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ITALICUM 2.0: LA NUOVA PORCATA ELETTORALE A FIRMA CONGIUNTA

Pubblicato il 29 gennaio, 2014 in Il territorio, Politica | No Comments »

ROMA – Soglia più alta per ottenere il premio di maggioranza, sbarramento meno severo per i piccoli partiti che entrano in coalizione. E’ l’Italicum “2.0″, la versione aggiornata della legge elettorale.

- PREMIO MAGGIORANZA. La nuova legge, come il Porcellum, è un sistema proporzionale con un premio di governabilità che assicura la maggioranza assoluta al partito o alla coalizione vincente. Ma diversamente dalla vecchia legge, per ottenere il premio bisognerà aver superato una soglia minima: il 37% dei voti (nella prima versione dell’Italicum bastava il 35%). Il premio di maggioranza è fissato al 15% dei seggi (non più al 18%). Ma c’è un limite: il “bonus” concesso ai vincitori non potrà far superare il tetto dei 340 seggi, pari al 55%.

- DOPPIO TURNO. Che succede se nessuno supera la soglia del 37%? I primi due partiti o coalizioni di partiti si sfidano in un doppio turno per l’assegnazione del premio. Il vincitore ottiene 327 seggi, i restanti 290 vanno agli altri partiti (restano fuori dal conteggio i deputati eletti all’estero).

- SBARRAMENTI. L’ingresso in Parlamento viene precluso a chi non supera un minimo di voti. Per i partiti che si presentano al di fuori delle coalizioni (come ha fatto il M5s nelle ultime elezioni), c’è una soglia molto alta, l’otto per cento. Per i partiti che si presentano nell’ambito di un’alleanza con altre forze politiche, la nuova versione dell’Italicum abbassa ulteriormente lo sbarramento portandolo dal 5 al 4,5%. Anche le coalizioni dovranno superare una soglia minima di consensi: la percentuale stabilita è del 12%. Per i rappresentanti delle minoranze linguistiche sono previsti meccanismi che garantiscono la loro rappresentanza.

- SALVA-LEGA. La tagliola degli sbarramenti viene alleggerita per i partiti a forte vocazione regionale, come la Lega Nord. Chi si presenta in non più di sette regioni non deve raggiungere le percentuali previste per i partiti nazionali: per entrare in parlamento basterà aver ottenuto il nove per cento in tre circoscrizioni.

- CANDIDATI. Gli elettori non potranno mettere il voto di preferenza. Ogni partito presenta una lista con tanti candidati quanti sono quelli da eleggere nel collegio (si va da un minimo di tre a un massimo di sei). I seggi vengono assegnati seguendo l’ordine delle liste: ad esempio, se un partito ottiene tre seggi vengono eletti i primi tre candidati della lista.

- PARITA’ UOMO-DONNA. Le liste dei candidati dovranno garantire la presenza paritaria di uomini e donne: 50% e 50%, ma senza alternanza obbligatoria (che avrebbe portato in Parlamento una “valanga rosa”). Le liste potranno avere anche due uomini uno di seguito all’altro, ma non di più.

- CANDIDATURE IN PIU’ COLLEGI: La prima versione vietava ai candidati di presentarsi in più di un collegio, la nuova concede questa possibilità. Si discute ancora se ci si potrà candidare in 3 o in 5 collegi.

- IL NODO DEI COLLEGI. L’Italicum prevede una delega al governo per il ridisegno dei collegi elettorali in cui sarà divisa l’Italia: l’esecutivo dovrà farlo in 45 giorni, un periodo di tempo che rende possibili eventuali elezioni anticipate prima dell’estate.

- NO PRIMARIE. Nulla dice il nuovo Italicum sulle primarie per la scelta dei candidati da mettere in lista. Se farle o no, e con quali regole, resterà una scelta autonoma dei singoli partiti.

- IL SENATO. ALla base dell’accordo tra Renzi e Berlusconi c’è l’idea di abolire il Senato. Ma se il progetto dovesse fallire? L’Italicum prevede una clausola che rende applicabile il nuovo sistema anche per l’elezione del Senato: percentuali, soglie e premio di maggioranza sono le stesse della Camera e vengono assegnati su base nazionale, con riparto regionale. Fonte ANSA, 29 gennaio 2014.

….Sin qui le notizie sull’accordo raggiunto da due soli partiti sullo schema della nuova legge elettorale che elude totalmente le indicazioni della Consulta in materia di soglia e di liste bloccate. Benchè la Corte sia stata più che chiara i due partiti maggiori hanno concordato una soglia minima di accesso al premio di maggioranza del 37% che consente ad un partito o a una coalizione di aggiudicarsi con poco più di un terzo degli elettori il 55% dei seggi  a cui accederanno i soliti nominati perchè alla faccia del tanto declamato  “cittadini al centro delle decisioni” in verità gli elettori dovranno mettere la croce solo sulla lista e poi i nomi saranno quelli scelti dalle oligarghie di partito. Non solo. C’è la beffa per i partiti minori i quali in nome del “mai più ricatti dai piccoli partiti” saranno esclusi di fatto dall’ingresso in Parlamento. Infatti viste le soglie minime di accesso che sono fissate per i partiti in coalizione al 4,5%, basta fare un pò di conti: se il partito egemone di una coalizione ottiene diciamo il 21%, per raggiungere il 37% deve aggiungere il 16% riveniente da 4 partiti che hanno raggiunto ciascuno il 4%, nessun  parlamentare viene assegnato ai 4 partti “minori” e tutti vanno al partito egemone. E dove li troveranno i partiti egemoni i partiti minori disposti a dare sangue senza riceve nulla? Evidentemente ai partiti minori dovanno essere riconosicuti posti nelle lise bloccate dei partiti egemoni, per cui le chiacchiere di Renzi in materia di ricatti resteranno aria fritta. Non solo. Anche per le coalizioni c’è lo scoglio della soglia  minima fissata al 12% per accedere alla ripartizone dei seggi, soglia studiata per impedire di fatto che si formino coalizioni alternative alle due egemoni. Neanche in Unione Sovietica è vigente una legge antidemocratica come questa messa a punto dal rottamatore della politica italiana. E dulcis in fundo c’è da segnalare che della riduzoone del numero dei parlamentari che dovevano scenedere al disotto di 500 non v’è più traccia perchè tutti i calcoli vengono fatti sui numeri attuali cioè 630 deputati da ripartirsi praticamente tra i partiti che potranno accedere alla ripartizione dei seggi: 630 nominati dai padroni dei partiti senza che i cittadini elettori possano in alcun modo scegliere liberamente  i parlamentari da eleggere cosicchè essi possano esercitare il loro mandato così come prescrive la Carta Costituzionale, cioè senza vincolo di mandato. Possibile che il custode supremo della Carta, l’inossidabile ex comunista inneggiattore dei carri armati sovietici che uccidevano i ragazzi di Budapest, non abbia nulla da dire in materia? Siamo davvero alla frutta della democrazia e della libertà e purtroppo non v’è chi sia capace di agitare la bandiera della rivolta e della rinascita. g.

PRIVATIUZZARE PER FINTA – IL CASO EMBLEMATICO DELLE POSTE, di Francesco Giavazzi

Pubblicato il 29 gennaio, 2014 in Il territorio | No Comments »

La «privatizzazione» delle Poste è l’esempio di ciò che accade quando un governo debole e pressato dai conti pubblici, perché non è capace di tagliare le spese, si trova a dover cedere a interessi particolari anziché operare nell’interesse dei cittadini e dello Stato. L’operazione pare costruita su due principi: far contenti i sindacati concedendo loro un implicito diritto di veto su qualunque modifica del contratto di lavoro. E non contrapporsi a un management che si è abilmente conquistato la benevolenza del governo rischiando 70 milioni della propria cassa per coprire le perdite di Alitalia.

Se l’obiettivo fosse stato la massimizzazione dei proventi, la privatizzazione avrebbe dovuto essere strutturata in modo diverso. Gli investitori cercano aziende trasparenti, con obiettivi e strategie chiari, che non usino i ricavi di un’attività per coprire le perdite di un’altra. È il caso delle Poste. L’azienda è, al tempo stesso, un grande banca (con BancoPosta): la maggiore del Paese per numero di sportelli; una compagnia di assicurazione (con PosteVita) e il gestore di un servizio di spedizioni (oltre a essere, da qualche mese, uno dei maggiori soci di Alitalia e possedere una propria compagnia, Mistral). E poi vi sono PosteMobile, operatore di telefonia con 3 milioni di clienti; Postel che offre servizi telematici allo Stato; PosteTributi (attività di riscossione). Come un investitore può comprendere se le attività bancarie e assicurative sono gestite in modo efficiente? Come capire in che modo vengono allocati i costi degli oltre 13.000 uffici postali fra le tre attività che svolgono, posta, banca e assicurazione? Le Poste hanno anche un grande patrimonio immobiliare: come valutare se è sfruttato bene?
Sono questi i motivi per i quali in Germania Postbank fu scorporata dalle poste e venduta a Deutsche Bank prima della privatizzazione. Anche la britannica e ora privata Royal Mail svolge solo il servizio di spedizione. L’unica azienda che fa tre cose assieme sono le poste francesi, che infatti rimangono al 100% pubbliche.

E che dire del modo con il quale viene scelto il management? I veri investitori vogliono che gli amministratori possano essere sostituiti se non massimizzano il valore dell’azienda: improbabile che ciò accada in una società della quale il governo mantiene il 60% delle azioni (il governo di Berlino è sceso al 21%). Tanto più se è lo stesso management che, è vero ha completamente trasformato l’azienda, ma poi si è fatto coinvolgere nel salvataggio Alitalia.
Il ricavo per lo Stato non è l’unico obiettivo di una privatizzazione. Il trasferimento di un’attività economica dal settore pubblico ai privati è anche l’occasione per migliorare la concorrenza nell’interesse dei cittadini. Le Poste sono una ragnatela di posizioni dominanti. Hanno un numero di sportelli superiore a Banca Intesa, che li ha dovuti ridurre per favorire la concorrenza. Attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, il risparmio postale è investito nella Tesoreria dello Stato, non a tassi di mercato, ma a interessi negoziati. Quando i tassi scendono l’adeguamento del rendimento che il Tesoro paga avviene lentamente, generando un sussidio improprio dello Stato (cioè dei contribuenti) alle Poste e alla Cassa.
E ancora, privatizzare è anche una strada per attirare investimenti dall’estero, per affermare l’apertura del Paese al mercato, per far fare un passo indietro allo Stato nella gestione dell’economia, per mostrare ai mercati che si vuole davvero ridurre il debito pubblico e non continuare a finanziare una spesa che non si riesce a tagliare. Invece, ancora una volta si è imboccata una strada di cui ci pentiremo: l’ennesima occasione perduta.Francesco Giavazzi, Il Corriere della Srra, 29 gennaio 2014

…..Giavazzi, come sempre, predica benne…peccato che dopo aver predicato vada a far l’esperto per conto del governo che le sue prediche ampiamnete ctiticano. E’ successo durante l’infausto regno di Monti, aspramente e giustamenbte criticato da Giavazzi, che lo chiamò a far da consulente sulle questione su cui diffusamente aveva scriutto Giavazzi. Ed infatti di sue critiche si eprsero le tracce. Intendiamoci, ciò che scrive oggi sul Corriere della Srra Giavazzi sono appunti sacrosanti come sacrosanta è la definzione di “privatizzazione per finta” data a quella delle Poste che, come è chiaro, rimane pubblica al 60% mentre il rimanente 405 viene messo in vendita per finanziare lo Stato che attraverso il suo 605 continuerà a non far funzianre bene le Poste, a ridurre i servizi, spesso a peggiorarli lì dove sono almeno decenti, con grave danno a carico dei soliti ignoti: gli utenti. Questo tipo di priovatizzazione noin è solo fasulla, ma appare una vera e propria truffa. g.

QUALE E’ IL VERO POTERE FORTE, di Ernesto Galli Della Loggia

Pubblicato il 25 gennaio, 2014 in Politica | No Comments »

L’elevato astensionismo, la crescita del voto di protesta, la più banale osservazione quotidiana mostrano quanto ormai sia diffusa tra gli elettori la convinzione che in sostanza Destra e Sinistra si equivalgano, siano «la stessa cosa». Naturalmente si possono fare molte obiezioni a questa idea. Ma essa coglie un dato reale. E cioè che nel Paese esistono ruoli, gruppi sociali e interessi assolutamente decisivi, i quali però da tempo, pur di conservare un accesso privilegiato alla decisione politica, e così mantenere e accrescere il proprio rango e il proprio potere, si muovono usando indifferentemente la Destra e la Sinistra, al di là di qualunque loro ipotetica contrapposizione. Ruoli, gruppi sociali e interessi che nessun attore politico, né di destra né di sinistra, ha il coraggio di colpire, e che con il tempo hanno costituito quello che nella vicenda della Repubblica si presenta ormai come un vero e proprio blocco storico. Vale a dire un insieme coeso di elementi con forti legami interni anche di natura personale, in grado di svolgere un ruolo di governo di fatto di aspetti decisivi della vita nazionale.

È il blocco burocratico-corporativo, a sua volta collegato stabilmente a quei settori, economici e non, strettamente dipendenti da una qualche rendita di posizione (dai taxi alle autostrade, agli ordini professionali, alle grandi imprese appaltatrici, alle telecomunicazioni, all’energia). Consiglio di Stato, Tar, Corte dei conti, Authority, alta burocrazia (direttori generali, capigabinetto, capi degli uffici legislativi), altissimi funzionari delle segreterie degli organi costituzionali (Presidenza della Repubblica, della Camera e del Senato), vertici di gran parte delle fondazioni bancarie, i membri dei Cda delle oltre ventimila Spa a partecipazione pubblica al centro e alla periferia: sono questi il nucleo del blocco burocratico-corporativo. Il quale, come ho già detto, si trova a muoversi assai spesso in collegamento con l’attività dei grandi interessi protetti.

È un blocco formidabile, accentrato nel cuore dello Stato e della macchina pubblica, il cui potere consiste principalmente nella possibilità di condizionare, ostacolare o manipolare il processo legislativo e in genere il comando politico. Non poche volte anche usandolo o piegandolo a fini impropri o personali.

Bisogna pensare, infatti, che specialmente di fronte alla componente giudiziario-burocratica del blocco in questione il ceto politico-parlamentare, quello che apparentemente ha il potere di decidere e di fare le leggi, si trova, invece, virtualmente in una situazione di sostanziale subordinazione, dal momento che nel novanta per cento dei casi fare una legge conta poco o nulla se essa non è corredata da un apposito regolamento attuativo che la renda effettivamente operante. Ebbene, la redazione di tali regolamenti è sempre tutta nelle mani dell’alta burocrazia ministeriale, nonché – senza che vi sia alcuna legge che lo preveda, ma solo per un’antica consuetudine – essa è sottoposta al vaglio del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Un processo al cui interno è facile immaginare quali e quante possibilità si creino di far valere interessi e punti di vista che forzano, o addirittura contraddicono, la decisione – la sola realmente legittima – della rappresentanza politica. In linea generale e da un punto di vista, diciamo così, sistemico il principale obiettivo del blocco burocratico-corporativo – a parte la protezione degli specifici interessi dei propri membri – è quello di autoalimentarsi, e quindi di frenare ogni cambiamento che alteri il quadro normativo, le prassi di gestione e le strutture relazionali all’interno del blocco stesso: insomma tutto ciò che gli assicura la condizione di potere di cui oggi gode. Potere che riveste due aspetti essenziali: quello dell’indirizzo, del suggerimento, del condizionamento, perlopiù sotto la veste del consiglio tecnico-legale; e quello – ancora più importante – d’interdizione. Il potere cioè di non fare, di ritardare, di mettere da parte o addirittura di cancellare anche per via giudiziaria qualunque provvedimento non gradito.

Sul piano generale il risultato inevitabile di una simile azione finisce così per essere nella maggior parte dei casi quello di impedire tutte le misure volte a introdurre meccanismi e norme di tipo meritocratico, intese a liberalizzare, a semplificare, a rompere le barriere di accesso, le protezioni giuridiche e sindacali indebite. Spesso per il proprio interesse, ma il più delle volte per la sua stessa natura inerziale, il blocco burocratico-corporativo, infatti, tende a lasciare sempre tutto com’è: sotto il controllo di chi è dentro, dei poteri esistenti e dei loro vertici di comando. Non importa se per far ciò bisogna arrivare a vanificare pure il ruolo di imparzialità e di terzietà che dovrebbe essere proprio dello Stato: se per esempio le Authority di garanzia e di controllo piuttosto che esercitare con incisività il proprio mandato e rivendicare con altrettanta incisività un potere di sanzione, preferiscono – come accade di regola – voltare la testa dall’altra parte e lasciar fare i grandi interessi su cui in teoria dovrebbero vegliare.

Intendiamoci, fenomeni più o meno analoghi a quelli fin qui accennati caratterizzano tutti i regimi democratici. Ma tra i grandi Paesi dell’Europa un processo così forte ed esteso di autonomizzazione degli apparati burocratico-giudiziari e di crescita dei loro collegamenti con gli interessi economici mi pare si sia avuto solo in Italia. Solo in Italia quegli apparati e gli interessi, economici e non, ad essi collegati, si sono appropriati di spazi di potere così vasti. E di conseguenza – complice il discredito generale della politica – solo in Italia il comando politico e i suoi rappresentanti sono stati così intimiditi, messi così nell’angolo, sono stati resi così subalterni alla sfera amministrativa. E non a caso, forse, ciò ha corrisposto a una crisi generale del Paese, a una sua stasi progressiva in tutti i campi, alla sua crescente incapacità di cercare e di trovare strade e strumenti nuovi per il proprio sviluppo. La gabbia di ferro del blocco burocratico-corporativo e degli interessi protetti ha soffocato la politica. C’è solo da sperare che questa, nella nuova stagione che sembra annunciarsi, torni a respirare liberamente per assolvere i compiti cruciali che sono esclusivamente i suoi. Ernesto Galli della Loggia, Il Corriere della Sera

…Si potrebbe dire, senza voler essere irridenti di uno studioso e politologo di ecceziuonale valore quale è Galli Della Loggia, che scoprire che il principale bubbone della nostra malata democrazia è la buricrazia è come scoprire l’acqua calda, ma che qualcuno, oggi Galli Della Loggia, ieri altri come lui, lo scriano e lo denuncino è senza dubbio un bene. Specie se ciò può servirfe a svegliare la politica perchè la smetta di mettersi nelle maniu dei burocrati che senza mettere la faccia dispongono a loro piacere di un potere illimitato perchè senza controlli.  Qualche giorno fa convenivamo con un autorevole funzionario governativo in servizio presso la Prefettura di Bari che il governo degli enti loclai è mutato, in peggio, ovviamente, dalla Legge Bassanini in poi e dalle rforme che l’accompagnarono che sottrassero alla politica ruoli e responsabiolità che sono, denbbono essere della politica, per affidarli ai funzionari che, non ovunque, non sempre fortunatamente, ne hanno fatto un uso improprio il che è solo un eufemismo oper nascondere la verità che è ben altra, quella che tra le riga si legge nel piccolo trattato di Galli della Loggia. E quel che è successo negli enti locali, avviene nell’intero apparato dello Stato che è nelle mani di “irresponsabili” funzionari che governano e regolamentano non pensando al bene comune ma solo al proprio. E’ tempo che la politica si dia una mossa, ma se il buongiorno si vede dal mattino, dobbiamo dire che la mattina è piena di nuvole che possono trasformarsi in temporali, visto che la legge elettorale, la madre di tutte le riforme,  parte dal porcellum per portarci verso un truffellerem, nel senso che stiamo per cadere dalla padella nella brace, visto che dalla camera dei nominati si intende arrivare ad un’altra camera di nominati, persone,  cioè,  che no hanno a cuore il bene comune ma solo di quello di chi li nomina. E allora, si metta il cuore in pace Galli Della Loggia, perchè il male oscuro della democrazia italiana, la burocrazia, continuerà imperterrita a sovrastare alle cose del nostro sventurato Paese. g.

ABOLIRE LA MINI IMU SULLA CASA SI POTEVA: LO HANNO FATTO IN TANTI, MENO CHE NEL NOSTRO COMUNE

Pubblicato il 23 gennaio, 2014 in Notizie locali | No Comments »

Abolire la tassa sulla casa si poteva : da Bolzano a Ferrara, da Biella a Lodi sono tanti i cittadini che non pagano la mini Imu

Niente tasse. Eppure siamo in Italia. La stessa Italia degli sprechi e delle generose elargizioni alla politica e ai politici che poi, la politica e i politici bruciano in fretta e male ottenendo l’unico risultato di allontanare sempre di più i cittadini dal Palazzo e dalle istituzioni, grandi e piccole che siano.

Si comincia col poco e via via risparmiando, risparmiando, facendo investimenti pubblici mirati e oculati ecco che si arriva a diventare il Comune dove tutti vorrebbero risiedere, il Comune «virtuoso» che, se può, ai suoi cittadini, le tasse, almeno alcune tasse, non le fa pagare. D’altra parte i conti sono presto fatti: se è vero come è vero che, per quanto riguarda la mini Imu non devono riscuotere nulla dai cittadini quei Comuni che hanno lasciato intatta l’aliquota base (0,4 per cento o 4 per mille) fissata dal governo, è anche vero che ben 2.398 Comuni si sono affrettati ad alzare quell’aliquota a 0,45 oppure 0,5 o anche allo 0,6 per cento per recuperare altro denaro. Così abbiamo pensato bene di compiere un rapido (e forzatamente incompleto) viaggio da Nord a Sud, da Est a Ovest per citare alcuni fra gli esempi più significativi di risparmio virtuoso, motivati e perseguiti con convinzione dagli amministratori di Comuni grandi, piccoli e piccolissimi del nostro bizzarro Paese. Cominciando da un piccolo Comune in provincia di Siracusa, Solarino, che ha deciso, addirittura, di non far pagare la Tares ai cittadini che adottano un cane randagio, tutto sotto il controllo dei vigili, che due volte all’anno, dovranno verificare presso le famiglie lo stato di buona salute dell’animale.

Tornando alla mini Imu ricordiamo alcuni dei Comuni più «importanti» dove non si paga: Ferrara, Imperia, Savona, La Spezia, Bergamo, Como, Lecco, Lodi, Mantova, Monza, Sondrio, Udine, Trieste, Gorizia e Pordenone, Asti, Biella, Cuneo e Vercelli, Trento, Bolzano, Aosta, Padova, Treviso, Venezia e Vicenza. Capoluoghi, questi dove le aliquote comunali sulla prima casa non sorpassano la percentuale dello 0,4 per cento. «Asti si conferma il capoluogo di provincia con l’Imu più bassa di tutto il nord e il centro Italia», fanno notare, con orgoglio, il sindaco Brignolo e l’assessore al Bilancio Cannella. Un carico fiscale più leggero cui si accompagna la soluzione adottata da Asti che come molti altri Comuni ha evitato l’esborso dell’addizionale Tares, grazie al fatto che la quota di pertinenza statale era già stata compresa assieme alla quota comunale nelle bollette scadute lo scorso 31 dicembre. Ma, come accennavamo, diamo anche un po’ di voce ai Comuni più piccoli, che più fatica fanno a far quadrare i conti e che quindi meritano ancora più apprezzamento. A San Gimignano, provincia di Siena, il «niente mini-Imu» significa, commenta il sindaco Giacomo Bassi che «anche questo risultato è frutto di un’oculata politica di bilancio, uno sforzo economico di Comuni piccoli che fanno acrobazie per non gravare sulle tasche dei loro cittadini dato che San Gimignano ha ulteriormente abbassato l’aliquota Imu allo 0,30». E se lo sforzo, anziché venire incoraggiato è quasi ostacolato è comprensibile la reazione di Roberto Bozzi, sindaco di Castelnuovo Berardenga: «È intollerabile che i Comuni che hanno aumentato le tasse ricevano dallo Stato maggiori trasferimenti rispetto a quelli che le hanno abbassate. Castelnuovo, a fronte di grandi sacrifici, è riuscita a tenere i conti in ordine e a non aumentare le tasse quindi nessuna mini Imu». Come nessuna mini Imu va pagata nel Comune di Guglionesi, in provincia di Campobasso. «Nonostante a Guglionesi, nemmeno in questi anni difficili, l’amministrazione abbia aumentato l’aliquota della addizionale Irpef e tante altre tariffe, come sempre, è stato rispettato pienamente il patto di stabilità», sottolinea il sindaco Bartolomeo Antonacci. E niente salvadanai da rompere per pagare la mini-Imu anche a Vicopisano, provincia di Pisa, «La cifra corrispettiva dello 0,4 per cento ad abitazione principale ci viene rimborsata dallo Stato. Qualora avessimo aumentato l’aliquota Imu, sarebbero stati i residenti a pagare la differenza, quindi abbiamo soprasseduto», fa notare il Sindaco Juri Taglioli e idem a Castelnuovo Garfagnana, provincia di Lucca dove la buona notizia si accompagna anche a una orgogliosa dichiarazione dall’assessore ai tributi e bilancio Ubaldo Pierotti: «Abbiamo tradotto nei fatti un altro comportamento virtuoso che oggi va a ulteriore vantaggio delle tasche delle famiglie della nostra comunità». Gabriele Villa, 23 gennaio 2014

….Dedichiamo questa nota più che eloquente agli sproloquiatori di casa nostra, ai tenebrosi difensori della scelta scellerata di non rimodulare per tempo l’aliquota IMU sulla prima casa per evitare che i cittadini di Toritto si trovassero tra quelli degli altri 2398 comuni italiani che hanno dovuto pagare  la mini Imu 2013. E a nulla vale che dopo aver tentato di difendere l’indifendile, sindaco e assessore siano stati costretti a promettere (per quel che vale la loro promessa) che la mini Imu si paga ma che il relativo importo si detrarrà dalla TASI 2014. Intanto campa cavallo che l’erba cresce, nel senso che ciò che si promette oggi chissà se si potrà o vorrà mantenere alla scadenza della prima rata della Tasi che è fissata per il giugno 2014 (cioè dopo le elezioni amministrative del prossimo maggio!) ma resta il fatto che sarebbe bastato solo un pò, proprio pochino di buon senso e di attenzione, per evitare il comunque doppio fastidio di pagare e detrarre. Cioè sarebbe bastato che invece di fare i soloni, chiamando in causa il bilancio e i relativi buchi, avessero dato ascolto a chi per tempo li aveva avvertiti. Invece hanno tenuto duro, si fa per dire, e solo dopo che la protesta è montata fra i cittadini grazie alla denuncia di un consigliere di opposizione, sono dovuti tornare indietro con la coda fra le gambe e attorcigliandosi intorno a promesse che per il momento non si sono ancora concretizzate in atti formali. E chissà se e quando ciò accadrà. g.

HA PERSO I BUOI E VA TROVANDO LE CAMPANE

Pubblicato il 11 gennaio, 2014 in Notizie locali | No Comments »

L’ex vicesindaco Fasano è quello che secondo un volantino anonimo firmato “Torittonostra”,  non solo – ed è sacrosanta verità – ha perduto i buoi e va trovando le campane – ma è definito peggiore di quello che ha preso il suo posto, il che è da far morire di rabbia il Fasano, visto – per Fasano – l’offensivo paragone tra il nipote di un bidello – ottima persona quest’ultima  – e l’avo D’URSO di Fasano di cui lo stesso mena vanto pur essendo, secondo la cronaca del tempo, solo un bandito da strada. Orbene, il suddetto Fasano  non si rassegna   al ruolo di chi ha perduto i buoi e neppure a quello  che gli è più consono, cioè  quello del “buttato fuori”. Infatti, concionando dall’alto della sua prosopopeica e presunta, assai presunta superiorità, va   dichiarando – tronfio  – che tutti quelli che vogliono andare al Comune lo fanno solo per fare i “cazzi  loro”,  proponendosi lui, mammolletta di primo pelo,  quale candidato sindaco  e salvatore della Patria, ora,  a 66 anni compiuti l’altro ieri, quando tutti domandano novità e giovinezza e non potendo neppure vantare  esperienza essendone proprio lui  totalmente privo. Costui  è tanto vanesio – almeno politicamente- che dimentica di essere andato in lista nel 2009   nell’aggregazione di sinistra, vantandosi, a risultati acquisiti,  di aver impedito con i suoi voti alla destra  (quella vera e provata da decenni di  coraggiosa militanza  ) di vincere. Non solo. In campagna elettorale aveva deliziato i sostenitori della sua lista  con discorsi scrittigli da mano mercenaria – perché lui non saprebbe  come spiccicar parola –  esaltando le doti del capo della lista e  aveva preannunciato grandi opere, appena alla vigila del suo defenestramento orchestrato con geometrico intento di ridicolizzarlo da quelli che aveva aiutato a vincere.  Chiunque al suo posto, per un soprassalto di dignità, avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco, si sarebbe ritirato in buon ordine, avrebbe preso atto della sua pochezza politica – sulle altre stendiamo un velo pietoso -, e si sarebbe dato all’ippica o, se preferisce, alla caccia al cinghiale che tanto ama per averla praticata pare anche  di frodo, e per aver messo come foto del suo profilo – e migliore identificazione di se stesso  non avrebbe potuto scegliere -  appunto una testa del famoso  mammifero. Invece no! Ha dichiarato guerra ai suoi ex “compagni” e lancia in resta, novello Lancillotto,  si è messo a capo di una armata brancaleone  per dare l’assalto al Palazzo  non per  governare, che è cosa che non saprebbe neppure iniziare a fare,  ma  per consumare vendette e ritorsioni, secondo lo stile e  il costume   che però, come il bue che dice cornuto all’asino,  attribuisce agli altri,   a chi scrive questa nota in particolare, nei cui confronti prova la rabbia tipica delle personalità mediocri quale è la sua, checché lui, e solo lui!,  di sé possa pensare. Ma che è invece l’opinione di tanti, forse molti di più di quanti egli stesso possa immaginare, che coinvolge anche stretti suoi amici, disturbati dal fatto che  ora li voglia, loro malgrado, indurre  ad una specie di guerra di religione che di religioso nulla ha, ma che solo ha sapore di privata e insulsa  rivalsa.   Guerra nella quale pretende  peraltro di essere solo, dovendo tutti gli altri, anche quelli che egli ha osteggiato, sino all’insulto greve, mettersi da parte, perché arriva lui il cioccolataio magico capace di cambiare il mondo. Ma andiamo! Fasano è stato in Comune dieci anni, tra il 1985 e il 1995, senza mai occuparsi di nulla, cinque anni da assessore e altri cinque da vicesindaco, ruolo che non gli competeva ma che l’oggi odiato  “dittatore” dell’epoca  gli  volle riservare, (ab)usando della sua autorità,  per non umiliarlo di più di quanto già non lo avessero umiliato gli elettori,  facendolo arrivare  in numero di preferenze dopo un “modesto” ma molto più bravo dipendente della Asl. Sia nei primi cinque anni che nei secondi cinque anni,   il suo contributo fu pari a zero, virgola zero, come sa più  di tutti l’opposizione dell’epoca,  perché né la “cosa pubblica” gli interessava, né ne comprendeva lo spirito. E visto che ci siamo,  ora che accusa tutti di volle andare sul comune per fare i “cazzi propri”  (ma  lui è l’ultimo a poterne essere illibato censore),  spieghi perché lui nel 1985 ci volle  salire in Comune  e restarci  per dieci anni senza mai occuparsi del “bene comune” salvo che per la pausa caffè,  subito dopo aver conseguito la faticosa  laurea in medicina  e prima di ottenere la nomina  a medico della mutua… Forse perché  pensava o credeva o sapeva  di poterne  essere agevolato? E lo fu? C’è chi dice di si, magari ricordando circostanze ed eventi che molti hanno nella loro memoria  e che nessuna intitolazione postuma al suo genitore (unica “realizzazione” del suo secondo vicesindacato finito nel ridicolo)  possono far dimenticare.   E perché  pretese che fosse impedito  ad  un altro medico di andare  in lista nella DC  nel 1990,  spingendolo dalla DC al PSI e da allora in poi alla  conquista del titolo di maratoneta del cambio di casacca?  Perché non voleva concorrenti in casa nella caccia agli assistiti come nel mai dimenticato film di Alberto Sordi?  Oh,  come è lastricato di  galantuomismo a buon mercato la strada dei  fasulli salvatori della Patria, che se deve essere difesa da  personaggi alla Fasano può tranquillamente finire in malora o venduta al mercato delle pulci.   La smetta Fasano di salire in cattedra, non ne ha né le qualità, né i titoli,  e se ne stia a casa, cercando, se ci riesce,  di far al meglio  il suo lavoro per il quale come è noto è lautamente pagato,  attento,   usando il suo essere medico della mutua, a non spifferare  i  dati dei pazienti,  magari  “spiati” nel database dei colleghi,  rigorosamente tutelati dalla  legge sulla privacy: è un grave reato non solo spiarli  ma peggio ancora spifferarli, specie per ragioni elettorali o di bassa e squallida polemica. g.

P.s. A conferma che  Fasano  non sa neppure dove sono di casa  gli interessi della città e del “bene comune”,  vi invitiamo a verificare quale impegno questo signore e la sua armata brancaleone hanno profuso in Consiglio Comunale per difendere e sostenere i cittadini contro le scelte del governo cittadino. Per esempio in materia di tasse. Nè sono stati presenti nelle riunioni consiliari durante le quali questi problemi sono stati discussi, nè hanno aperto bocca o speso un centesimo per chiedere l’abrogazione della mini IMU 2013 a carico dei proprietari di prime case. Silenzio assoluto. Anche in queste ore quando si è appreso che a Grumo e Binetto la mini IMU è stata risparmiata ai cittadini di questi due comuni a noi assai vicini. Fasano e i suoi comparielli aveva altro a cui pensare, forse a spartirsi la “camicia di Cristo” prima ancora di averla ottenuta, ammeso e non concesso che mai la ottengano.


TROPPE CARICATURE SUL CASO CALABRESI, di Aldo Grasso

Pubblicato il 9 gennaio, 2014 in Politica, Storia | No Comments »

Emilio Solfrizzi è il commissario Calabresi in una scena della fiction Rai «Il commissario»Emilio Solfrizzi è il commissario Calabresi in una scena della fiction Rai «Il commissario»

Quando si affrontano certi temi bisogna avere il coraggio di assumersi alcune responsabilità, non bastano le buone intenzioni. La trilogia de «Gli anni spezzati» affronta fatti che grondano ancora sangue (la strage di Piazza Fontana, l’omicidio del commissario Calabresi, il terrorismo politico, gli intrighi di Stato…); ma raccontare i dieci anni «che hanno sconvolto l’Italia» significa innanzitutto prendersi una responsabilità storica (Raiuno, martedì, 21.10).

La Rai ha la forza di dire com’è morto Pinelli? Gli sceneggiatori, al di là dei libri a cui si ispirano, hanno l’autorevolezza per far luce su quelle tenebre? L’impressione, vedendo «Il commissario», è che gli sceneggiatori Graziano Diana, Stefano Marcocci e Domenico Tommasetti si siano limitati a mettere in fila i fatti di cronaca eludendo ogni risposta decisiva. Ma la responsabilità più grande che viene a mancare è quella della scrittura. A parte la scelta iniziale di far raccontare la storia a un giovane militare di leva romano, Claudio Boccia (Emanuele Bosi), assegnato alla caserma Cadorna, tutto il resto è insipienza narrativa.

Le figure del commissario Calabresi (Emilio Solfrizzi), di Giuseppe Pinelli (Paolo Calabresi), o quelle di Pietro Valpreda, Camilla Cederna, Giampaolo Pansa, Giangiacomo Feltrinelli spesso stingono in caricatura, anche visiva, non hanno alcuna profondità, né umana né storica. I dialoghi sono improbabili e, soprattutto, il materiale di repertorio, nella sua sfrontata secchezza, mette in serio imbarazzo i tentativi scenici di ricostruzione.
Come fossero due epoche differenti. Uno dei compiti principali della fiction del Servizio pubblico sarebbe quello di raccontare il nostro passato, avendo però la forza di esprimere una linea editoriale, qualcosa che faccia riflettere, distolga lo spettatore dall’indolenza espressiva. Qui si naviga fra la più astratta aridità dei luoghi comuni e il garbuglio dei buoni sentimenti.Il Corriere della Sera, 9 gennaio 2014

ECCO UNA STORIA DI STRAORDINARIA ONESTA’ A FRONTE DI ALTRE DI STRAORDINARIA DISONESTA’

Pubblicato il 7 gennaio, 2014 in Cronaca | No Comments »

«Io, insegnante con 1.780 euro di stipendio dovrò pagarne 2.122 per l’Imu»

Margherita Simonetta «Il notaio me l’aveva detto quando ho comprato casa. Sposti qui a Torino la residenza, pagherà meno. Ho pensato: perché devo dichiarare il falso?». Margherita Simonetta non l’ha fatto, e quest’anno ha sborsato soltanto di Imu 2.122 euro. Un’enormità per un appartamento di cento metri quadrati a Borgo San Paolo, periferia della città. Una mazzata per un’insegnante che guadagna 1.780 euro al mese.

Il paradosso è questo: Margherita Simonetta, 59 anni appena compiuti, docente di italiano e storia in un istituto professionale, lavora e abita a Milano, in un casa in affitto («Cucinino, soggiorno e camera da letto. Cinquecento euro al mese»). È un donna semplice ma determinata, non le andava di prendere in giro lo Stato. «La mia scuola, i miei interessi, i miei affetti sono qui in Lombardia. Perché devo spostare la residenza in una città dove non vivo».
Il ragionamento non fa una piega. Ma per il Fisco e la legge italiana l’abitazione torinese è a tutti gli effetti come una «seconda casa», un lusso su cui infierire a colpi di tasse. «Ho investito tutti i miei risparmi. Era l’appartamento dei miei genitori, ci hanno vissuto solo loro. Quando è morto mio padre l’ha lasciato a noi figli. Mi sono detta, se proprio devo acquistare una casa compro questa, così ho rilevato le quote degli altri tre fratelli».
Non si capacita che lo Stato possa essere così miope. «È l’unico immobile che possiedo, non mi risulta che la Costituzione imponga di acquistarlo nella città dove si lavora».

In questi mesi talvolta ha vacillato, ha pensato che forse doveva dare retta al notaio, non può permettersi di «buttare» i soldi così. È durato poco, sui principi non intende transigere: «Non posso fare come una coppia di amici. Sono affiatatissimi, ma lei ha la residenza a Milano, lui nella casa a mare a Santa Margherita Ligure. Ufficialmente vivono separati…».
Sorride, perché nonostante tutto è ottimista. «È giusto pagare le tasse, ma è possibile che nemmeno la sinistra abbia mai fatto una proposta che tenga conto del reddito e della reale ricchezza dei contribuenti?». Ha votato Pd, ha partecipato alle primarie e dopo aver ricevuto la cartella dell’Imu ha scritto a Fassino (il sindaco della sua «seconda» città) e Letta, a Renzi e Saccomanni. «Solo Cuperlo mi ha risposto, magari l’ha fatto il suo staff, ma ho apprezzato. Mi ha scritto che ho ragione, che però dovevo pagare».
Su questo anche lei è d’accordo. Diligentemente ha onorato le due rate, e adesso è costretta a salti mortali per non andare in rosso. «Chiedo scusa, ma i quotidiani non li compro più. Purtroppo non solo io, una volta anche i miei colleghi arrivavano con il giornale sotto il braccio, adesso non vedo più nessuno».
Non solo. «Basta anche con il caffé al bar, soprattutto dopo che è aumentato a un euro. Cinque in meno a settimana sono venti euro al mese, 250 euro in un anno…».

Al parrucchiere però non può rinunciare. «Non posso presentarmi davanti agli studenti come una barbona. I ragazzi sono attentissimi a come vai vestita, ne va della tua autorevolezza». Però si è fatta furba. «Vado ogni settimana dai cinesi: 8 euro per una piega, così ne risparmio 7. Sono 32 euro al mese, più di trecento all’anno».
Al cinema è andata due volte da settembre, al teatro mai («Era già un lusso prima…»), i libri li compra di seconda mano («Nel banchetto di piazza Fontana»). Ai politici ha scritto: «Mi sembra gravissimo che un’insegnante sia costretta a tagliare su questo tipo di spese».
A volte lo sconforto prende il sopravvento: «Non riesco più a trasmettere ai miei allievi il rispetto delle leggi e della Costituzione». Ma non molla, l’insegnamento è la sua vita: «In classe sono più gli stranieri, sudamericani, cinesi, romeni, albanesi… Un tempo era più facile, adesso devi dedicare molto tempo all’alfabetizzazione della lingua italiana, molti sono appena arrivati e conoscono solo poche parole». Studenti difficili? «Tutt’altro, sono molto volenterosi. Ci tengono a imparare, soprattutto le ragazze filippine. Tanti vogliono proseguire gli studi, andare all’università».
Stamattina, come fa da 32 anni, tornerà come sempre a scuola («In metropolitana, non ho mai avuto la macchina»), nella città dove lavora e dove vuole continuare a vivere. A che se la sua «prima casa» è altrove. Il Corriere della Sera, 7 gennaio 2014

……Una storia di stroardinaria onestà che qualcuno definirà di straordinaria imbecillità, specie quelli che ne inventano una  al giorno per “sfuggire” al fisco, evadere o eludere (che è la stessa cosa) le tasse, così  da scaricare i loro obblighi sugli altri, cioè  i “fessi”  che senza neppure aguzzare l’ingegno preferiscono essere onesti piuttosto che ladri.

I POLIZIOTTI VITTIME DELLA GIUSTIZIA INCIVILE

Pubblicato il 5 gennaio, 2014 in Giustizia, Politica | No Comments »

Tutti presi da altro – chi dalle drammatiche vicende di cronaca di questo Capodanno e chi dalle complicate questioni politiche che stanno segnando la fine del governo Letta – questa settimana abbiamo sottovalutato una notizia che ha dell’incredibile.

Mi riferisco alla decisione del tribunale di sorveglianza di Genova di recludere (presso il domicilio e non in cella solo grazie all’esistenza della legge svuota carceri) dirigenti di polizia condannati per il reato di falso nella vicenda degli scontri al G8 di Genova. Si badino bene due cose. La prima: i poliziotti non sono accusati di lesioni o violenze. La seconda: la decisione degli arresti invece che l’affidamento ai servizi sociali è stata presa dallo stesso tribunale che ha concesso un permesso premio a un pericolosissimo serial killer che poi è evaso approfittando di quel beneficio.

Viene da chiedersi che tipo di Paese sia quello che nega dei benefici, solitamente concessi a tutti i peggiori delinquenti, a funzionari di polizia, solo perché questi – che sono stati assolti in primo grado, che si sono sempre dichiarati innocenti e con un ricorso pendente presso la Corte di Strasburgo – si sono rifiutati di fare le scuse pubbliche richieste dal Pubblico ministero. Quasi che, a differenza di ciò che avviene in ogni Paese democratico, alcuni magistrati politicizzati pretendano, solo per alcune categorie di soggetti, oltre alla condanna, anche una sorta di gogna pubblica, a cui esporre i malcapitati.

Evidentemente il diritto di professarsi innocente, pur accettando la condanna subita, vale solo per i delinquenti e non per dirigenti di polizia, che prima e dopo i fatti contestati non hanno mai avuto problemi con la giustizia, ma che anzi hanno contribuito alla cattura dei più pericolosi latitanti e allo smantellamento delle Brigate rosse, responsabili degli omicidi dei professori D’Antona e Biagi.

Sono sicuro di farmi portavoce di tutti i lettori del Giornale e della stragrande maggioranza degli italiani se esprimo la piena solidarietà nei confronti dei servitori dello Stato che stanno subendo questo ignobile trattamento. Così come mi fanno un certo effetto i silenzi del ministro degli Interni Alfano (che della polizia è il capo politico), del ministro della Giustizia Cancellieri (che in altre occasioni e per altri casi di malagiustizia seppe come muoversi rischiando pure il posto), del presidente Napolitano che della magistratura è il capo assoluto. Un anno che inizia con poliziotti ingiustamente agli arresti e magistrati scellerati al loro posto non promette nulla di buono. Altro che unioni civili. È più urgente pretendere subito una giustizia più civile.  Alessandro Sallusti, Il Giornale, 5 gennaio 2014.

Cose da pazzi che posssno accadere solo in Italia dove i PM vincono un concorso e si sentono padreterni.

INVITO A CENA CON RELITTO, di Marcello Veneziani

Pubblicato il 1 gennaio, 2014 in Politica | No Comments »

Come ogni anno, il cenone di stasera sarà preceduto dall’Ospite Istituzionale, che quest’anno batterà il record dell’ottavo messaggio di fine anno.

Non sono tra quelli che insultano e accusano o’ Presidente, gli dedicano tomi giganteschi per mostrarne la piccineria o incitano a boicottare l’invito a cena con Relitto, nel senso di Unico Superstite del passato. Credo di avergli sempre mostrato rispetto ma non ho mai nutrito aspettative su di lui, né quando fu eletto né quando fu rieletto. Napolitano non era e non poteva essere il salvatore della patria in gran tempesta. Lui è il Preservatore dello Status quo. Tutta la sua biografia politica attesta che Napolitano non è mai stato per la Rivoluzione ma sempre per la Manutenzione, per dirla con Longanesi. Uomo d’apparato, fu sempre per il comunismo-regime, mai per il comunismo-movimento, si schierò sempre dalla parte dell’establishment, sia nel suo partito che nella partitocrazia, sia nell’Internazionale che nella prima repubblica. Lo fu da comunista, lo fu da Presidente della Camera, lo fu da ministro dell’Interno, lo è adesso. Sempre contro gli insorti, da Budapest ai Forconi, dalle sinistre eretiche ai movimenti di piazza. Per sancire il passaggio da una repubblica a un’altra ci vorrebbe un De Gaulle o almeno un René Coty o un picconatore. Napolitano invece è il tutore del Sistema e degli assetti interni e internazionali. Non accusatelo, è coerente al suo ruolo usuale. Perciò il suo discorso si sposa bene con lenticchie e cotechino: usanze vecchie per l’anno nuovo. Marello Veneziani.

.….Questa nota di Veneziani è del 31 dicembre, cioè ieri, alla vigilia dell’ottvavo discorso di Napolitano da presidente, record assoluto della Repubblica. Lo abbiamo sentito, non dando retta alle ridicole proteste dei TV spenti,  e dobbiamo dar ragione a Veneziani. L’ottavo discorso di Napolitano è stata la stanca ripetizione dei luoghi comuni che avevano caratterizzato i precedenti sette, con la noiosa elencazione dei problemi e in più l’odiosa citazione di qualche episodio spicciolo di povertà nel Paese, all’interno della opulenta ricchezza  del Palazzo che ospita il capitano supremo di una nave che non affonda perchè non c’è neppure acqua a sufficienza perchè l’ingoi. g.