Archivio per la categoria ‘Costume’

L’ELEFANTINO TORNA IN TV

Pubblicato il 25 febbraio, 2011 in Costume, Cultura | No Comments »

Giuliano Ferrara: “Ho avuto l’offerta di rifare la mia vecchia rubrica Radio Londra e l’ho accettata”

“Ho avuto l’offerta di rifare la mia vecchia rubrica Radio Londra e l’ho accettata”. Così Giuliano Ferrara ha confermato il suo ritorno sulle reti Rai con il programma “Radio Londra”, trasmissione che andrà in onda su Rai1 tra il Tg1 delle 20 e “Affari Tuoi”. Il programma dovrebbe esordire entro marzo.

UNA REPUBBLICA FONDATA SULLA CASA, di Marcello Veneziani

Pubblicato il 22 febbraio, 2011 in Costume | No Comments »

No, sulla casa non si scherza in Italia. Siamo il Paese col più alto tasso di proprietari di case del mondo, siamo fa­milisti e mammoni, la casa per noi è un utero più grande per restare avvolti nel calore materno. Le inchieste su affittopo­li sono state le più seguite, il centrode­stra vinse alle elezioni perché si chiama­va Casa delle libertà, un ministro cadde per le scaiole proprio sulla Casa; Fini ha commesso vari abusi di ruolo e d’uffi­cio, ma ciò che non gli è stato perdonato dalla gente è proprio la casa a Montecar­lo. La casa è sacra in Italia. Il colpo più duro inferto alla malavita è il sequestro delle case.

E gli arresti domiciliari da noi sono l’unica punizione che somiglia a un premio. Sì, però è vero anche l’inverso: quanti italiani, avendo la possibilità di affittare o comprare una casa aum-aum, si sareb­bero tirati indietro? Quasi nessuno, per la stessa ragione di prima, perché consi­derano la casa un valore assoluto, non negoziabile, rispetto a cui l’etica è relati­va. Se dici di no alla casa, è come se di­sprezzi la tua famiglia e metti in mezzo a una strada i tuoi figli che, come recita la costituzione materiale del Paese, so’ piezz’e core. Perfino il candidato sinda­co di Milano, il vendoliano Giuliano Pisa­pia, si è trincerato dietro la mozione de­gli affetti per giustificare la casa del Pio Albergo Trivulzio alla sua compagna. Sembrava Vecchioni…

Di questa vicen­da a me restano due crucci in più. Il pri­mo è per la brutta fine che fanno le opere di beneficenza. Se dai una cosa a fin di bene, al vecchio Msi o alle opere pie, ve­di che porcate combinano. Questi esem­pi sono un’istigazione a una vita dissolu­ta per i vecchi moribondi. Non lasciate niente perché poi se la godono i furbi. Il secondo è per fatto personale. Il 16 febbraio del 1992 venni a inaugurare a Milano la metrò con capolinea Bisce­glie, il mio paese natìo, e mi fu dato dal sindaco come premio per il discorso un libro sul Pio Albergo Trivulzio. Il giorno dopo scoppiò Tangentopoli partendo proprio dal Pio Albergo Trivulzio. Mi sen­to l’unico fesso che dal Pio Albergo Tri­vulzio non ha avuto una casa né una tan­gente, ma un libro illustrato.

MILANO DABBENE, di Annalena Benini

Pubblicato il 22 febbraio, 2011 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Milano dabbene

Possibile che anche la coppia Pisapia ceda al mattone facile? Casa in centro e fidanzato ubriaco

In un video della campagna elettorale milanese pescato su YouTube, Giuliano Pisapia, candidato sindaco di Milano, afferma che chi ne ha bisogno ha diritto di occupare una casa (“vera e propria legittima difesa”). Forse si riferiva alle case in centro a Milano del Pio Albergo Trivulzio, che dovrebbero essere assegnate ai bisognosi: in una di queste vive da ventidue anni la fidanzata giornalista di Pisapia (non a sua insaputa), e paga uno di quegli affitti che fanno venir voglia ai bisognosi, ma anche ai non particolarmente bisognosi titolari di mutuo qualunque o di affitto standard, di prendere i forconi e fare la rivoluzione, o almeno di scendere in piazza per la dignità della pigione. Abbiamo chiaramente stomaci possenti e sopportiamo di tutto, ma i super borghesi della questione morale con i mattoni privilegiati e rubacchiati in nome del circuito dei divini mondani fanno arrabbiare. Vale per tutti, naturalmente: pidielle, carlefracci che dicono di non farcela quasi più a pagare l’affitto (non è un imperativo categorico vivere in via della Spiga), attrici, dirigenti, politologi, assessori alla Casa, presidenti di squadre di calcio. Possibile che non si riesca a resistere al beneficio furbetto e miserabile, all’appartamento low cost, al rubacchiamento di metri quadri, e anzi ci si lamenti di aver dovuto ristrutturare il bagno e di essersi sobbarcati la messa a norma dell’impianto elettrico?

Nel caso della compagna di Giuliano Pisapia, il quale tra l’altro fonda la sua corsa a sindaco di Milano sulla moralizzazione e sul problema della casa, sarebbe gentile spiegare quando esattamente è stata scritta la lettera di disdetta di quell’affitto immeritato. Quando il fidanzato ha deciso di candidarsi? Quando ha vinto le primarie? Tre giorni fa? “Non accetto che si getti fango sul mio affetto più caro per colpire me”, ha detto Pisapia. Ma non è fango, sono cinquecento euro di affitto al mese (a Roma si può trovare una stanza a S. Lorenzo, con un po’ di fortuna, forse un monolocale a Prati Fiscali), ed è l’ossessione di tutti: gli annunci, l’uso foresteria, i contratti transitori, e un’ora ad andare e un’ora a tornare perché un po’ fuori costa meno. Se non Pisapia, chi? Lui è il difensore degli oppressi, indignato per le ingiustizie sociali ma non per il privilegio tangibile della sua compagna, possibile futura first lady della città (anche lei indignata, ma sul genere casa piena e fidanzato ubriaco, e secondo l’allora sindaco di Milano Paolo Pillitteri abbastanza pressante nel chiedere il beneficio immobiliare). Sulla pagina facebook di Pisapia, che ieri presentava il suo libro: “Cambiare Milano si può”, lui ha scritto che “l’attenzione dedicata alla mia compagna è evidentemente un tentativo di farmi desistere, il segno della debolezza di chi ha male amministrato la città negli ultimi vent’anni”. Lo so che è difficile da credere, ma nessuno mi ha mai inseguito per strada proponendomi attici a piazza di Spagna a trecento euro al mese come prova di cattiva amministrazione. Se alla fidanzata di Pisapia è successo, ha avuto più di vent’anni per autoindignarsi, ma sono passati invano. Fonte: IL FOGLIO, 22 FEBBRAIO 2011

………….Proprio stamattina è decaduto il consiglio di amministrazione del Pio Albergo Trivulzio, l’ente benefico (sic) milanese al centro dello scandalo degli alloggi fittati a prezzo d’amicizia a potenti di ogni colore e di ogni specie, e di ogni mestiere, come la fidanzata dell’on. Pisapia, giornalista in spe di Repubblica, quotidiano che sputa sentenze ogni mattina che Dio manda sulla terra e che ovviamente fa finta di nulla quando di mezzo c’è una sua stella e il di lei fidanzato, candidato della sinistra a sfidare la sindaca Moratti la prossima primavera per il Comune di Milano. Se ricordate, fu proprio il Pio Albero Trivulzio a dare il via alla stagione di tangentopoli con l’arresto del presidente dell’epoca, Mario Chiesa, che fu trovato con i soldi di una tangente nascosti nelle mutande. Sono passati 17 anni da allora ma pare che,  come i cani, a Milano si perdono i peli ma non i vizi. g.

SANREMO 2: LE PAGELLE DI ALDO GRASSO

Pubblicato il 20 febbraio, 2011 in Costume, Cronaca, Musica | No Comments »


Gianmarco Mazzi

6 – Gianni Morandi
Non si può voler male a Morandi. Come presentatore è un disastro, non ha i tempi, non ha presenza scenica, sparisce in mezzo alle sue vallette e ai suoi valletti, ha la schiena un po’ incurvata, tipica di noi, braccia scampate all’agricoltura. Ma è un maratoneta della simpatia.

9 – Roberto Benigni
Impresa ardua la sua: tenere un’appassionata lezione di storia patria e sdoganare l’Inno di Mameli. Fra le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia finora è stata la performance più riuscita, capace di unire profondità di pensiero e senso dell’ironia. Quando riuscirà a liberarsi di Lucio Presta (la paga s’è desta)?

Gianni Morandi con Luca e Paolo a Sanremo 2011

4 – Antonella Clerici
L’idea di aprire il Festival di Sanremo esibendo la figlioletta è da Telefono Azzurro. Tanto più che lo scorso anno, a proposito di Povia, le fu chiesto: «Manderebbe sua figlia sul palco a ballare su una canzone sull’eutanasia?» E lei: «Assolutamente no, ma io non la vorrei vedere in generale sul palco».

6 – Belén Rodriguez
Con quella bocca (peccato l’innaturale rigonfiamento del labbro superiore) può dire ciò che vuole, tanto chi la sta a sentire? È un belvedere naturale, piovuto dal cielo, cui non mancano sorrisi e mosse accattivanti. A volte appare fin troppo truccata, ma se apparisse in scena indossando un sacco di iuta ci chiederemmo chi è lo stilista. Riesce anche a ballare con sufficiente disinvoltura..

La Canalis bacia Belen

5 – Elisabetta Canalis
Legnosa come un sughero sardo e stonata più di una campana, la misteriosa Mrs Clooney ha raggiunto l’apice della sua presenza all’Ariston con la simultanea dell’intervista a De Niro (sembrava la sorella di Mr. Brown di Andrea Pellizzari, difficile immaginare i suoi colloqui con George). «La tv non mi interessa -ha detto- io sono fatta per la vita tranquilla, voglio orari da ufficio». Da impiegata farebbe sfracelli.

6 – Luca & Paolo
Divertenti ma anche molto ambigue (con sospetto di par condicio) le loro battute e soprattutto le loro instant song, grande retaggio dei Cavalli marci. Non si è capita bene la loro presenza «disturbatrice» a Sanremo, ma sono bravi a tenere la scena, hanno salvato il gruppo dei presentatori.

Belen e la Canalis a Sanremo

5 – Mazza & Mazzi
Sembrano usciti dalla canzone di Nino Taranto: «Mauro Mazza e Marco Mazzi si sposarono a Sanremo. Però/il connubio fu infelice, un inferno diventò/Lui diceva: “Pe’ ‘sto Mazzi/ho perduto ogni sollazzo”/Lui diceva: “Questo Mazza/che fastidio che mi dà…”». Il Festival vive nonostante loro (e il mitico Marcolin di Raitrade).

Antonella Clerici a Sanremo con la figlia

7 – Gaetano Castelli
Ogni anno, una delle componenti più apprezzabili di Sanremo è la scenografia. Grazie a un sapiente uso dell’elettronica (l’effetto 3D dei ledwall), l’Ariston diventa televisione, con quella grande spirale capace di arricchire sontuosamente tutta la scena. Bisogna solo trovare un posto al gobbo, se no sembrano tutti miopi.

sanremo gg

4 – Robert De Niro
Quando in America un attore va a promuovere un suo film si prepara, e bene. Di solito racconta fatti esilaranti, curiosità, aneddoti, insomma si guadagna la pubblicità gratuita (per l’occasione Manuale d’amore 3 di Giovanni Veronesi) con battute frizzanti. A Sanremo Bob è parso pleonastico.

Canalis Morandi Belen

5 – Duccio Forzano
Con il suo gusto da grande illustratore, pur privo di un riconoscibile segno registico, ormai è diventato il regista di corte per eccellenza. Purtroppo si è perso la scena della vita. Avrebbe dovuto avere il coraggio di mostrare con più insistenza i volti dei papaveroni Rai e dei politici mentre si esibiva Benigni. Roba da George Grosz.

SANREMO: MEZZOMILIONE A BENIGNI, 300 MILA EURO ALLA BELLUCCI, 125 MILA PER L’AEREO PERSONALE DI DE NIRO

Pubblicato il 20 febbraio, 2011 in Costume, Musica | No Comments »

Paolo Crecchi per il Secolo XIX- http://www.ilsecoloxix.it

Chiediamo a Gianmarco Mazzi, direttore artistico del Festival, se è vero che sta atterrando a Nizza Sylvester Stallone, inutilmente però, perché il suo contratto alla fine non è stato firmato. Surreale la replica: «Sì, ma sta andando in Europa per i fatti suoi». Se capitava faceva un salto all’Ariston, ecco, combinazione «non è stata raggiunta un’intesa economica». Il che è vero. E tuttavia l’intesa non è stata raggiunta perché la Rai ha sforato il budget, avendo corrisposto agli artisti dei giorni scorsi molto più di quanto preventivato.

Prendiamo Roberto Benigni. Per sé ha preteso non 250 mila euro, come ufficialmente sostiene la Rai, ma il doppio. Per contratto, altri 250 mila euro vanno infatti alla società che gestisce l’immagine di Benigni, il cui agente è naturalmente Lucio Presta. La società, guidata dalla moglie di Roberto, Nicoletta Braschi, ha l’impagabile denominazione di Melampo, che in Pinocchio è l’appellativo del cane tangentaro: in cambio di una gallina a colpo, Melampo consente alle faine di razziare il pollaio.

Ma non è stato strapagato solo l’esegeta dell’Inno di Mameli. Non doveva essere gratuita la comparsata di Monica Bellucci? No, il suo contratto con il produttore cinematografico Aurelio De Laurentis non prevedeva la promozione al festival: a lei 300 mila euro. E Robert De Niro, capace di rendere immortale la performance di Elisabetta Canalis (come si dice in inglese Taxi Driver, chiede Morandi, Taxi Driver, risponde lei) non è stato pagato perché doveva appunto pubblicizzare “Manuale d’amore 3″, ma ha preteso l’aereo personale: 125 mila euro.

Malumori, in Rai, che fanno passare in secondo piano un incidente diplomatico che ha coinvolto gli autori. All’attore Andy Garcia, evidentemente in omaggio alla destra al potere (sono ex missini sia Mazza sia Mazzi), dovevano essere fatte dodici domande mirate su di Cuba, del tipo: è vero che Castro è un farabutto? È vero che lì si muore di fame? Garcia, pur essendo un esule, si è rifiutato di infangare il suo Paese e se ne è andato offesissimo, anche perché nella performance con Gianni Morandi l’eterno ragazzo ha sbagliato le parole di una canzone: «Mai vista tanta improvvisazione». Garcia era irritato soprattutto per il tentativo di fargli parlar male di Cuba, però. Mica ci sono solo i Fratelli d’Italia a questo mondo…

……………e poi pretendono dagli italiani il canone RAI, il peggior balzello dopo quello dell’ICI, solo che l’Ici è stata abolita, mentre per il canone RAI ossessionano, anzi minacciano gli utenti perchè  lo paghino, salvo sperperare quattrini per pagare guitti e  vecchie ciabatte. 500 mila euro a Benigni per una mezzora di deprimente esibizione di frasi lasciate a metà, di lezioncine di storie che neppure i libri di terza media ammanniscono più agli studenti, di infinita ripetizione dell’aggettivo “memorabile” accostato a tutto e al contrario di tutto, talvolta, anzi spesso,  accostato a sproposito, nonostante il presunto superletterato Benigni dovrebbe sapere che la lingua italiana se una ricchezza ha,  è quella di avere per ogni parola, sostantivo o aggettivo,  decine di sinonimi. Invece no, Benigni ha usato l’aggettivo “memorabile” come una clava per qualsiasi cosa, evento, ricordo, etc. E poi la declamazione dell’inno nazionale, una strofetta, ripetuta due volte, forse imparata a memoria due sere prima dell’evento, giusto per guadagnarsi, si fa per dire, i 500 mila euro che potevano essere regalati a un centinaio di scuole italiane in cambio della declamazione dei versi del nostro inno da un centinaio di scolaresche.  Ovviamente, in questo Paese di esagerate  iperboli  non sono mancate, anzi ce ne sono state a iosa, espressioni di mistico riconoscimento a Benigni di essere un eccezionale uomo di spettacolo, magari per essere entrato  in teatro in groppa ad un cavallo (forse anche quello era di proprietà della società della moglie di Benigni che si è fatta pagare per averlo prestato alla RAI?) e per aver infarcito la sua esibizione che doveva essere di celebrazione della Unità Nazionale di motteggi ad alto grado di volgarità, o come Vendola, l’ex nudista calabrese, che si è detto grato a Benigni per avergli fatto “comprendere”, con la sua esibizione, il vero significato dell’inno nazionale. Da ridere se non dovesismo piangere per i quattrini così vergognasamente buttati dalla finestra per riempire le tasche di un guitto che si vuol far passare per grande attore. E poi ci sono i 300 mila euro pagati alla Bellucci. Anche l’anno scorso la stessa Bellucci aveva chiesto la stessa somma ma le fu negata e così agli italiani fu risparmiato lo spettacolo di una attrice le cui più mirabili interpretazioni sono pellicole al limite della pornografia e nelle quali ciò che della Bellucci spicca è il mutismo. Di lei si potrebbe dire, parafrasando il titolo dell’autobiografia di Vittorio Gassman, che ha un grande avvenire dietro le spalle. Indicata come l’erede della Loren, alla Loren potrebbe al più fare da controfigura, ovviamente restando silente. Però la RAI, esosa esattrice del canone  dai poveri utenti che vengono minacciati di orribili sanzioni se non lo pagano, si è dimostrata quest’anno  munifica e le ha regalato 300 mila euro, forse solo  per consentire a Morandi di occhieggiare nel suo generoso  decolteè. E poi i 125 mila euro pagati per l’aereo personale di De Niro. Il quale, per quel che ci riguarda e per quel che ha detto,  poteva anche rimanere a casa, oltrettuto per evitare alla nostra RAI di farlo intervistare  da una ex velina, pagata a sua volta  150 mila euro,  che parlava inglese come noi parliamo il cinese. E noi paghiamo….g.

A BARI AVVOCATI DI CHIARA….FAME, di Alberto Selvaggi

Pubblicato il 20 febbraio, 2011 in Costume, Cronaca | No Comments »

Salve, che cosa fai? «Avvocatessa ». Ah. E tu invece? «Avvocato». Mh. E tu? «Avvocatessa». Eh. E tu altra? «Avvocata». E tu, ragazza scosciata? «Uguale». Me ne compiaccio; e te ancora, o giovanotto prestante? «Ho uno studio legale con un collega, avvocato». Bene. Da questo sondaggio sul campo di una festa di compleanno possiamo concludere che «non tutti i baresi sono avvocati, ma tutti gli avvocati sono di Bari».

Il numero stimato per i maschi non ancora affetti da Alzheimer laureati in Giurisprudenza e abilitati è di 365.031, cioè all’incirca lo stesso numero di abitanti del capoluogo (anche se non si vedono, ci sono); quello delle femmine, circa 594mila: due avvocatesse per ogni residente. Indispensabili. Più la moltitudine di praticanti per l’eternità.

Da cui si desume che nessuno più svolge mansioni di sarta, mondina, testimone di Geova, e più niuno in tenera età dice alla mamma: «Voglio fare l’astronauta o il cow-boy». Perché sanno già come da adulti faranno la fame. Fatta eccezione per la prole dei grandi uffici (sì, anche gli studi legali partoriscono) e per i figli avuti dai titolari con leggiadre collaboratrici (spesso nipotine di Mubarak); fatta eccezione per i più scafati, i 959.031 giovani azzeccagarbugli del foro di Bari sono sovente costretti a nutrirsi di bacche, a bere succo di prato e a dormire in stazione con i defraudati. O a rubare Rolex, come avvenuto di recente in una palestra del centro frequentata da splendidi e splendide della città.

È così da tempo, ma peggio oggi perché nessuno ha più il becco di un tallero e i clienti non saldano il legale privo di mezzi persuasivi validi (pistola regolarmente denunciata o amicizie nei clan). Forse per questo la maggioranza dei legulei conserva una linea invidiabile.

Non è difficile riconoscere l’avvocato di Bari. Veste azzimato a rate e con un gusto superiore a quello riscontrato in altre categorie professionali. Profuma solitamente di fresco, nonostante le sudate imposte dal ritmo concitato. Trotterella, non cammina, mentre riafferra documenti volanti. Si districa tra due-quattro cellulari (si va dalla chiamata per il ricorso in Cassazione alla foto porno all’amante, dalle mozzarelle per la moglie alla richiesta di trasferimento per lo stupratore arrestato), per cui ha nel cranio un mulinante pensiero vago (è scimunito).

Si evidenzia per l’attaccatura del gluteo al lombo mediamente più alta, come provano gli studi del Lombroso. E anche i miei che ho esaminato con il righello diversi esemplari. Il causidico si concentra soprattutto nel Murattiano, dove c’è la maggiore presenza di studi, di banche, di soldi, clienti, vita viziata. Partecipa a feste bene ove si riversano ipotetici utilizzatori finali e saluta tutti con canino smagliante: «Ehi, ciao!, ehilà, ciao..! Ti abbraccio».

Organizza happening di categoria straripanti, la cui fama percorre l’intiera cittade: dalle rutilanti serate della Fondazione forense e Agai alle notti estive degli Avvocati del Foro da 2000 invitati, fino alle feste d’auguri Udai. Conosce questo e quell’altro, svelena su questo, su quella e quell’altro, sa tutto ciò che tu stesso di te non sapresti mai e sfoga l’alienazione e la fame su Facebook creando ulteriori contatti sociali. È un perdente che cavalca la breccia, anche se nel dopolavoro ripara tubi fognari.

In breve: l’avvocato è figo, l’avvocatessa è figa assai. Il mio ottimo amico «De corruptionis», come l’ho in punta di diritto nomato, m’ha edotto del mestiere in una frase: «In tribunale 2+2 non fa necessariamente 4. Tutto qua». Si riferiva, suppongo, alle opportunità del metalinguaggio, al contatto del primo tipo, del secondo, del terzo, del quarto. Mica all’illiceità. Veramente, mi ha raccontato anche altro.

Al pari di colossi forensi e potenti cariatidi. Ma certamente non intendevano dire che l’abiezione del governo che Roma va disvelando è il mero riflesso dell’andazzo che in qualsivoglia ambito fa di ogni uomo un avvocato. La Gazzetta del Mezzogiorno, 20 febbraio 2011

A PROPOSITO DI BENIGNI….LETTO E CONDIVISO

Pubblicato il 18 febbraio, 2011 in Costume, Gossip | No Comments »

Ritengo Benigni un fenomeno da baraccone scaduto. Mai mi è piaciuto, perché si dà tanto da fare per piacere. Non lo guardo, non tanto per il sentimento di repulsione che mi suscita, con quella parlata toscana già di per sé urtante e da lui accentuata in un crescendo volgare e contraffatto, ma per il totale disinteresse per la sua arte, o così definita, da attore itinerante, quello per intenderci sempre pronto ad adattarsi a seconda del luogo. Enormemente sopravvalutato e ora icona del popolo anti-berlusconiano che allieta con le sue battutine sceme; anche lui sicuramente un mezzo disoccupato il giorno in cui il Cavaliere non ci sarà più. Ma sì, certo, non è immortale, non preoccupatevi. Sarà dura poi con Rosy Bindi! Certo che la toscanità dei due è da delirio. Urla, strepiti, confusione. Ma Benigni pretende di passare per intellettuale. Gli si attribuisce una lettura di Dante insorpassata. Ma ascoltatevi Sermonti, quello sì che Dante lo conosce e non ne fa uno strumento da centinaia di migliaia di Euro a serata! Leggo, perché non l’ho minimamente guardato, del trionfo di San Remo con l’Inno di Mameli. Ma siete sicuri che lo conoscesse prima della sua performance? da DAGOSPIA, 18 febbraio 2011

PM COLPEVOLI PERCHE’ NON INCASTRANO BERLUSCONI

Pubblicato il 6 febbraio, 2011 in Costume, Giustizia, Il territorio, Politica | No Comments »

L’intervista di Emiliano, sindaco di Bari, alle Invasioni Barbariche commentata sul filo dell’ironia e del sarcasmo da Filippo FACCI sulle pegine di LIBERO.

L’ex magistrato Michele Emiliano è il sindaco di Bari e viene descritto come un uomo savio e addirittura filo-berlusconiano, uno che peraltro tende a rifuggire le interviste. Diciamo pure che possiamo smentire tutto quanto, vista l’intervista che ha rilasciato venerdì sera alle Invasioni Barbariche di Daria Bignardi, su La7. È durata venti minuti, ma a noi interessa soltanto un passaggio. Vediamolo. A un certo punto la conduttrice gli chiede se la magistratura in Italia non abbia qualche colpa, ed eventualmente, accennando a Berlusconi, di fare un’autocritica togata. Ecco la sua risposta testuale: «Credo che tutti i magistrati che fanno molti processi e non arrivano a una condanna vera, alla fine, rischiano di consumare il potere che devono amministrare, nel senso che la reiterazione impotente dell’azione penale nei confronti di Berlusconi ora viene utilizzata da Berlusconi come un’arma contro la magistratura stessa».


L’USCITA DELL’EX PM

E fin qui potrebbe non fare una piega. Ha detto che la magistratura, se indaga per 17 anni su un singolo cittadino e alla fine non cava un ragno dal buco, finisce per delegittimarsi da sola e per offrire ottimi pretesti alle reazioni di questo cittadino. Oddio, nel fatto che Berlusconi  «utilizzi» gli errori della magistratura «come un’arma» il sindaco Emiliano tradisce quasi un fastidio, come se la reazione pubblica di un uomo pubblico fosse un’opzione che si potrebbe anche non esercitare, standosene buoni per 17 anni ad aspettare che le toghe di tutto un Paese finiscano di fare i loro comodi. Ma non sottilizziamo. Prosegue Emiliano: «Ricordo i tempi in cui questo accadeva per la mafia; noi facevamo i processi [...] e poi c’era sempre qualcuno, qualche avvocato, qualche politico che riusciva a infilarsi in meccanismi che portavano a drammi. Ieri abbiamo intestato una strada a Bari ad Antonino Scopelliti, il procuratore generale che doveva reggere l’accusa in Cassazione contro per il maxiprocesso di Palermo: quest’uomo fu ucciso perché in quella sezione della Cassazione ne succedevano di tutti i colori». Ecco, qui il ragionamento comincia a farne parecchie, di pieghe. Emiliano, per farsi capire meglio, paragona Berlusconi alla mafia: perché pure con la mafia  si tentarono processi che poi non arrivarono in fondo. Cioè: Berlusconi non è un cittadino innocente sino a prova contraria, peraltro incensurato a dispetto di un numero impressionante di procedimenti: è un colpevole non ancora scoperto, e comunque è sicuramente un male, tipo Cosa Nostra, di cui è difettata la cura. Mentalità molto interessante, quella di Emiliano, considerata la sua precedente professione.  Dopodiché il sindaco di Bari passa a fare l’esempio del magistrato Antonino Scopelliti che fu trucidato con un calibro 12 caricato a pallettoni, fa cioè una presuntissima analogia con ciò che per 17 anni è sempre riuscito a scongiurare le condanne di Berlusconi, tipo, chessò, il suo diritto di difesa. Ma vediamo la conclusione di Emiliano: «Quindi», dice, «se una critica io ho da fare alla magistratura, è quella di non essere stata sempre compatta – in passato per i magistrati per bene è stata dura, durissima – e soprattutto di non avere considerato che, nel reiterare qualche volta anche in maniera a volte un po’ troppo isterica le azioni penali nei confronti di Berlusconi, in definitiva finivano per favorirlo.

LA VECCHIA REGOLA

Questa è una vecchissima regola: quando fai un processo a qualcuno devi essere in grado di arrivare alla fine, sennò il tuo avversario esce rafforzato dal tuo fallimento».  Cioè: il problema è che la magistratura anti-berlusconiana – che è per bene – non è stata sufficientemente unita e compatta, non che ciascuno degli innumerevoli procedimenti a carico del Cavaliere – peraltro concentrati, spesso, in procure che erano sempre le stesse e che erano compattissime – evidentemente non stavano in piedi. Il problema insomma è che Berlusconi ha resistito, lo hanno lasciato respirare e riprendersi, non che talvolta potesse aver ragione. È come per un muro che non si è riusciti a sfondare, perché le forze non erano concentrate, concordi: ecco, Berlusconi era quel muro, se non lo butti giù rischi solo che qualche mattone ti precipiti sul cranio. Servono commenti? No, resta solo un dilemma: se sia più disperante che un uomo come Michele Emiliano sia diventato un politico o se sia più rinfrancante che non sia più un magistrato. Filippo Facci, Libero, 6 febbraio 2011

……………..Forse sarebbe stato meglio che non avesse fatto nè l’uno nè l’altro.

L’ARTICOLO DEL GIORNALE SULLA PM BOCCASSINI: ANCHE IL CONSIGLEIRE DEL CSM BRIGANDI’ DENUNCIA PERQUISIZIONI CORPORALI.

Pubblicato il 3 febbraio, 2011 in Costume, Cronaca, Giustizia | No Comments »

Strumenti utili

Perquisita la notte scorsa anche le abitazioni di Matteo Brigandì, consigliere laico del Csm, sospettato di aver passato a Anna Maria Greco i documenti riservati su Ilda Boccassini. Gli inquirenti sono in attesa di ottenere la documentazione sui possibili contatti telefonici o via computer con ilGiornale. All’ex parlamentare della Lega, intanto, è stato sequestrato il computer, ma questa mattina i carabinieri “sono tornati a casa mia a Torino e hanno fatto anche una perquisizione corporale”. Brigandì ha ricevuto anche un avviso di garanzia, ma si è detto tranquillo: “Non ho nulla da cui difendermi perchè non sono imputato, ma indagato”. Il consigliere non ha risposto alle domande su sue eventuali dimissioni.

La vicepresidente del gruppo Pdl alla Camera, Jole Santelli, ha intanto commentato: “Ancora una perquisizione a Matteo Brigandì? Quanto zelo da parte dei pm! Vorrei che qualcuno ricordasse che mai sia avvenuta in italia un’indagine così pervasiva ed aggressiva per una fuga di notizie. La morale da trarre è chiara: le notizie che possono uscire sono solo quelle che le procure gradiscono, i giornalisti e i giornali che possono scrivere solo quelli di complemento all’opposizione ed alla magistraturA.

Intanto, la giornalista del Giornale Annamaria GRECO in polemica con la Procura di Roma ha confermato di essere stata costretta a toglersi anche la biancheri intima dalla carabiniera, invero “gentile” nel bagno di casa. E scoppiano ulterori polemiche per una perquisizione che sa di santa inquisizione o richiama alla mente i Paesi dove regna sovrano il reigme di polizia. Ovviamente quando ad essere oggetto di presunte violazioni della privacy sono i magistrati e non i comuni cittadini. Questi ultimi, come insegna anche il caso Ruby, possono essere tranquillamente sputtanati senza essere stati nè processati nè condannati.

LA GIORNALISTA DEL GIORNALE ANNA MARIA GRECO: IO, PERQUISITA ALL’ALBA A CASA E COSTRETTA PERSINO A SPOGLIARMI

Pubblicato il 1 febbraio, 2011 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

La giornalista racconta in un file audio la perquisizione subita questa mattina per l’articolo pubblicato sul pm Ilda Boccassini (cronaca). “E’ stata un’esperienza allucinante. Le forze dell’ordine avevano avuto mandato di compiere anche perquisizioni corporali. Hanno rovistato nella mia biancheria intima”. FILE AUDIO ASCOLTA LA SUA TESTIMONIANZA

Trattata come uno dei peggiori criminali: i carabinieri in casa a cercare tra le carte e i computer, i famigliari impauriti, la perquisizione personale per trovare “prove” anche nella biancheria intima. La nostra collega Anna Maria Greco racconta in un file audio la perquisizione subita questa mattina per l’articolo pubblicato sul pm Ilda Boccassini. “E’ stata un’esperienza allucinante – racconta la giornalista che da quindici anni si occupa di Giudiziaria per il Giornale -  le forze dell’ordine avevano avuto mandato di compiere anche perquisizioni corporali. Hanno rovistato nella mia biancheria intima”. Poi precisa i particolari: “Sono arrivati all’alba e mi hanno costretta a spogliarmi. Volevano verificare che non nascondessi documenti nella biancheria intima”.

Il racconto dell’odissea La nostra cronista racconta l’odissea terminata solo nel tardo pomeriggio. “Mi sembra tutto un quadro mai visto – racconta la nostra giornalista – è un attentato alla nostra professione. Se non si può più pubblicare atti che io ritengo non coperti da segreto, atti vecchi di trent’anni, parte di un procedimento chiuso, è chiaro che c’è un attacco al nostro lavoro”. “Quel che poi mi sembra ancor più grave – aggiunge la Greco – è la denuncia fatta di una mia presunta fonte, e il mio nome sbattuto in prima pagina da un collega di un altro giornale, che mi ha additato prima ancora che vi fosse qualsiasi azione giudiziaria. E’ una guerra fra colleghi. Chi ne uscirà male, alla fine, lo ripeto, è la nostra professione”. “Questa mattina sono stata svegliata dai carabinieri – racconta ancora la cronista ripercorrendo l’odissea vissuta oggi – hanno perquisito la mia abitazione, prima delle 9, e poi siamo andati in redazione”. FONTE: IL GIORNALE, 1 FEBBRAIO 2011

……………….Cosa  aggiungere alla drammatica testimonianza della giornalista del Giornale trattata come una delinquente comune, come una terrorista, solo per aver scritto un articolo sulla PM di Milano Ilde Boccassini non riportando fatti falsi ma fatti veri, oggetto di un procedimento disciplinare vecchio di 30 anni? Siamo alla frutta o al delirio di onnipotenza di una certa magistratura politicizzata che spinge il Paese sempre di più verso una deriva poliziesca. Solo in un regime di tal fatta potrebbe accadere ciò che oggi è accaduto alla giornalista Greco come l’altro ieri capitò ai giornalisti Porro e Sallusti, anch’essi perquisiti all’alba sino nelle mutande alla ricerca forsennata e ossessiva delle “prove”, quella volta per un presunto dossieraggio sulla Marcegaglia che si rivelò una bufala. Nell’America di Nixon mai un magistrato osò perquisire la sede del Wasghinton Post o la casa dei due giornalisti di quel giornale  che con la loro inchiesta costrinsero il capo della più potente e trasparente democrazia del mondo a dimettersi. In Italia avvengono cose che ci fanno rabbrividire e che ci fanno temere sempre più per le nsotre libertà individuali e per i nostri diritti fondamentali tra cui c’è quello che nessuno, ripetiamo, nessuno è al di sopra degli altri. g.