UN PO’ DI TITOLI DEI GIORNALI DI OGGI…NULLA CHE CI POSSA FAR STARE ALLEGRI

Pubblicato il 14 novembre, 2012 in Il territorio | Nessun commento »

Pomigliano, corteo della Fiom
Vendola e Di Pietro contestati

La figlia di Beppe Grillo
beccata con la cocaina

E’ GUERRA IN TUTTA L’UNIONE EUROPEA…E MONTI SFILA IN PARATA

Pubblicato il 14 novembre, 2012 in Economia, Politica | Nessun commento »

Scontri tra studenti e polizia. A Torino bastonato un agente: è grave

Studenti in piazza contro i tagli del governo. A Milano vetrine delle banche rotte. A Torino gli autonomi accerchiano un poliziotto e lo prendono a bastonate. Poi occupano la sede della Provincia e issano la bandiera No Tav

Doveva essere una giornata di “normali” proteste contro il governo, con manifestazioni in tutta Italia organizzate da studenti, docenti, in contemporanea con lo sciopero generale indetto dalla Cgil. Alla fine, però, a prevalere nelle cronache non sono tanto le motivazioni alla base delle agitazioni quanto le violenze e gli scontri scatenati dalle frange più estreme degli studenti, uniti a gruppi di anarchici e centri sociali.

La solita miscela esplosiva che non perde occasione per scatenare il caos nel Paese. A Torino un gruppo di autonomi ha prima accerchiato e poi preso a bastonato un agente della polizia. Poliziotti feriti anche a Roma e Milano. In diverse città vetrine spaccate e muri imbrattati.

Torino, poliziotto accerchiato e bastonato

Un poliziotto è stato gravemente ferito dagli autonomi davanti alla sede della Provincia di corso Inghilterra a Torino. È stato accerchiato da una ventina di giovani, armati di bastoni e mazze da baseball, che lo hanno colpito alla testa spaccandogli il casco e un braccio. Il poliziotto è stato portato all’ospedale Mauriziano. Un gruppo di oltre cento persone mascherate e armate di bastoni e fumogeni ha fatto irruzione al piano nobile di Palazzo Cisterna, sede della Provincia di Torino, issando la bandiera No Tav al posto di quella europea .Hanno divelto un cancello e hanno portato via sedie e mobili, accatastandoli in strada.

Bombe carta a Padova

Due poliziotti sono rimasti feriti nel corso degli scontri a Padova, uno in modo più serio. Il primo agente ha una gamba lacerata da una bomba-carta che ha oltrepassato la tuta di servizio, l’altro ha avuto un mancamento in seguito allo scoppio di un’analogo ordigno rudimentale.

Milano, vetrine rotte in centro

Scritte e vetrine in frantumi durante il corteo degli studenti. Un gruppo di manifestanti ha danneggiato tre vetrate del Punto Enel di via Broletto e quelle della filiale Unicredit nella stessa via. Scritte anche sulla filiale Cariparma e il portone della sede Consob. Prese di mira anche le sedi di Unicredit e Intesa Sanpaolo di piazza Cordusio. Alcuni studenti sfilano a volto coperto. Lancio di petardi contro Palazzo Gonzaga, sede distaccata dell’Università Cattolica di Milano. I ragazzi protestano, si legge su uno striscione affisso sul cancello dell’edificio storico, per il “50 per cento scuole pubbliche inagibili, mentre le private non pagano l’Imu”.
Dopo essere stati respinti da due cariche della polizia all’angolo tra corso Magenta e via deTogni, una parte del corteo milanese si è allontanata in via Carducci. La polizia in tenuta antisommossa ha presidiato l’incrocio per impedire alla manifestazione di arrivare alla sede milanese del parlamento europeo a Palazzo delle Stelline. Mezzi blindati bloccano la strada. Ad avvicinarsi alla polizia, indossando caschi e con scudi di polistirolo che riportavano i titoli dei classici della letteratura,  una quarantina di studenti, che in un primo momento hanno rotto il cordone della polizia e poi sono stati respinti. I manifestanti hanno lanciato fumogeni e sampietrini tentando una seconda carica che è stata ugualmente respinta.

.…..Questa la cronaca della guerriglia che ha interessato molte città italiane, poste sotto assedio dai manifestanti. Ma non è andata meglio in tutta Europa. In Spagna, in Portrogallo, in Gracia in Polonia,  ovunque le politiche restrittive, ai limiti della persecuzione, imposte dalla Germania posthitleriana in persona dell’ex ragazza dell’Est, Angela Merkel, con la complicità dei rappresentanti delle Banche ingternazionali, in primo luogo dell’uomo qualunque per eccellenza, cioè il sig. Monti Mario, la gente, i cittadini, i lavoratori, le donne, gli studenti, i pensionati, sono scesi i piazza, arrabbiati sino alla incazzatura,  affamati, disperati, per le restrizioni sempre più vergognose dell’Unione Europea, pronti a no lasciare le piazze sino a quando non si porrà fine a questa politica che impoverisce i popoli e arricchisce i banchieri, specie quelli tedeschi. Si fa strada l’idea di un megasciopero generale in tutti i paesi dell’Unione Europea, per dare risposta forte, secca, tengibile ai governanti, che tradendo lo spirito di solidfarietà che dovrebbe essere alla base della stessa ragione d’essere dell’Unione Europea, tralasciano i motivi della politica per far emergere solo le ragioni economiche che da sole non possono cementare nessuna unità. Una forte unione di base non solo può servire a fermare le politiche scelelrate dei bancheiri e dei loro fidi, ma può servgire a realizzare quella vera unione europea vagheggiata dagli apostoli dell’Europa dei popoli e delle Nazioni, da Mazzini a DeGasperi.g.

P.S.Mentre le città italiane e quelle europee si infiammano, il premier itlaiani Monti se ne va in Algeria a celebrare la “primavera araba” che è stata l’ultima sconfitta politica ed economica  dell’Europa del trio Merkel-Sarkozy-Cameron con l’appoggio esterno del tremabondo riconfermatio presidente americano che per salvare le banche americane non ci ha pensato u attimo ad affondare la nave europea della quale non gliene frega nulla.

UN ANNO DI GOVERNO MONTI: TGRA GAFFE, DIETROFRONT E STRAFALCIONI

Pubblicato il 13 novembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Un anno di tecnici, un anno di gaffe. Tutto ci si poteva aspettare meno che i sobri e attenti professori, abituati alle cattedre e alla precisione chirurgica nel dispensare lezioni, fossero capaci di inanellare una serie così folta di svarioni, gaffe, strafalcioni, dietrofront e vere e proprie castronerie.

Per carità, tiene benevolmente conto del fatto che passare dalle cattedre bocconiane al timone di un Paese è impresa complicata.

Epperò, nel riassunto dei primi 365 giorni dell’esecutivo Monti non si possono non evidenziare le uscite che hanno scatenato polemiche e fatto infuriare, ridere o impaurire i cittadini.

E allora, meglio fare subito una sorta di compendio, ché la lista è lunga e la materia non è poi così divertente. Di sicuro non si saranno divertiti i cittadini meno abbienti al sentire che nella riforma del lavoro era stata cancellata l’esenzione per i ticket per gli esami diagnostici e per altre prestazioni specialistiche in favore dei disoccupati. Per fortuna il polverone mediatico che si sollevò, portò la Fornero ad ammettere che trattavasi di “refuso”.

Così come chissà quanti lavoratori andarono su tutte le furie al vedere sgorgare le lacrime dagli occhi dello stesso ministro al sol pronunciare la parola sacrifici in merito alla riforma delle pensioni. Ci sono state poi le falle contenute nella riforma del lavoro con tanto di ammissione della Fornero: “C’è il rischio di incentivare il lavoro nero”. E che sarà mai, se poi il lavoro nero e il precariato regnano perfino all’Isfol, ente di ricerca controllato dallo stesso ministero del lavoro?

Il balletto sull’Imu alla Chiesa è ancora argomento attuale, almeno fino a quando non ci sarà certezza sul provvedimento. E che dire dello svarione linguistico che prese alla sprovvista il ministero dell’Istruzione? “Dalla pecora al pecorino, tracciabilità e rintracciabilità di filiera nel settore lattiero caseario toscano”. Recitava così un bando per un assegno di ricerca dell’Università di Firenze pubblicato sul sito del Miur. Che tradotto in inglese diventava: “From sheep to Doggy Style, traceability of milk chain in Tuscany”. Solo che “Doggy style” non c’entrava nulla con uno dei formaggi più diffusi in Italia, ma era un modo di chiamare una posizione sessuale.

Nel calderone delle gaffe va rammentata quella del viceministro al Welfare, Michel Martone, che bollò come “sfigato” chi non concludesse il ciclo di studi universitari entro i 28 anni. Peccato però che i suoi trascorsi professionali e personali abbiano fatto emergere aspetti da privilegiato rispetto a uno studente medio.

Non dimentichiamo poi la bagarre sul posto fisso, definito “monotono” dal premier Monti. Bagarre continuata con le frasi della Fornero: “Bisogna spalmare le tutele su tutti, non promettere il posto fisso che non si può dare, questo vorrebbe dire fare promesse facili, dare illusioni”.

Dichiarazioni che scatenarono la rivolta degli utenti in rete,i quali si scagliarono contro la figlia del ministro del Welfare, Silvia Deaglio, professore associato di Genetica medica alla facoltà di Medicina dell’Università di Torino, dove hanno insegnato sia mamma che papà.

E poi c’è il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri che si ha bacchettato i mammoni e “gli italiani fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà” scordandosi però della nomina del figlio Girogio Peluso, già precoce direttore di Unicredit, a direttore generale di Fondiaria Sai, con tanto di bel posto fisso da 500 mila euro l’anno.

E come non citare poi il povero sottosegretario Franco Polillo, smentito dal suo stesso governo sul capitolo degli esodati. O ancora il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini avventuratosi in un invito al ritorno del nucleare, a poca distanza temporale dal referendum popolare che aveva sancito il contrario.

La Fornero resta però quella che, insieme con Monti, ha collezionato più gaffe. Tra le ultime c’è il tentativo di allontanare i giornalisti da un convegno, tentativo andato a vuoto e a cui è seguita la fatidica affermazione: “Saranno gli errori a fare titolo sui giornali”. E infine c’è la frase sui giovani troppo choosy -schizzinosi – poiché cercano a tutti i costi un lavoro dignitoso, e dunque non precario. Frase che le è costata persino un esposto dal padre di Norman Zarcone, il dottorando in filosofia del Linguaggio che si tolse la vita a Palermo come segno di protesta contro le baronie universitarie e contro la precarietà.

Gallerie fotografiche correlate

Ma la standing ovation va tributata a Mario Monti. Oltre alla “monotonia” del posto fisso, al prof va riconosciuto il merito di aver fatto infuriare persino i tedeschi rilasciando un’intervista al settimanale Der Spiegel nella quale dichiarava che i governi dovrebbero mantenere “un proprio spazio di manovra” indipendente rispetto alle decisioni dei Parlamenti. I teutonici si infuriarono e Monti fu costretto alla rettifica trincerandosi dietro un “sono stato frainteso”.

Episodio simile a quello avvenuto però su giornale diverso e in un paese diverso. “Se il precedente governo (quello Berlusconi, ndr) fosse ancora in carica, ora lo spread italiano sarebbe a 1200 o qualcosa di simile”. Frase rilasciata al Wall Street Journal e che mandò in bestia il Pdl. Anche in quell’occasione Monti si affrettò a smentire malamente.

Così come quando nel corso di una conferenza stampa congiunta col presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso, parlando delle soluzioni alla crisi economica, disse: “Essendoci un consenso più ampio” tra le forze politiche italiane “e una maggiore volontà di cooperazione credo che potremo andare più a fondo. Una frase che poteva essere mal interpretata e che prontamente infatti Monti provvide a spiegare meglio.

Quello che non riuscì a spiegare, probabilmente perché non c’era modo di farlo, era il perché non avesse cantato a Kiev l’inno di Mameli. In quell’occasione lui rimase immobile con la bocca chiusa limitandosi a battere placidamente le mani. Una figura peggiore la collezionò nella comunità di Sant’Egidio. A una donna che lo fermò dicendogli: “Il giorno più bello dopo che mi hanno sfrattato è stato veni­re qui in comunità”, la risposta del premier fu folgorante: “Se non l’avesse­ro mandata via di casa non sta­va così bene come qui a San­t’Egidio”.

Per non parlare poi della bufala pubblicata sul sito di Palazzo Chigi in merito a una presunta citazione di Monti da parte di Obama nel discorso al meeting per la sicurezza nucleare di Seul. Citazione che naturalmente non c’è mai stata. E per rimanere sul sito del governo, come non ricordare la campagna di aiuto lanciato dall’esecutivo sulla spending review. O ancora l’episodio mai chiarito del volo di Stato per andare al compleanno di un amico. Tra le altre gaffe, va menzionata anche la breve apparizione al governo del sottosegretario Carlo Malinconico, dimessosi a causa delle vacanze pagate a sua insaputa.

E se ci spostiamo poi sui dietrofront, il governo Monti meriterebbe l’Oscar alla carriera. La tassa sulle borse studio dei medici? Ritirata. Quella su alcolici e birra? Ritrattata. Articolo 18 per i licenziamenti illegittimi per motivi economici? Tolti e poi ripristinati. Aumento dell’aliquota delle accise di benzina fino a 5 centesimi? Abolita. Tassa di 2 centesimi sugli sms? Abortita. Gratuità dei conti correnti per i pensionati che percepiscono fino a 1.500 euro al mese? Procrastinata. Liberalizzazioni di taxi e farmacie? Emendate. Operazione Cieli bui? Bocciata dai partiti. Patrimoniale? Annunciata e poi ritirata. Alla faccia della tanta sbandierata competenza del governo dei prof. Il Giornale, 13 novembre 2012

………………..Ogni commento ci pare superfluo!

I LAUDATORES DEL GOVERNO TECNICO SI FACCIANO UN PICOLO ESAME DI COSCIENZA

Pubblicato il 11 novembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Come le grida manzoniane. Ogni provvedimento del governo tecnico viene annunciato con gli stessi metodi degli antichi bandi pubblici e gridato per le strade dai banditori, che a volte sono i membri dell’esecutivo, a volte le testate giornalistiche amiche, spesso tutt’e due. E sono giorni che sentiamo parlare delle “rivoluzionarie” riforme attuate da Monti, della necessità di attuare la sua fantomatica agenda e dell’Italia che sarebbe stata «salvata» dai tecnici. Basterebbe qualche piccola riflessione per dimostrare il contrario, ricordare ad esempio che le riforme erano “rivoluzionarie” negli intenti e che invece, nella messa a punto, sono state raffazzonate e annacquate, a partire dal lavoro per finire con le pensioni, zeppe di errori madornali e di problemi giganteschi come il nodo degli esodati. Basterebbe anche ricordare che sul piano economico – proprio quello considerato più congeniale ai professori bocconiani del governo – ci sono stati provvedimenti che hanno incentivato la recessione invece di fare crescita. Lo dimostrano i fatti. Le ultime cifre ufficiali le ha date la Confcommercio: altro che agenda per lo sviluppo e luce in fondo al tunnel, ci troviamo in una galleria che rischia di essere senza uscita, in rapido peggioramento. Giovanni Galimberti, presidente dei giovani di Confcommercio, parla di «consumi che hanno fatto un passo indietro di 15 anni», una morìa di imprese che va avanti al ritmo di una al minuto e che, negli ultimi 18 mesi, ha portato 635mila aziende a chiudere i battenti. Colpa anche di un fisco esoso e sperequato. «È difficile mantenere un’impresa – ha spiegato Galimberti – quando l’imposizione vera ha ormai raggiunto il 55 per cento e quando ci sono imposte che le imprese debbono pagare anche quando sono in perdita, come l’Imu, che è una patrimoniale sui beni strumentali, e l’Irap che è la tassa sulla crescita». Siamo tornati indietro rispetto al lavoro fatto da Berlusconi, che invece aveva abolito l’Ici e messo sotto osservazione l’Irap per studiarne il contenimento. Chi festeggiò la caduta del governo di centrodestra dovrebbe fare un piccolo esame di coscienza. Come minimo. Francesco Signoretta, Il Secolo d’Italia, 11 novembre 2012

.……………..E mentre i fallimenti del governo dei professori sono orami dati acquisiti non certo alla storia ma di sicuro alla cronaca del nostro povero Paese, il capo dei tecnici, il professore per eccellenza, cioè Monti si dimsrra per quello che è, cioè un concentrato di egocentrismo asll’ennesima potenza, e si dà alla laudazione di se stesso, domentico che, come dice il poeta, chi si loda si imbroda. Ma oramai il nostro, dimentico di essere stato egli stesso il prodotto della partitocazia italiana, designastgo una volta da Berlusconi e la volta successiv da Prodi in seno alla Commisisone Europea, ruolo  donde nessuna nuova, nè bella nè brutta,  è mai giunta all’Italia,  non solo non cessa di autoincensarsi (ho più consenso dei partiti che mi sostengono, la gente per la strada mi dice:vai avanti -non ha mai incontrato chi scrive queste note….-, faccio le battute perchè nel mondo anglosassone la ironia è di casa – siamo ai limiti della coglioneria! – ,  sto insegnando agli italiani quello che gli altri non hanno insegnato…e via con queste gradassate da bulletto di Trastevere) ma annuncia che dopo le elezioni se i partiti lo chiamano lui è pronto a continuare. Meno male che a volerlo sono solo due dinosauri della politica italiana, i peggiori volgabbana della storia recente del nostro Paese, cioè Fini e Casini, nonostante i quali è ben difficoile che Monti posa rimanere lì dove la dabbennaggine dei partiti, la ritirata spagnola di Berlusconi,  la svolta autoritaria di Napolitano, lo hanno issato. Da Bersani ad Alfano, passando per la galassia di tuti i partiti, meno appunto l’UDC  e la molecola finiana, tutti sono d’accordo su una sola cosa: l’esperienza di Monti non s’ha da ripetere. Da ultimo, anche per sbattere la porta in faccia a Fini, lo ha ripetuto poco fa su RAI 3 il segretario pdiellino Alfano per il quale l’ipotesi di un altro govenro di pasticcioni, ex seconde e terze file non della politica ma del sottobosco dei laudatores prodomo propria, non esiste per nulla. Concordando di fatto con Bersani: se nessuno vince, si torna alle urne. Cioè, si torna alla democrazia dopo la tragicomica parentesi dei professori che hanno confermato il proverbio per cui “chi sa fa, e chi non sa insegna” (ovviamentte, escluso gli insegnanti, quelli veri, a cui sono affidati i nostri figli). g.

PERCHE’ AL PAESE SERVE UNO SHOCK, di Mario Sechi

Pubblicato il 10 novembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Intorno alla legge elettorale c’è una danza macabra. I partiti non hanno alcuna intenzione di disegnarne una che risponda agli interessi del Paese, una riforma che duri nel tempo e restituisca lo scettro al popolo. Non a caso si stanno scannando sul premio e il premietto e non invece sulla filosofia di fondo di uno strumento fondamentale per l’esercizio della democrazia. In questo caos sguazza Beppe Grillo e fa quello che gli riesce meglio: il Cecco Angiolieri che scriveva «se fossi foco arderei lo mondo». Il problema è che il comico ha intenzione di appiccarlo per davvero, l’incendio. E a questo punto, visto l’immobilismo e l’incapacità del Parlamento, c’è solo da augurarsi che lo shock elettorale arrivi presto e serva a svegliare tutti dal sonno della ragione in cui sono precipitati. Qualsiasi riforma non impedirà al Movimento 5Stelle di sbarcare in Parlamento, questo è ormai assodato e gli esercizi da Azzeccagarbugli sui quali si stanno esibendo i partiti stanno solo confermando che la situazione è grave ma non seria. Grillo fa ridere quando urla al golpe come un invasato, i leader di partito fanno piangere quando rivelano la loro inadeguatezza di fronte a un mondo che corre alla velocità della luce mentre noi viaggiamo come una diligenza trainata da cavalli malnutriti. Nonostante tutto, sono paradossalmente ottimista. Il sistema politico si sta avvitando, la recessione farà crescere ancora la disoccupazione e tutto questo servirà a dare all’Italia lo scossone che serve per farla ripartire. Abbiamo bisogno di cadere in basso per rialzarci. È già successo nella nostra storia e accadrà ancora. Se la crisi del sistema resta questa, gli italiani saranno portati ad arrangiarsi, a vivere di stratagemmi, di baratto. In provincia questo fenomeno è già in corso. In Sardegna è stata costituita un’azienda online, la Sardex, che con lo scambio di beni e servizi tra le imprese iscritte realizza quel che si ferma quando non c’è più liquidità: il commercio. La crisi istituzionale combinata con quella economica porterà rapidamente al cortocircuito di cui il Paese ha bisogno per ripartire. La prossima legge elettorale sarà un «papocchio» di pannelliana memoria perché l’interesse dei partiti è quello di autotutelarsi, proteggersi. È la conferma che sono ciechi: il re è nudo. Mario Sechi, Il Tempo, 10 novembre 2012

.……………………L’ottimismo di Sechi ci spaventa perchè la certezza che egli pone nella ipotesi che dopo aver toccato il fondo il Paese possa rialzarsi è solo utopica e molto retorica. Purtroppo non è tempo di retorica, è tempo di realismo. E di realistico c’è solo che i partiti, tutti, non hanno alcuna intenzione di alzare bandiera bianca, anzi è vero il contrario.  Proprio la legge elettorale è la prova:  nessuno ha intenzione di cambiarla nè mai l’hanno avuta perchè il porcellum tanto  vituperato fa comodo a tutti, a chi vince o spera di farlo, e a chi perde che proprio per questo preferisce mandare in Parlamento i fidati, anzi i “bravi” di manzoniana memoria, che faranno la guardia non a tutela dei cittaidni ma a turela della propra parte intendendo per questa quella quota di casta che resta fuori dalla porta del potere, pronta a mendicarne un pò e un pò a prendersela in cambio di morbidezza come la lana lavata con perlana.  Ci vorrebbe altro che la retorica e il ritorno al futuro con la memoria del passato, ci vorrebbe una “primavera” italiana, anzi europea. Ma non ci sono nè sergenti nè caporali che possano capeggiarla. Perciò, con buona pace degli ottimisti alla Sechi, prepariamoci al peggio che, per dirla con Maurizio Cosrtanzo, è dietro l’angolo. g.




ALFANO-BERLUSCONI: UNO A ZERO, di Mario Sechi

Pubblicato il 9 novembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Le cose sono più forti degli uomini. Me lo disse un banchiere, mentre parlavamo di politica. Spuntò dalle sue labbra come lama che calava inesorabile. Sul suo volto si dipinse un sorriso consapevole, non gratuito, intriso di esperienza e conoscenza del potere. E le cose sono più forti della volontà di Silvio Berlusconi, Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Matteo Renzi. Le primarie sono l’unico strumento a disposizione dei partiti che escono dal ventennio berlusconiano e antiberlusconiano per provare a rigenerarsi. Non è detto che ci riescano, ma la strada è obbligata. Abbiamo assistito 72 ore fa alle elezioni americane: sono già lontanissime ma tanti italiani – e molti lettori de Il Tempo – hanno provato un sano sentimento di invidia per l’America, la sua meravigliosa Costituzione e la capacità di democratici e repubblicani di scegliersi un leader attraverso le primarie, votare e stringersi la mano subito dopo la dura battaglia elettorale. Il Pdl ieri ha mosso un vero passo in avanti dal partito carismatico di Berlusconi al partito democratico di Alfano. Il vertice di ieri ha decretato – per la prima volta – la messa in minoranza del suo fondatore. E la sua accettazione del verdetto politico. Il Cavaliere ha provato a contrastare la decisione, ha mostrato il suo scetticismo verso le primarie, ha mandato avanti la sua «guardia repubblicana» per sbarrare la strada al segretario, ma alla fine ha ceduto. La classe dirigente riunita intorno al segretario – che oggi rappresenta la maggioranza del partito – ha opposto il suo no netto alla retromarcia e al ritorno all’antico rito della nomina. Il Cavaliere ha freddamente incassato il risultato della riunione: Alfano batte Berlusconi uno a zero. È solo il primo tempo di una partita lunga tra il fondatore e il segretario del partito, ma la spaccatura si è consumata e politicamente è una svolta. Da oggi niente è più come prima e Berlusconi ha due opzioni sul tavolo: 1. Si fa garante, padre nobile e ispiratore delle primarie e chiude la sua storia da costruttore; 2. Lavora a un progetto alternativo, consuma il divorzio da quelli che sono stati i suoi colonnelli e chiude la sua storia da distruttore. Nel primo caso, la transizione avviene sotto la sua ala; nel secondo caso è una rottura traumatica in cui lui guadagna una lista personale, ma perde un gruppo di giovani riunito intorno ad Alfano che in ogni caso continuerà a fare politica anche dopo di lui. Il tema è di disarmante semplicità per tutti: con lui o contro di lui, con loro o contro di loro. Le primarie del Pdl non saranno da Oscar, ma faranno lo stesso un gran bene al centrodestra. Con o senza Berlusconi. Siamo vicini a uno shock politico-economico e le elezioni del 2013 lo renderanno visibile. E la vera sfida comincia un minuto dopo. Mario Sechi, Il Tempo, 9 novembre 2012

.…………….Peccato che Sechi, normalmente lucido analista della politica, non abbia considerato che ci sono anche le vittorie di Pirro. Eppure oggi ricorre l’anniversario della caduta del Muro di Berlino che segnò la sconfitta dell’impero del male che pure per più di sette decenni aveva governato metà del mondo e sembrava dover allungare la sua ombra su gran parte dell’altrà metà. Invece una piccola breccia bastò a far crollare il gigante d’argilla quale era sempre stato il comunismo internazionale. Senza voler  paragonare la caduta del Muro alle misere vicende della politica italiana,  ci pare che quella di Alfano è nella sostanza una vittoria di Pirro. Basterà attendere pochi giorni per averne conferma, basterà attendere che si celebrino le “primarie” che di certo  innalzeranno Alfano sul trono del prescelto ma nello stesso tempo certificheranno lo stato comatoso del centrodestra italiano. Sechi sostiene che dalle ceneri si può risorgere…è vero,  ma ciò è miracolistico e non appartiene alle storie degli uomini, specie quelli del PDL che non hanno mai fatto sforzi per “farsi”, avendo potuto sempre contare sulle capacità del Cavaliere, politiche, finanziarie, e, perchè no, barzellettistiche, su cui molti, forse tutti, hanno costruito le proprie fortune politiche. Senza dimenticare  di Berlusconi sia il carisma, che non si compra alla Mongolfiera, sia la intuitività coniugata all’uso della informatica applicata alla politica (leggi: sondaggi). Sui quali, non dimentichiamolo, si è fondata la recente campagna elettorale americana  che intanto, in quanto alle primarie, ha una tradizione bisecolare forgiata sugli usi e sui costumi di un popolo che sulla solidarietà ha costruito una Nazione pur nelle ampie diversità che la contraddistingono, e che conosce, diamone atto, il vezzo del rispetto almeno in supoerficie del rispetto per gli avversari, specie se sconfitti. Vezzo che non appartiene agli italiani, come ha avuto modo di confermare  il vicesegretario del PD, tale Enrico Letta, che l’altra sera, da Vespa, dovendo commentare i risultati elettorali americani non ha perso l’occasione per una ultima petulante contestazione a Berlusocni del quale ha ricordato che nel 2006 (nel 2006! un secolo fa in politica) non “riconobbe” la vittoria di Prodi.Miserie umane! Voler a tutti costi immaginare che basta indire le “primarie” perchè gli italiani, anzi i moderati italiani, riscoprino improvvisamente l’amore non per la politica  ma per il soggetto politico che ambiva a rappresentarli e che  sta chiudendo  la sua storia recente sostenendo il peggior governo di tecnocrati che mai si sarebbe immaginato che assumesse il timone del  nostro Paese è prova di forte miopia, e di viista corta. Non siamo noi che abbiamo in tasca la ricetta gista ma questa di Alfano condivisa da Sechi e forse solo da Sechi non ci sembra quella più appropriata. Prova ne è l’immediato e puerile tentativo di Fini, ormai all’ultima tappa del suo viaggio nel niente, di tentare di salire sul calesse di Alfano ponendo, lui che non  conta più nemmeno il due di coppe quando la briscola è a bastoni,  addirittutra le condizioni: una non detta, la cacciata dell’odiato Berlusconi, l’altra palese ma ancor più oltraggiosa per gli elettori di centrodestra: sostenere, ora e sempre, Monti. Se Alfano si incamminasse su questa strada non ci sarebbe  neppure bisogno di attendere l’annunciato flop delle primarie per decretare non solo la sua fine ma anche quella del centrodestra italiano per il quale si aprirebbe una lunga, lunghissima traversata del deserto, senza neppure le borracce dell’acqua. g.

USA: OBAMA, IL CORRETTISMO E IL MARCHINGEGNO DELLA SPWRANZELLA

Pubblicato il 5 novembre, 2012 in Politica estera | Nessun commento »

A 24 ore dal voto che eleggerà il nuovo presidente americano, ecco un’analisi sui due candidati che si fronteggiano alla pari e alla conquista dell’ultimo voto.

Se ce la facesse Obama, dovremmo prepararci a una nuova temperie mondiale, in un alone vittorioso di ideologicamente corretto. La coppia Romney è bianca che più bianca non si può, lui è un businessman pacchiano ma pragmatico e affidabile, lei la First Lady dei buoni biscottini, il tutto molto americano, e se dell’Europa si parla è perché è un rischio, comprese le cattive abitudini da non importare. La coppia Obama sa di Harvard, Law School, e di orto biologico, sa di cosmopolitismo, di Eurotrash, la gita a Firenze sognata una vita e le buone viziose attitudini del vecchio continente colto e benestante, la coppia ha fallito con le energie alternative ma non demorde, l’idea è quella di assoggettare gli spiriti animali della crescita economica alla dittatura dei luoghi comuni. Intendiamoci, Obama, come ogni altro presidente degli Stati Uniti, fa quel che deve fare, all’ingrosso: prende Bin Laden e lo accoppa, manda in giro una quantità di droni a decapitare il terrorismo mondiale,  sorveglia Guantanamo Bay come il predecessore, si accorda con Wall Street per le regole, tiene a bada il Congresso che lo controlla, ci va piano con le tasse. E lo stesso a parti rovesciate farebbe Romney, che non darebbe il potere ai tea party e alla fine sgonfierebbe il debito con tutta la gradualità necessaria, facendo attenzione a non urtare con lo smantellamento del big government le suscettibilità solidariste che anche in America sono forti il giusto, e nessuno vuole più sentire parlare di guerre secondo un progetto di ordine mondiale fondato sull’espansione della libertà (sono congiunture uniche, come quella dell’undici settembre duemilauno, che consentono o esigono inneschi strategici di quel tipo come accadde con George W. Bush).

Ma lo scontro di segni è fortissimo. Per questo sono ancora convinto, nonostante i sondaggi in contrario, che Romney ce la possa fare. Mi spiego. Il candidato repubblicano non è un asso, anche se è spesso sottovalutato. Ma il candidato presidente Obama è l’opposto di quello che era quattro anni fa. Prometteva un abbraccio universale, la cosa più americana che ci sia, ha realizzato un mandato insulare, tutto chiuso in una dialettica tra i liberal di Chicago e quel che c’è di radicale alla loro sinistra. Non ha governato così male, siamo seri, ma ha governato. E questo solo fatto, dover scegliere anche se malvolentieri e tardi rispetto ai fatti, oltre a produrre risultati economici e sociali ambigui, ha trasformato il giovane nero che prometteva un mondo nuovo per tutti, quel tratto che la cattivissima Sarah Palin chiama the hopey thing, il marchingegno della speranziella, in un intellettuale complicato, che deve badare alle nozze gay e tenersi stretta la vecchia e malsicura maggioranza radicaleggiante, lontano dai destini della famosa America profonda. Di Obama resta l’obamismo all’europea, la parte più debole e ideologica, quella che ha portato all’endorsement snobbish dell’Economist. E Romney esprime, sebbene con una nervatura non proprio sanguigna ed energica, esattamente il contrario, il repubblicanesimo della business community, della country music e della voce rauca di Clint Eastwood. Staremo a vedere. Fonte IL FOGLIO QUOTIDIANO

IN ITALIA C’E’ LA FABBRICA (FALSA) DEI CONVEGNI: DAI FUMETTI AL SANNIO IN CRISI

Pubblicato il 4 novembre, 2012 in Il territorio, Notizie locali, Politica | Nessun commento »

Datemi un convegno e mi si­stemerò. Patologia ad al­ta diffusione tra i politici, la «convegnite» ha in questi anni contagiato, trasversalmente, auto­revoli e anche meno autorevoli esponenti di tutti gli schieramenti.

Il ministro del Welfare, Elsa Fornero

E così, dopo l’allarme lanciato da Monti in febbraio che ha invitato «gli amministratori pubblici ad astenersi dall’effettuare spese di rappresentanza evitando di orga­nizzare convegni o altri eventi non strettamente indispensabili» e do­po che un altro pentolone di scandalo, quel­lo ancor più «raffinato» dei convegni inesi­stenti, scoper­chiatoconleno­te spese dall’ex capogruppo Idv in Emilia-Romagna, Pao­lo Nanni sono state passate al setaccio, ciò che ri­bolle nel cuore degli italiani per be­ne, oltre alla comprensibile rabbia per essere stati presi per i fondelli un’ennesima volta, è la constata­zione della sfrontata faccia tosta che molti rappresentanti eletti dal popolo, dai semplici consiglieri co­munali, a parlamentari hanno di­mostrato fino ad oggi nel promuo­vere, varare, organizzare per parla­re (e in qualche caso non parlare addirittura) delle tematiche più di­sparate e disperate.
Secondo quanto ammesso da Nanni buona parte dei convegni da lui organizzati tra il 2005 e il 2010, e pagati coi soldi del gruppo, erano inventati di sana pianta. Cioè non si sono mai svolti e le lo­candine venivano realizzate a po­steriori da lui medesimo. La con­fessione è arrivata, l’altro giorno dopo un interrogatorio di sette ore, di fronte al pm Antonella Scan­dellari. I convegni inventati ad hoc servivano, avrebbe spiegato Nan­ni agli inquirenti, per giustificare le spese delle cene a cui partecipava­no, di solito, numerosi commensa­li, oppure per«mascherare»le spe­se sostenute per partecipazioni te­levisive.
Fra i più simpatici convegni- fan­tasma quello del settembre 2005 dal tema «La mobilità nella nostra regione». Idem per il convegno «Problemi della casa», che risale al 2006. E ancora nel 2006, Nanni ha ammesso di aver realizzato a tavoli­no la locandina del convegno «La logistica dei servizi sociali in Emi­lia- Romagna», mai tenutosi. Così nella classifica dei «contributi» sti­lata recentemente dal Sole 24 Ore in testa c’è la solita Regione Sicilia, che ai gruppi consegna ben 13,7 milioni di euro l’anno,poi la Lom­bardia che eroga ben 12,2 milioni di euro, quindi il Veneto, che è a quota 9,1 milioni. Il Piemonte, con 7,3 milioni.Poi l’Emilia (6 milioni), la Liguria (5,7), la Sardegna (5,1), la Calabria (4,6), la Campania (4,5 milioni). E via proseguendo, fino alla Basilicata e alle Marche, che hanno speso rispettivamente 575 e 531mila euro. Come evidenziato da più parti, una cifra non lontana dal cinque per cento di queste elar­gizioni è stata destinata dai partiti a convegni e festival.
Leciti e interessanti oppure inu­tili e costosi, resta il fatto che, da sempre,l’Italia soffre di«convegni­te ». Un esempio recente e illumi­nante? La quattro giorni, ad alta densità di chiacchiere, promossa dal 4 al 7 settembre dalle varie auto­rità politiche e istituzionali di San­t’Agata dei Goti ( Benevento): mar­tedì 4 alle 19 «Il Sannio e la Campa­nia, tra aree di crisi e modelli di svi­luppo » con Renato Lombardi, con­sigliere provinciale di Benevento. Gennaro Salvatore, capogruppo «Caldoro Presidente» Consiglio Regionale della Campania. Quin­di mercoledì 5 «Prima, Seconda e terza Repubbli­ca: alla ricerca delle nuove classi dirigen­ti! » con Gianpie­ro Zinzi, com­missario regio­nale Udc Cam­pania, Marco Pugliese, coor­dinatore regio­nale Forza del Sud Campania, Arturo Scotto, se­gretario regionale Sel Campania Gianmario Mariniello, coordina­tore nazionale Generazione Futu­ro, Guglielmo Vaccaro, commis­sione Finanze della Camera.
A seguire la «ciliegina» di giove­dì 6: «La politica che non appassio­na: perché i cittadini hanno smarri­to la fiducia nei partiti politici?». Già perché non appassiona? Ci chiediamo sommessamente. Ma sicuramente una risposta più auto­re­vole l’hanno data Pasquale Som­mese, assessore regionale Campa­nia, Antonio Bassolino, presiden­te fondazione Sudd, Cosimo Sibi­lia, presidente della Provincia di Avellino. E per concludere venerdì 7 un altro convegno su «L’albero del mondo. Weimar ottobre 1942» con Carmine Valentino sindaco di Sant’Agata de’ Goti. Pasquale Vie­spoli, presidente gruppo coesione nazionale Senato, Clemente Ma­stella, segretario nazionale Popola­ri Udeur, Mario Pepe, commissio­ne Questioni Regionali della Ca­mera, Nunzia De Girolamo com­missione Giustizia della Camera.
Atavica patologia la «convegni­te » (è rimasta nella storia la memo­rabile conferenza su «L’ area del Sa­lento come ponte fra l’Italia, i Bal­cani e il Mediterraneo», tenuta a New York rigorosamente in lingua italiana e davanti a un pubblico di pugliesi fatti arrivare dalla Puglia) ha portato,in tempi più recenti sot­to l’attenzione della Corte dei Con­ti le spesucce di Matteo Renzi, quando era al timone della Provin­cia di Firenze. Spese di rappresen­tanza per 2 milioni di euro (ma se­condo il dipendente di Palazzo Vecchio, Alessandro Maiorano sa­rebbero ben 20 milioni) nel perio­do dal 2004 al 2009. Qualche chic­ca? Per la gara-convegno intitolata «Cento picnic, prima festa nazio­nale a premi dei picnic » del 6 luglio 2008 furono spesi 40mila euro. Per festeggiare il trentesimo comple­anno della Pimpa nel 2005 ben 100mila euro. E una città che ha di­ch­iarato fallimento come Alessan­dria? Non sarà solo colpa dei con­vegni ma è curioso che ogni anno, dal 2007 in poi, solo l’Assessorato alle Pari Opportunità abbia orga­nizzato un convegno internaziona­le contro «La violenza sulle don­ne ». Mentre a Padova il convegno «Il lavoro prima di tutto» è costato 12mila euro. Magari li avessero di­stribuiti fra i disoccupati qualcuno sarebbe stato più felice. E meno male che da Milano e da Catania so­no appena transitati i due conve­gni internazionali dal titolo inco­raggiante: «Spegni lo spreco…».  Il  Giornale, 4 novembre 2012

…………..E poi ci si meraviglia che le tasse rincarano….non c’è Comune in Italia che non abbia aumentato  le tariffe IMU, sia quelle della prima casa,  sia le altre. A Toritto, per  esempio,l’IMU sulla prima casa è stata aumentata di un punto percentuale che vale, mediamente, cento euro a famiglia, di un punto è stato aumentato anche l’IMU sulle seconde case, che vale più o meno altrettanto. Naturalmente servono, dicono,  per coprere i buchi, ovvio, ma spesso i buchi sono quelli che provengono da spese inutili e spesso destinate a favorire i “clienti”.  Per esempio a Toritto è stato appena assunto a contratto un altro ingegnere, il terzo!, per 24 ore settimanali e destinato ad occuparsi dei Lavori Pubblici, settore tanto oberato di lavoro (chi li ha visti?) da non potere essere seguiti come sinora è accaduto dall’attuale responsabile. Costo dell’operazione una quarantina di migliaia   di euro all’anno. Invece di aumentare l’IMU sulla prima casa che tutti dicono essere una tassa ignobile,  si poteva incominciare col risparmiare quesi soldi. Magari invece di assumere un altro ingegnere che pare sia anche pensionato, si poteva   “riesumare”  l’ingegnere civile , assunto  una decina di anni fa, rigorosamente senza concorso, inquadrato in categoria D3,   come quello ora assunto a contratto, e che da qualche anno sverna in Comune impegnato in attività marginali, sebbene firmatario di istruttorie di pratiche anche di lavori pubblici. Perchè no?  Misteri entro i quali si avvolgono gli sprechi  che caricano sui cittadini  costi che si potrebbero evitare. A proposito,  c’è in Comune qualcuno che segnali tutto ciò alla Corte dei Conti e magari alla Procura della Repubblica? g.

RITRATTO DI PINO RAUTI E DELLA DESTRA DIVERSA, di Gennaro MALGIERI

Pubblicato il 3 novembre, 2012 in Politica, Storia | Nessun commento »

Gennaro Malgieri, giornalista, intellettuale, deputato, già direttore de Il Secolo d’Italia, scrive oggi, sul Tempo, un ritratto a tutto tondo di Pino Rauti. Lo pubblichiamo perchè non è soltanto una commemorazione commossa, un omaggio reverente ad una figura straordinaria della Destra italiana, ma perchè nel ritratto che Malgieri delinea della storia personale, politica , morale di Rauti  si possono riconoscere tutti coloro, specie quelli ormai canuti, che negli anni 60 e 70 furono, vollero essere, protagonisti di tante battaglie per una Italia diversa e migliore. Come la sognava e la voleva Pino Rauti.

Pino Rauti è stato il simbolo vivente della complessità della destra italiana. La scarsa dimestichezza del giornalismo politico del nostro Paese ad affrontare i personaggi «cruciali» della vita pubblica, soprattutto quando sono difficili da incasellare nelle gabbie ideologiche, lascia spazio all’incomprensione o, peggio, alla rimozione. È accaduto a Rauti, intellettuale di natura gramsciana (tanto per sfuggire alle definizioni scontate), che con la sua ostinata capacità di attirarsi i fulmini demolitori dell’establishment politico e mediatico, ha testimoniato il primato della cultura in politica a spese del piccolo cabotaggio elettoralistico e partitocratico. In questo senso egli ha riassunto la sua militanza per oltre sessant’anni finendo per rappresentare quella certa idea della destra che confonde gli osservatori non meno che la maggior parte di coloro che nella destra stessa pure si riconoscono o si sono riconosciuti. La sua fiera «diversità» Rauti l’ha dispiegata tutta nel perimetro dell’irregolarità, il ché gli ha procurato notevoli fraintendimenti che tuttavia non lo hanno mai fatto deflettere dalla convinzione maturata fin da giovanissimo: la necessità, cioè, di coniugare i valori tradizionali con la «questione sociale» in una sintesi che oggi potremmo arditamente definire «metapolitica» che immaginava a fondamento di una Repubblica pacificata e modellata secondo i criteri della partecipazione e del decisionismo. Si fa presto a liquidare Rauti come un «incendiario d’anime», per usare la forte e suggestiva espressione che la Pravda – niente di meno – coniò per lui nel 1979 quando perfino in Unione Sovietica ci si accorse che dalle idee rautiane, ben articolate nell’ambito di giovani politici che erano anche intellettuali, e veicolate da un giornale che egli aveva appena fondato, Linea, poteva venir fuori una destra non convenzionale, ma alternativa a quella stereotipata dei perbenismi in voga e un po’ parruccona, funzionale ai ceti borghesi e rassicurante lo stesso sistema dei partiti. Una destra «rivoluzionaria», insomma, gravida di idee e capace di una suprema apostasia: la negazione delle virtù plebee in nome di una paradossale aristocraticità sociale, più vicina alla concezione di un George Sorel e del sindacalismo che ne discendeva che ad una destra tutta «legge e ordine» il cui conservatorismo si esauriva nel perimetro quieto dell’opposizione parlamentare. Rauti ha tentato, in parte riuscendoci, con le sue iniziative politiche e culturali, con le sue riviste, i suoi libri (comunque la si pensi resteranno fondamentali «Le idee che mossero il mondo» e la «Storia del fascismo» in cinque volumi scritta insieme con Rutilio Sermonti), i suoi centri di studio e di riflessione che raccolsero la gioventù più reattiva e anticonformista della destra dalla fine degli anni Sessanta in poi. La complessità di una destra che si richiamava non al fascismo in quanto tale, ma al più vasto mondo intellettuale tradizional-conservatore, le cui ascendenze evoliane innanzitutto erano innegabili, è testimoniata proprio dall’azione formatrice di Rauti per il quale le nuove scienze e l’ambientalismo, il radicalismo istituzionale ed il popolarismo localistico, le tematiche giovanili – dalla musica alternativa all’arte d’avanguardia, dalle problematiche femminili alla rilettura dei fenomeni aggregativi da cui discesero i famosi Campi Hobbit, dalla narrativa fantastica alla fumettistica che era appannaggio soltanto della sinistra, tanto per citare alcune espressioni che contribuirono a svecchiare la destra italiana – e la rivisitazione del solidarismo in una chiave che prevedeva il superamento della lotta di classe e la messa in discussione del capitalismo finanziario, fornirono al mondo che si ritrovava nel Movimento Sociale Italiano un vero e proprio arsenale di idee per combattere, come si diceva allora, la «buona battaglia». Rauti è stato il motore di tutto questo fermento di innovazioni che neppure la più dura, accanita, mostruosa persecuzione politica e giudiziaria a cui è stato sottoposto per circa quarant’anni, ha frenato. E di questa pagina della storia personale di Rauti che s’intreccia con quelle più controverse e problematiche della storia repubblicana, un giorno si dovrà dare conto, partendo dall’assunto che le idee non si processano e non si possono costruire mostri funzionali ad una strategia elaborata in chissà quali santuari che avrebbe dovuto destabilizzare il sistema allo scopo di stabilizzare assetti di potere che si facevano la guerra con gli strumenti che purtroppo abbiamo conosciuto. Legioni di inquisitori e di pistaroli hanno provato a distruggere la credibilità di Rauti, la sua onorabilità, il suo stesso mondo politico, ma non ci sono riusciti. Gli innumerevoli processi che ha affrontato non soltanto non lo hanno piegato, ma lo hanno reso più forte: è sempre stato assolto, uscendo indenne dalle numerose inchieste che, come testimoniarono i suoi colleghi del Tempo, fin dal 1972, nulla avevano a che fare con un giornalista che amava l’impegno politico e lo interpretava come un assoluto dovere civile anche quando le «pericolose» o «rischiose» idee che professava potevano costargli caro. Nonostante tutto le innumerevoli volte che è stato eletto deputato, parlamentare europeo e rappresentante del nostro Paese nel Consiglio d’Europa, dimostrano che la fiducia che gli veniva accordata – condivisa peraltro da tutto il suo partito – era più forte dei pregiudizi. Rauti, comunque, è sempre stato un’anima inquieta. Fin da quando giovanissimo aderì alla Repubblica Sociale Italiana e fu poi imprigionato nei campi di concentramento nordafricani maturò la convinzione che il suo sarebbe stato il destino di un «agitatore». Tra i giovani aderenti al Msi della prima ora, mostrò immediatamente insofferenza anche verso un ritualismo neofascista nostalgico e privo di spessore spirituale, tanto da far parte del «commando» dei Far, occultamente diretto da Pino Romualdi, accusato di attentati sovversivi (per la cronaca, non un capello venne torto a nessuno) e mandato alla sbarra nel 1951 insieme con tanti altri rivoluzionari, il più illustre dei quali, si presentò al Palazzaccio in carrozzella, accompagnato e difeso gratuitamente dal più grande avvocato del Novecento, Francesco Carnelutti: era Julius Evola la cui «Autodifesa» resta tra i testi più significativi per comprendere la stagione dei vinti nella Repubblica democratica ed antifascista. In quelle circostanze, nel mentre la lotta politica si faceva più dura, Rauti maturò la convinzione che il parlamentarismo nel quale si stava confinando il Msi lo avrebbe condannato all’estinzione. Promosse il Centro Studi Ordine Nuovo, che, contrariamente ad una vulgata menzognera, nulla aveva di «sovversivo»; condusse parallelamente la polemica politica e indirizzò verso la formazione culturale numerosi giovani. Poi la riconciliazione con il Msi di Almirante e l’ambiziosa battaglia per «sfondare a sinistra» convinto che soltanto la destra nazionale e sociale poteva dare al Paese una conformazione nuova. Ne divenne segretario nel 1990, ma anche per giochi di potere interni la sua esperienza al vertice del partito durò poco. Molto ci sarebbe da dire di quella confusa stagione che, comunque, resta la più fervida dopo il tempo almirantiano segnato dalla Grande Destra. Rauti se n’è andato dopo i suoi amici con cui ha vissuto il sogno della rivoluzione impossibile: Giano Accame, Enzo Erra, Fausto Gianfranceschi. Tutti protagonisti di una destra incompresa dalle riserve ancora ricche per chi volesse penetrarla ad là delle coltri nebbiose che impediscono una seria visione politica. Lo raccomandava Rauti soprattutto ai suoi giovani amici: non disperdere il raccolto di una storia poiché senza radici non vi può essere avvenire. È ciò che di più prezioso rimane di lui in chi lo ha ammirato, gli ha voluto bene e perfino in chi lo ha contestato. Comunque la si pensi, al suo cospetto, oggi si deve ammettere che Rauti è stato un uomo della destra complessa, appunto, non convenzionale, impastata di certezze e di contraddizioni e perciò viva, che, non merita di essere liquidata come il frutto di una marginale ideologia. Gennaro Malgieri, Il Tempo, 3 novembre 2012