QUEL GENIACCIO DELLA MERKEL: PARLA E CI BRUCIA 12 MILIARDI EURO

Pubblicato il 26 giugno, 2012 in Il territorio | Nessun commento »

“Anche giovedì a Bruxelles tutti gli occhi saranno sulla Germania”. La cancelliera Angela Merkel lo sa fin troppo bene. Al prossimo vertice dell’Eurozona ci sono in ballo il futuro della moneta unica e la tenuta dell’Unione europea, ma soprattutto sono in ballo i rapporti tra la Germania e gli altri Paesi membri.

La cancelliera tedesca Angela Merkel

Intervenendo a una conferenza sullo sviluppo sostenibile, la Merkel ha voluto lanciare un avvertimento netto in vista del summit: “Quando penso al Consiglio di giovedì prossimo a Bruxelles mi preoccupa che si parlerà assolutamente troppo di tutti i possibili modi per condividere il debito, e troppo poco di migliorare i controlli e di misure strutturali”.

Un diktat che ci costa davvero caro: l’intrandigenza di frau Merkel ha buttato giù tutte le Borse (Milano compresa) mandando in fumo i nostri risparmi. Solo oggi Piazza Affari ha bruciato oltre 12 miliardi di euro di capitalizzazione.

Giornata nera oggi sulle principali piazze finanziarie con il panico seminato dalle incertezze legate alla situazione economica in Spagna e Grecia, con la prima che ha chiesto ufficialmente aiuti per il settore bancario, e la seconda che vorrebbe una proroga alle misure di austerity. Il governo di Cipro ha ufficialmente informato le autorità europee della decisione di chiedere aiuto finanziario facendo ricorso al “fondo salva Stati”.Secondo la cancelliera tedesca, è quantomeno “avventuroso” parlare di crescita sostenibile senza pensare al rigore di bilancio: “Si parla troppo di condivisione del debito e poco delle riforme strutturali”. Proprio per questo motivo, la Merkel ha spiegato che “il discorso su eurobond, eurobill, garanzie di condivisione del debito e molto altro, oltre che non compatibile con la nostra costituzione, è sbagliato e controproducente dal punto di vista economico”. Per la cancelliera tedesca, “responsabilità e controllo non devono trovarsi in un rapporto sbagliato”. “Ma devono avere – ha sottolineato in un passaggio molto applaudito – lo stesso peso”.

Oggi le Borse del Vecchio Continente hanno archiviato la seduta ai minimi dal primo giugno sulla scia dei timori per la crisi del debito europea. L’indice FTSEurofirst 300 è andato giù dell’1,5% a 987 punti, il calo più marcato dal -1,9% registrato il 1 giugno scorso. Secondo gli analisti, l’andamento riflette lo scetticismo degli investitori secondo cui il consiglio europeo previsto in settimana non prenderà alcuna decisione per risolvere la crisi. A Francoforte il Dax ha perso il 2,09%, a Parigi il Cac40 il 2,24%, a Londra il Ftse100 l’1,14%. Peggio ha fatto Madrid (-3,67%). A Piazza Affari il Ftse mib ha chiuso a -4,02% a 13.113 punti, mentre l’All share ha ceduto il 3,75% a 14.064 punti. Crolli a ripetizione per gli istituti di credito, con lo spread risalito oltre i 450 punti: Unicredit (-8,4%), Intesa (-6,4%), Mediobanca (-6,9%), Monte dei paschi (-6,7%), Bpm (-8,5%). Milano manda in fumo 12,46 miliardi di euro in una seduta.

IL CALCIO DELLA MERKEL, di Mario Sechi

Pubblicato il 21 giugno, 2012 in Il territorio | Nessun commento »

Nel centro di Budapest - sullo sfondo il Parlamento ungherese - l'omaggio a Ronald Reagan per il suo contributo alla caduta del comunismo e alla ritrovata libertà del popolo ungherese

Sport e politica sono mondi paralleli, in apparenza distanti, in realtà intimi, intrecciati, indissolubili. Se si volesse leggere la storia della contemporaneità, nessuna metafora è più efficace dello sport e della corsa allo spazio. Superamento del limite. Bandiera. Orgoglio nazionale. Le Olimpiadi, i mondiali di calcio, le sfide a ping pong tra Stati Uniti e Cina, i lanci di razzi e satelliti tra Russia e America. Le relazioni internazionali raccontate da cronache terrestri e spaziali che parlano di cento metri, salto in lungo, gol e rigore, zona totale, catenaccio, lancio, orbita, allunaggio e rientro. Superamento dei limiti. Ecco perché ai campionati europei Il Tempo dedica un’attenzione che può sembrare insolita: è la geopolitica che si manifesta in altre forme, la storia delle nazioni che si fa e disfa mentre un pallone rotola sull’erba. Ecco perché Angela Merkel ieri ha preso una decisione poco diplomatica: ha chiesto a Monti e Hollande di anticipare il vertice europeo perché vuol essere in tribuna a Danzica domani ad assistere alla sfida tra Germania e Grecia. Monti non rinviò il vertice con Hollande a Palazzo Chigi qualche giorno fa. È la differenza che passa tra un politico (Merkel) e un tecnico (Monti). Sport? Sì, ma c’è di mezzo la politica, il prestigio, la potenza della Germania. La Grecia deve perdere. È la vittoria di Berlino su Atene. La crisi è in campo e nello spogliatoio: gli azzurri sono pronti a rinunciare al loro premio europeo. È un bel gesto. La Federazione lo accolga. Gli italiani apprezzeranno. Il direttore di questo giornale tiferà Grecia e sarà in buona compagnia. Ho ammirazione per i deboli che sfidano i titani. Faranno altrettanto i colleghi de Il Foglio di Giuliano Ferrara, milioni di italiani e europei che non condividono la linea teutonica del rigore costi quel che costi. Ricordo la frase di un mitico allenatore della Sampdoria, Vujadin Boskov: «Rigore è, quando arbitro fischia». Ecco, la Germania non può essere l’arbitro dei nostri destini. Perché è un giocatore in campo. Può essere un partner, certo, ma solo se lavora a un progetto di crescita comune dell’Europa. Cosa che per ora non c’è. I giocatori della Grecia in campo domani sono la metafora del Paese povero, con una classe dirigente inetta, che ha bisogno di aiuto e fiducia, non di un programma di strangolamento per mezzo dello spread e dello swap. Ho grande rispetto per i tedeschi, la loro grandiosa musica e filosofia, ma mi preoccupa la loro tendenza ad allargarsi, il naturale dispotismo insito nel loro linguaggio. Hanno «fame di spazi», fa parte dello spirito tedesco e si manifesta a ondate nella storia. Devono essere fermati. Il calcio serve anche a questo. Forza Grecia. Mario Sechi, Il Tempo, 21 giugno 2012

………………..A differenza del direttore Sechi, noi non vedremo la partita. Non è necessario tifare, neppure metaforicamente, per la Grecia calcistica per manifestare alla Grecia Nazione  tutta la possibile solidarietà contro la Germania e i suoi arcigni e e di scarsa memoria dirigenti politici che l’azzannano come fa il cane con l’osso. Non è necessario confondere lo sport che è al di sopra e al di fuori delle controversie politiche, per sentirsi, come Kennedy  che  annunciò al mondo,  dinanzi alla Porta di Brendeburgo, simbolo della Berlino occupata dai comunisti, che tutti gli europei si sentivano berlinesi, che tutti gli europei oggi si sentono  greci,  contro lo strapotere di un nuovo revanscismo tedesco che s’erge sulle rovine dell’Europa, la stessa che meno di 70 anni fa versò il sangue di milioni di suoi figli per liberare la Germania dal nazismo e dalla oppressione di un  regime sanguinario e dispotico. Sono senza memoria la Merkel e i suoi compagni di governo che strangolano i popoli europei. Senza memoria e senza riconoscenza,  benchè figli una Nazione che ha dato al mondo  straordinarie testimonianze di cultura e di arte, tanto da farcela amare profondamente, costringendoci oggi a sentircene  orfani. Eppure la riconoscenza, benchè merce assai rara in politica e fra i popoli, proprio alla Germania non dovrebbe far difetto, inducendola a ben diversi e più cordiali approcci verso la Grecia e verso tuttti gli altri popoli europei, specie se si considera che talvolta la storia, nei corsi e ricorsi vichiani,  e la natura,  si prendono gioco anche dei più coriacei, punendoli, anche a distanza di tempo,  delle intemperanze o, come ora, delle teutoniche certezze di cui fa sfoggio la Merkel. La quale dovrebbe prendere esempio dalla vicina Ungheria che memore di dovergli la libertà,  ha eretto in una centralissima piazza di Budapest una statua Ronald Reagan, quasi a contatto di gomito con quella che ricorda Imre Nagy, il capo della rivolta del 1956, impiccato dai sovietici e riabilitato nel 1989. Mediti la Merkel e sappia che spesso è assai facile cadere  – precipitosamente – dall’altare nella polvere. g.

IL PROBLEMA DEL PDL? MANCANO LE IDEE, di Vittorio Feltri

Pubblicato il 20 giugno, 2012 in Politica | Nessun commento »

Da anni siamo accusati di essere servi di Silvio Berlusconi e non abbiamo modo di difenderci. I nostri argomenti non sono presi in considerazione. Adesso che quelli di Repubblica , Eugenio Scalfari ed Ezio Mauro in testa, fondano un partito (o lista civica o come lo si voglia chiamare) dichiaratamente di sinistra, destinato a fiancheggiare o dirigere il Pd, dipende dai punti di vista, ci domandiamo: sono anche loro servi di qualcuno, magari di Pier Luigi Bersani, o questi è un servo del giornale romano? Misteri della stampa italiana.

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Comunque ci sentiamo meno soli. E andremmo avanti per la nostra strada, se ne avessimo una. Invece assistiamo sbigottiti alla lotta per le primarie. Già. Le primarie. Un tempo non piacevano a nessuno, ora piacciono a tutti, specialmente nelle maggiori (si fa per dire: occhio a Grillo) forze politiche. Il Pd le ha adottate subito con risultati punto entusiasmanti per i propri candidati, regolarmente battuti da gente estranea alla nomenclatura: Giuliano Pisapia e Marco Doria, per citare due personaggi di peso. Anche il Pdl recentemente ha deciso di regalarsi questo tipo di avanspettacolo elettorale, nella speranza di divertire i propri aficionados, sempre meno numerosi, stando almeno ai sondaggi di cui il Cavaliere è stato un anticipatore nell’utilizzo finale. Un eccesso di democrazia non disturba mai: si facciano le primarie, così siamo tutti felici e contenti. Ma siamo sicuri che i candidati sia del Pd sia del Pdl abbiano ciascuno un programma idoneo a incantare gli elettori? Non sembra.

Nella presente congiuntura abbiamo l’impressione che i partiti si preoccupino poco o niente delle cose da fare e molto delle poltrone, forse perché, a differenza dei problemi, sono in via d’estinzione. Infatti, i consensi per la destra e per la sinistra calano. Di conseguenza, in caso di consultazioni, caleranno anche, e di parecchio, i seggi disponibili per entrambi gli schieramenti. Dei quali farà quindi incetta il Movimento 5 stelle, come si evince dalle ricerche demoscopiche. I progressisti hanno qualche idea, pur sbagliata e in contrasto con la loro tradizione: si sono venduti ai banchieri sostenitori dell’Unione europea e dell’euro, le cui finalità sono note; la principale, distruggere le peculiarità culturali delle nazioni e promuovere la finanza predatoria, affinché questa diventi il motore del mondo. D’altronde,lacrisi è stata provocata dalle banche dispensatrici di titoli tossici e di bolle. La destra, invece, annaspa nel vago. Non ha capito che se i ricchi stanno con la sinistra, c’è qualcosa che non va nei ricchi o nella sinistra. Un’alleanza scellerata. I dirigenti del Popolo della libertà, anziché tenere il piede in due scarpe (europeismo e antieuropeismo), dovrebbero scegliere una linea politica antitetica rispetto a quella degli avversari, prendendo atto che la stragrande maggioranza degli italiani non ne può più dell’euro e dei suoi stolti padrini. Un partito che non interpreti il comune sentire del proprio elettorato si apparecchia per non avere successo.

Un Pdl né carne né pesce, incerto e litigioso al proprio interno, dove trionfano i cacciatori di poltrone di risulta, non è in grado di guadagnare punti, ma si predispone a perderne ulteriormente. In mancanza di una scelta netta contro una Ue senza capo né coda, esso agevola soltanto Beppe Grillo, il quale ha davanti a sé una prateria da occupare, non avendo concorrenti. Lasciare a lui l’esclusiva dell’antieuropeismo ( e non solo) significa per i berlusconiani rinunciare a essere alternativi al Pd e ai neoservi che lo sostengono. Non è una novità: in politica è competitivo un gruppo ben connotato, distinguibile dalla massa grigia che tira a campare. E non è opponendosi al divorzio breve e al matrimonio fra gay che il Pdl riconquista i propri elettori o ne raccoglie di nuovi.

Figuriamoci, in un periodo come questo, quando anche la Chiesa è in disarmo a causa delle risapute vicende, reggere la coda ai preti non paga, forse addirittura penalizza. È comico definirsi liberali ma poi non essere indipendenti nell’aprire la società a richieste pressanti provenienti dal basso e altrove accolte, guardando al Vaticano come se fosse un faro in materia di diritti civili. Il problema, caro Angelino Alfano, è darsi una politica originale e convincente nei suoi principi, non selezionare un candidato premier che, con questi chiari di luna, e con un partito malconcio, non potrebbe mai vincere alle urne. Vittorio Feltri, Il Giornale, 20 giugno 2012

..…………….Feltri è in odore di candidatura nel PDL, ma se va avanti di qusto passo, nel dire la verità sul PDL, la stessa che noi andiamo dicendo da mesi e che hanno detto da ultimo gli elettori che l’hanno abandonato  è difficile che la candidatura ci sarà davvero. Ma forse la cosa importa poco a Feltri che, speriamo, intende continuare a dire e a fare ciò che fa e dice da sempre: la nuda verità, appunto! g.

COMPRERESTI UN’AUTO USATA DA LORO? di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 20 giugno, 2012 in Politica | Nessun commento »

Qualcuno ricorderà lo slogan coniato contro Nixon, il presidente pasticcione, intrallazzone e incapace di risolvere i problemi degli americani, dai suoi rivali democratici: «Comprereste una macchina usata da quest’uomo?».

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È la stessa domanda che mi viene in mente guardando la solita foto ricordo dei grandi del mondo scattata al termine dell’ennesimo inconcludente vertice: comprereste una macchina usata da gente che dopo averci trascinato, a vario titolo, in questo casino planetario ora non ha la più pallida idea di come tirarci fuori? In questi anni i cosiddetti grandi del mondo non ne hanno azzeccata una. Grazie anche all’impuntatura della Merkel non hanno salvato la Grecia quando farlo sarebbe costato poco o nulla, più o meno tutti hanno consegnato i loro paesi nelle mani di banchieri e finanzieri che in cambio di appoggi elettorali hanno avuto mani libere contro di noi, con la benedizione di Obama hanno tagliato la gola a Gheddafi, l’unico amico che l’Europa aveva in Nordafrica, spianato la strada all’insediamento di regimi islamico-integralisti, pensato di fermare la carneficina siriana con l’invio di osservatori disarmati. L’elenco sarebbe lungo e alcuni dei responsabili, come Zapatero e Sarkozy, non sorridono più di fronte ai fotografi accreditati. Ma le macerie restano e i loro successori si guardano bene dal rimuoverle. Discutono, si riuniscono ormai ogni settimana ma la ricetta non arriva. Anni fa ci spacciarono l’euro come il nostro Eldorado. Stiamo provando sulla pelle che rischia di essere la tomba, almeno per noi. Cosa ancora stanno aspettando a mettere tutte le carte in tavola lo sanno solo loro. Proprio come i venditori di auto usate. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 20 giugno 2012

L’OROLOGIO DEI PARTITI E’ SEMPRE FERMO, di Mario Sechi

Pubblicato il 20 giugno, 2012 in Politica | Nessun commento »

La politica può essere fuori dalla storia? No, ma alcuni soggetti che la costituiscono possono subirla fino ad esserne espulsi. È quel che sta capitando al sistema dei partiti italiani. Nonostante le differenze, i movimenti politici provano lo stesso senso di smarrimento. Sentono di essere con un piede fuori dalla storia e stanno disperatamente cercando la mossa per rientrarvi. Nessuno dei grandi partiti che ha solcato le acque mosse della politica italiana negli ultimi vent’anni è in grado di offrire una narrazione convincente del presente e una visione del futuro. Il Pdl è piombato in una crisi d’identità causata dal passo indietro di Berlusconi, il fondatore; il Pd è stato trascinato nella crisi dai vortici causati dall’affondamento del governo di centrodestra. Finita la stagione dell’anti- i democratici si sono ritrovati senza una missione. Il Centro come spazio politico di manovra ben presto s’è mostrato un’illusione, un miraggio nel deserto del consenso in dispersione, astensione e libera uscita dai due blocchi originati dalla crisi del 1992. Costretti a inseguire l’avvenimento del giorno, un’agenda confusa che non controllano, i partiti sembrano rabdomanti ciechi a caccia dell’acqua, i voti perduti. Milioni. A pochi mesi dalle elezioni, con un governo tecnico in caduta libera di consensi, stretto tra «esodati» e «spread», prigioniero di un linguaggio che ne mostra la modesta cifra politica, il Paese non sa nulla di programmi, coalizioni, proposte per il domani e perfino la legge elettorale è una enorme nebulosa. Nel frattempo la crisi economica si sta mangiando il lavoro, sta consumando pezzi importanti di realtà produttiva, sta spostando la ricchezza finanziaria verso altri Paesi. L’impatto della contemporaneità sull’establishment italiano è stato devastante: un sistema cristalizzato, con una gerontocrazia somigliante a quella dei mandarini cinesi, uno Stato onnipresente e vorace, improvvisamente scricchiolano fin dalle fondamenta. Tutto cambia, ma niente gattopardescamente potrebbe cambiare. Per una ragione semplice:non ci sono regole per competere, ma sistemi per cooptare e nominare. Le eccezioni confermano la regola e, quando serve, la «combine» sistema tutto. Accade per le elezioni primarie nei partiti (attendo con ansia i contorcimenti nella scrittura del regolamento per quelle del Pdl), accade per le nomine della Rai (dove la «società civile» del Pd è una mascherata ultramilitanza), accade perfino per le richieste d’arresto di parlamentari inquisiti (esemplare sarà oggi il voto sul caso del senatore Lusi). Accade, in Italia. Ci sarà una nuova narrazione?Faccio fatica a vederne una costruttiva. Le lancette dell’orologio sono ancora ferme all’ora del piccone. Mario Sechi, Il Tempo, 20 giugno 2012

FORZA GRECIA! PER SALVARE LA LIBERTA’, di Marlowe

Pubblicato il 20 giugno, 2012 in Politica estera | Nessun commento »

Siamo tutti Lord Byron. Siamo pronti a morire per l’indipendenza greca: e poco importa se George Gordon sesto barone di Byron, icona del neoclassicismo inglese, fosse sì accorso a Patrasso per unirsi alla «brigata dei poeti» contro la tirannide ottomana, ma sia stato fulminato dalla meningite. A raccogliere il testimone di un ellenismo mai tramontato nelle menti illuminate europee è Boris Johnson, sindaco conservatore di Londra: «Perché un greco – ha tuonato sul Daily Telegraph – dovrebbe votare per un programma economico se esso è deciso a Bruxelles, anzi a Berlino? Che significato ha la libertà greca, la libertà per cui Byron combatté, se la Grecia è tornata a una dipendenza ottomana, con la Sublime porta ora situata in Germania?». Il titolo dell’articolo del colto e dandy discepolo di Margaret Thatcher, conservatrice del popolo, è anch’esso un programma: «Il medioevo della democrazia». Una lezione su un tema immortale: la libertà non è data per sempre; va difesa ovunque e comunque sia a rischio. Ecco perché passando dal sacro al profano (o viceversa?) la vera finale degli Europei di calcio non si terrà a Kiev il primo luglio, ma venerdì a Danzica: Germania-Grecia, e tutti a tifare per Samaras (Georgios l’attaccante, non Antonis leader di Nea Demokratia) e compagni. La passione neo-ellenista è trasversale: Il Tempo ha titolato ieri «Forza Grecia». Il Foglio pubblica un’intera pagina con la bandiera greca, come dopo l’11 settembre quella americana. Pagina «autogestita dal collettivo redazionale Tsipras», il nome del giovane capo della sinistra di Syriza, l’opposizione che tanto disturba Angela Merkel. Nella rossa Livorno alla Grecia sarà dedicata la kermesse estiva del quartiere antico della Venezia. Su l’Unità campeggia la denuncia: «Merkel schiaffeggia la Grecia», appena mitigata dal dubbio: «Gioire perché vince la destra?». La realtà è che se ci siamo tutti scoperti filoellenici non è certo per le suggestioni che Atene suscitava negli spiriti fieri dell’Ottocento. Nessuno si sarebbe mosso per un paese che ha la classe politica più inefficiente e corrotta dell’Europa occidentale, un’evasione fiscale che fa impallidire quella italiana, che non ha investito le rendite del turismo in ricerca e tecnologia ma le ha distribuiti in clientele. Noi non tifiamo per la Grecia dei tanti Papandreu o Karamanlis, i padroni dei due partiti storici della destra e del Pasok: stiamo però schierandoci per un principio, che affonda come sempre le radici nella storia, nella cultura, nella società. E quindi è universale. Non si tratta di euro né di fiscal compact. Il punto è precisamente quello toccato da Boris Johnson: «Che significato ha la libertà greca? Perché un greco dovrebbe votare per ciò che è deciso a Berlino?». È singolare che questo aspetto sia ignorato dalle classi dirigenti tedesche e da un’informazione, al contrario, granitica. Certo, ha colpito un’intervista dell’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer, che ricorda come «per due volte, nel XX secolo, la Germania con mezzi militari ha distrutto se stessa e l’ordine europeo. Poi ha convinto l’Occidente di averne tratto le giuste lezioni: solo abbracciando pienamente l’integrazione d’Europa, abbiamo conquistato il consenso alla nostra riunificazione. Sarebbe una tragica ironia se la Germania unita causasse la distruzione dell’ordine europeo una terza volta». Ma Fischer ha parlato a giornali italiani, francesi, spagnoli, cioè quelli che i tedeschi chiamano spregiativamente Club Med; le sue idee faticano a farsi largo tra i suoi stessi elettori. Che invece si rispecchiano nelle sei milioni di copie della Bild Zeitung, il più venduto quotidiano d’Europa: «Questi cinque vogliono i nostri soldi», titola il giornale sotto le foto di Monti, Obama, Rajoy, Barroso e Hollande. La Bild ha smesso di mettere in prima pagina le donne nude, guadagnando più con temi politico-economici. Per questo non è assimilabile ai tabloid pop londinesi: il pubblico è più ampio, di cultura e censo più elevati. Ancora più in alto mira Der Spiegel, settimanale da un milione di copie, inchieste ruvide e linea liberal. Informatissimo sui segreti della Cancelleria, lo Spiegel si è specializzato nel dipingere un’Italia spaghettara e mandolinesca, piena di capitani Schettino pronti a fregare i virtuosi nordici. Non c’è solo per noi: la vittoria di Hollande è spiegata come «voto di rabbia contro il populismo snob di Sarkozy». Che sia stato anche un no all’acquiescenza di Sarkò alla Merkel, tema dell’intera campagna elettorale, è irrilevante. Il mood monolitico dell’opinione pubblica tedesca è forse il dato più interessante e sconcertante. Che i problemi dell’euro nascano solo ad Atene Parigi e Roma, e non anche a Francoforte e Berlino, pare un dogma indiscutibile, esportato anche nei paesi satelliti. Dogma a lungo spiegato con la dimensione etica delle scelte economiche della Germania. Lo ha detto anche Monti a Obama: «Per i tedeschi l’economia è ancora un ramo della filosofia morale». E poi c’è la stranoto spauracchio dell’inflazione a nove zeri della repubblica di Weimar, che determinerebbe il rigore della Bundesbank e della Bce. E da ultime le radici luterane, nella Germania Est, della Merkel. Insomma, il contrario della pratica anglosassone, dove la «mano invisibile del mercato» di Adam Smith coabita senza scandalo con la liquidità pubblica della Fed e le svalutazioni del dollaro. Del resto se la costituzione tedesca prevede la stabilità della moneta, quella americana il diritto al benessere e alla felicità. Ma proprio il richiamo alla morale luterana fa acqua: se i tedeschi hanno la memoria di Weimar, perché non ricordano anche ciò che dalle loro parti venne immediatamente dopo? Se la Bundesbank è intransigente con la Bce, perché compra i titoli invenduti del suo Tesoro? Se il dogma merkeliano è «un’economia sana non lascia debiti alle future generazioni», perché proprio sotto il suo governo il debito tedesco ha raggiunto i 2.100 miliardi, il terzo del mondo? Per questo fra due giorni tiferemo Grecia. Come abbiamo tifato Chelsea nella Champions League. Marlowe, Il Tempo, 20/06/2012

QUELI CHE FANNO SCHIFO…di Massimo Fini

Pubblicato il 11 giugno, 2012 in Costume | Nessun commento »

Marco Travaglio raccontava qualche giorno fa degli ‘antemarcia’ cioè, flaianamente parlando, degli specialisti nel salire, all’ultimo momento, sul carro del vincitore. Fenomeno che da noi ha una lunghissima tradizione che risale alla nascita dell’Italia unitaria. Si cominciò col garibaldinismo. Se tutti quelli che dicevano di aver partecipato alla spedizione dei Mille l’avessero fatta, i Mille non sarebbero stati mille, ma qualche milione.

Si è continuato con gli ‘antemarcia’ propriamente detti, i fascisti che millantavano di aver partecipato alla peraltro ridicola ‘Marcia su Roma’. Il 25 aprile 1945 si assistette al miracolo gaudioso: gli italiani da tutti fascisti, o quasi, che erano stati, erano diventati, in un sol giorno, tutti antifascisti. Arturo Tofanelli, il fondatore di “Tempo illustrato”, il primo rotocalco italiano, mi raccontò che quel giorno stava tornando in treno da Torino a Milano. Affacciato al finestrino vedeva brillare, a centinaia, dei cerchietti ma, a causa del riflesso, non capiva cosa fossero. A una sosta del treno ne raccolse uno: era il distintivo del Pnf di cui gli italiani si stavano sbarazzando.

I ‘retromarcia’ sono una variante degli ‘antemarcia’. È gente troppo pubblicamente compromessa con l’antico regime per poter salire subito sul carro del vincitore. Hanno bisogno di fare prima un po’ di retromarcia che consiste nello sparare sul Capo che hanno caninamente servito per anni, ricavandone ogni sorta di prebende. Martelli adversus Craxi.

Adesso è l’ora di Berlusconi. Il 23 maggio ho aperto il Corriere e ho letto questa dichiarazione: “Il Cavaliere è un leader finito”. Di chi era? Di Di Pietro, di Vendola o almeno di Bersani? Era di Marcello Pera. Berlusconi sarà anche un uomo finito, ma Pera non è mai esistito. Presidente del Senato dal 2001 al 2006 di lui si ricorda solo una memorabile confessione: “In casa mi piace stare in mutande” (davanti a Berlusconi invece se le calava).

Pera fa parte di quel gruppo di ‘professori’, si fa per dire, di cui il Cavaliere, ignorante come una scarpa, amò circondarsi all’inizio della sua avventura politica (sbagliando perché gli intellettuali sono i più infìdi, i primi a lasciare la nave che affonda e non per nulla Bossi non ne ha mai voluto sapere).

Nelle riunioni di Forza Italia poi Pdl, i ‘professori’ si distinguevano più degli altri, ed è tutto dire, negli applausi scroscianti a ogni cazzata che diceva il Capo. La cosa era talmente bulgara che una volta che Saverio Vertone si dimenticò di battere le mani fu preso da Berlusconi letteralmente per le orecchie, che divennero rosse di vergogna.

Adesso è la volta di Schifani, un’altra ameba: “Il governo di Berlusconi è caduto per gli errori del Pdl”. Ho l’impressione che fra poco dovremo cominciare a difendere il nano di Arcore. Perché Berlusconi è quello che è, ma in quello che fa ci mette tutta la sua enorme energia. Alla fine degli anni 80 lo intervistai ad Arcore sul calcio (Fu una cosa divertente. A un certo punto il Berlusca si indispettì per le mie domande e pretendeva di farsele lui – come dopo la sua ‘discesa in campo’ sarebbe regolarmente avvenuto. Gli risposi: “Presidente, le domande spettano a me, a lei le risposte”).

Comunque in quell’intervista mi raccontò che quando, ragazzo, aveva messo su, con Confalonieri e altri amici di gioventù, una squadretta di calcio, era lui, alle nove di mattina, a tracciare col gesso le linee del campo, dell’area di rigore, di quella del portiere, eccetera. Gli altri, per questi lavori di bassa manovalanza, se la squagliavano. Credo fosse sincero. Berlusconi è quello che è. Ma i Pera, gli Schifani, i Cicchitto, i Bonaiuti e gli infiniti altri sono dei saprofiti, dei parassiti, delle zecche che gli hanno succhiato il sangue. E se Berlusconi può fare, o aver fatto paura, questi fanno solo schifo. Massimo Fini, Il Fatto quotidiano, 11 giugno 2012

…………..I voltagabbana sono stata una categoria sempre molto vasta quanto squallida.  Ai tempi della nostra ormai lontana gioventù,  frequentavamo l’abitazione di un simpatico burlone la cui moglie ci raccontò che la mattina del 26 luglio 1943, sfollati a Turi, e dovendo recarsi a Bari, lei e il marito andarano in stazione. Lungo la strada il marito raccolse un picolo fascio littorio tutto d’oro, evidentemente, pensarono,  “perduto” da qualcuno. Il marito, ci raccontò, si affrettò a infilarselo all’occhiello della giacca e ne fece immediato sfoggio, passeggiando lungo i binari in attesa del treno. E tutti,raccontò la signora,  ci guardavano senza però avvicinarsi. Il mistero di ciò fu svelato dal capostazione, loro amico, che,  avvicinandosi, sussurrò all’orrecchio: stanotte il fascismo è caduto.   E il marito, ci raccontò,  a sua volta, e più lesto del sussurro,  si sbarazzò dell’ormai imbarazzante cimelio. Ci ridevamo sopra, ogni volta che l’episodio veniva raccontato,  ma  era invece il ritratto di un’antica e, come testimonia Massimo Fini, mai rinnegata abitudine al tradimento, propria dei voltagabbana.   g.

GRAZIE A FINI, UNA LEGGINA PER SALVARSI LA PAGA E’ L’ULTIMA FURBATA DELLA CASTA

Pubblicato il 10 giugno, 2012 in Il territorio, Notizie locali, Politica | Nessun commento »

Grazie a Fini, aumentano i deputati che possono essere assenti giustificati: così evitano i tagli alla diaria

Leggina per salvarsi la paga L’ultima furbata della Casta

Hanno tirato la cinghia sotto il pressing dei media e dell’opinione pubblica, ma a un certo punto non ce l’hanno più fatta. I deputati hanno chiesto e ottenuto dal presidente della Camera Gianfranco Fini un ammorbidimento delle regole che portano a togliere loro una quota della diaria (3.500 euro al mese) per ogni seduta di aula in cui  non partecipano ad almeno un terzo delle votazioni o per le sedute di commissione in cui non siano riusciti a fare rilevare la loro presenza (o attraverso la tessera digitale o firmando un registro). Lo sconto che il preside ha concesso alla sua scolaresca è stato approvato a metà marzo lontano dai riflettori, ma questa settimana è stato pubblicato nel bollettino sommario degli organi collegiali che riporta tutte le riunioni del collegio dei questori e dell’ufficio di presidenza della Camera dei deputati.

Proprio qui alla presenza di Fini è stato approvato questo sostanziale sconto ai monelli che bigiano scuola (anche chi preferisce non perdere tempo in lavori parlamentari spesso inconcludenti e dedicarsi alla propria e più redditizia professione). Con un mini regolamento sono state definite le cause di assenza che possono ogni mese essere giustificate dal collegio dei Questori. Le prime sono banali, e varrebbero per qualsiasi altro lavoratore: “si può ritenere giustificabili i deputati risultati assenti per ricovero ospedaliero ovvero per malattia certificata da un medico dell’azienda sanitaria locale di appartenenza o da una struttura sanitaria pubblica. Potrebbero altresì essere giustificati i deputati assenti per motivi di lutto di congiunti e, per un numero massimo di tre giorni al mese, per assenza ai familiari permanentemente invalidi”. Poi si passa al vero e proprio condono che salva le trattenute dei rimborsi della diaria: “Inoltre, tenendo conto di una esigenza rappresentata dai gruppi parlamentari, si propone di incrementare il numero dei deputati giustificabili da parte dei gruppi medesimi, in ragione della loro consistenza numerica”.

Cosa significa? Che i vari gruppi avevano un numero limitato di parlamentari nelle proprie fila che potevano essere giustificati a prescindere per le proprie assenze, percependo quindi la diaria anche se non partecipavano ai lavori. Di solito si tratta dei leader dei partiti politici: usano questo vantaggio Pierluigi Bersani, Angelino Alfano, Pierferdinando Casini e pochi altri importanti dirigenti di quei partiti. Ora la platea dei condonati si allarga, il suo numero non è stato rivelato (dicono per questioni di privacy che c’entra come il due di picche), e si sa solo che dipenderà dalla consistenza dei gruppi parlamentari. Questo significa che non saranno permesse 20 eccezioni per un gruppo che abbia 20 parlamentari, ma che saranno sicuramente di più nel Pd e nel Pdl. Fra le cause in cui l’assenza risulterebbe giustificata ci sono anche quelle della legge 104 del 1992, che regola i permessi e i congedi di lavoro. di Fosca Bincher, Libero, 10 giugno 2012

…………E dire che proprio ieri sera gli epigoni locali del peggior traditore della storia politica del secondo dopoguerra italiano,  avevano chiamato a raccolta le masse (sic!) per dare, in nome appunto del loro “capo”,  lezioni di moralità, di etica politica, di legalità (triplo sic), ai politici che,  a leggere il loro manifesto,  dovevano zittire per ascoltarli. Ad ascoltarli non c’erano i politici, salvo quelli – pochi anche questi – interessati a “comprare” a poco prezzo qualche decina di voti “posseduti” da   abituali faccendieri, abituati a cambiar partito come altri cambiano le mutande – una volta al giorno -  ma solo pochi “coscritti”, reclutati in virtù dell’immorale uso di dati sensibili utilizzati per “indurli” a  discutibili parate destinate a far da sfondo  a utopici  incoronamenti futuri di locali barbari sognanti che mai hanno pagato scotto per i loro intemerati cambi di casacca. A questi pochi però nessuno ha detto che il grande capo, sopra riportato in effigie,  dopo aver assicurato al proprio cognato  l’uso gratuito di una lussuosa dimora in quel di Montecarlo, sottraendola ai beni del partito che fu,  ha anche l’altro ieri concesso uleriori benefici ai suoi colleghi deputati, compreso l’applicazione anche per loro dei benefici della legge 104 del 1992, quella che consente ai parenti di disabili di usufruire di tre giorni al mese di  assenze  retribuite dal posto di lavoro, come se i deputati  non potessero permettersi con quel pò pò  che guadagno una badante per i loro cari, recandosi, loro, a svolgere le mansioni a cui sono stati eletti e per le quali percepiscono stipendi da nababbi.  Questo, ovviamente, s’è dimenticato di stigmatizzatore il loquace – alle spalle! – fustigatore degli altrui doverosi e inderogabili rilievi di accertati illeciti. Il che ci fa supporre che è pronto a compierne…. g.

IL PASSATO COMUNISTA CHE IMBARAZZA NAPOLITANO: NEL 56 IL PCI SBAGLIO? E LUI DOV’ERA?

Pubblicato il 9 giugno, 2012 in Politica, Storia | Nessun commento »

Era il 10 maggio 2006. Per uno di quei paradossi da cui, troppo spesso, la storia viene segnata, il primo (post) comunista saliva al Quirinale proprio nel cinquantesimo anniversario della rivolta ungherese soffocata nel sangue dai sovietici.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Quello stesso uomo che nel 1956, al congresso del Pci, aveva difeso l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss polemizzando con i compagni che volevano prenderne le distanze. Col passare dei decenni Giorgio Napolitano farà autocritica ed etichetterà come prodotto di “zelo conformistico” quel suo intervento in cui aveva detto che in Ungheria l’Urss portava pace.

Adesso è un altro Napolitano. Almeno è così che il presidente della Repubblica prova a descriversi in una lunga intervista alla Gazeta Wyborcza pubblicata oggi su Repubblica alla vigilia delle visita del capo dello Stato in Polonia. Alle domande di Adam Michnik, uno dei fondatori di Solidarnosc ed oggi direttore del quotidiano, il numero uno del Quirinale ci tiene a rispondere come garante della Costituzione. Così, ripercorre con tranquillità il proprio passato, fa mea culpa ricordando Enrico Berlinguer e Michail Gorbaciov, analizza il berlusconismo e l’attuale situazione politica. Il mio cammino verso il Quirinale attraversando la storia d’Italia è il titolo dell’intervista fiume. Ma sono le parole sull’invasione di Budapest nel 1956 e sulla primavera di Praga nel 1968 a stridere con la militanza di Napolitano nel Partito comunista.

“Il sentiero della mia vita è un processo passato attraverso prove ed errori – spiega a Michnik – sono partito dagli ideali che in gioventù ho sposato, più che per scelta ideologica, per impulso morale e sensibilità sociale, guardando alla realtà del mio Paese. Nell’arco dei decenni, ho cercato di andare al di là degli schemi entro i quali all’inizio era rimasta chiusa la mia formazione. Ho attraversato delle revisioni profonde, molto meditate e intensamente vissute”. Alla Gazeta Wyborcza il capo dello Stato iracconta del periodo in cui era membro attivo di un Pci, un partito che portava nel suo dna il mito dell’Unione sovietica e il legame col movimento comunista mondiale. “Questi elementi originari, a un dato momento, sono diventati una prigione dalla quale il Pci doveva liberarsi”, ammette Napolitano ricordando quel 1956. L’appoggio all’intervento sovietico a Budapest, appunto. Adesso Napolitano ammette che fu “una tragedia, anche per il Pci, un errore grave e clamoroso del gruppo dirigente, a partire da Togliatti”. A detta del capo dello Stato il Pci capì l’errorefatto ancor prima di fare pubblica ammenda. E per questo per cui, quando nel 1968 (Togliatti era già deceduto da quattro anni) l’Urss e gli altri Paesi del blocco sovietico entrarono coi carrarmati in Cecoslovacchia, il Pci ufficialmente si schierò contro quell’intervento.

Arrivarono poi gli anni Settanta, l’eversione rossa, la fine della prima Repubblica, il berlusconismo. Tutto in un soffio. Napolitano, la storia dell’Italia, la legge così: “I cicli si sviluppano e poi si esauriscono”. Tra errori e smentite, appunto. Tanto che gli Anni di Piombo sono riassunti come un’alleanza tra gruppi di estrema destra e lo Stato per evitare, attraverso la strategia della tensione, che il Pci giungesse al governo. E le Brigate Rosse? Napolitano ne parla en passant limitandosi che i brigatisti “respingevano ogni compromesso” tanto che “finirono per porsi obbiettivi di violenza rivoluzionaria”. Niente di più. Meglio glissare su quel terrorismo rosso che mise in ginocchio il Paese versando il sangue di innocenti e che oggi continua a riemergere come un fantasma del passato. Andrea Intini,. Il Giornale, 9 giugno 2012

.………………Non è la prima volta, dopo essere stato eletto, fortunosamente, presidente della Repubblica Italiana, che Napolitano sparge lacrime di coccodrillo sul suo passato comunista. A proposito del 1956 e della rivolta di Budapest, soffocata nel sangue dai carri armanti sovietici, Napolitano ha già detto di “essere pentito, che il Pci sbagliò″ etc, etc. Troppo comodo e troppo facile. Troppo comodo e troppo facile uscirsene con qualche frase di circostanza e con ciò considerare chiuso il conto con la storia, non solo quello del PCI,  ma anche quello suo personale. Già allora Napolitano era un dirigente comunista, non di primissimo piano ma neppure di secondo piano, quanto meno era pari grado per esempio dell’on. Giolitti che sconvolto dalla repressione sovietica della Rivoluzione magiara, abbandonò il partito comunista per aderire al PSI.  Eppure ce n’era abbastanza per meditare. Citiamo da “Budapest, i giorni della Rivoluzione“  il libro di Enzo Bettiza,  che racconta la rivolta ungherese e le reazioni del PCI. Scrive Bettiza  che “tutti i 19 membri della direzione del PCI pensavano che si doveva estirpare radicalmente e al più presto il contagioso tumore di Budapest“  e ricorda che Togliatti “domenica 4 novembre – mentre la rivolta affogava nel sangue – brindava con un bicchere di vino rosso in più all’inizio della seconda e definitiva repressione russa e qualche giorno dopo scriverà sull’Unità che è mia opinione che una protesta contro l’Unione Sovietica avrebbe dovuto farsi se essa non fosse intervenuta, e con tutta la forza questa volta, per sbarrare la strada al terrore bianco e schiaccire il fascismo nell’uovo“. Nessuno nel PCI ebbe da ridire sui brindisi di Togliatti e sulle parole agghiaccianti che dedicava alla rivolta sul giornale del partito comunista, confermandosi lo spietato killer del bolscevismo internazionale. Nessuno. E ovviamente nemmeno Napolitano. A distanza di 56 anni da quelle giornate, le lacrime di Napolitano si confermano lacrime di coccodrillo che non lo perdonano del silenzio con cui assistè alla violenza con cui furono accompagnati al martirio  i patrioti ungheresi, dal premier della Rivolta  Nagy Imre, impiccato dai sovietici e riabilitato dopo la caduta del Muro nel 1989, ai tanti, sopratutto i ragazzi,  che sacrificarono  sul selciato delle strade di Budapest la loro giovinezza  per rivedicare il diritto alla libertà e alla democrazia. g.

SE SI VOTA AD OTTOBRE PER IL CENTRODESTRA SI PREVEDE UNA CATASTROFE, PEGGIO SE SI VOTA AD APRILE DEL 2013, CONTINUANDO A SOSTENERE MONTI

Pubblicato il 9 giugno, 2012 in Il territorio, Politica | Nessun commento »

L'incubo del voto a ottobre Vince il Pd, Grillo secondo

Se si votasse oggi 234 deputati attualmente in Parlamento si aggiungerebbero all’esercito degli «esodati». Nessuno di loro – la maggiore parte vincitore delle elezioni 2008 – avrebbe la possibilità di tornare a Montecitorio. Il grande ribaltone è certificato dall’applicazione della legge elettorale esistente al più fresco dei sondaggi politici sfornato dalla Swg il 7 giugno scorso (su www.sondaggipoliticoelettorali.it). Se sono veritiere le intenzioni di voto degli italiani, oggi vincerebbe la coalizione della foto di Vasto (Pd+Idv+Sel) e si prenderebbe una sonora bastonata una eventuale coalizione di centrodestra (Pdl+Lega+La Destra). Ce la farebbe a superare – sia pure di poco – la soglia del 10 per cento la coalizione del Terzo Polo (Udc-Fli-Api). Arriverebbe infine al 20 per cento il movimento 5 stelle di Beppe Grillo, che in un solo colpo sarebbe il leader dell’opposizione parlamentare. Non ci sarebbero dubbi sulla vittoria della coalizione di Vasto, perché le distanze fra loro e i secondi sono talmente ampie da risultare incolmabili.  Ma il Parlamento risulterebbe assai più frazionato di quel che avvenne nel 2008.

Voti ridotti All’epoca chi vinse le elezioni (Silvio Berlusconi) ebbe bisogno di un premio di maggioranza di 53 seggi per arrivare ai 340 assegnati al vincitore secondo quanto previsto dal Porcellum, la legge elettorale in vigore. Oggi la differenza fra primo e secondo sarebbe molto più ampia di allora, ma i voti del vincitore assai più ridotti: ad un eventuale Pierluigi Bersani vincitore servirebbe un premio di maggioranza di 85 deputati per arrivare alla stessa necessaria quota di 340 deputati. Sia Pd che Pdl dovrebbero fare i conti con l’effetto del massiccio ingresso di grillini in Parlamento. I primi vincendo meno bene di quel che prevedevano, i secondi avviandosi a una marginalità parlamentare che mai si sarebbero immaginati. Se si votasse oggi infatti il Pd prenderebbe 213 seggi, che sono appena otto in più degli attuali (205), 14 in più se non si considera la piccola (6 deputati) pattuglia dei radicali, che questa volta avrebbero tutta la convenienza di associarsi al trio di Vasto come partito aggiunto alla coalizione (otterrebbe così 15 seggi, 9 in più degli attuali). Per restare ai vincitori il vero affare lo farebbero gli altri due partiti della foto di Vasto. Antonio Di Pietro raggiungerebbe 56 seggi, 35 più di quelli oggi alla Camera (dopo alcuni cambi di casacca dei suoi). Stessi seggi per Nichi Vendola e i suoi, che entrerebbero in Parlamento per la prima volta. Sia Idv che Sel dunque sarebbero determinanti per la maggioranza di sinistra: per fare cadere il governo basterebbe che poco più della metà di uno solo dei loro gruppi si impuntasse su un no a una decisione di politica economica, di politica estera o sulla giustizia.

Situazione difficile per chi vince dunque perfino più di quel che capitò a Romano Prodi nel 1996 e nel 2006, ma situazione davvero tragica per gli ex vincitori del 2008. Perderebbero tutti, sia quelli che sono rimasti nel centrodestra che quelli finiti nel Terzo Polo. Ma ad essere travolto un po’ dalle urne un po’ dal contrappasso di quella legge elettorale che si era inventato nel 2005 sarà soprattutto il Pdl. Al momento conquisterebbe 80 seggi alla Camera, perché con l’arrivo di Grillo sarebbe molto affollata la platea dei perdenti destinata a dividersi 278 seggi. Ottanta seggi sono 130 in meno di quelli oggi del gruppo Pdl a Montecitorio. Ma sono 151 in meno se si considera anche il gruppo di Popolo e Territorio che in parte viene dal Pdl in parte pretenderà di essere candidato in quelle fila.

Pdl sconfitto Che torni al comando Silvio Berlusconi o resti alla guida Angelino Alfano, cambia poco: nessuno di loro due sarà nemmeno il leader dell’opposizione. Carica che spetterà invece a Beppe Grillo o a uno dei suoi Pizzarotti portati in parlamento: secondo le attuali previsioni sarebbero in 104.  Il particolare non è di poco conto, perché senza quel ruolo il Pdl rischierebbe di essere nella posizione più irrilevante che il centrodestra abbia mai avuto dal 1994: il governo sarebbe in mano alla sinistra e l’opposizione sarebbe in parte interna allo stesso esecutivo (Vendola e Di Pietro), in gran parte monopolizzata da Grillo. Inevitabile la marginalizzazione fino a rischiare la scomparsa dalla scena politica. Stesso discorso per il Terzo Polo, che ha annunciato di sciogliersi senza però ricollocarsi in alcun altro posto (quindi resta ancora in piedi). Pochi danni per l’Udc di Pierferdinando Casini: 35 seggi, 3 meno di oggi. Ai minimi termini Gianfranco Fini: 16 seggi, dieci meno di oggi. Scomparso Francesco Rutelli. di Franco Bechis, Libero, 9 giugno 2012

.………….Per il centrodestra e il PDL che ne innalza la bandiera si preannuncia una catastrofe di proporzioni enormi, tale da marginalizzare il centrodestra per decenni a venire. E mentre gli unni sono alle porte, ancora nel partito che appena nel 2008, 4 anni fa, non 4 secoli addietro,  conquistava il voto della maggioranza degli italiani, si continua a cincischiare, peggio a scimmiottare  la sinistra, convocando le “primarie” per scegliere il candidato premier, invece di fare ciò che i suoi elettori chedono a gran voce: buttare in aria il governo dei tecnici che si sono rivelati per un verso tanti dilettanti allo sbaraglio e per altro verso tanti  mussolini in miniatura,  solo impegnati a fare in prima persona ciò che per decenni avevano fatto dietro le quinte del potere ufficiale: farsi i c..zi propri. Ora, a spegnere gli entusiasmi più o meno fasulli del gruppo dirigente del PDL arriva questo sondaggio schock che fa giustizia di tutte le sciocchezze che negli ultimi giorni hanno invaso i giornali, quelli nemici e anche quelli amici, ora trattati da nemici, ad opera dello stesso Berlusconi e poi di Alfano e di tutti gli altri, talmente inebetiti da non rendersi conto della ghigliottina politica che li attende appena dietro l’angolo del tempo che inesorabile cammina. Ultimo in ordine  di tempo, il commento di Alfano al colpo di mano di Monti che, come ha detto Di Pietro (cosa ci tocca fare…citare Di Pietro!), ha al posto del cervello le Banche, e quindi ha nominato presidente della Rai la vicegovernatrice della Banca d’Italia, un’altra lady di ferro!: ha detto Alfano che va benissimo…. . E la politica, e il Parlamento….? ancora una volta sono stati messi in naftalina, a fare la guardia al bidone vuoto della benzina… . compito del quale saranno incaricati proprio coloro i quali ora per conservarsi qualche mese in più di stipendio parlamentare consentono che la democrazia e il Parlamento restino commissariati. In attesa che gli elettori a loro li  mandino in pensione. g.