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MARINA BERLUSCONI REPLICA A SAVIANO E LO ZITTISCE: “IO NON CENSURO, CRITICO”

Pubblicato il 7 marzo, 2011 in Costume, Cultura | No Comments »

Domenica sera durante la trasmissione di RAI 3 di Fazio, Saviano, come al solito senza contradditorio, ha accusato la figlia di Berlusconi di averlo censurato e di non saper fare l’editrice. A Saviano, che evidentemente ha solo cercato di giustificare il cambio di editore dopo le estermazioni su Berlusconi, ha replicato duramente Marina Berlusconi. Ecco come.

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“Di quale paura sta parlando Saviano? E di quale contraddizione? Non ho e non ho mai avuto paura di esprimere le mie opinioni, anche estremamente critiche: nei confronti di Saviano e non solo nei suoi”. Il presidente della Fininvest e della Mondadori, Marina Berlusconi, risponde alle accuse lanciate dall’autore di Gomorra, ospite ieri sera di Fazio a Che tempo che fa. “Il fatto è che Saviano continua a non distinguere, o a far finta di non distinguere – continua Marina Berlusconi – tra le mie opinioni personali e le scelte della casa editrice che presiedo”.

Marina Berlusconi replica a Saviano Quanto detto ieri sera da Saviano costringe Marina Berlusconi a intervenire in quella che ritiene “una polemica ormai stucchevole”. Ma non può tacere di fronte alle accuse avanzate ieri dal giornalista: “Avrei dimostrato ‘paura politica’ perché mi sarebbe mancato il ‘coraggio di dire chiaramente’ che non sopporto più le parole di Saviano, sarei protagonista di una ‘contraddizione pesante’ in quanto sedicente ‘editore libero che poi, quando qualcosa non va, mi dà addosso’”. “La libertà di pensiero e di espressione è un diritto universale che a nessuno, e sottolineo nessuno – ribatte la numero uno della Mondadori – può essere negato: tutti hanno il diritto di criticare e tutti possono essere criticati. Ma criticare non vuol dire censurare”.

Opinioni personali e scelte editoriali “Le mie opinioni personali – continua Marina Berlusconi – nulla hanno a che vedere con le scelte della casa editrice che presiedo. Scelte che erano e restano totalmente libere e pluraliste: e questo, sia ben chiaro, non ‘nonostante’ la famiglia Berlusconi come azionista di riferimento, ma ‘anche grazie’ a noi e al modo autenticamente liberale di interpretare il nostro ruolo di editori”. Marina Berlusconi spiega, poi, che “ci sono i vent’anni della nostra presenza in Mondadori a dimostrare che questi non sono proclami retorici ma fatti incontestabili”. “Del resto Saviano può lamentare una censura? Una minor attenzione da parte della Mondadori nei suoi confronti? – si chiede il presidente della Mondadori – la tutela della più assoluta libertà di espressione degli autori,a cominciare da Saviano, è e resterà al centro del nostro essere editori”. In tutto questo, Marina Berlusconi non vede “la minima contraddizione”. “La contraddizione mi sembra piuttosto quella di chi rivendica giustamente per sè la sacrosanta libertà di parola e di critica che poi però pare non riconoscere ad altri – spiega – ma al diritto di avere delle idee e di esprimerle non ho alcuna intenzione di rinunciare”. “Se tutto questo a Saviano non sta bene, francamente non è certo un problema mio, ma solo e soltanto suo – conclude Marina Berlusconi – per quanto mi riguarda, posso solo aggiungere, e concludere, che continuare a giocare sull’equivoco, a voler confondere la legittima manifestazione di un’opinione con le scelte editoriali, mi pare strumentale e provocatorio oltre che decisamente ripetitivo”.

DISPERSA E SENZA LEADER: LA DIASPORA DELLA DESTRA ITALIANA

Pubblicato il 7 marzo, 2011 in Cultura, Politica | No Comments »


Mattia Feltri per “La Stampa

D’ improvviso, mentre la Seconda Repubblica volge a sera, la destra non c’è più. Se ne raccattano i pezzi, gli storaciani nel loro semi-ghetto, i berlusconiani aggrappati al governo, i finiani vaganti altrove. Ci sono pure gli apolidi, Domenico Fisichella a casa, i Silvano Moffa e i Pasquale Viespoli perduti nei gruppi misti parlamentari. Il fascismo fu archiviato con tutto il Novecento in sbrigativi congressi o addirittura in isolate e apodittiche sentenze ma, quando sarà conclusa la galoppata di Silvio Berlusconi, è la destra che rischia di svaporare senza un lamento.

Perché adesso? Perché nel lampo di pochi anni? «Perché tutto è finito», dice Pietrangelo Buttafuoco, il più affascinante fra gli intellettuali usciti dal Movimento sociale. L’arrivo della stagione del potere, spiega, ha dato l’occasione a ognuno «di farsi i fatti propri».

Alessandro Giuli (vicedirettore del Foglio di Giuliano Ferrara e autore del Passo delle oche, bel saggio edito da Einaudi che quattro anni fa analizzava la sterile identità postfascista e i guai che ne sarebbero derivati) condivide e la spiega così: «Il Movimento sociale era programmato per rispettare una leadership carismatica, magari contendibile ma non contestabile. Fosse Romualdi o Almirante non importava, ci si divideva in correnti, ma davanti a un leader indiscusso».

C’era naturalmente l’istinto di sopravvivenza del branco, dice Giuli. C’era l’arco costituzionale, i fascisti erano i topi di fogna, «e magari nelle sezioni ci si prendeva a cazzotti, ma fuori i comunisti ci davano la caccia. Fuori si rimaneva una falange», dice Giuli.

Quando non è più una questione di sopravvivenza, quando arrivano Berlusconi e il potere, «il gruppo dimostra di non avere tenuta. Già nella legislatura 2001-2006, Gianni Alemanno coltivava relazioni col mondo cattolico, Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri erano detti berluscones e restavano con Fini per un rapporto personale alla lunga insufficiente», osserva Giuli.

E Buttafuoco rincara: «Una destra al potere la si penserebbe capace di dare una struttura all’establishment, di avere legami stretti con la scuola, con l’università, con la magistratura, con l’esercito. Non è successo niente di tutto ciò. Pure alla Rai, che è l’industria culturale, ci si è limitati a piazzare qualche parente e qualche famiglio». Buttafuoco aggiunge che non è stata formata una leadership, e in effetti le facce sono le stesse da anni.

Insomma, è una destra che non resiste a Berlusconi e alla prova del potere. Ma qui Luciano Lanna (firma del Secolo di Flavia Perina e autore del Fascista libertario , un manifesto culturale del neofuturismo appena uscito con Sperling & Kupfer) devia un poco: «Non credo che nella diaspora attuale c’entri la conquista del potere. Penso si tratti di una scomposizione e ridefinizione post-ideologica.

La Prima Repubblica ha tenuto sulla barricata missina persone profondamente diverse fra di loro, e le ha tenute insieme provocando grossi equivoci. C’erano i nostalgici, c’erano i conservatori, ma c’erano quelli come me che di destra non erano, che leggevano Junger e Pavese, che già allora si sentivano più vicini ai radicali, ai socialisti, al giovane Francesco Rutelli che a Storace».

La ratifica è di Buttafuoco: «Soltanto per ignoranza ci si stupisce che alcuni fra i finiani dicano cose di sinistra. Ma le dicevano ai tempi dell’Msi… Quello era un partito all’avanguardia, che si permetteva libertà sconosciute ad An o al Pdl e al Fli. Nel Msi c’era dibattito, spazio per tutte le idee, fermento, persino lacerazione. Questo improvviso e recente incendio, questo prevalere delle tensioni culturali, lo trovo molto interessante».

Lo sarà, soprattutto, se contribuirà a un passo ulteriore. Ne dubita Giuli, che considera quelli come Lanna «la cosa più genuina prodotta da Fli». Ma nel loro portentoso ecumenismo culturale, Giuli vede «una danza infinita sopra l’immaginario, da Evola ai Beatles (cita un capitolo del Fascista libertario , ndr)… un clamoroso complesso di inferiorità».

Non sarà da lì, dice Giuli, che uscirà una destra nuova. «Il fallimento attuale è figlio della liquidazione del fascismo senza l’elaborazione del lutto, soltanto perché un giorno Pinuccio Tatarella ci disse di levarci i calzoni neri e di indossare la grisaglia. Non si diventa grandi così. Forse una destra nuova, interessante, sorgerà soltanto al collasso della Repubblica antifascista», è la conseguenza che trae Giuli.

E sul punto non è lontano Lanna: «Io non faccio politica dal 1991. Non ho mai votato An ma voterò Fli. E spero che davvero sia arrivato il momento di buttare a mare destra e sinistra. Mi immagino un’alleanza della politica contro l’antipolitica, e soltanto dopo si riuscirà, spero, a cogliere quella fantastica occasione mancata con la Bicamerale del ‘97, quando ex fascisti ed ex comunisti stavano riscrivendo la Costituzione e cambiando la storia».

Un refolo di ottimismo che a Buttafuoco non muove un capello: «Temo che la destra sia legata inevitabilmente a dei blocchi sociali o delle stagioni, e che non sia capace di radicarsi, come dimostra la lunga stagione berlusconiana durante la quale non si è costruito nulla. Osservo. In particolare non mi piace nessuno. Dedico le mie simpatie a Casa Pound, l’unico luogo dove ancora si fronteggia il pregiudizio».

L’ELEFANTINO TORNA IN TV

Pubblicato il 25 febbraio, 2011 in Costume, Cultura | No Comments »

Giuliano Ferrara: “Ho avuto l’offerta di rifare la mia vecchia rubrica Radio Londra e l’ho accettata”

“Ho avuto l’offerta di rifare la mia vecchia rubrica Radio Londra e l’ho accettata”. Così Giuliano Ferrara ha confermato il suo ritorno sulle reti Rai con il programma “Radio Londra”, trasmissione che andrà in onda su Rai1 tra il Tg1 delle 20 e “Affari Tuoi”. Il programma dovrebbe esordire entro marzo.

TRITT’ STREETS, “PRIMA E DOPO” AL PICCOLO TEATRO SAN GIUSEPPE DI TORITTO

Pubblicato il 27 gennaio, 2011 in Cultura, Il territorio, Spettacolo | No Comments »

Domenica 30 Gennaio, alle 20:30, presso il Piccolo Teatro San Giuseppe, via E.  Medi, in occasione del 35° anniversario,

la band Tritt’ Streets

presenta lo spettacolo

“Prima e Dopo”.

Ingresso gratuito.

Domenica 30 Gennaio,  Ore 20:30
Piccolo Teatro San Giuseppe, via E. Medi,
Toritto (BA)
Ingresso gratuito

VOTARE CON UN CLIK, ECCO LA DEMOCRAZIA DEL FUTURO

Pubblicato il 31 dicembre, 2010 in Costume, Cultura, Politica | No Comments »

Dall’Inghilterra, che è stata modelo di demcorazia,   arriva la proposta di far partecipare tutti i cittadini al procedimento legislativo

E’ stato il Parlamento di Westminster a fare da modello alle democrazie rappresentative moderne. Proprio ora che è al governo una coalizione formata dal partito conservatore e da quello liberale, che attraverso i loro antenati tories e whigs hanno forgiato la democrazia, il premier Cameron ha una proposta che potrebbe costituire un precedente per le democrazie del futuro: l’iniziativa popolare via web.

Alle elezioni di maggio era questo punto uno dei più innovativi nel programma del Partito Conservatore. “È assurdo che solo una piccola percentuale della popolazione possa mettere mano a una legislazione che si applicherà al 10 per cento della popolazione. Invece che tenere la gente fuori da questo processo, abbiamo bisogno di invitarceli”, aveva detto David Cameron. Già Tony Blair, a dir la verità, aveva istituito un sistema di petizioni collegato alla pagina Internet di Downing Street.

Ed è attraverso questo canale che ad esempio il governo laburista rinunciò a introdurre un sistema di pedaggi che attraverso il satellite avrebbe dovuto estendersi a tutte le strade del Regno Unito, in quando 1.811.424 firme contro ne dimostrarono l’impopolarità. 531.400 firme raccolse invece la proposta di trasformare in giorno festivo quel Remembrance Day con cui l’11 novembre si ricordano i caduti della Prima Guerra Mondiale. In 502.625 firmarono contro un divieto di far volare la pattuglia acrobatica nazionale delle Red Arrowes alle Olimpiadi di Londra del 2012, che peraltro si rivelò poi essere una bufala.  In 304.461 firmarono per far ridurre la tassa sul carburante, 281.882 contro la costruzione di una mega-moschea, 128.622 contro l’imposta di successione, 113.979 per la creazione di un ospedale per militari e veterani, 93.626 per il mantenimento degli assegni familiari, 49.457 in favore della nomina a Primo Ministro di Jeremy Clarkson, noto giornalista esperto in temi automobilistici.

Il valore di questo strumento, però, era poco più che un grande sondaggio di opinione: utile a indirizzare i governanti, ma non vincolante. D’altra parte, non c’erano particolari filtri per impedire che un internauta votasse anche più di una volta. Secondo il nuovo schema tutte le petizioni che via Internet raccoglieranno almeno 100.000 firme di cittadini iscritti nei registri elettorali dovranno essere per lo meno dibattute dalla Camera dei Comuni, entro il periodo tassativo di un anno. È vero che tra questi 100.000 ci dovrà essere per lo meno un deputato, ma in compenso, con un milione di firme la petizione potrebbe proporre direttamente una legge. Già quando la proposta era stata pubblicata lo United Kingdom Indipendence Party aveva promesso: “E allora presenteremo un milione di firme per uscire dall’Unione Europea”.

Qualcuno pensa che i Comuni possano anche presto ritrovarsi a discutere sulla reintroduzione dell’impiccagione: nel febbraio del 2008 un sondaggio del Sun sul tema ebbe 95.000 risposte, e il 99 per cento a favore della pena di morte. Maurizio Stefanini, FOGLIO QUOTIDIANO, 31 GENNAIO 2010

….Sarebbe bello  poter con un semplice clik chiedere al Parlamento, per esempio,  di discutere su Fini  o, sempre per esempio, chiedere l’espulsione di Di Pietro. Sarebbe bello, ma tra la democrazia inglese e quella italiana c’è uno spazio siderale. Però sperare e sognare non è reato.g.

L’ULTIMA IMPRESA DI FINI: HA FATTO SPARIRE LA DESTRA

Pubblicato il 29 dicembre, 2010 in Cultura, Politica | No Comments »

Ho trovato divertente il finto scoop sul finto agguato al finto leader, il presidente GianFi­tzgerald Fini. Dopo la finta indignazione aspettiamo ora la finta rivendicazione del­­l’attentato, e magari il finto arresto, così com­pletiamo il circolo della finzione. Io però vor­rei tornare alla realtà per capire cosa c’è di vero e di vivo nella destra di oggi, dopo un anno terribile che l’ha de­capitata, lacerata e mozza­ta. Dico la destra, non il centrodestra nel suo com­plesso, non il Pdl berlusco­niano. Ne ricostruisco la storia per capire il presen­te. C’era una volta una de­stra piccina ma compat­ta, che però riduceva la più ampia e più variegata destra al piccolo mondo missino, animato dalla nostalgia e da un ra­dicalismo politico, etico e ideologico tipico di chi vuol testimoniare un’idea e un’appar­tenenza, senza modificare la realtà. In quel tempo c’era una fiorente galassia di piccoli giornali, riviste, aree che si definivano di de­stra. Poi venne la mutazione necessaria e sa­lutare in un partito di destra più ampio e me­no retrospettivo, chiamato Alleanza nazio­nale. Un partito che non seppe darsi conte­nuti all’atto della svolta, ma compì un salto nel tempo e nel modo di pensare la politica. Il suo ruolo nell’ambito del centrodestra non fu mai egemone ma via via decrescente; fino a diventare quasi irrilevante sul piano politico, culturale e pratico. L’omologazio­ne di An andò di pari passo con l’insofferenza cre­scente del suo leader verso Berlusconi, fino a remare contro (ricorderete l e elezio­ni del 2006). Divenuto ormai u n pallido clone d i Forza Italia, incapa­c e d i bilanciare il ruolo della Lega, avvertendo un’immi­nente emorragia di consen­si, A n s i sciolse come burro e confluì nel Pdl, metà soddi­sfatto e metà malvolentieri. Vinte le elezioni, incassati i dividendi e gli incarichi, a co­minciare dalla presidenza della Camera, avviò la mar­cia contro Berlusconi. Resto dell’idea che sia stato u n erro­re l’estate scorsa non acco­gliere l a critica d i Fini all’ine­sistenza del Pdl: primo per­ché era motivata, secondo perché poteva essere l’occa­sione per rifare il Pdl; terzo, perché trasferiva l a tensione dal governo al partito, argi­nando l a bufera. M a l a storia non s i f a con i se, e Fini ormai d a troppo tempo non soppor­tava Berlusconi, sperava nei giudici e nello sfascio. L a sua operazione h a avuto u n sostegno mediatico senza precedenti, branchi d i lupi s i sono raggruppati per attacca­r e i l governo: giornali, cortei, partiti, lobby, poteri. Però do­p o la sconfitta del 14 dicem­bre i lupi si sono dispersi o sono rientrati nelle loro ta­ne. E i fuoriusciti finiani han­n o dovuto rinunciare pure a l racconto consolatorio che stavano dando vita a una d e­stra nuova, autonoma e mo­derna, perché sono finiti co­m e una costola d i quel che re­sta della vecchia dc, sotto la leadership di Casini, al fian­c o d i Rutelli, L a Malfa e Lom­bardo (baciamo le mani). Certo, l a polverizzazione del­la destra è avvenuta di pari passo con la mortificazione della sinistra. E tutto questo è accaduto per un parados­so: il passaggio dal bipolari­smo al tentato bipartitismo ha prodotto la scomparsa della destra e della sinistra. Per la prima volta nessuna formazione politica in Parla­mento si definisce aperta­mente d i destra o d i sinistra. Veltroni liquidò la sinistra, facendo nascere i l P d e azze­rando la sinistra. E Fini ha completato l’opera sull’al­tro versante, liquidando la destra in tre mosse: scioglie An, sfascia il Pdl e convoglia i residui del Fli nel terzo po­lo. Entrambi incolpano i l ber­lusconismo del duplice omi­cidio, m a s i tratta d i due sui­cidi. Ora si pone un problema: fallito il Fli, cosa resta della destra i n Italia? Vedo singo­li, a volte rispettabili, politici che provengono da quella storia e fanno il loro mestie­re. Vedo frammenti, piccole fondazioni che ricalcano gli ultimi scampoli delle vec­chie correnti di An, m a non c’è u n soggetto che l e coordi­ni, non un’area, non u n gior­nale, una rivista, una fonda­zione, una cabina di regia che dentro i l centrodestra c o­stituisca i l suo riferimento. I l nulla. Allora pongo alcune do­mande finali a i signori d i de­stra, d i vertice e d i base, elet­tori inclusi. V i sta bene così? Ritenete che la destra abbia ormai esaurito l a sua missio­n e storica e politica e che a l­tre debbano essere oggi le fonti della politica e , s e pos­so permettermi di sapere, quali? Preferite riconoscervi dentro u n gran contenitore e poi ciascuno coltiva private predilezioni e civetterie? Sie­t e i n attesa vigile sotto coper­ta e aspettate di riaffiorare quando finirà questo ciclo e allora giocoforza d a qualche punto fermo bisognerà parti­re? Rispondete a vostra scel­ta a solo una di queste do­mande. Qualunque sia la ri­sposta sarà benvenuta, per­ché vorrà dire che nel frat­tempo non v i siete liquefatti o assiderati. P.S. Per tornare a divertirci come all’inizio, ripenso a l fin­to incontro del finto leader con una sedicente escort. L a storia mi sembra finta per tante ragioni, m a per una so­pra tutte: mai Fini andrebbe con una donna di nome Ra­chele. Il suo antifascismo gli impedirebbe d i imitare i l cre­atore del Male Assoluto.

L’ATENEO DI BARI RICORDA ALDO MORO E BETTINO CRAXI

Pubblicato il 18 dicembre, 2010 in Cronaca, Cultura | No Comments »

L’Ateneo di Bari

Arte, storia, politica e attualità in un convegno a Bari per ricordare due eminenti figure della storia politica del nostro Paese: Aldo Moro e Bettino Craxi.

In realtà l’iniziativa – che ha avuto luogo venerdì 17 alle ore 16 presso la Facoltà di Giurisprudenza delll’Ateneo barese – è nata dalla donazione di un’opera pittorica dell’artista barese Vito Stramaglia, che ritrae insieme i due statisti, alla Fondazione Craxi di Roma. Pertanto, madrina dell’evento non poteva non essere la figlia Stefania, sotto segretario agli Esteri ed animatrice della stessa Fondazione, che ha l’obiettivo di  tutelare la personalità, l’immagine e il patrimonio culturale e politico di Bettino Craxi.

L’occasione ha raccolto vecchi esponenti della vita politica degli anni ’70 e ‘80, ma anche giovani interessati alla storia della Prima Repubblica.

Le vite di Craxi e Moro si sono drammaticamente incontrate in uno dei periodi più difficili del nostro Paese, quello del sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse (16 marzo-9 maggio 1978). Allora Moro era presidente della Democrazia Cristiana, mentre Bettino Craxi era segretario del PSI e proprio a lui Moro rivolse alcune sue lettere durante il rapimento. Durante il sequestro Moro Craxi fu infatti l’unico leader politico a dichiararsi disponibile ad una trattativa, attirandosi addosso anche parecchie critiche.

A ricordarli sono stati tra gli altri gli organizzatori dell’evento, Luigi Ferlicchia, Giovanni Copertino, Aldo Loiodice, Franco Gagliardi La Gala delle associazioni “Critica Sociale”, “Nuovi percorsi” e del “Centro Studi Moro-Dell’Andro”, tutti d’accordo nel descriverli come uomini che vivevano di luce propria e caratterizzati dalla moderazione e dalla capacità di dialogo.

Dello stesso parere è stato il senatore Gaetano Quagliariello, che ha avuto il piacere di conoscerli e si è detto emozionato perché proprio nel giorno del convegno che ricorda i due uomini politici della prima Repubblica, nella stessa aula in cui si è svolta l’iniziativa, il senatore ha conseguito nell’84 la laurea in Scienze Politiche.

“Erano entrambi anticomunisti”, ha detto, “che pensavano con la loro testa e non si identificavano in tutto con il loro partito. Moro e Craxi appartenevano alla tradizione dell’umanesimo politico e la loro idea di democrazia era quella di una democrazia compiuta. Anche nella politica estera hanno operato la scelta atlantica e guardato al bacino del Mediterraneo. Craxi è stato però troppo ottimista nei confronti dei comunisti che invece si rifanno sempre al principio che c’è sempre dall’altra parte un nemico da distruggere. “Vicenda dunque quanto mai attuale”, ha concluso il senatore, “nell’illusione che tutto si può risolvere distruggendo la realtà per tornare al passato”.

Stefania Craxi ha ricordato i due politici come coloro che hanno contribuito alla modernità del nostro Paese. “Hanno avuto in comune la passione politica e la capacità di comando. Moro era un democratico che aveva a cuore la democrazia. Craxi invece un innovatore che ben presto si rese conto che il socialismo del primo Novecento non era più presentabile. La sua formula del liberismo liberale è tutt’ora in corso, mentre del comunismo di allora non c’è più traccia né alcun rimpianto”.

La sensibilità di un giovane artista, dunque, ha riportato alla memoria una delle pagine più dolorose e significative della storia del nostro Paese, che ancora oggi rivivono con lo stesso fervore di allora.

Fonte: L’Occidentale, 18 docembre 2010

RIFORMA UNIVERSITARIA: ECCO I PUNTI ESSENZIALI DELLA RIFORMA

Pubblicato il 2 dicembre, 2010 in Cultura, Politica | No Comments »

La Camera dei Deputati, in seconda lettura, ha approvato il disegno di legge del Ministro Gelmini relativo alla riforma della Università. Ora il disegno di legge ritorna al Senato per la definitiva approvazione.

La riforma è stata oggetto di violente contestazioni da pate di una sparuta minoranza di studenti, strumentalizzati dalla opposizione. Il disegno di legge, invece, merita approvazione e condivisione perchè affronta i problemi della Università con l’intento di restituirla al centro del sistema scolastico italiano. Perchè chi voglia possa approfondirli, pubblichianmo i punti essenziali della riforma.

Adozione di un codice etico – Attualmente non ci sono regole per garantire trasparenza nelle assunzioni e nell’amministrazione. La riforma prevede il varo di un codice etico per evitare incompatibilita’ e conflitti di interessi legati a parentele. Alle universita’ che assumeranno o gestiranno le risorse in maniera non trasparente saranno ridotti i finanziamenti ministeriali.

Parentopoli – Divieto di chiamata, da parte delle universita’, per docenti che abbiano un grado di parentela “fino al quarto grado compreso con un professore appartenente al dipartimento o struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un consigliere di amministrazione dell’ateneo”.

Tetto ai rettori - Un rettore potra’ rimanere in carica un solo mandato, per un massimo di sei anni, inclusi quelli gia’ trascorsi prima della riforma. Allo stato attuale ogni universita’ decide il numero dei mandati possibile.

Organi accademici – La riforma introduce una distinzione netta di funzioni tra Senato e consiglio d’amministrazione. Il Senato avanzera’ proposte di carattere scientifico ma sara’ il cda, cui e’ affidato anche compito di programmazione, ad avere la responsabilita’ chiara delle assunzioni e delle spese, anche delle sedi distaccate. Il consiglio di amministrazione non sara’ elettivo, avra’ il 40 per cento di membri esterni e il presidente potra’ essere un esterno. Al posto del direttore amministrativo verra’ istituita la figura del direttore generale, che si configurera’ come un vero e proprio manager dell’ateneo.

Valutazione – Molti nuclei di valutazione sono oggi in maggioranza composti da docenti interni. Con la riforma dovranno avere una maggiore presenza di membri esterni per garantire una valutazione oggettiva e imparziale. Prevista anche la valutazione dei professori da parte degli studenti, determinante per l’attribuzione dei fondi del Miur agli atenei.

Fusioni - Agli atenei sara’ dato modo di fondersi tra loro o aggregarsi su base federativa per evitare duplicazioni e abbattere costi inutili a favore della qualita’ della didattica e della ricerca.

Didattica – Attualmente ogni professore e’ rigidamente inserito in settori scientifico-disciplinari spesso molto piccoli, anche con solo 2 o 3 docenti. In futuro saranno ridotti per evitare che si formino micro-settori, passando dagli attuali 370 alla meta’, con una consistenza minima di 50 ordinari ciascuno.

Riorganizzazione interna – Per evitare la moltiplicazione di facolta’, ogni ateneo potra’ averne al massimo 12 per ateneo.

Concorsi - Il ddl introduce l’abilitazione nazionale come condizione per l’accesso all’associazione e all’ordinariato. L’abilitazione e’ attribuita da una commissione nazionale sulla base di specifici parametri di qualita’. I posti saranno poi attribuiti a seguito di procedure pubbliche di selezione bandite dalle singole universita’, cui potranno accedere solo gli abilitati.

Commissioni - Le commissioni di abilitazione nazionale saranno composte di autorevoli con membri italiani e, per la prima volta, anche stranieri; avranno cadenza regolare annuale in modo da evitare lunghe attese e incertezze; attribuzione dell’abilitazione, a numero aperto, secondo criteri di qualita’ stabiliti con decreto ministeriale, sulla base di pareri dell’Anvur e del Cun.

Reclutamento docenti – Distinzione tra reclutamento e progressione di carriera, con l’intenzione di porre fine ai “finti” concorsi banditi per promuovere un interno; entro una quota prefissata (1/3), i migliori docenti interni all’ateneo che conseguono la necessaria abilitazione nazionale al ruolo superiore potranno essere promossi con meccanismi chiari e meritocratici; messa a bando pubblico per la selezione esterna di 2/3 delle posizioni di ordinario e associato per ricreare una vera mobilita’ tra sedi, oggi quasi azzerata; procedure semplificate per i docenti di universita’ straniere che vogliono partecipare alle selezioni per posti in Italia.

Accesso per i giovani studiosi – Revisione e semplificazione della struttura stipendiale del personale accademico per eliminare le penalizzazioni a danno dei docenti piu’ giovani; revisione degli assegni di ricerca per introdurre maggiori tutele, con aumento degli importi; abolizione delle borse post-dottorali, sottopagate e senza diritti; nuova normativa sulla docenza a contratto, con abolizione della possibilita’ di docenza gratuita se non per figure professionali di alto livello.

Ricercatori – Riforma del reclutamento, con l’introduzione di un sistema di tenure-track: contratti a tempo determinato di sei anni (3+3). Al termine di questo periodo se il ricercatore sara’ ritenuto valido dall’ateneo sara’ confermato a tempo indeterminato come associato. In caso contrario, per evitare il fenomeno dei “ricercatori a vita”, terminera’ il rapporto con l’universita’ ma il ricercatore maturera’ titoli utili per i concorsi pubblici. Inoltre, il provvedimento abbassa l’eta’ in cui si entra di ruolo in universita’, da 36 a 30 anni, con uno stipendio che passa da 1300 euro a 2100.

Gestione finanziaria – Introduzione della contabilita’ economico-patrimoniale uniforme, secondo criteri nazionali concordati tra MIUR e Tesoro. Oggi i bilanci delle universita’ non sono chiari e non calcolano la base di patrimonio degli atenei; con l’applicazione della riforma i bilanci dovranno rispondere a criteri di maggiore trasparenza. Debiti e crediti saranno resi piu’ chiari nel bilancio.

Borse di studio – Sara’ costituito un fondo nazionale per il merito al fine di erogare borse di merito e di gestire su base uniforme, con tassi bassissimi, i prestiti d’onore.

Mobilità e aspettativa – Sara’ favorita la mobilita’ all’interno degli atenei. Possibilita’ per chi lavora in universita’ di prendere 5 anni di aspettativa per andare nel privato senza perdere il posto.

FAZIO-SAVIANO: ADDIO ARROGANTE, LA RAI E’ “COSA LORO”

Pubblicato il 30 novembre, 2010 in Costume, Cultura | No Comments »

Roberto Saviano e Fabio Fazio si sono giocati tutto nelle prime tre puntate di Vieni via con me. Ieri sera era l’ultima, volevano tirare fino a mezzanotte, ma la Rai li ha limitati entro il solito orario, e gli ha fatto un grosso piacere. Esaurite le frecce contro Berlusconi, la Lega e il Nord, alla nuova coppia d’oro di Raitre non sono rimaste che le spente guitterie di Dario Fo alle prese con Machiavelli e un dolente monologo dell’autore di Gomorra sui terremoti che hanno devastato il Meridione, dall’Irpinia all’Aquila. Le ultime energie erano state spese nelle interviste della vigilia. «Ora mi fermo un po’ per cercare di ricostruirmi una vita», ha detto Saviano. La vena creativa è un po’ esaurita.

Ne ha approfittato Fazio. Il quale era stato messo un po’ in ombra dall’astro nascente della «gauche tv». Ieri si è preso la rivincita recitando l’elenco delle cose che ha «imparato facendo questa trasmissione». Un bilancio delle fortunate polemiche che hanno decretato il successo di Vieni via con me, un catalogo piuttosto sorprendente per uno come Fazio, che nella tv di Stato ha esordito e per la quale lavora da anni. «Ho imparato che la Rai è ancora un pezzo importante di questo Paese, anche se spesso dimentica di esserlo; ho imparato che per molti televisione pubblica vuol dire che siccome è di tutti, allora non si può dire niente; ho imparato che per molti altri televisione di Stato vuol dire televisione dei partiti». Ma questo, il presentatore di Che tempo che fa lo conosce da tempo.
«Ho imparato che qualcuno si definisce pro-vita, come se qualcun altro potesse definirsi pro-morte». E poi la sferzata più arrogante, pronunciata con il sorrisino beffardo delle grandi occasioni e la sicumera di chi è consapevole che il servizio pubblico è «cosa sua»: «Chi non si è sentito rappresentato da questa trasmissione può farne un’altra: e noi la guarderemo volentieri». Frecciate anche ai commentatori che in questo mese non gli hanno risparmiato critiche: «Ho imparato che tutti quelli che vogliono spiegarti che cosa piace al pubblico per fortuna non lo sanno». Infine i riferimenti alle polemiche più accese: «Ho imparato che tutti sapevano che al Nord c’è la ’ndrangheta, ma se lo erano dimenticati; ho imparato che nessuno sapeva che la spazzatura del Sud arriva anche dal Nord; ho imparato che le facce della gente comune e le facce della gente famosa spesso sono le facce della stessa medaglia».

Saviano invece abbandona la strada di mettere in scena le inchieste giudiziarie per scegliere una via più drammaturgica: sceneggiare le piccole storie degli otto ragazzi sepolti dalle macerie della Casa dello studente dell’Aquila nel terremoto del 2009. Un altro racconto del Sud, dopo quelli sulla malavita e i rifiuti, mescolato alle memorie dell’Irpinia nel 1980: «Avevo un anno, fu mia mamma a raccontarmi le nottate passate in macchina a mangiare frullati». È l’epopea di una città medievale diventata la risposta ai campus anglosassoni, in cui il crollo dell’ostello universitario simboleggia la perdita di ogni speranza.

Vengono evocate le avvisaglie, i timori, l’incredulità degli studenti e la leggerezza di tanti fatalisti per i quali «L’Aquila trema sempre ma non crolla mai». E poi le denunce contenute nelle perizie ordinate dalla procura, un elenco letto dalla sorella dell’universitario più giovane morto nel disastro. «La Casa dello studente era una bomba a orologeria – dice Saviano -, costruita male, con carenze nella progettazione, nell’esecuzione dei lavori e nei successivi adeguamenti. Nell’ala crollata mancava un pilastro; l’edificio era fabbricato con sabbia e calcestruzzo scadente per dirottare altrove i soldi». «È una tragedia di tutti – sentenzia lo scrittore -. A trent’anni dall’Irpinia sembra di vedere sempre la stessa tragedia, di vedere le stesse cose, di sentire la stessa disperazione, le tangenti, la ricostruzione, le cose che non funzionano». Viva l’Italia, come ha cantato – più tristemente del solito – Francesco De Gregori.

IL GIORNALE, 30 NOVEMBRE 2010

ECCO COS’E’ LA DESTRA, mentre Fini ne calpesta i valori

Pubblicato il 28 novembre, 2010 in Cultura | No Comments »

di Gennaro Sangiuliano per Il Giornale, 27 novembre 2010

«Quante sono le destre»? «Sono tre, trentatré o trecentotrentatré” affermò rispondendo ad una domanda Giuseppe Prezzolini. La battuta arguta, come nel suo stile, è contenuta in uno dei classici del pensiero del grande scrittore, Intervista sulla Destra, che insieme al Manifesto dei conservatori, fissa i contenuti filosofici e politici di quella che affermava essere la «destra che non c’è». Qui Prezzolini esprime un concetto cardine della sua visione della destra conservatrice, quando afferma che il «progressista è l’uomo di domani, ma il conservatore è l’uomo di dopodomani». Fa sorridere la circostanza che nella trasmissione di Fabio Fazio e Roberto Saviano si citi Giuseppe Prezzolini, l’uomo che negli anni Settanta, quando tutta la cultura italiana era appiattita a sinistra, scriveva libri sulla destra ed elogiava il sistema democratico americano perché combatteva in Vietnam contro i comunisti. Prezzolini è stato per cento anni, tanto è vissuto, il campione dell’anticonformismo, un nemico giurato di quello che chiameremmo oggi il «politicamente corretto», a cominciare dalla straordinaria esperienza de La Voce che arruolò giovani intellettuali di rottura delle convenzioni paludate. Furono i vociani, ad esempio, ad inventare il termine «baroni universitari». Saviano è, invece, un campione di conformismo, spesso megafono di affermazioni che non vengono sottoposte ad alcun vaglio critico. Non ha nulla del coraggio dell’andare controcorrente che segnò il fondatore de La Voce.
Prezzolini pagò un prezzo per le sue idee, dopo l’ascesa del fascismo, nonostante fosse amico e benvoluto da Mussolini, emigrò negli Stati Uniti, perché non soffriva il regime, attirandosi le antipatie dei fascisti che lo ritennero un traditore e degli antifascisti che lo giudicavano l’inventore del Duce. Anni dopo, in visita al Quirinale, quando era andato a vivere in Svizzera, esortato dal Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, a tornare in Italia, Prezzolini gli rispose: «Stia tranquillo presidente! In Italia ci vengo tutti i giovedì a comprare la verdura». E aggiunse: «Piuttosto venga lei a farmi visita in Svizzera, visto che è anche più giovane di me di quindici anni».
Più complesso il discorso su Futuro e Libertà: il suo decalogo sulla destra, enunciato nella trasmissione di Fazio e Saviano, da Gianfranco Fini, è palesemente «ispirato» al Manifesto dei Conservatori di Prezzolini. Ma esso non appare assolutamente coerente con il sostrato ideologico che sembra alimentare questa nuova formazione. Alcuni esponenti del Fli anche in vista di inedite alleanze con Vendola e il Pd si sono affrettati ad affermare che per loro le nozioni storico-ideologiche di destra e sinistra sono da ritenersi categorie superate, affermazione rafforzata dall’ipotesi di presentarsi in caso di elezioni anticipate non con lo schieramento di centrodestra ma con Casini e Rutelli. Dunque, proclamano apertamente di non essere più di «destra», perché giudicano superata questa categoria di riferimento. Posizione coerente con la scelta di chiamarsi Futuro e Libertà, perché, se le parole hanno un senso, sono stati del tutto eliminati i riferimenti ai termini destra e nazione, da sempre elementi fondanti del conservatorismo. A ben vedere Futuro e Libertà richiama, nel lessico come nella sostanza, il Partito d’Azione, la formazione politica ispirata a Giustizia e Libertà, nata nell’immediato dopoguerra e destinata a vita breve per un’insanabile frattura tra la corrente liberaldemocratica che finirà nel Pri e quella socialista che approderà all’ala lombardiana del Psi. Come l’azionismo voleva essere un punto di convergenza fra laicismo e comunisti, il Fli punta ad essere il punto di sutura fra post-comunisti e altre correnti della sinistra.

I fillini, impropriamente chiamati futuristi, perché il movimento di Marinetti era un’altra cosa assolutamente diversa, non sono di destra, semplicemente perché, legittimamente, non si sentono tali. Appaiono qualcosa simile al vecchio azionismo con spruzzate di veltronismo benpensante. La nozione politica di destra, in verità, è molto di più di una categoria partitica, essa rappresenta un’ispirazione filosofico culturale che in Italia affonda le radici – come sostenuto da Giovanni Gentile, Augusto Del Noce e anche da Norberto Bobbio – nel realismo politico di Machiavelli e attraverso il Risorgimento e le avanguardie prezzoliniane del primo Novecento incarna la via conservatrice alla modernizzazione. Marcello Veneziani parla opportunamente di un «senso prepolitico». Come tutte le categorie filosofico politiche progredisce, si aggiorna, assume il senso dei tempi ai quali ci riferiamo, ma lascia alla radice una visione del mondo e della vita. Il conservatore prezzoliniano esalta la patria e la religiosità, è decisamente contro il positivismo razionalista, crede nella politica che pone al centro l’uomo soggetto attivo portatore di diritti e di doveri. «Destra», spiega Prezzolini è il luogo dove siedono i conservatori ma vi siedono per idee di cui sono portatori, per una missione storica che vuole salvare il mito dal naufragio dell’utopia.
Di destra, se vogliamo, furono già i greci delle polis che resistettero in nome della libertà degli antichi all’assolutismo dispotico persiano. Chi oggi afferma il superamento delle categorie di destra e sinistra, soprattutto del loro senso storico, mostra la sua fragilità culturale. L’essere di destra ha ancora più senso di fronte all’universo globalizzato del nuovo millennio significa la forza delle radici e dell’identità. Non è un caso che oggi la risposta conservatrice alla crisi economica globale, dalla Big society di Cameron, al capitalismo sociale della Merkel, all’autonomia gestionale rivendicato dai tea party americani, stia crescendo nella sua credibilità. E nessuno dei nuovi leader da Cameron a Sarkozy disdegna di autodefinirsi di «destra».

.…..In anni ormai lontani nelle sezioni missine, e dai  tanti giovani che le affollavano,  Giuseppe Prezzolini era venerato come l’icona della Destra che ambiva ad uscire dal ghetto. La sua Intervista sulla Destra, edita dal Borghese di Mario Tedeschi, insieme  al Manifesto dei Conservatori, erano i  testi su cui si formava la giovane destra di allora. Dubitiamo che i giovani fillini che poche ore fa hanno indirizzato una lettera al presidente del Consiglio per sfiduciarlo (sic) ne sappiano granchè della Destra, dei Valori della Destra, degli intellettuali veri e non posticci, che di quei Valori furono gli alfieri.  Dubitiamo che essi  conoscano l’opera di Prezzolini e ne abbiamo mai letto una riga. Non a caso essi sono i seguaci di uno come Fini del quale si dubita che abbia mai letto il libro che reca la sua firma. E questi sarebbero i giovani “futuri”. Poveri noi. g.