DIMINUISCE L’IRPEF, AUMENTA L’IVA: CHI VINCE E CHI PERDE.

Pubblicato il 11 ottobre, 2012 in Economia | Nessun commento »

A conti fatti, tra l’aumento dei consumi e gli sconti fiscali, la riduzione della pressione fiscale rischia di risolversi in un saldo negativo nelle tasche dei contribuenti. L’impatto delle nuove aliquote

Iva irpef

LE NUOVE ALIQUOTE DI IVA E IRPEF:

Reddito imponibile Aliquota Irpef (lorda)
fino a 15.000 22% [23%]
22% [23%] del reddito
da 15.001 a 28.000 26% [27%] 3.300 [3.450] + 26% [27%] sulla parte oltre i 15.000
da 28.001 a 55.000 38% 6.680 [6.960] + 38% sulla parte oltre i 28.000
da 55.001 a 75.000 41% 16.940 [17.220] + 41% sulla parte oltre i 55.000
oltre 75.000 43% 25.140 [25.420] + 43% sulla parte oltre i 75.000

Il taglio dell’Irpef di un punto percentuale sui primi due scaglioni di reddito e l’aumento dell’Iva dal 21 al 22% e dal 10 all’11%”, secondo quanto presentato nella Legge di stabilità, ha sollevato molte polemiche tra le fila dei consumatori, dei commercianti e delle piccole imprese: rischia di diventare una manovra boomerang.

A conti fatti, i benefici che abbassano l’imposta sui redditi – e che comunque non supereranno i 280 euro annui – vengono erosi dall’aumento dell’Iva che scatterebbe a luglio e che produrrà un notevole aumento dei prezzi, anche se il ministro Vittorio Grilli ha annunciato che farà di tutto per scongiurare la crescita del balzello. Inoltre, come segnala la CGIA di Mestre, la stangata andrà a colpire anche gli 8 milioni di contribuenti italiani incapienti (pari al 20% circa del totale dei contribuenti), che oggi si ritrovano nella cosiddetta “no tax area” e che pertanto non beneficeranno di alcuna riduzione Irpef.

Numerose associazioni  tracciano un quadro fosco e quantificano l’impatto dell’aumento dell’IVA sulla spesa delle famiglie.
Confcommercio. Con le misure sull’Iva il calo dei consumi nel 2013 sarà dello 0,9% e ancor peggio andrà nel 2014, sostiene infatti l’ufficio studi dell’ente. Si chiama “difetto capitale” della manovra”, perché ridurrà il valore, in termini di potere d’acquisto, di tutti i risparmi attualmente detenuti dalle famiglie.
Codacons. L’aumento dell’Iva significa una stangata media, su base annua, considerando la famiglia media Istat da 2,4 componenti, pari a 273 euro: 176 euro per l’Iva dal 21 al 22% e 97 euro per l’Iva dal 10 all’11%”. Ovviamente, ha spiegato il Codacons, la stangata sarà ben maggiore per le famiglie più numerose: 324 euro per una famiglia di 3 persone, 432 per 4 componenti.
Coldiretti. L’aumento dell’Iva porterà un rincaro di 500 milioni di euro nella spesa delle famiglie.
Confesercenti. “Una inaccettabile mazzata da 1,5 miliardi di euro mascherata da taglio della pressione fiscale”.
CGIA di Mestre. Saranno penalizzati soprattutto i meno abbienti, mentre i  vantaggi economici maggiori riguarderanno i redditi da 30.000 euro. Ecco i conti realizzati dall’Associazione Artigiani Piccole Imprese Mestre applicati alla tipologia del contribuente senza famigliari a carico, nell’ipotesi che in entrambi gli anni presi in esame (2013, 2014) i consumi e i livelli di reddito rimangano gli stessi del 2012.

CONTRIBUENTE SENZA FAMIGLIARI A CARICO (valori in €)

da VIRGILIO, 11 ottobre 2012

STANOTTE AUMENTATA L’IVA: MONTI E I SUOI BOYS CI FREGANO ANCORA

Pubblicato il 10 ottobre, 2012 in Economia, Politica | Nessun commento »

Tasse, furto con destrezza  ci danno 21 euro al mese ce ne tolgono molti di più

Ecco servita l’ultima  beffa del governo Monti, l’ultimo capolavoro a base di tasse. Il colpo di scena arriva arriva nel cuore della notte, nel corso della conferenza stampa del governo che ha illustrato nel dettaglio tutte le misure approvate con la legge di stabilità. Ecco l’ultima beffa targata Monti: l’Iva aumenterà di un punto in compenso saranno ridotte di un punto le aliquote Irpref per i redditi più bassi. I prof ci hanno  fregato ancora. Il “contentino” dato agli italiani è la riduzione dell’Irpef sui redditi bassi (dal 23% al 22% per le fasce di reddito più basse e dal 27% al 26% per i redditi dai 15 ai 28mila euro ). Ma non serve essere dei professori plurilaureati per fare due conti e scoprire che il risparmio per la riduzione delle aliquote si traduce in soli 21,5 euro al mese, una cifra più bassa rispetto a quanto sborseremo per l’aumento dell’Iva. Non è possibile fare calcoli precisi perché l’aumento dipende, ovviamente, dal bene che si acquista ma, partendo dai dati Istat sui consumi medi di una famiglia italiana, risulta che il rincaro è pari a 23,1 euro al mese. Quasi due euro in più rispetto al risparmio legato al taglio dell’Irpef . Dal luglio 2013 ci troveremo davanti a un aumento dell’Iva che si tradurrà in un ulteriore aumento dei prezzi. (l’aliquota passerà dall 10 all’11% e dal 21 al 22%) e avrà inevitabilmente conseguenze sui consumi degli italiani (già fortemente in calo a causa della crisi) e anche sui risparmi. Altro effetto collaterale dell’aumento dell’Iva sarà l’aumento del “nero”, il dilagare dell’evasione fiscale che pure il governo Monti intende combattere con ogni mezzo.

La tassa che esce dalla porta entra dalla finestra Insomma, se da una parte il governo dà lo zuccherino del taglo dell’Irpef, dall’altra ci rifila la mazzata dell’aumento del’Iva. Che è molto più pesante e amara dello zuccherino. Lo scambio fatto dal governo non è nemmeno alla pari. Confesercenti denuncia che “l’aumento delle due aliquote Iva dovrebbe generare un gettito di circa 6,5 miliardi di euro; un dato ben superiore al costo della riduzione delle due aliquote Irpef, che è intorno ai 5 miliardi”. “In sostanza se, da un lato, le famiglie potrebbero beneficiare in media di circa 200 euro dal taglio Irpef dall’altro, a parità di consumi, dovranno sborsarne circa 264 in più in virtù dell’aumento Iva”. Uno  scambio ineguale che, denuncia Confindustria, si trasformerà in una  perdita per quegli strati sociali più poveri che già ora sono esenti dall’Irpef: “per loro la prospettiva è una sola, ovvero pagare per intero l’aumento dell’Iva”

I consumatori e Confesercenti La decisione di abbassare di (un punto) l’Irpef sui redditi più bassi è solo una foglia di fico perché a fronte di un aumento dei prezzi dei beni, ci sarà un risparmio minimo per gli italiani. L’austerità «non è un circolo vizioso, la disciplina di bilancio paga e conviene perché ci ha consentito di non dover rincorrere di continuo la congiuntura. Con le decisioni di stanotte in questo brevissimo  consiglio dei ministri abbiamo voluto dare il chiaro segnale che quando ci sono segni di stabilizzazione ci si può permettere qualche sollievo», dice Mario Monti. Un sollievo «che non è una modifica di rotta». Ma i consumatori sono già sul piede di guerra: “La riduzione di un punto dell’Irpef e dall’altra parte l’aumento dell’Iva è una presa in giro dei consumatori ai quali il Governo, fino a ieri, aveva promesso che avrebbe fatto di tutto, fino all’ultimo, per scongiurare questo aumento, visto il crollo dei consumi”. Così il Codacons commenta le novità introdotte dalla legge di stabilità. “Diventa ancora più una beffa ed un tradimento – aggiunge l’associazione – l’aumento di un punto dell’Iva a fronte della riduzione dell’Irpef, che dimostra come le risorse per non aumentare l’Iva evidentemente ci sono”.  Durissimo il commento di Confersercenti: “Lo scambio tra taglio delle aliquote Irpef e aumento dell’aliquota Iva non è un favore alle famiglie. Anzi, è un’altra inaccettabile mazzatà da circa 1,5 miliardi di euro mascherata da taglio della pressione fiscale”.

.……………Questa è la risposta di Monti alla proposta di Berlusconi!

BERLUSCONI E IL BEL GESTO TARDIVO

Pubblicato il 10 ottobre, 2012 in Politica | Nessun commento »

L’annuncio di Silvio Berlusconi, disposto a non candidarsi pur di creare le condizioni per un’ampia intesa tra i moderati, è stato giudicato tardivo, e non senza ragioni. Che fosse impossibile riunire attorno a lui una coalizione competitiva era già chiaro da tempo, la stessa ricerca di appoggi individuali per tenere in piedi il suo ultimo governo ne era la dimostrazione. Anche l’argomento, l’esigenza di mettere insieme tutti quelli che non desiderano che a governare l’Italia sia una coalizione di centrosinistra è un po’ datato. Sono quasi vent’anni che si alternano coalizioni costruite “contro” e si sono dimostrate tutte incapaci di produrre una coesione sufficiente per realizzare il proprio programma.

Ciò detto, constatato cioè che la proposta del rassemblemant moderato è stata vanzata in ritardo e sulla base di un’indicazione politica debole, bisogna domandarsi se sia troppo tardi, e se esistano comunque gli spazi per riempire uno schema di alleanze ancora poco robusto di argomenti e contenuti convincenti, tali da renderlo effettivamente competitivo non solo sul piano numerico. Togliere di mezzo le ostilità personali tra i leader del centrodestra è la condizione necessaria ma non sufficiente per aprire un confronto sulla prospettiva che, in ogni caso, non può essere di ripetizione di un bipolarismo distruttivo. Non per una mera questione di buon gusto, ma perché le condizioni dell’Italia e le minacce tuttora incombenti debbono preservare un minimo di intesa bipartisan su aspetti essenziali della politica economica e del rinnovamento istituzionale. E’ il patrimonio politico che è stato accumulato in questi mesi di collaborazione comune con il governo tecnico, e non va disperso.

D’altra parte non avrebbe senso alludere alla possibilità di affidare a Mario Monti la guida della coalizione moderata senza tener conto, oltre che della sua originaria impostazione liberale, del percorso politico di carattere unitario che ha compiuto e che lo caratterizza. Serve poi una riflessione sulle ragioni che hanno portato all’insuccesso i governi moderati dell’ultimo periodo (come peraltro quelli di centrosinistra), che non risiedono solo nella complessità del sistema istituzionale o nell’iniziativa degli avversari. Anche se si pensa che ci sia stata una preclusione all’inserimento nello stato della rappresentanza politica dei moderati nelle forme che ha assunto concretamente, non si può sfuggire alla questione del come sormontare questa preclusione. Berlusconi ha aperto, tardi e male quanto si vuole, lo spazio per questo confronto, che resta comunque assai arduo. Toccherà agli interlocutori naturali scegliere se accettare la sfida per la costruzione di un’alternativa competitiva al centrosinistra o preferire la ricerca di un ruolo ancillare. Foglio quotidiano, 10 ottobre  2012

.…………Mentre si inseguono sui giornali e sul web le più disparate letture del cosiddetto “bel gesto” di Berlusconi, offriamo questa valutazione del Foglio quotidiano che non essendo firmata può attribuirsi se non alla penna certo all’indirizzo del suo direttore Giuliano Ferrara sull’iniziativa di Berlusconi. Sulla quale  restano tutti i dubbi sia sulla effettiva volontà di Berlsuconi di tirarsi fuori, sia che questo possa considerarsi un “bel gesto” visto che lo si accompagna alla proposta di mettere a capo di un rinnovato centrodestra proprio quel Monti che in questo anno di potere autoritario del nostro Paese si è mostrato per nulla liberale e assai sinistrorso con la sua politica di tasse a più non posso, confermandola anche in queste ultime ore con l’aumento di un punto dell’IVA che pure aveva solennnemente promesso non ci sarebbe stato. Queasto Monti che è  peggio di qualsiasi premier di sinistra mai potrebbe essere il leader  politico e istituzionale del centrodestra liberale e antitasse. g.

L’ITALIA VA A FONDO. MA TUTTI, ORA ANCHE BERLUSCONI, VOGLIONO IL MONTI BIS. MA PERCHE’?

Pubblicato il 9 ottobre, 2012 in Politica | Nessun commento »

L'Italia va sempre più a fondo Ma tutti (Cav compreso) vogliono il Monti-bis. Ma perché?

Meglio lasciar parlare le cifre. Le ultime di una infinta e allarmante serie sono quelle diffuse dal Fondo Monetario Internazionale sul nostro Paese: outlook negativo, un futuro nero. O meglio, un bagno di sangue. Parliamo di Pil, che nel 2012 sprofonderà del 2,3% e nel 2013, alla faccia delle ottimistiche previsioni di Mario Monti, calerà di un ulteriore 0,7 per cento. Il Fmi ha poi parlato di disoccupazione, che schizzerà dall’8,4% del 2011 al 10,6% del 2012, per poi ritoccare la “vetta” raggiungendo l’11,3% nel 2013. E secondo la Bce, ad oggi (e non nel 2013), la situazione nel Belpaese sarebbe ancora peggiore: i senza lavoro, secondo l’istituto centrale di Francoforte, sarebbero il 12,5% (il tasso include chi ha smesso di cercare lavoro, i cosiddetti “scoraggiati”). Infine l’Istat secondo il quale, ad agosto 2012, il tasso di disoccupazione era al 10,7%, invariato rispetto ai due mesi precedenti e in aumento del 2,3% su base annua, quella in cui ha operato il governo tecnico.

Deficit-Pil – Sempre secondo il Fiscal Monitor diffuso dal Fmi peggiorereanno anche i conti pubblici: il rapporto tra deficit e Pil in Italia scenderà all’1,8% nel 2013 rispetto al 2,7% del 2012: certo, un miglioramento c’è, ma rivisto al ribasso dello 0,3% per entrambi gli anni a causa dell’acuirsi delle difficoltà economiche. Insomma, non ci sono tasse e tagli che tengano: la “macchina Italia” è impantanata e i balzelli (o le stangate, fate voi) dei tecnici non sono altro che nuovo fango gettato, copiosamente, su ruote che non riescono a ripartire.

I fallimenti delle imprese – Il bollettino di guerra è appena iniziato. Prendiamo la produzione industriale, in calo dello 0,3% a settembre rispetto ad agosto, quando era stata stimata una variazione nulla sul mese precedente. I dati, elaborati dal Centro Studi di Confindustria, indicano che nel terzo trimestre dell’anno in corso l’attività è diminuita dello 0,9 per cento. In sostanza il livello dell’attività industriale è molto basso, lontano anni luce da quello pre-crsisi. Di pari passo viaggiano i fallimenti delle pmi. Emblematico (e drammatico) uno studio di Unimpresa: un’azienda su tre, entro la fine del 2012, rischia il fallimento. Il 33%, insomma. L’analisi del Centro riguarda l’organizzazione di rappresentanza delle micro, piccole e medie imprese, e il quadro che emerge dagli indicatori, dai bilanci e dalle segnalazioni delle banche è drammatico. Otto imprese su 10 peggioreranno la performance e la salute finanziaria nei 12 mesi successivi al segnale di rischio. In soldoni, come detto, la elevata probabilità di default per le imprese riguarda 1 esercizio su 3.

Debito pubblico – Un altro annoso capitolo è quello del debito pubblico, che sfiora i 2mila miliardi di euro. Secondo l’ultima rilevazione, che risale allo scorso luglio, il debito pubblico si attesta a 1.967,5 miliardi di euro, in calo di 5,5 miliardi. Una flessione, però, che secondo la Banca d’Italia riflette essenzialmente l’avanzo di di cassa registrato nel mese, pari a 5 miliardi (fanno 5,5 miliardi escludendo la quota di pertinenza dell’Italia dalle erogazione effettuate dall’European Stability Facility). Al netto di queste ultime l’avanzo del mese è stato di 0,5 miliardi superiore a quello del corrispondente periodo 2011: ben poco, se rapportato agli sforzi compiuti dagli italiani e ai tagli che hanno colpito gli enti locali.

Le truppe cammellate del Prof – Il contesto economico, in definitiva, è drammatico, in costante e irreversibile deterioramento. La “manina” dei tecnici e il loro programma eterodiretto (dall’Europa) di risanamento eterodiretto sta naufragando, condannato dalle cifre e dalle evidenze di un Paese che non riesce più a reggersi in piedi, bastonato e stordito dalle tasse. Eppure mezzo paradiso politico preferisce applicare le proverbiali fette di salame sugli occhi e invoca il bis di Monti, dell’unico uomo che può salvare la patria. In prima fila Pierferdinando Casini, sorretto dall’impalpabile Gianfranco Fini. Poi l’ala riformatrice del Partito Democratico, Matteo Renzi in testa, e anche in quella più di “sinistra” che risponde al segretario, Pierluigi Bersani, l’agenda Monti viene citata come il Vangelo (un Vangelo da correggere in certi punti, ma pur sempre Vangelo). Scontato che anche tutte le autorità europee (ci mettiamo anche Giorgio Napolitano, che agisce più da emissario della Bce che da presidente della Repubblica) chiedano in coro che continui il regno di Monti. Forse lo fanno perché hanno il terrore di non farcela, ma se così fosse, piuttosto che permettere a Mario di ultimare la distruzione, i politici (tutti) farebbero meglio a lasciare il passo.

E anche il Cavaliere… – Meno scontato, seppur nell’aria e più volte sussurrato, era l’appoggio che anche il Pdl ha accordato a Monti. La maschera è stata gettata. Lo ha fatto Silvio Berlusconi in persona, intervistato dal direttore di Libero, Maurizio Belpietro. “Sono pronto a fare un passo indietro per riunire i moderati, magari con Monti premier”. Anche il Cav, insomma, si è piegato alle pressioni delle ali azzurre che non vedono alternativa migliore a un raddoppio del professore (i Colonnelli in primis). Forse – anzi, con tutta probabilità – si tratta di calcolo politico: Berlusconi ha paura di perdere gran parte del suo peso parlamentare e preferisce caldeggiare un Monti bis, magari sostenuto da una nuova grande coalizione all’interno della quale abbia possibilità di manovra. Nel peggiore dei mondi possibili si tratterebbe, al contrario, di un reale convincimento. In entrambi i casi – ma nel secondo sarebbe un errore ancora più grave – la scelta (del Pdl e di tutti quelli che sostengono Monti) appare sciagurata. Ogni indicatore lo condanna, in un anno ha ottenuto poco e nulla, l’Italia è devastata da disoccupazione e pressione fiscale, le mirabolanti riforme promesse sono state approvate a singhiozzo dopo essere state sottoposte a violentissime mutilazioni. Questo è il governo dei tecnici. Questo è il governo che molti, compreso Berlusconi, vogliono riproporci. Una sola domanda: perché?  LIBERO, 9 OTTOBRE 2012

……Già, perche’?

PDL: E’ UNA STORIA FINITA. SI VOLTI PAGINA. di Mario Sechi

Pubblicato il 8 ottobre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Rompete le righe. Il Pdl non è mai diventato un partito, Berlusconi non l’ha mai inteso come tale, meglio per tutti voltare pagina. Ci sono molte buone ragioni per farlo e nessuna che consigli di continuare una storia finita. Che ognuno sia libero di esprimersi come meglio crede. Ciak, si gira la rupture. Incolonniamo un paio di personaggi e alcuni modesti consigli.

Silvio Berlusconi. Faccia la sua «cosa». Quel che pensa del suo partito – ribadisco, il suo – è noto e non è quello delle note ufficiali ma dei retroscena che tutti pubblichiamo: non si riconosce nei parlamentari che lo hanno seguito in questi anni. Prova perfino fastidio. Bene, ne tragga le conseguenze. Sciolga gli ormeggi e parta con la nave dei suoi (in)fedelissimi. La gratitudine non fa parte delle categorie politiche – neppure la sua – e quelli del Pdl che l’hanno sostenuto e difeso mettendoci l’onore e la faccia sapranno cosa fare in futuro. Chiarezza, please.

Angelino Alfano. Un quarantenne deve esser capace di scegliere: o con lui o contro di lui. Alfano è un delfino finito nella rete del Cavaliere, la sua segreteria è stata sterilizzata. Non è riuscito a ottenere neppure le dimissioni della signorina Nicole Minetti, nominata consigliera della Regione Lombardia da Berlusconi e non da altri. Ha cercato di costruire un dialogo con le altre forze politiche trovandosi di fronte al Cav che decideva per lui. Ora è a un bivio: restare segretario di niente o riprendersi almeno la libertà di parola. Coraggio, ora o mai più.

Fabrizio Cicchitto. Nel Psi difese Craxi dall’assalto giudiziario pur non essendo craxiano, nel Pdl ha difeso Berlusconi dalla ghigliottina pur essendo lontano dal mondo berlusconiano. È il suo destino, difendere le cause giuste con le persone sbagliate. È una delle poche figure che nel partito sa leggere la politica e dice al Cavaliere le cose come stanno. Non ha bisogno di un altro giro di giostra, ne ha viste tante, può salutare tutti, continuare a scrivere libri e godersi il tramonto. Socialista per sempre.

Maurizio Sacconi. Rischiò di non fare il ministro nell’ultimo governo perché Berlusconi gli preferiva un nome del tutto improbabile e improponibile.La spuntò per sua fierezza e oggi si ritrova a parlare di lavoro e riformismo con chi non ne sa niente, ma pensa di sapere tutto. È uno di quelli che nel Nord-Est trova ascolto tra gli imprenditori che non ne vogliono sapere di miracoli. Gondola e Marco Polo, si viaggia.

Gaetano Quagliariello. L’unico professore di grande valore che ha avuto il coraggio di confrontarsi con la realtà della politica. Dalla biografia di De Gaulle ai vertici con Silvio. Teoria e pratica. Un «consigliere del principe» prezioso, attento alle ragioni della politica senza sbracare nell’utopia. Non ha mai avuto paura della trincea. Vale per lui la frase di Bruce Chatwin: «Che ci faccio qui?».

Gianni Alemanno. Fa il sindaco di Roma e intorno a lui ci sono le macerie di un partito che non c’è più e nel Lazio è sinonimo di Francone Fiorito, noto Batman. Ha chiesto, quasi in solitudine, le primarie. Non le otterrà. Con Andrea Augello e altri è l’unico che ha mantenuto un’organizzazione, una «base», qualche voto ideale. È l’ora di dire qualcosa di destra.

Gasparri & La Russa. Sono inscindibili. E per questo vanno letti come un corpo solo. Siamesi italiani. Sono il residuato bellico degli ex colonnelli di An. Hanno rotto con Fini che galleggiava sulle correnti e – non lo diranno mai – si sono rotti del Cavaliere che galleggia su se stesso e affonda tutti gli altri. Via dal Titanic. Mi fermo qui, per ora. Potrei aggiungere molti altri caratteri e gruppi che in vent’anni hanno calcato le scene del berlusconismo e oggi si sentono «senza patria». Conclusione? È una storia che ha bisogno di un nuovo inizio. È tutta da scrivere, la cominceranno loro (forse) ma i personaggi, presto, saranno altri. Buon viaggio. Mario Sechi, Il Tempo, 8 ottobre 2012

…………..L’abbiamo già ricordato. I romani, all’indomani dell’8 settembre e poi della dichiarazione di Roma città aperta,  sui muri della città scrissero: annatevene tutti, lasciateci piangere da soli. E’ quel che ci sentiamo di dire di fronte allo sfacelo di una storia che poteva essere diversa e non lo è stata. Recriminare, cercare i colpevoli (tanti!), graziare gli incolpevoli (pochi!) non serve a nulla. Di fronte al “popolo di destra”  ci sono solo macerie e non soltanto elettorali, sopratutto morali, di Valori perduti, di sentimenti traditi, di speranze vanificate, di promesse mancate. Peccato…perciò “annatevene tutti e lasciateci piangere da soli”. g.

MONTI…ALLA FACCIA DELLA SOBRIETA’ INCASSA 32 MILA EURO AL MESE…LUI SI CHE LE TASSE LE PAGA VOLENTIERI!

Pubblicato il 4 ottobre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Monti più volte ha chiesto sacrifici agli italiani.

Lui ha perfino rinunciato al compenso da presidente del Consiglio (nonostante i contributi pensionistici il Prof li continui) e da ministro dell’Economia (incarico quest’ultimo ricoperto adesso da Grilli). Il tutto in nome della sobrietà e dei conti ordine, ché i tempi non sono floridi.

Peccato però che Mario Monti, in termini di sobrietà e austerità, non sia proprio un asso. Infatti, secondo i conti in tasca al premier fatti da Dagospia, il bocconiano incassa uno stipendio mensile di 32mila euro. Per arrivare alla cifra complessiva, si deve partire dalla remunerazione di Commissario europeo (iniziò a lavorare a Bruxelles nel 1995): 9mila euro lordi mensili. Senza considerare che le pensioni e le indennità degli ex commissari sono fissati da Consiglio d’Europa e che gli ex commissari godono di un regime fiscale meno pressante e punitivo del nostro.

Dopo Bruxelles, c’è l’incarico di Senatore a Vita. Diecimila euro a cui vanno sommati la “diaria” ridotta (sic) a 3.500 euro mensili dal primo gennaio 2011, il rimborso spese per l’esercizio del mandato (altri 2.090 euro), un rimborso forfettario per “spese generali” di 1.650 euro, biglietti gratuiti per aerei, treni e navi, esenzione dal pedaggio autostradale e “l’assegno di fine mandato”. Il tutto per più di 20.000 euro al mese, scrive il ragioniere Dago. Insomma, aggiungendo poi la pensione di professore universitario, Monti incasserà all’incirca 32mila euro al mese. Alla faccia della sobrietà. Fonte Il Giornale, 4 ottobre 2012

PERCHEè RITORNO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 4 ottobre, 2012 in Costume | Nessun commento »

Un giornale non può avere un direttore non libero.

Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti

Per questo l’indomani della sentenza che mi ha condannato a 14 mesi di reclusione solo per un reato di opinione, avevo firmato la lettera di dimissioni dall’incarico e dall’azienda. Ieri l’editore Paolo Berlusconi, con una lettera pubblicata sulla prima pagina di questo giornale, mi ha chiesto di tornare al mio posto. La libertà che serve per fare bene il nostro lavoro la garantisce lui, a me e a tutta la redazione. Mi basta, sono onorato e grato del gesto che ovviamente va oltre la banale riassunzione. È la prova che qui c’è un senso di libertà che non si fa intimorire da soprusi e ricatti, cosa di cui non ho mai dubitato.In questi pochi giorni da disoccupato ho avuto modo di riflettere in modo meno emotivo su quanto accaduto e su ciò che sta accadendo. E sono giunto alla conclusione che purtroppo la guerra (in)civile dichiarata contro il berlusconismo non si è conclusa con le dimissioni del premier. Come diceva mesi fa un magistrato sul suo blog: una volta fatto fuori Berlusconi ci dovremmo occupare dei berlusconiani. Sotto le non poche dichiarazioni di solidarietà che mi sono arrivate da sinistra continua a covare la brace dell’odio politico e personale. In Parlamento, sui giornali, sui blog, più o meno nascostamente, sono in tanti a fregarsi le mani e ad augurarsi nuovi provvedimenti nei miei confronti. Da veri vigliacchi c’è chi invoca un intervento punitivo dell’Ordine dei giornalisti e cose simili. Piccoli uomini, per lo più frustrati da fallimenti personali che si ergono a maestri di giornalismo e di vita. Non so se vale per me, ma certamente la redazione di questo giornale (che ringrazio per la pazienza anche perché completamente estranea al caso per cui sono stato condannato) non ha bisogno di lezioni da nessuno, né di tecnica né di etica. Lo ha sempre dimostrato nei fatti e lo dimostrerà anche questa volta.Ringrazio chi, a partire dal presidente del Senato Schifani, sta prendendo a cuore la ricerca di una soluzione legislativa, cioè l’abolizione del carcere per i reati di opinione. All’editore e ai vertici di questa azienda il mio grazie per la correttezza e il coraggio. Ai colleghi un abbraccio e buon lavoro. Alessandro Sallusti

DA FRANCONE AL POLITBURO, di Mario Sechi

Pubblicato il 4 ottobre, 2012 in Il territorio, Politica | Nessun commento »

La sparizione della democrazia nei partiti è l’origine della malattia che sta conducendo il sistema politico al collasso. Si possono immaginare mille riforme, ma senza una rigenerazione dei partiti qualsiasi sforzo è vano, perché è da questi organismi che emerge una classe dirigente. Quella che abbiamo in questo momento storico è la peggiore della storia repubblicana. Non avevano davanti il dopoguerra come De Gasperi e Togliatti, non dovevano ricostruire il Paese, come Fanfani e Saragat, non si battevano contro l’Utopia armata del terrorismo come Moro e Berlinguer, non dovevano fare i conti tutti i giorni con la Guerra Fredda. Si sono trascinati dalla fine degli anni Ottanta a oggi senza varare una riforma istituzionale per il Paese, autodistruggendo la rappresentanza fino a trasformare i partiti in organizzazioni di nomenklatura dove si coopta, nomina e spesso ruba. Così il centrodestra si è spappolato e il Pdl è un ectoplasma in balìa di un Fiorito che non è un caso isolato ma la punta dell’iceberg, mentre il Pd è il prolungamento di un esperimento antistorico, la funzione invariabile di un gruppo che ha costruito il suo futuro sotto l’ala di Berlinguer e poi l’ha cristallizzato in un eterno presente. Ora tocca a Matteo Renzi provare sulla sua pelle il «niet» del suo partito. Le anticipazioni del testo che verrà sottoposto al voto dell’assemblea del 6 ottobre sono un colpo gobbo: è in corso il tentativo di blindare le primarie del Pd con il doppio turno, l’istituzione di un albo degli elettori, il divieto di votare al secondo turno se non hai partecipato al primo e il ritiro della tessera elettorale. Ciò che non fu fatto per Prodi, Veltroni e lo stesso Bersani ora dopo la sfida del sindaco di Firenze diventa necessario e urgente. Invece di allargare la partecipazione il Pd la restringe. Parola d’ordine: incanalare il voto nel recinto delle tessere, contenere Renzi, farlo correre, ma da perdente in partenza. Qualche giorno fa ho espresso il mio apprezzamento per le primarie nel Pd – cosa di cui il Pdl avrebbe bisogno per riprendersi dal coma – ma se queste sono le regole, quel partito dovrà cambiare nome perché non potrà più dirsi democratico. L’Italia è a cavallo, tra «Francone» e il Politburo. Mario Sechi, Il Tempo, 4 ottobre 2012

……………Sechi nutre ancora speranza che i partiti, quelli nati da Tangentopoli, e che in una Tangentopoli permanente hanno trasformato il sistema politico italiano, siano in grado di rigenerarsi, solo a volerlo. Non è così. E il caso di Renzi che riguarda il PD ma che è comune a tutti i partiti stà li a dimostrarlo. Non abbiamo particolare  simpatia per Renzi, a differenza  di tanti destristi dell’ultim’ora che fanno finta di ammirare lo sfidante di Bersani ma non osano porre in campo alcuna alternativa seria al coma profondo della Destra italiana, pur nonostante  quanto sta per accadere nel PD per impedire anche solo per pura ipotesi che Renzi vinca la sfida contro Bersani, la dice lunga di come viene intesa la democrazia nel nostro Paese la cui nomenclatura  politicante  si riempie la bocca di richiami alla democrazia e alle sue regole ma di fatto si rinchiiude su stessa e, come dice Sechi, si alimenta al suo interno con cooptazioni e familismi amorali che fanno impallidire quelli descritti or sono 70 anni fa da sociologo americano che ne fece un vero e proprio trattato  di costume, anzi di malcostume.  Ecco, il caso Renzi dimostra che i partiti non hanno alcuna vllgia di rigenerarsi o di rinascere…chi li possiede ne vuole sapere di cambiare e, purtroppo, contro la forza, o lo strapotere,  la ragione non può far nulla. g.

IN AMERICA SI RIACCENDE LA CORSA ALLA PRESIDENZA: NEL PRIMO CONFRONTO VINCE ROMNEY

Pubblicato il 4 ottobre, 2012 in Politica estera | Nessun commento »

Il primo dibattito tra Obama e Romney va al repubblicano. Lo dicono tutti in America, anche David Axelrod, uno dei consulenti più ascoltati dal presidente: “Sapevamo che Romney era bravo nei dibattiti e probabilmente avrà dei benefici sui sondaggi”.

Poi però tira acqua al suo mulino: “Ma le sue risposte erano tutte sbagliate”. La cosa che più conta è l’ammissione della prova “opaca” del presidente nel primo faccia a faccia in diretta tv andato in onda dall’università di Denver, in Colorado (uno degli stati in bilico). Un sondaggio a caldo fatto dalla Cnn parla chiaro: il 67% pensa che il vincitore sia Romney, e solo il 23% dà la vittoria a Obama. Divertente la battuta dello stratega repubblicano Alex Castellanos: “Obama ha imparato la lezione, mai fare un dibattito il giorno del tuo anniversario di nozze…”. In effetti era davvero il giorno dell’anniversario per Obama, il cui staff aveva pubblicato, su Facebook, una foto in bianco e nero del giorno delle nozze con Michelle (1992). Il presidente lo ricorda a inizio dibattito. E Romney, cogliendo la palla al balzo, cattura la simpatia del pubblico: “Questo è il posto più romantico dove il presidente può trascorrerlo (l’anniversario, ndr)…”.

Dicevamo che Romney ha convinto di più. In effetti ha trascorso i 90 minuti del dibattito all’attacco, snocciolando cifre e guardando dritto in faccia il suo avversario, mettendogli pressione. Obama ha abbassato la testa più di una volta, è parso sin troppo moderato. Può darsi che fosse una mossa studiata, per cercare di attirare i voti di chi sta al centro. L’elettorato meno schierato, quello più in bilico. Ma in questo modo il presidente ha prestato il fianco al repubblicano, che in più di un’occasione ha affondato il colpo.

Il dibattito si è incentrato, come da programma, su econonomia, debito, fisco, riforma sanitaria e sul ruolo del governo federale. Il moderatore, Jim Leher (giornalista Pbs), non ha avuto particolari problemi a tenere a bada i “duellanti”. In rarissime occasioni le voci si sono sovrapposte. Massimo il rispetto delle regole. “Non sono perfetto, ma vi prometto che continuerò a lottare per la classe media, “e che tutti avranno le stesse opportunità, che per tutti varranno le stesse regole”. Ha chiuso così Obama il proprio intervento. Il suo è un bagno di umiltà (calcolato) e di realismo. C’è da fare tanto per risollevare l’America. Lui lo sa e lo ammette. Anche per non essere accusato di prendere in giro la nazione. ANSA, 4 ottobre 2012

IL NUOVO TESTO SACRO, ANZI LA NUOVA BIBBIA E’ “L’AGENDA MONTI”: IN TANTI LA INVOCANO MA NESSUNO SA COSA SIA E COSA DICA.

Pubblicato il 3 ottobre, 2012 in Politica | Nessun commento »

L’AUTORE DELL’AGENDA CHE NESSUNO SA COSA SIA E COSA CONTENGA: MONTI,  SORPRESO A FARE CIO’ CHE  SA FAR MEGLIO….DORMIRE.

Non ha importanza quante pagine abbia, né come sia la copertina. E nemmeno cosa ci sia scritto. Tutti la invocano, come se fosse il Vangelo. È l’agenda Monti, quella che – secondo i terzopolisti, la grande stampa vicina al premier e una parte consistente del centrosinistra – è il testo sacro su cui il futuro governo dovrebbe lavorare. Persino Paolo Gentiloni – esponente del Pd che di solito non si lascia trascinare dalla propaganda e dagli slogan – ha dichiarato che, bis o non bis, «serve una maggioranza politica che sostenga un governo in grado di proseguire l’agenda Monti». Ok, fermiamoci un attimo e prendiamo in considerazione la proposta, cerchiamo di rifletterci un po’ su, capire che cosa ci sia di fondamentale nel block notes del premier oggetto del desiderio. Ogni sforzo è inutile perché il mistero resta e non è di second’ordine: qual è questa agenda? Sulle sue pagine potrebbe essere annotato tutto e il contrario di tutto. Qualsiasi agenda (termine latino, “piccolo libro per prendere nota delle cose da farsi”) indica le azioni future ma nessuno sa bene cos’abbiano in mente i tecnici, visto che fino a oggi il governo ci ha regalato solo stangate impedendo lo sviluppo. Si tratta forse di raggiungere il pareggio di bilancio? Nulla di nuovo, è un obiettivo che c’era già durante l’esecutivo guidato da Berlusconi. I provvedimenti per la crescita? Non se ne ha traccia, non si sa quali strumenti i ministri abbiano individuato, si continua a procedere alla cieca, barcollando. Se poi si tratta di confermare l’Imu o di proseguire con gli aumenti della benzina, allora non ci siamo proprio. Di conseguenza, l’agenda Monti è solo un’ipotesi che veleggia tra gli spot dei terzopolisti, una linea economica oscurantista e una tendenza a filosofeggiare per dare l’idea della luce in fondo al tunnel. Anche perché, se si analizza la situazione in cui è precipitata l’Italia dopo la cura Monti (cifre ufficiali alla mano), l’agenda andrebbe messa nel tritacarte.

Rischio corto circuito
Palazzo Chigi ha provato a fare qualche bilancio e ci ha informato che l’80 per cento delle riforme effettuate «è già operativo». Tagli alle pensioni, Imu, caro-accise e, purtroppo, anche l’aumento della disoccupazione e la recessione sono una realtà. Il resto, almeno a breve, è delineato nella nota di aggiornamento del Def, perché, secondo il ministro Corrado Passera, il nostro Paese «deve convincere il mondo che chiunque vinca le elezioni manterrà la rotta tracciata». Per andare dove lo spiega la Corte dei conti, in audizione di fronte alle commissioni Bilancio di Camera e Senato proprio sul Def. Secondo la magistratura contabile il documento mette in conto manovre correttive che, nel 2013, sono affidate per il 70 per cento ad aumenti di imposte e tasse. Il tutto in una situazione in cui la pressione fiscale ha già raggiunto il 45 per cento. Di questo passo, fa osservare il presidente Luigi Giampaolino, diventa concreto «il pericolo di un corto circuito rigore-crescita». L’aumento della recessione (quest’anno i consumi caleranno del 4 per cento), secondo i magistrati contabili, ha impedito infatti «di conseguire gli obiettivi di entrata, nonostante gli aumenti discrezionali di imposte con cui il governo ha cercato di compensare la criticità del gettito fiscale». Nel 2013 si registrano infatti minori entrate complessive per 21 miliardi di euro. Il che fa sì che anche il pareggio di bilancio previsto poggi su un equilibrio piuttosto precario.

La ripresa non arriva
Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi è piuttosto scettico. Nel 2013 la ripresa non si farà neppure vedere. «Metterei la firma – dice – per una crescita vera nel 2015», cioè per un aumento annuo del Pil di almeno il 2 per cento. Ma per ottenerlo il lavoro da fare è ancora lungo. Bisogna cominciare con il ridurre il carico fiscale sul lavoro che è più alto del 20 per cento rispetto alla Germania. Come? Facendo a meno degli incentivi. «Visto il loro modesto ammontare – ha detto il presidente degli industriali – per le imprese non è un problema rinunciarci». Ma c’è anche il carico burocratico da sfoltire. Si pensi che soltanto per fare fronte ai desiderata del fisco ogni azienda si sottopone a 108 adempimenti l’anno con costi altissimi in termini di risorse e di tempo. Si tratta di un vero e proprio gap che mina la competitività delle nostre imprese nei confronti della concorrenza estera. Per Squinzi potremmo avere un’arma in più se si lavorasse per più ore. Il sindacato, però, da questo orecchio non ci sente. Centrella, segretario generale dell’Ugl, parla di «falso problema», mentre Angeletti, leader della Uil, dice a chiare lettere che a «più lavoro dovrebbe corrispondere più salario». Il sindacalista concorda, invece, con il fatto che la crescita non arriverà prima del 2015: «Non ci dobbiamo fare delle illusioni – sostiene – la ripresa non è dietro l’angolo». Il ministro per gli Affari europei Enzo Moavero, però, sembra pensarla diversamente: «Nel 2013 si vedranno importanti segnali e il 2014 e il 2015 saranno anni di sviluppo economico». Il Secolo d’Italia, 3 ottobre 2012