Archivi per novembre, 2010

VISTO DA SECHI: S’E’ BRUCIATO IL BISCOTTONE

Pubblicato il 12 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Dimettersi? Neanche per sogno. Berlusconi bis? Non s’ha da fare. Il Cavaliere ha fatto volteggiare le uova in aria e la frittata è finita in faccia a chi pensava di bollirlo nel pentolone a fuoco lento. Niente Biscottone. Niente Pentolone.

Il premier Silvio Berlusconi Tutto da rifare. I cuochi di Palazzo hanno sbagliato ricetta e intensità della fiamma e il Biscottone per Silvio s’è bruciato. Il Nostro non ha abboccato alla pietanza da cambio di regime e ha tutta l’intenzione di esser lui a decidere il menù.
Ventiquattr’ore dopo siamo punto e a capo e stavolta lo chef più svelto con i colpi di padella è stato Berlusconi. Dimettersi? Neanche per sogno. Berlusconi bis? Non s’ha da fare. Il Cavaliere ha fatto volteggiare le uova in aria e la frittata è finita in faccia a chi pensava di bollirlo nel pentolone a fuoco lento. Niente Biscottone. Niente Pentolone. La dieta resta quella del cuoco Michele e i piattini preparati da Gianfranco Fini e l’establishment che lavora al disarcionamento del Cav restano nelle mani dei camerieri che volteggiano in sala senza sapere perché.
Fini dice che Berlusconi può accomodarsi in panchina e a Palazzo Chigi deve andarci un altro. Berlusconi risponde picche e lo sfida a votargli contro in aula. Il primo è impegnato nel giochetto di Palazzo, il secondo vuole che si voti prima in aula e poi anche nel Paese. Messa così, la crisi è da buio pesto e in effetti nessuno sembra vederci benissimo, ma se dovessi puntare una cifra al totalizzatore del Gran Premio Palazzo Chigi 2010 io scommetterei ancora su Berlusconi. Provo a spiegare perché. È vero che il Cav ne ha combinato una più di Bertoldo e spesso ci ha fatto disperare con delle uscite degne di Tafazzi, ma alla fine della fiera abbiamo scoperto dando un’occhiata ai sondaggi che dei suoi «fatti di mutande» agli italiani non gliene importa un fico secco. Saranno stilisticamente criticabili e a una quota di elettori certamente non piacciono, ma quando si va al voto non si decide in base all’ars amatoria di Silvione. Il viagra elettorale è un fiasco, non riempie le urne degli avversari e in tempi di crisi economica contano altre cose. Fini e la sinistra hanno cominciato a rendersene conto e per questo le elezioni sono un incubo.
Cerchiamo di riordinare le stoviglie e le pietanze che sono rimaste in giro per la cucina del Palazzo.

Il Biscottone. Lo stavano cucinando da giorni Fini e i suoi potenziali alleati. La formula era semplice: la farina dello scandalo sessuale (Ruby), le uova del voto determinante dei ministri finiani, lo zucchero del governo tecnico per chi rischia la poltrona, la crema finale di una crisi pilotata con Berlusconi che mastica tutto e si lascia condurre ai giardinetti. Errore fatale: tutte le volte che il Cavaliere è alle corde, si risveglia in lui il leone di Arcore. E dal G20 Silvio risponde «niet» e resta al suo posto. Tutto questo mentre Umberto Bossi aveva educatamente lasciato a casa il dito medio alzato e in nome della Realpolitik s’era messo al tavolo con Fini per cercare una via d’uscita e salvare la riforma federalista. Dopo qualche minuto il Senatur ha capito che il problema non è politico, ma psicologico. Fini vuole vedere Silvio spiaccicato sul muro della politica, altro che Berlusconi bis. A quel punto pure la soluzione Tremonti è tramontata e buonanotte.
Il Pentolone. L’acqua sta bollendo da tempo, ma il Cavaliere ha deciso di saltar fuori e rovesciare tutto. Basta farsi logorare. Vuole parlamentarizzare la crisi e scendere in campagna elettorale. E nel pentolone ora ci sono i finiani. Si dimetteranno nel giro di poche ore ma tra loro aleggia una domanda: «E ora che si fa?». Fini ha garantito a Napolitano il voto del suo gruppo alla Finanziaria e questo apre una contraddizione mortale per chi si propone come il celodurista della situazione. Berlusconi nel frattempo avrà due opzioni: sostituire i ministri dimissionari, oppure lasciare tutto così com’è e procedere con gli interim fino a quando i finiani non saranno costretti a votargli contro in aula. Allora il cerino si spegnerà tra le dita di Fini.
La Frittata. A quel punto la frittata sarà fatta e Berlusconi potrà decidere di andare in aula e affrontare la prova del voto di fiducia. La crisi è certamente al buio, ma soluzioni alternative al governo di Berlusconi per ora non se ne vedono. Napolitano non metterà mai il sigillo del Quirinale su un governo degli sconfitti, mentre Berlusconi e Bossi avranno formidabili armi da giocare in una campagna elettorale nucleare. Dopo il voto dei finiani che ha ribaltato il trattato con la Libia sui respingimenti degli immigrati, nel Nord un manifesto con Fini sul barcone sarà più che sufficiente per lasciare il bastimento di Futuro e Libertà con le vele sbrindellate. Al Sud il partito antiberlusconiano di Gianfranco dovrà contendersi i voti con l’Udc di Casini, gli arrabbiati di Di Pietro, il Pd bersaniano in versione si salvi chi può e il decatleta Nichi Vendola in corsa per fare il salto in lungo nazionale. Sarà durissima. Il Pdl lascerà sul campo settentrionale molti voti alla Lega, qualche altro lo perderà nel Mezzogiorno, ma se uno legge i dati è chiaro un concetto che può sembrare paradossale: Berlusconi rischia di non vincere, ma certamente non può perdere.

Bruciato il Biscottone, rovesciato il Pentolone, fatta la Frittata, resta una sola pietanza possibile per stendere il Cav: l’insalatona mista dell’ammucchiatissima contro Berlusconi. Da oggi tutti si spostano nell’orto.

Mario Sechi, IL TEMPO, 12 NOVEMBRE 2010

12/11/2010

CRISI PILOTATA? ATTENZIONE ALLA TRAPPOLA

Pubblicato il 11 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Che cosa si cela dietro quelle due paroline, crisi pilotata, di cui stamane, al termine del vertice con Fini, ha parlato  Umberto Bossi? Un semplice rimpasto, come vorrebbe il Senatur? Una trappola per indurre il Cavaliere a dimettersi facendogli credere che sarà ancora lui a guidare il nuovo esecutivo allargato all’Udc e gradito ai finiani per poi pugnalarlo alle spalle? Oppure, come sostengono gli uomini più vicini a Fini, l’unico modo per salvare una legislatura e una maggioranza che, altrimenti, avrebbe le ore o al massimo i mesi contati?

È chiaro che Berlusconi chiede garanzie. Salire al Colle e dimettersi, come gli ha chiesto il presidente della Camera, sarebbe un harakiri, se non avrà la certezza che Napolitano gli ridia l’incarico per formare un nuovo esecutivo. Il fatto è che il capo dello Stato, questa garanzia, non gliela può offrire. Gliela possono  offrire, al premier, i segretari di partito della sua nuova maggioranza (da Bossi a Fini a Casini). Domanda:  c’è da fidarsi di una garanzia firmata da quello stesso Fini che, dal palco di Bastia umbra, ha già dichiarato che il suo obiettivo è la morte politica del primo ministro?

C’è chi ipotizza che dietro quelle due paroline – crisi pilotata – si nasconda   Giulio Tremonti, l’unico possibile premier di una nuova maggioranza di centrodestra che offra qualche garanzia alla Lega e nello stesso tempo soddisfi Fini e Casini. Allo stato è un’ipotesi fantascientifica. Anche perché il Cavaliere non vuole mollare. Quali garanzie gli offrirebbe un Tremonti uno? E poi: siamo sicuri che Tremonti si presterebbe a una simile operazione, magari dopo che sarà fallito il tentativo del Berlusconi bis?

La fumata nera del vertice tra Fini e Bossi, a Montecitorio, era più che prevedibile. Era scontata. Quel «mi ha riferito le stesse cose che ha detto da Perugia» pronunciato dal segretario della Lega Nord al termine del vertice riporta indietro l’orologio. Alla crisi politica che non è ancora crisi parlamentare. Una crisi parlamentare che Fini, nella sua triplice veste di presidente della camera, garante della maggioranza e campione del più frusto degli antiberlusconismi,  avrebbe il dovere di aprire. Scegliendo la strada maestra: quella che gli indica quella Costituzione di cui lui stesso si è autonominato il campione. Perché non lo fa? Che cosa sta aspettando? Che Bersani riesca a convincere la Lega a smarcarsi da Berlusconi per votare un nuovo esecutivo di responsabilità nazionale (così lo definiscono) libero dal PdL, cioé dal partito che ha vinto le elezioni? Ci verrebbe da dire: campa cavallo. Alle elezioni anticipate a primavera, salvo  crisi pilotate, non sembrano esserci alternative. E non è detto che, dopo le elezioni, come risulta da tutti i sondaggi, non esca un parlamento spaccato a metà: la Camera al PdL+Lega, il Senato alle nuove e vecchie opposizioni. Con quali prospettive? Non si sa. La lunga transizione alla terza repubblica potrebbe essere appena iniziata.

E ORA LA GIUSTIZIA SIA VELOCE, SOPRATUTTO FEROCEMENTE SEVERA

Pubblicato il 11 novembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

E’ morto a Milano il tassista che per aver investito, senza volerlo, un cane,  è stato bastonato ferocemente da tre mascalzoni che ora stanno in galera. Il povero tassista che si era fermato, era sceso dall’auto, aveva tentato di prestare soccorso al cane, dopo essere stato massacrato di botte e in ultimo colpito da una violenta ginocchiata al capo da uno dei tre energumeni (fra di loro c’è anche una donna!), era stato trasportato in ospedale e ricoverato in coma. Così è rimasto per quasi un mese e poche ore fa è morto. Ora i tre assalitori,  che hanno anche goduto di una cortina di protezioni tra i presenti al pestaggio che hanno tentato di depistare le indagini, sono accusati di omicidio volontario.  E’ il minimo. Ma devono rimanere in carcere e devono essere processati al più presto e devono essere condannati  al massimo della pena possibile  e devono scontarla per intero. Non per vendetta, ma per doveroso rispetto di un uomo che ogni giorno faceva il suo dovere, si guadagnava da vivere, per sè e la propria famiglia, che nutriva rispetto per tutti, anche per un cane dinanzi al cui corpo,  investito per caso,  non è fuggito, e che ha fatto una morte che fa rimanere increduli. Ci sono e ci sono stati anche nel recente passato episodi di automobilisti, ubriachi o drogati, che hanno stroncato la vita di persone inermi, talvolta giovani vite, ma mai era accaduto che costoro rimanessero vittime di una specie di “giustizia” privata, messa in atto  tra l’altro con la crudeltà con cui è stato ucciso il povero Luca Massari a Milano. Se la giustizia, quella pubblica,  che opera nel nome del popolo italiano  consentisse che gli autori di tanta selvaggia esecuzione di un uomo la facessero franca o se la cavassero con poco,  non solo verrbbero meno al loro dovere ma aprirebbero la strada ad altri episodi del genere e se oggi è accaduto per un cane investito, la prossima volta potrebbe accadere per una briciola di pane caduta per caso dinanzi al negozio di qualche suffragetta in cerca di emozioni. Ci auguriamo fortemente che la domanda di giustizia che  prepotente sale nell’anino della gente trovi adeguata risposta. g.

IN NOME DELLA LIBERTA’ DI STAMPA (per la sola stampa di sinistra) L’ORDINE DEI GIORNALISTI SANZIONA VITTORIO FELTRI CON TRE MESI DI SOSPENSIONE

Pubblicato il 11 novembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

L’Ordine dei giornalisti imbavaglia Feltri. Ancora un attacco contro le voci libere della stampa. Il Consiglio dell’Ordine nazionale dei giornalisti ha sospeso per tre mesi il direttore del Giornale Vittorio Feltri. L’Odg ha ridotto da sei a tre mesi la sospensione inflitta dall’Ordine della Lombardia a Vittorio Feltri per il caso Boffo. A quanto si apprende, nell’ultima votazione (la terza) il Consiglio si è diviso a metà: 66 i voti favorevoli a confermare la sospensione di sei mesi, 66 quelli per la riduzione della sanzione a tre mesi. Come da regolamento, ha prevalso la soluzione più favorevole all’imputato.

“Non mi aspettavo niente di meglio”: è questa la prima reazione di Vittorio Feltri alla notizia della riduzione, da parte del Consiglio dell’Ordine nazionale dei giornalisti, da sei a tre mesi della sospensione inflitta dall’Ordine della Lombardia. “D’altronde – commenta Feltri -, si era visto subito che la maggioranza era ostile, così come peraltro accaduto a Milano”.

“Gli errori li fanno tutti in questo mestiere, ma se Repubblica sbaglia 50 volte nessuno se ne accorge. Se succede a noi è una tragedia”: lo ha detto Vittorio Feltri in una pausa della riunione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, poco prima che l’ordine decidesse sulla sua sospensione. La richiesta era stata proposta nel marzo 2010 con una sentenza dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Per Feltri, che stamane ha spiegato la sua posizione ai vertici nazionale dell’Ordine, rispondendo alle domande dei consiglieri assistito dal suo avvocato, “qualunque giornalista dovrebbe capire queste cose. Io ho pubblicato la rettifica”. Rettifica che è stata pubblicata il 4 dicembre 2009. Nel maggio 2010, Feltri ha fatto ricorso contro la sentenza dell’Ordine della Lombardia, chiedendo l’annullamento, la revoca o una riforma del provvedimento, chiedendo anche la sospensione della sanzione. “Ho detto di essere iscritto all’ordine da 43 anni e da 25 anni sono direttore – ha spiegato il giornalista – Ma in tutta la mia carriera sono stato censurato una volta. Auguro a tutti di non trovarsi nella mia situazione. La disoccupazione, anche temporanea, non mi sembra una cosa civile”. E ancora: “Facciamo le lotte per la libertà di stampa… ma ora facciano come vogliono, che devo fare?”.

.…..al Direttore Feltri va tutta la nostra solidarietà. Sul caso Boffo, ora spesso richiamato come metodo Feltri fu tratto in inganno da una inforamtiva risultata falsa. Subito dopo Feltri si scusò pubblicamente con Boffo e pubblicò la smentita sul Giornale (nel frattempo però, Boffo, che si era dimesso da direttore del quotidiano dei vescovi italiani era stato subito sostituito e ha dovuto attender un bel pò perchè gli si trovasse un’altra collacazione all’interno della organizzazione cui fa capo il quotidiano dei vescovi italiani). Magari tutti quelli che, ingiustamente,  vengono sbattuti ion prima pagina e sottoposti al ludibrio mediatico da parte di certa stampa di sinistra o quelli che vengono fatti oggetto di scurrili e false accuse da parte di certi giornalisti sempre e solo di sinistra ricevessero le scuse quando si accerta che le accuse erano false e gli autori dei falsi perseguiti come accaduto per Feltri….magari! Invece, i giornalisti di sinistra godono di una vera e propria licenza di insulto, e non parliamo dei giudici. Ultima  quella di Milano che ha accusato Maroni di aver detto il falso in Parlamento per il caso Ruby, e si scopre che Maroni ha solo letto ciò che era contenuto in una ordinanza del Tribunale dei minori di Milano dove lavora l’accusatrice di Maroni.  Maroni ha querelato la giudice incontinente ma chissà quando Maroni avrà giustizia. Mica la giudice è Feltri. g.

BISCOTTONE PER SILVIO,l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 11 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi Stanno cucinando il Biscottone per Silvio. Per ora i cuochi sono alla fase d’impasto, ma i tempi di lievitazione si sono accorciati e presto vedremo se gli chef ai fornelli del Palazzo riusciranno a sfornare il dolce e farlo mangiare al capo del governo quasi uscente. I maligni dicono che ci sarà dentro il veleno, la dose letale per far fuori l’uomo che da sedici anni ha in mano il metronomo della politica italiana, Berlusconi. Non so quanto sarà potente l’intruglio, so però che serve qualcosa capace di stordire il premier, metterlo in condizione di non galoppare nelle praterie elettorali. Appiedare il Cavaliere è la condizione necessaria per andare avanti con il piano di regime change, con l’idea di cambio totale della guida non solo dell’esecutivo, ma dell’intero sistema politico italiano così come l’abbiamo conosciuto. La diplomazia è al lavoro da mesi, ma la via ribaltonista scelta da Gianfranco Fini negli ultimi giorni ha accelerato le operazioni. Riusciranno i nostri eroi a far secco il Cav? Ho qualche dubbio. Non essendo possibile mettere Berlusconi nelle patrie galere (sogno di tutti i suoi avversari) si dovranno accontentare (o illudere) di tenerlo imbrigliato il tanto che basta, ma l’idea di sbarazzarsi di lui e del berlusconismo come fenomeno sociale è semplicemente un desiderio infantile. É da questo fatto ineludibile, da questo incubo che muovono le loro mosse i protagonisti di questo finale di partita.
Vediamoli nel dettaglio uno a uno, cercando di leggerne non solo i prossimi passi, ma anche la psicologia e le paure che emergono dai loro discorsi più o meno ufficiali. Gianfranco Fini. Eccolo, è l’uomo che si sta incaricando di vestire i panni del regicida, colui che tradisce e pugnala alla schiena il Cavaliere di Arcore. Dopo sedici anni (ma se contiamo l’endorsement di Berlusconi quando Gianfranco si candidò a sindaco di Roma gli anni sono diciassette) ha deciso che è giunto il momento di comandare il plotone d’esecuzione. Nella duplice veste di Presidente della Camera e leader di Futuro e Libertà Fini tenta il colpaccio della vita (e morte) di una stagione politica.

Gianfranco è giunto all’estrema decisione senza averci pensato in fondo poi tanto. Le pietre sono rotolate a valle e lui in cuor suo gode tantissimo di questa situazione. È entrato in una fase parossistica il cui ritornello è «Silvio deve cadere», tutto il resto per lui è noia. Ad horas i suoi ministri lasceranno (con il magone e molta preoccupazione per l’indennità perduta) la poltrona, poi ci sarà un salto nel buio dell’iperspazio politico. Fini ha in mente un piano di salvataggio per se stesso e i suoi fedelissimi che ha due vie possibili: convincere Berlusconi ad allargare il suo governo e consegnarsi al boa constrictor di Futuro e Libertà-Udc, oppure convincere Napolitano sulla bontà di un governo tecnico e trascorrere qualche mese ancora al riparo, il tanto che serve per organizzarsi a elezioni anticipate ma non troppo. Ieri ha visto il suo potenziale complice nell’operazione, Pier Ferdinando Casini, ha parlato con Letta, saggiato la visione del Quirinale. Chi dice che è disperato si sbaglia, Fini è in una fase psicologica in cui non prova quel senso di smarrimento, sa che anche nella Terza Repubblica avrà un ruolo, il problema è solo arrivarci nel miglior modo possibile, senza farsi troppo male e con le batterie cariche. Ci riuscirà? Al di là dei proclami umbri, il suo partito non esiste, è un’accozzaglia di belle e brutte speranze che deve fare i conti con la categoria politica del «tradimento» e un elettorato di destra che non ha alcuna intenzione di votarlo. I sondaggi migliori lo danno al 7 per cento, quelli più realisti in una banda che oscilla tra il 3 e il 5 per cento. Troppo poco per contare da solo. Ecco perché ha bisogno di alleati. Non può andare al voto anticipato subito, non può sbarellare totalmente a sinistra. Deve giocarsi la carta della manovra di Palazzo.

Pier Ferdinando Casini. Ha dalla sua una posizione chiara assunta due anni fa: sta all’opposizione di Berlusconi, non ha accettato nessuna offerta del Cav in passato e imbarcarsi oggi in un’operazione di regime non è per lui il massimo. Ha bisogno di una crisi conclamata del governo uscente per poter partecipare a un’altra avventura. Il suo partito ha perso alcuni pezzi della scacchiera che pesano, soprattutto in quella Sicilia che nelle scorse elezioni politiche gli ha consentito di eleggere i suoi tre senatori. Con Fini non condivide un bel niente, tranne il fatto che vuole la sparizione del Cavaliere. Sul resto, buio fitto. Un programma politico scritto da Fini e Casini avrebbe seri problemi psichiatrici, sarebbe una personalità sdoppiata: il laicista Gianfranco con il cattolicissimo Pier. Fini era per staccare la spina a Eluana Englaro, Casini per la volontà di Nostro Signore. Il capo di Fli è guardato con sospetto dal Vaticano (basta leggere Avvenire per capirlo), quello dell’Udc resta una pedina della politica terrena della Santa Sede. Entrambi cavalcano la battaglia moralista contro il Supercavaliere erotico, ma entrambi sono divorziati. Dopo l’odio per Berlusconi hanno in comune il cambio dei pannolini della prole. È una suprema alleanza dei passeggini che con queste premesse può giusto varare un governo tecnico, una transizione, poi essendo due galletti nel pollaio torneranno a prendersi a colpi di beccuccio e artiglietto.

Umberto Bossi. Nei panni del mediatore non lo avevamo ancora visto adoprarsi e l’unica cosa media visibile in questi mesi del nostro Umbertone è stato il suo fierissimo dito medio alzato di fronte all’intero mondo. Bontà sua, ha deciso di provarci e tutti noi trepidiamo in attesa di novità roboanti. È il politico più furbo e intelligente della baracca politica, uno che male che vada domina tutto il Nord mentre gli altri si leccano le ferite. Un governo tecnico per lui è un regalo colossale, una manna padana: mesi di campagna elettorale con il dito alzato, il rutto incorporato, lo slogan popolano e una capacità di dragare voti impareggiabile. Fini e i suoi sodali hanno appena smontato in Parlamento l’accordo con la Libia sui respingimenti degli immigrati, vallo a spiegare a quelli delle valli che votano Lega. Eppure Bossi ha il dovere di provarci, per lui c’è una missione da concludere: il varo del federalismo prima che tutto il resto vada a carte quarantotto. Messi a posto i decreti per dare autonomia al Nord, si potrà andare alle urne e il Carroccio avrà un bottino di guerra ricco quel tanto che serve per porre le premesse di un’Italia a doppia velocità e doppio Stato: da una parte il Nord che guarda alla Baviera, dall’altra il Sudistan di Fini e del partito della spesa galoppante. Il suo tentativo diplomatico è generoso, se va a segno, la legislatura continua come prima e più di prima nel segno della Lega, se va male, appena uscito dalla stanza di Fini tirerà fuori lo spadone di Alberto da Giussano e vedremo rotolare le teste sognanti di mezzo Parlamento.

Gianni Letta. È il mediatore eterno, la felpata presenza istituzionale, il cervello fino nella stanza dei bottoni. Ieri ha avvisato tutti i naviganti del globo terracqueo: «La prospettiva del governo è stretta». Affiorate dalle sue labbra quelle parole significano una sola cosa: siamo a un passo dal botto finale o dalla salvezza in extremis. Un suo governo tecnico sarebbe la garanzia migliore per il Cav, ma il nostro dovrebbe poi fronteggiare il fuoco incrociato dei magistrati e del giornale-partito di Repubblica. Giorgio Napolitano. Ieri ha detto: «Ci sono troppe incognite. Bisogna fare i conti con i problemi concreti». Ecco, il presidente della Repubblica è un Terzinternaziolista, un uomo della Realpolitik. Non vuole pasticci, chiede che venga approvata la finanziaria, sa benissimo che non si può fare un governo con Bossi, Berlusconi e Tremonti all’opposizione e soprattutto non ha nessuna intenzione di candidarsi all’Oscar (Luigi Scalfaro) del ribaltone.

Silvio Berlusconi. Il Bunga Bunga nei sondaggi per ora gli fa un baffo, l’asse Pdl-Lega continua ad essere il favorito nella corsa elettorale. Lui lo sa e gioca a fare il gatto con il topo. Non si dimette, aspetta Fini, l’uomo con il cerino in mano. Il Biscottone è in cottura, ma con queste premesse rischia di uscire dal forno di Palazzo bruciacchiato. Vedremo presto chi in Parlamento ha il coraggio di mangiarlo. MARIO SECHI

il tempo, 11 novembre 2010


ONORIAMO IL MANDATO DEL POPOLO

Pubblicato il 10 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

In nessun paese europeo si sta discutendo del modo più bizantino o più furbo per far cadere un governo. In nessuno dei paesi tuttora alle prese con una crisi economica mondiale non ancora risolta, chi fa parte di una maggioranza o addirittura dei vertici istituzionali dello Stato sta studiando le mosse per congegnare crisi al buio, volte non a rafforzare ed accelerare le decisioni tempestive che la situazione e la responsabilità richiede, ma a disegnare futuri e futuribili nuovi scenari nell’interesse della politica dei partiti, e soprattutto di una parte.
Più semplicemente, in nessun paese si tenta di sostituire una maggioranza eletta con una minoranza sconfitta.
E’ davvero questo che si vuole per l’Italia? Di sicuro non lo vuole Silvio Berlusconi. Ha ricevuto un mandato a governare dalla maggioranza dei cittadini – mandato più volte confermato in varie consultazioni amministrative ed europee – ed ha l’intenzione di onorare quel mandato. Non sarà il premier a lasciare il Paese senza guida ed esposto alle speculazioni dei mercati, a rischiare di fare dell’Italia una nuova Grecia o una nuova Spagna. Quella delle crisi di governo “pilotate”, dei cambi in corsa delle maggioranze passando non per il Parlamento ma per i comizi di piazza e quindi per le anticamere dei palazzi, è una vecchia pratica che risale ai tempi di quando i partiti contavano più dei cittadini. Ma è anche e soprattutto un’illusione. Un calcolo sbagliato. Inoltre una tentazione che va contro ogni buon senso e rispetto istituzionale, e stupisce che venga dalla terza carica dello Stato, dal presidente della Camera che dovrebbe essere un garante (anche severo, ma garante) e non una parte pesantemente in causa. Un arbitro o un assistente di linea, non un giocatore che interviene a gamba tesa.
Il senso di responsabilità, soprattutto in questo momento, è ben altra cosa. Il senso di responsabilità è innanzitutto governare, perché questo è ciò di cui ha bisogno l’Italia. E’ ciò che chiedono le forze sociali, i lavoratori e gli imprenditori, ed anche i mercati che stanno in agguato sui nostri conti pubblici. La settimana scorsa due agenzie di rating, Standard & Poor’s e Ficht, hanno entrambe confermato il buon giudizio sulla nostra situazione economica, una pagella che, secondo S&P potrebbe addirittura essere rivista al rialzo (caso pressoché unico nel mondo) a condizione che l’Italia vada avanti nella stabilità politica e nel processo di riforme. Esattamente il contrario di ciò che abbiamo ascoltato ieri. Il senso di responsabilità è approvare la legge finanziaria – che si chiama non a caso proprio “di stabilità” – ed il piano di riforme 2020, quei due impegni che l’Europa ci chiede e che a Bruxelles dobbiamo inviare entro il mese di novembre.
Il senso di responsabilità, per noi e per l’intera Unione europea e la sua moneta, è concludere il duro negoziato sulle nuove regole finanziarie, che è l’argomento che tiene banco in tutto il mondo.
Il senso di responsabilità, inoltre, impone di portare tutto – cose da fare, leggi da discutere, accordi e disaccordi – in Parlamento, perché è solo quello il luogo deputato a comporre e scomporre maggioranze, è solo lì che possono o non possono cadere i governi, e soprattutto è solo lì che i fatti avvengono alla luce del sole. Rispondendone agli elettori, ai cittadini, ai contribuenti, alle forze sociali.
Qualcuno, in Parlamento, non in un comizio, dovrà a quel punto spiegare perché il capo del governo dovrebbe lasciare il proprio posto, e quindi venir meno alle proprie responsabilità, solo per una manovra di corridoio politico, proprio mentre la situazione economica e sociale richiede l’esatto contrario: di fare il lavoro per il quale gli italiani ci hanno designato. Se non lo si fa, se si indicano – anzi, si pretendono di imporre con ultimatum – vie traverse e oscure, si cerca di fuggire sia dalle responsabilità, sia dalla chiarezza, sia dalla realtà. Si viene meno al dovere più elementare dei politici, dei ministri e degli eletti: rispondere delle proprie azioni. Non ai propri simpatizzanti, ma al Paese e all’intero corpo elettorale. Ed in questo caso gli italiani, che non sono certo insensibili, avranno occhi per vedere, orecchie per capire, e soprattutto testa per giudicare. Con il loro cervello, non con quello altrui.

IL POPOLO DELLA LIBERTA’

10 novembre 2010

FINI E I SUOI VOGLIONO L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA: IERI ALLA CAMERA I DEPUTATI FINIANI AGLI ORIDNI DEL KAPO’ BOCCHINO VOTANO CONTRO IL GOVERNO

Pubblicato il 10 novembre, 2010 in Politica, Politica estera | No Comments »

di Gian Maria De Francesco

È finita con i fischi e le urla «buffone, buffone!» rivol­te all’indirizzo del capogrup­po finiano Italo Bocchino. Ma per la maggioranza è stato un brutto martedì a Montecito­rio: il governo è stato battuto per ben tre volte sulle mozio­ni riguardanti il Trattato Italia- Libia che le opposizioni chie­deva­no di modificare attraver­so una sospensione della poli­tica dei respingimenti da par­te di Tripoli.

Questa la paradossale cro­naca. Il radicale in quota Pd Mecacci ha presentato un emendamento al documento inizialmente sostenuto da Pdl e Lega con il quale si impegna l’esecutivo a rivedere il Tratta­to inserendovi le garanzie in materia di diritti umani previ­ste dalla Costituzione e dal di­ritto internazionale e ad atti­varsi per la riapertura dell’uffi­cio libico dell’Alto commissa­riato Onu per i rifugiati. In pra­tica mandando a monte l’ac­cordo con Gheddafi, propu­gnato da Prodi e concluso da Berlusconi, che ha ridotto no­te­volmente gli sbarchi di clan­destini sulle coste italiane. Tra le altre «fantasiose» previ­sioni del dispositivo la possibi­lità per i pescherecci siciliani di pescare in acque interna­zionali senza incorrere nelle vedette libiche e, soprattutto, risarcimenti per gli italiani espulsi dopo la rivoluzione del 1969 e per le imprese che vantano crediti verso la Libia.

Il risultato è stato sconfor­tante: maggioranza battuta 261 a 274. Questo perché i fi­niani guidati dal vicecapo­gruppo Benedetto Della Vedo­va hanno pensato bene di cambiare posizione. La ex­maggioranza Pdl-Lega non è riuscita nemmeno a ritirare la propria mozione emendata da Mecacci perché Fli l’ha fat­ta propria e l’ha fatta approva­re con i voti di Udc, Pd e Idv (281-270). Stesso risultato an­che per la mozione più tenue dell’Udc (281-269).Il parados­so è che i finiani hanno squa­dernato la maggioranza su un tema fondamentale come si­curezza e immigrazione ap­poggiandosi a un radicale co­me Mecacci (stessa scuola di Della Vedova) nel quale il Pd stesso non credeva.Tant’è ve­r­o che l’ex ministro degli Este­ri Massimo D’Alema, pur ma­ramaldeggiando sulla «mag­gioranza che non c’è più», ha rilevato che l’emendamento poteva essere accolto senza inasprire il confronto.

I finiani ormai non perdono occasione per mercanteggia­re favori (come sulla legge di stabilità), far pesare la pro­pria consistenza e, contestual­mente indebolire, il presiden­te del Consiglio. «Dobbiamo far capire a Berlusconi che senza i voti di Fini non va da nessuna parte», ha detto ieri Bocchino convincendo, an­che con le maniere spicce i propri colleghi a votare con­tro quel trattato che due anni fa avevano approvato. È stato in quel frangente che il Masa­niello di Fli s’è beccato i boati di disapprovazione di Pdl e Le­ga anche se non è riuscito a ri­portare nell’ovile alcuni colle­ghi tra i quali Menia, Moffa, Lamorte e altri. Alcuni come Consolo hanno dichiarato di non essersi accorti del cam­bio di indicazione.

Ma aggrap­parsi a distrazioni, indecisio­ni e questioni personali non può diventare lo sport princi­pale della maggioranza. Che alla Camera, inoltre, ha sem­pre avuto il suo bel da fare a recuperare ministri, sottose­gretari e assenti a vario titolo. Non è mancato il solito côté da saloon. Con i pidiellini a ur­lare «Bravi, bravi» ai finiani e con l’intemerata di Maurizio Bianconi che ha sfiorato lo scontro fisico con il sottose­gretario Fli Roberto Menia, trattenuto a stento dal coordi­natore del Pdl Verdini. Anche l’appello alla ragionevolezza del ministro degli Esteri, Fran­co Frattini, è caduto nel vuo­to. «Se il Parlamento ritiene di seguire la linea dell’Unione europea, usiamo il linguaggio usato dall’Ue, altrimenti noi vogliamo dire: aprire le porte, rompendo la collaborazione migratoria a tutti coloro che vorranno entrare illegalmen­te», ha implorato.

All’uscita dall’Aula i deputa­ti berlusconiani meditavano propositi di rivincita nella prossima campagna elettora­le. «Tappezzeremo tutte le cit­tà d’Italia con migliaia di ma­nifesti nei quali si vedrà la fac­cia di Fini accanto ai barconi pieni di immigrati. È lui che vuole l’immigrazione clande­stina », prometteva un deputa­to. Il voto di ieri cambierà qualcosa nella politica del go­verno? No. Ma certifica che la crisi è ormai conclamata.D’al­tronde, anche Prodi nel 2007 cadde la prima volta sulla poli­­tica estera, impallinato dai co­munisti pacifisti.

SAVIANO: CHE VERGOGNA L’ARRINGA DELLO SCRITTORE

Pubblicato il 10 novembre, 2010 in Costume | No Comments »

Lo scrittore a “Vieni via con me” di Fabio Fazio ha usato Giovanni Falcone come punto di riferimento senza avere il coraggio di nominare neanche uno dei suoi nemici politici.

Roberto Saviano Che tristezza il Roberto Saviano reticente. Una lunga arringa televisiva, assumendo Giovanni Falcone a punto di riferimento, senza avere avuto il coraggio di nominare neanche uno dei suoi nemici politici. Ha usato l’immagine di Alfredo Galasso, ultima ruota di un carretto sgangherato, ma s’è dimenticato di dire che era esponente del partito di Leoluca Orlando, oggi alleato di Antonio Di Pietro. Non ha mai pronunciato il nome di Luciano Violante, che candidò Agostino Cordova alla procura antimafia per bloccare e annientare Falcone. E quale fu la scusa per candidarlo? Perché aveva più anzianità. Come si fa a ricordare il Leonardo Sciascia che si scaglia contro i “professionisti dell’antimafia” (e aveva ragione), scegliendo il bersaglio sbagliato (Paolo Borsellino), come lui stesso riconobbe, senza dire una parola su chi e perché volle sconfiggere Falcone? E anche le parole di Ilda Bocassini sono state decontestualizzate, non ricordando quelle durissime che rivolse alla corrente di sinistra della magistratura, la sua: Magistratura Democratica.
Ma Saviano pensa sul serio che se Giovanni Falcone avesse avuto la convinzione che Giulio Andreotti fosse mafioso e Claudio Martelli avesse preso i voti della mafia avrebbe accettato di collaborare con loro, sebbene in un ruolo istituzionale? Ma davvero considera Falcone un tale uomo da niente? Ciò che mette tristezza, ma tanta, è che Saviano ha voluto denunciare, giustamente, la congiura del silenzio e della bugia, che attorno alla memoria di Falcone è cresciuta, ma non ha avuto il coraggio della chiarezza, a costo di tirarsi addosso le polemiche dalla parte sbagliata. Sono fra quanti considerano demenziale la polemica del centro destra contro Saviano. Ho letto il suo libro e so che è molto ben scritto. Un’operazione culturale di grande importanza. Non è il primo che scrive di camorra, né il più preciso. Però è il più bravo. Ma è rimasto prigioniero del successo e del luogo comune, che lo opprime più della scorta. Sa chi può attaccare e con chi non si deve permettere, sa come lisciare il pubblico per il verso del pelo, perché sa che quel pubblico è intriso di pregiudizi. Quindi riesce a dire che le unanimi celebrazioni di Falcone sono mendaci, ma non riesce a dire perché. E non riesce a dire che i carabinieri che collaborano con Falcone e Borsellino sono stati o sono sotto processo, in un Paese in cui pochissimi (due, che io sappia) hanno il coraggio di denunciarlo e urlarlo.
Perché ieri non ho sentito neanche nominare l’inchiesta “mafia-appalti”? È scomoda, è politicamente scorretta? Noi ne parliamo, lui ha sorvolato. Mi dispiace, veramente. Saviano ha un potere enorme, uno spazio straordinario, una credibilità considerevole. Ieri ha sprecato tutto, in omaggio al santino di se stesso. Il marketing della propria immagine e la libertà di giudizio non vanno d’accordo. La tribuna televisiva induce al conformismo. Peccato. Non essere riuscito a sottrarsi all’Italia delle tifoserie dissennate è, prima di tutto, uno spreco. Peccato.

DAVIDE GIACALONE per IL TEMPO, 10 NOVEMBRE 2010

PARLA FINI E IL PDL GUADAGNA VOTI: ECCO I SONDAGGI

Pubblicato il 10 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

    Euromedia Research: il Popolo della libertà dopo la convention umbra ha l’1% dei consensi in più. Fli sotto il 5%

    Pare che il discorso di Gianfranco Fini domenica abbia galvanizzato più i berluscones che i cosiddetti «futuristi». Al Pdl avrebbe fatto conquistare, per l’esattezza, un punto in più di gradimento. Il sondaggio realizzato da Euromedia Research è stato fatto «a caldo», «sull’onda dell’emotività». L’obiettivo, spiega Alessandra Ghisleri che guida l’istituto, era quello di testare «che cosa era cambiato nelle opinioni degli italiani in merito alle intenzioni di voto, dopo l’intervento del presidente della Camera alla convention di Futuro e libertà».

    Il campione interrogato, di circa 873 persone aventi diritto al voto ha mostrato una reazione di ricompattamento nel Popolo della libertà, che sarebbe passato in pochi giorni dal 28-30 per cento al 29-31.
    Il gruppo Futuro e libertà di Fini avrebbe registrato solo un lieve miglioramento, salendo dal 2-4 per cento al 2,5-4,5 per cento.
    È vero che il sondaggio registra una percentuale del 27,5 per cento di indecisi, ma se in questo quadro dovesse nascere il famoso «terzo polo», sarebbe ben lontano da quel 21 per cento di cui parla Francesco Rutelli quando sponsorizza i potenziali consensi di quello che definisce il partito «Kadima». Per ora, secondo Euromedia, la possibile futura coalizione di centro, composta da Udc, Fli e Api, rappresenterebbe il 10-12 per cento dell’elettorato. Il sondaggio, infatti, indica il partito di Pier Ferdinando Casini stabile tra il 5,5 e il 7,5 per cento, come quello di Rutelli, l’Api, inchiodato sullo 0,5-1.
    L’insieme della coalizione di centrodestra raccoglierebbe tra il 44 e il 46 per cento. Tutte forze fedeli al premier Silvio Berlusconi. La Lega, dopo l’ultima uscita di Fini, sarebbe rimasta stabile tra il 12 e il 14 per cento. Stessa cosa per La Destra di Francesco Storace, ferma tra l’1 e il 3 per cento.

    Sull’altra sponda, lo schieramento di centrosinistra si assesterebbe invece sul 35-37 per cento. Con un Partito democratico stabile, che si collocherebbe tra il 24 e il 26 per cento; l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro che scenderebbe dal 6-8 per cento al 5,5-7,5; Sinistra ecologia e libertà di Nichi Vendola ferma tra il 3 e il 5 per cento.
    Il sondaggio Euromedia, fatto su «gruppi di ascolto e di rilevazione» e diffuso in esclusiva da Affaritaliani.it, rileva una sempre maggiore attenzione da parte degli elettori per il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, che oscillerebbe tra il 2 e il 3 per cento, mentre la Federazione della sinistra (ossia Prc-Comunisti italiani) rimarrebbe all’1,5-2,5.

    Nel mondo politico si fa strada l’idea che le grandi coalizioni, che hanno avuto finora una breve stagione, vanno ripensate. In questa situazione il «terzo polo», ancora inesistente, sarebbe l’ago della bilancia, capace di far vincere uno schieramento o l’altro.
    Ma finché i finiani non arriveranno ad una vera rottura con il Cavaliere, vale quello che continuano a ripetere dal Pdl: «In caso di elezioni lo schieramento più forte è il centrodestra dell’asse Pdl-Lega». AMG

    UN RISCHIOSO “FUTURISMO” FAMILIARE: IL GIORNALE DEI VESCOVI ITALIANI SCONFESSA FINI E RILEVA CHE E’ PORTATORE DI “QUALCOSA DI INACCETTABILMENTE VECCHIO”

    Pubblicato il 9 novembre, 2010 in Costume, Politica | No Comments »

    L’AVVENIRE, il giornale dei Vescovi italiani, pubblica oggi, con richiamo in prima pagina, la lettera dell’avv. Fabio Russo di Roma, il quale, citando il Fini di Perugia, chiede al direttore del giornale una sua opinione sul percorso  dello stesso Fini e del suo partito sui temi etici della famiglia. Il Direttore dell’Avvenire risponde accusando Fini di essere portatore di “qualcosa di inaccettabilmente vecchio” e va giù duro, che più duro non si può, sull’ateo Fini che vorrebbe divenire il leader del centrodestra italiano, immemore che i Valori della Destra non comprendono il suo “ateismo” di risulta. Ecco il testo della lettera e la risposta del Direttore dell’Avvenire.

    Lettere al direttore

    9 novembre 2010

    Il direttore risponde

    Un rischioso futurismo familiare

    Caro direttore,
    le cito un passaggio dal discorso di Fini a Bastia Umbra: «…Bianchi e neri; cattolici, ebrei e musulmani; uomini e donne; eterosessuali ed omosessuali; italiani e stranieri: qualsiasi persona, la persona umana, senza distinzioni e discriminazioni, deve essere al centro dell’azione della politica e avere la tutela dei propri diritti…».
    Poi, a seguire: «…In Italia dobbiamo colmare il divario e allinearci agli standard europei sulla tutela tra le famiglie di fatto e quelle tradizionali…». E infine: «… Non c’è in nessuna parte dell’Europa, e lo dico a ragion veduta, un movimento politico come il Pdl che sui diritti civili sia così arretrato…». Nel novero dei diritti civili da tutelare va certamente ricompreso, per Fini, il diritto delle coppie omosessuali ad adottare figli. Perché le coppie eterosessuali sì e quelle omosessuali no? Anche questo è un sacrosanto diritto! In nome degli standard europei bisogna poi equiparare in tutto e per tutto le famiglie di fatto alle vecchie, tradizionali e scontate famiglie fondate sul matrimonio. Che cosa aspettiamo ad adeguarci a questi standard?
    Credere ancora nella famiglia fondata sul matrimonio è un chiaro sintomo di arretratezza culturale…
    Fabio Russo, Roma
    Capisco la sua amara ironia, gentile avvocato. E condivido la sua profonda perplessità: il «partito moderno» anzi «futurista» di Gianfranco Fini, ultima evoluzione della destra post-fascista faticosamente nata dalle ceneri del Msi­Dn, sta rivelando di portare nel suo Dna qualcosa di strutturalmente e – per quanto ci riguarda – di inaccettabilmente vecchio: la pretesa radicaleggiante di dividere il mondo in buoni e cattivi, in arretrati e progrediti culturalmente, sulla base di una premessa e di un pregiudizio ideologico. Il ronzio di fondo che accompagna le dichiarazioni del leader ricorda, poi, le sicumere dell’anticlericalismo proprio, con le sue ambizioni e le sue miserie, di una certa Italia liberale in tutto e con tutti tranne che nei confronti dei cattolici.
    L’accattivante elenco finiano di differenze da comporre in giusta armonia – che lei opportunamente cita, caro amico – culmina per di più in affermazioni che con il rispetto delle diversità nulla hanno a che vedere e che teorizzano, piuttosto, l’ingiusto annullamento delle diversità. Un retorico elogio della confusione, all’insegna del più piacione dei relativismi.
    Nonostante l’ostentato (e sarkoziano) richiamo all’idea di una «laicità positiva».
    Spiace, infatti, constatare che il primo a fare le spese lessicali e programmatiche del riproporsi di un Fini-pensiero purtroppo già noto sia stato l’istituto della famiglia costituzionalmente definita (articolo 29), cioè quella unita regolarmente in matrimonio e composta da un uomo e una donna e dai figli che hanno messo al mondo o accolto in adozione. Il neoleader di Fli e attuale presidente della Camera si mostra, insomma, pronto a ridurre la «famiglia tradizionale» a una possibilità, a una mera variabile in un catalogo di desideri codificati, manco a dirlo, secondo gli «standard europei». Bizzarro, deludente e rischioso argomentare che si somma all’altrettanto pericolosa scelta di campo che l’ha indotto a osteggiare una legge – quella sul «fine vita», approvata in prima lettura al Senato e ferma alla Camera – tesa a scongiurare la surrettizia e anti-umana introduzione di pratiche eutanasiche nel nostro ordinamento. Come potremmo non annotare e tenere in debita considerazione tutto questo? E, proprio guardando al futuro oltre che al presente, come potrebbero non tenerne conto con lucidità i potenziali interlocutori politici di Fini? (mt)
    .….Ci sembra che peggiore sconfessione dei vaniloqui di Fini non ci potrebbero essere. E costui vorrebbe divenire il premier? Ma non scherziamo….