MONTE DEI PASCHI DI SIENA: DIECI DOMANDE A BERSANI

Pubblicato il 29 gennaio, 2013 in Economia, Politica | Nessun commento »

Il Partito fa il partito, la banca fa la banca. Alza un bel muro, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Lui sta da una parte, i banchieri di Siena, quelli di ieri che hanno svuotato il più antico istituto di credito al mondo e quelli di oggi che tentano di salvarlo, dall’altra.

Il segretario Pd Pier Luigi Bersani e Giuseppe Mussari

Ma questo muro dev’essere un argine invisibile. Non c’era quando Mussari arrivava nel 2001 alla testa della Fondazione, benedetto dalla dirigenza del partito. Fra una standing ovation e l’altra. Non c’era quando la Fondazione, che controlla in modo ferreo, oggi per fortuna un po’ meno, l’istituto di credito era una galleria di facce targate Pd e ancora Pd: 13 su 16 nel board che conta. E non c’era nemmeno quando Mussari, dopo aver fato il bello e il cattivo tempo per un decennio e anche più, se n’è andato. Consegnando cumuli di macerie alla collettività. E allora ecco dieci donande per Bersani.

1. Onorevole Bersani, lei afferma di non avere alcun imbarazzo per la vicenda Mps perché il Pd si occupa di politica, non di banche. Perfetto. Però Massimo D’Alema, che se non sbaglio è del suo stesso partito, ha dichiarato alla Stampa: «Noi, e per noi intendo il Pd di Siena nella persona dell’ex sindaco Franco Ceccuzzi, Mussari lo abbiamo cambiato un anno fa, assieme a tutto il consiglio d’amministrazione del Monte dei Paschi». Il Pd di Bersani non si occupa di banche, il Pd di D’Alema invece sì, al punto di cambiare tutto il vertice del Mps?

2. Il partito non si occupa di banche, però i 16 membri del comitato d’indirizzo della Fondazione Mps che a sua volta controlla la banca vengono così nominati: 8 dal Comune di Siena, targato Pd, 5 dalla Provincia di Siena, targata Pd, 1 dalla Regione Toscana, targata Pd e uno a testa, infine, dall’università e dalla Curia. Il Pd non ha le mani nella banca ma ha, a stare bassi, tredici dei suoi uomini nello strategico comitato d’indirizzo della Fondazione. Tredici su sedici: non è un è po’ troppo per dire che il partito è estraneo alla banca?

3. Il Pd non poteva sapere, perché il Pd, e i DS prima del Pd, e il Pds, prima dei Ds, e il Pci, prima di tutti gli altri, pensa alla politica. Però tutti questi partiti, che poi sono lo stesso nelle sue diverse evoluzioni, seguivano con attenzione quel che avveniva in una città simbolo come Siena. Le risulta che uno dei cavalli di battaglia del candidato sindaco Franco Ceccuzzi fosse: «La Fondazione non scenderà mai sotto il 50 per cento della banca»? Come mai Ceccuzzi diventò sindaco contravvenendo alla regola aurea che lei adesso richiama: «Il Pd non si occupa di banche»?

4. Ceccuzzi fu di parola. A luglio 2011, la Fondazione si svenò sottoscrivendo un aumento di capitale della banca e così s’indebitò, facendo saltare tutti i parametri, per mantenere il controllo assoluto della banca. Non vede una certa coerenza fra i comizi di Ceccuzzi e il comportamento della Fondazione? E, dettaglio ulteriore, le risulta pure che questa coerenza fosse il frutto di un documento scritto, con la Fondazione come cassa di risonanza dei desiderata del primo cittadino? Coda curiosa: il collegio sindacale della Fondazione si oppose all’aumento di capitale, ma l’operazione andò avanti…

5. Le risulta anche che il tentativo di svecchiare e rinnovare la Fondazione, che ripeto è la cabina di regia della banca, sia partito proprio dall’unico posto da cui poteva partire cioè il gruppo del Pd in consiglio comunale, grossomodo alla fine del 2011? E forse le risulta anche che il tentativo di cambiamento provocò una feroce spaccatura dentro il partito nella città del Palio e che il sindaco, sempre per seguire la massima che la politica è estranea alla banca e alle sue vicende, di fatto governò il rinnovamento della Fondazione centellinando le facce nuove?

6. L’ex presidente di Mps Giuseppe Mussari, avvocato calabrese e storico militante del Pci-Pds-Ds, nel periodo che va dal 27 febbraio 2002 al 6 febbraio 2012 ha versato a titolo personale nelle casse del partito, il suo partito, 683.500 euro. Forse avete cacciato un vostro disinteressato benefattore? Certo, i soldi sono stati destinati alla federazione provinciale di Siena, ma questo basta per dire che Roma non c’entra niente con questa storia? Comunque ancora ad agosto 2012, con la banca in acque agitate, Mps sponsorizzava con 10 mila euro la Festa del Pd. Marketing? Mah. Piuttosto, sempre e solo simpatia?

7. Le risulta che l’arrivo dell’avvocato Mussari nel 2001 alla testa del Monte dei Paschi fosse stato sponsorizzato, sempre per il principio che il partito non fa incursioni nel mondo della finanza, dai seguenti personaggi: il magnifico rettore dell’università Luigi Berlinguer, oggi curiosamente capo dei probiviri del Pd; il parlamentare eletto in città Franco Bassanini; Massimo D’Alema e Giuliano Amato da Roma? D’Alema del resto rivendica, come abbiamo ricordato un momento fa, l’uscita di scena di Mussari, dunque tutto torna. O no?

8. L’alleanza fra i quattro, il quadrilatero, si ruppe rovinosamente negli anni successivi ai tempi dell’operazione Unipol. A dirlo, sempre in base al fatto che il partito fa gli affari suoi e pure quelli delle banche, fu proprio Bassanini in un’intervista a Panorama: «Consorte e D’Alema fecero pressioni su Siena perché si alleasse con Unipol», ovviamente nella scalata a Bnl. «Chi difese l’autonomia di Mps – prosegue Bassanini – come me e Amato venne emarginato». Non le pare, visto tutto quello che è successo, un’accusa grave?

9. Massimo Mucchetti, autorevole giornalista economico per lungo tempo vicedirettore ad personam del Corriere della sera, oggi che è candidato del suo partito, capolista al Senato in Lombardia, dice ala Stampa: «Non vedo una responsabilità oggettiva del partito, ma della città». Solo che la città è da sempre nelle mani del partito comunista e dei suoi eredi. Insomma, passando per Siena non è che si ritorna Roma, alla sede del suo partito? Non è che buttare tutte le colpe, passate, presenti e future, sulle teste calde del Granducato di Toscana sia un modo un po’ troppo comodo per sfuggire a responsabilità che sono molto più grandi e gravi?

10. C’è chi dice che l’attuale numero uno di Mps Alessandro Profumo sia stato scelto a Roma, dopo frenetiche consultazioni ai piano alti del suo partito. Solo malignità e voci incontrollabili che non meritano nemmeno una precisazione? Certo, Profumo, che pure sta meritoriamente aprendo i cassetti in cui sono custoditi i segreti e le sofferenze della banca, si è impegnato in campagna elettorale sostenendo in Lombardia il candidato del centrosinistra al Pirellone Umberto Ambrosoli. Insomma, siamo ancora al tanto vituperato collateralismo fra il partito e l’istituto di credito più antico ma oggi anche più invecchiato al mondo?

MONTI: UN PIFFERAIO CHE PROMETTE MENO TASSE…DOPO AVERLE MESSE.

Pubblicato il 29 gennaio, 2013 in Economia, Il territorio, Politica | Nessun commento »

All’improvviso la situazione economica italiana sembra essere migliorata (a dispetto di quanto però dicono prestigiose istituzioni) al punto da incoraggiare la prospettiva di un Eden fiscale nella prossima legislatura. Così ecco che mentre Berlusconi si impegna su una serie di sforbiciate a aliquote e tasse, Monti rilancia alla grande. «Presenteremo presto un piano per ridurre il gettito di Imu, Irap e Irpef, da finanziare con una riduzione spesa pubblica sul Pil pari al 4,5% in cinque anni». In una bozza circolata in serata i dettagli: aumento a partire dal 2013 della detrazione sulla prima casa da 200 a 400 euro. Raddoppio delle detrazioni per figlio a carico da 50 a 100 euro per figlio. Introduzione di una detrazione di 100 euro per gli anziani che vivono soli. Tutto fino a un massimo di 800 euro. Il costo stimato è di 2,5 miliardi. La copertura viene dal contenimento della spesa corrente primaria pari a circa 3 miliardi. «Lo Stato – spiega il Prof – non spenderà un euro in più rispetto al 2012». Per il taglio dell’Irap Monti promette l’«eliminazione del monte salari dalla base imponibile Irap». Il risultato sarà un dimezzamento dell’attuale carico fiscale sul settore privato. Per l’Irpef il taglio fiscale avverrà attraverso l’aumento delle detrazioni per i carichi familiari e la riduzione delle aliquote a partire da quelle più basse. Lo Stato detasserà il salario dei dipendenti delle imprese che aumentano la produttività. Il credito di imposta prevede sgravi fiscali per le imprese che introducono innovazione di prodotto e di processo. Il costo della misura è pari a circa un 1,3 miliardi di euro. Il valore complessivo del pacchetto di interventi è di circa 30 miliardi. Rilancia l’idea di una grande coalizione per le riforme, ma al tempo stesso minaccia l’ipotesi di una manovra correttiva in primavera: «Dipende dal voto». Intervenendo a Omnibus, Monti è sibiliino: anche se nel 2013 il Pil andasse peggio di quanto previsto tempo fa, e se fosse negativo questo non porterebbe di per sè la necessità di una manovra, perché l’obiettivo di bilancio è in temini strutturali, non per ciclo. Quindi io escludo la manovra, ma non escludo niente in certi casi di esiti del voto. In una bozza circolata in serata si prospettava una riforma del mercato del lavoro. Si punta a sperimentare soluzioni più flessibili, partendo da quanto è consentito dall’articolo 8, quello sulle deroghe contrattuali, che ha effetti anche sul recesso dal rapporto di lavoro. Sempre in tema di occupazione il piano del premier propone un piano straordinario per dare l’opportunità di lavoro ad ogni giovane che esce da un ciclo scolastico, mentre a chi non ha opportunità di lavoro, deve essere offerta un’opportunità «dal servizio pubblico, in collaborazione stretta con organizzazioni private imprenditoriali e no, entro il termine massimo di 4 mesi». Anche ieri Monti ha lanciato bordate al Pd accusandolo di essere «molto condizionato» dalla Cgil. «È un peccato che si facciano meno riforme di quelle necessarie, semplicemente perchè ci sono queste gabbie. Io credo che bisogna superarle». Torna a smentire un’alleanza con Berlusconi ma ribadisce che invece vuole essere un punto di riferimento per quanti elettori del Pdl rimasti delusi. «Credo che ci siano molti elettori del Pdl che dovrebbero essere delusi, la rivoluzione liberale e federalista che avevano promesso, non ci sono state. Credo che il nostro programma vada incontro a molte delle esigenze di iniezioni di cose liberali in Italia, un desiderio frustrato degli elettori di Berlusconi. Voglio avere a che fare con questo popolo».Il Tempo, 29 gennaio 2013

…..Che Monti oltre che essere uno spergiuro (aveva garantito che in cambio della nomina n a senatore a vita avrebbe mantenuto una rigorosa distanza dalla politica e poi vi si è buttato dentro come un topo nel formaggio) era anche un incompetente tanto da applicare ad una economia disastrata un0 aumento vertiginoso delle tasse bloccando di fatto ogni possibilità di crescita che si poggia, come sanno anche gli studenti al primo anno di economia, sui consumi che le tasse invece bloccano, è un fatto. Ma che si trasformasse in un qualsiasi politicastro tanto da lui “rigorosoamente” insultato, davvero non se lo aspettava nessuno. Un mese fa, allorchè Berlusconi, da lui definito pifferaio magico, primise che ove vincesse avrebbe tolto l’IMU dalla prima casa, sornione e sarcastico, Monti dichiarò, urbi et orbi, con quella mano a grappolo che è ormai la sua inimitabile rappresentazione scenica, che se tanto fosse accaduto l’anno successivo l’IMU avrebbe dovuto essere rimessa, raddoppiata! E’ un fatto. Ciascuno è libero di dire quel che vuole, ma un minimo di decetente coerenza pur è obbligatoria. Per gli altri, ma per se medesimo Monti non la pretende. Infatti ora non solo annuncia che vuol togliere l’IMU sulla prtima casa, ma annuncia ulterori tagli e riduzioni su altre voci della infinita gamma delle tasse italiane. Come definirlo? Lo lasciamo decidere agli elettori italiani, quelli che ogni giorno si alzano e che vadano a lavorare o vadano ai giardinetti (i pensionati) devono gfare i conti con la miseria, quella che di certo non attanaglia nè lui, nè la di lui moglie, nè la di lui famiglia, essi tutti al sicuro dal laticlavio senatoriale oltre che dalle richhe prevbende ottenute nel passato dalla destra e dalla sinistra. In nome del suo (falso) ecumenismo. g.

MONTI: LE TASSE AL POSTO DEL CUORE, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 28 gennaio, 2013 in Politica | Nessun commento »

A proposito delle scuse pretese da Berlu­sconi per avere detto la verità su Mus­solini, a quando quelle di Monti ai ter­remotati dell’Emilia e a tutti noi italia­ni? Tutto preso a salvare la banca del Pd e a ingraziarsi i potenti d’Europa, il premier si è distratto e nell’anno di regno, non ha cavato un ragno dal buco.

Neppure dalle voragini aperte dal sisma. Il suo governo non solo ha lasciato sostanzial­mente soli i malcapitati, ma, non contento, li ha pure tassati. Un ragioniere avrebbe avuto più buonsenso oltre che buon cuore. Ecco perché ie­ri, in visita elettorale nei luoghi del disastro, il premier si è preso giustamente del buffone, del ladro ed è stato bersaglio (mancato) di lanci di ortaggi e uova.

Ho conosciuto e incontrato amministratori, imprenditori e famiglie delle zone terremotate. Non chiedono elemosina e compassione, forse neppure aiuti. Ma pretendono di non essere al­meno bastonati e puniti dallo Stato dopo essere stati nel misterioso mirino della natura. Se il go­verno ha trovato quattro miliardi per la banca del Pd, vuole dire che non mancano i soldi. Man­ca la politica, che ruba e sperpera ma non può prescindere, a differenza dei tecnici, dai bisogni della gente.

E dire che Monti si è scelto come compagni di avventura due emiliani, Casini e Fini. I quali pre­feriscono parlare in tv di bunga bunga, conflitto di interessi, insomma di Berlusconi e dei suoi presunti problemi, che della loro gente. Ci si può fidare di politici del genere? Qui non stiamo parlando di solo solidarismo, in gioco c’è la tenu­ta di uno dei territori locomotiva del Paese. Gli emiliani sono gente tosta, ce la faranno, ma cer­to stanno prendendo coscienza che il Pd, parti­to egemone e con un controllo militare del terri­torio, è più sensibile ai problemi delle sue ban­che che a quelli dei suoi amministrati. Bersani ha voglia a sbranare. Sbrani i suoi, e se stesso, per aver permesso tanto a Monti e alla regione più rossa d’Italia.Buffoni,e questa volta non sia­mo noi a dirlo. Il Giornale, 28 gennaio 2013

BERLUSCONI E MUSSOLINI, di Francesco Perfetti

Pubblicato il 28 gennaio, 2013 in Politica, Storia | Nessun commento »

A leggerle per intero, le dichiarazioni di Silvio Berlusconi pronunciate ieri mattina a Milano in occasione dell’inaugurazione del Memoriale della Shoa, sono meno mirabolanti di quel che si possa pensare e di come sono state pronunciate. Il Cavaliere ha condannato non soltanto le leggi razziali ma anche l’alleanza con la Germania di Hitler precisando che la scelta antisemita è stata la «peggior colpa» del Duce: il che, per inciso, lascia intendere che altre colpe, anche gravi, potrebbero essergli imputate.Ha poi aggiunto, senza entrare in particolari, che «per tanti altri versi» Mussolini aveva fatto bene. Poche parole, poche battute, ma sufficienti per innescare un vespaio. Nel corso di una campagna elettorale dai toni così accesi come quelli che si registrano ogni giorno, le parole di Berlusconi su Mussolini, sulle leggi razziali e sul fascismo hanno avuto l’effetto di radicalizzare ulteriormente la lotta politica rafforzando e ricompattando il fronte dell’antiberlusconismo. In realtà, se c’è una osservazione critica da muovere alle poche battute del Cavaliere, questa potrebbe riguardare l’opportunità di averle pronunciate in una occasione e in una sede che avrebbero dovuto indurre a una maggiore compostezza, se non anche cautela politica, perché il peso storico della tragedia dell’Olocausto rappresenta, con la sua unicità, un fatto di enorme portata di fronte al quale il silenzio e il raccoglimento dovrebbero essere d’obbligo. Detto questo, però, va anche precisato che Mussolini e il suo governo qualcosa di positivo pure lo fecero. Vorrei solo ricordare, in questo momento di grave crisi economica e con un disavanzo statale a livelli stratosferici, che fu proprio durante il primo governo Mussolini che, grazie alla politica economico-finanziaria di Alberto De Stefani, l’Italia riuscì a centrare l’obiettivo del pareggio del bilancio: un obiettivo che, in tutta la storia unitaria del paese, fu raggiunto in due sole occasioni, con il governo di Marco Minghetti e della Destra storica nel 1876 e, appunto, con il governo Mussolini nel 1924. Si potrebbero aggiungere, all’attivo di un ideale bilancio del regime, altri risultati di non poco conto: dalla riforma della scuola legata al nome di Giovanni Gentile alla chiusura della questione romana, dalle grandi bonifiche fino alla creazione di quella «economia mista» che è sopravvissuta al crollo del regime e ha finito per costituire un tratto caratterizzante dell’Italia democratica del secondo dopoguerra, dalla legislazione sociale allo Stato imprenditore. Tutti fatti, questi, che hanno spinto alcuni studiosi, soprattutto di scuola americana, ad assimilare il fascismo a una developmental dictatorship, cioè a dire a una «dittatura di sviluppo» o, se si preferisce, a un regime funzionale a uno stadio di trapasso economico verso l’industrializzazione. Ma de hoc est satis anche perché, sull’altro piatto della bilancia, c’è naturalmente il peso dell’illegalismo e della violenza delle origini cui fecero seguito, dopo il delitto Matteotti, la trasformazione dello Stato in senso autoritario, il consolidamento della dittatura e, nell’ultima fase, il tentativo di costruire uno Stato totalitario propriamente detto. Silvio Berlusconi ha lasciato intendere, nelle sue poche battute, che la fase di involuzione del fascismo, quella che avrebbe portato alla catastrofe, ebbe inizio proprio quando l’Italia scelse di allearsi con la Germania di Hitler mettendo in soffitta la tradizionale linea di politica estera, che, all’indomani del primo conflitto mondiale e fino alla guerra d’Etiopia, l’aveva vista ancora partecipe del «campo» dei Paesi vincitori del conflitto mondiale e preoccupata di garantire la pace europea. Si tratta, pur in prima approssimazione, di una interpretazione corretta perché proprio l’alleanza con la Germania significò l’imbocco di una strada di subalternità politica e sudditanza ideologica che avrebbe portato alla disastrosa scelta bellica e all’accettazione ingiustificata e ingiustificabile di aberranti e criminali pulsioni antisemite. Accennando in maniera implicita a tutto questo e pur tacendo il connotato illiberale e dittatoriale del fascismo, Berlusconi ha, senza dirlo apertamente, richiamato l’attenzione sull’opportunità che la storia non utilizzi le lenti deformanti dell’ideologia e che invece, in linea con la celebre espressione di Benedetto Croce, sia non «giustiziera» ma «giustificatrice», capace cioè di comprendere e far comprendere lo svolgimento dei fatti. Ma quale può esser mai, da un punto di vista politico, il motivo di questa uscita di Berlusconi che, per quanto in sé e per sé non inesatta, finisce per caricare i suoi avversari? È difficile pensare che quella del Cavaliere sia una «voce dal sen fuggita». È più probabile che si tratti di una strategia per far sì che il suo nome si al centro dell’attenzione. E che egli possa apparire, ancora una volta contro tutti, il Cavaliere coraggioso capace di dire cose impopolari. Il Tempo, 28 gennaio 2013

MONTI E BERSANI SBANCATI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 27 gennaio, 2013 in Economia, Politica | Nessun commento »

Ci sono impresentabili ladri di polli, altri perché truffatori da strada, altri ancora che fanno la cresta sulle note spese pubbliche.

Non ci stupiamo più, ne abbiamo viste e raccontate di ogni genere. Ma i peggiori, e più pericolosi, sono gli insospettabili che si muovono con autorevolezza tra salotti e palazzi e che godono di buona stampa.

Non elemosinano una vacanza o un’auto di lusso, stanno alla larga, almeno ufficialmente, da donnine e vizi italici. È che sono assetati di potere e, per arrivarci o mantenerlo, hanno bisogno di montagne di soldi, centinaia di milioni, a volte miliardi. Altro che P2, P3 o P4. Gli impresentabili veri e invisibili oggi si annidano in quella ragnatela di potere che è la finanza rossa, un intreccio tra banche, colossi assicurativi, sistema di cooperative e giornali che fanno girare i soldi per alimentare e sostenere il Pd. Il quale ricambia, tramite la politica (governi, comuni, enti pubblici), procurando loro nuovi affari e commesse.

La Coop non sei tu, come dice lo slogan, sono loro, un cerchio magico di politici e affaristi che godono, a differenza di altri, di una sostanziale immunità giudiziaria. Per questo fa ridere che Bersani e soci cerchino di chiamarsi fuori dallo scandalo Monte dei Paschi. Hanno permesso che miliardi di euro, privati e pubblici, venissero usati dalla «loro» banca con una disinvoltura criminale. Hanno ottenuto coperture di livello, silenzi che valgono oro. Non si sono chiesti come mai il Monte abbia acquistato per 10 miliardi una banca, l’Antonveneta, che tre mesi prima ne valeva 6. E oggi non si chiedono se per caso la differenza sia finita in qualche tasca invece che a finanziare aziende e famiglie. Belsito e Bossi Trota, a confronto, sono galantuomini gettati in pasto all’opinione pubblica per saziare la rabbia popolare.

Ma soprattutto fa ridere che solo ieri Monti si sia accorto che il Montepaschi è una banca del Pd. Ma chi vuole prendere in giro, lui che è cresciuto a pane, banche e circoli esclusivi, quanto ben informati? Il premier in loden sente puzza di bruciato e si chiama fuori dopo che aveva fatto approvare con voto di fiducia un nuovo finanzia­mento miliardario alla banca rossa. Monti e Bersani hanno paura e scappano, come dei Corona qualsiasi. E si scaricano a vicenda le colpe come fanno, appunto, gli impresentabili. Non sono Trote, ma pesci sì, in barile. Il Giornale, 27 gennaio 2013

IL COMPAGNO MONTI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 24 gennaio, 2013 in Politica | Nessun commento »

La deriva a sinistra di Mario Monti pare inarrestabile. Ieri il premier e candidato premier di se stesso, di Fini (più noto come il cognato di Tulliani) e di Casini (quello dei parenti in lista) ha esaltato la «gloriosa storia comunista» del Pd. Che cosa ci sia stato di glorioso nel comunismo ci sfugge. È stata, quella comunista, la più feroce e criminale ideologia del secolo scorso. E in Italia il Pci l’ha sostenuta con forza, prendendo parte attiva nei misfatti dell’Unione Sovietica, dalla quale fu finanziato in nero per tramare e complottare contro di noi e le libertà dell’Occidente tutto. E ancora: sono schegge impazzite di quell’area, i famosi «compagni che sbagliano» che hanno insanguinato l’Italia nella stagione degli anni di piombo.

Poco importa, come ha detto sempre ieri Monti, che il Pd si sia gradualmente allontanato da quella storia. Perché la strada da compiere è ancora lunga. Il suo gruppo dirigente non ha mai fatto una autocritica piena e sincera, ha ancora in tasca la tessera del Pci, rivendica con orgoglio il passato e ancora oggi cerca soci da quella parte: da Vendola ai nuovi comunisti fino al nuovo entrato Ingroia.

Perché Monti abiuri il liberismo e coccoli il comunismo non è un mistero. Sondaggi alla mano, se vuole mantenere una poltrona deve attaccarsi come una cozza a Bersani e soci e sperare in una alleanza post elettorale. Anche perché, col passare del tempo, la verità sulle sue presunte doti di salvatore della Patria sta venendo a galla con cinica precisione. È di ieri la notizia che durante il suo anno di governo, in Italia ha chiuso un’azienda al minuto, massacrata da tasse e mancanza di consumi. Un record non male per l’ex presidente della Bocconi, scuola di economia e liberismo. Che ora ci vorrebbe trasportare nelle mani di ex, post e neo gloriosi comunisti. Già ce lo vedo sul palco di qualche piazza a intonare «Bella Ciao» insieme con Vendola, Ingroia e Bersani. Ovviamente in loden e con traduzione simultanea per mantenere il prestigio internazionale. Perché lui è Monti e noi no. Per fortuna. Il Giornale, 24 gennaio 2013

..…………Non ci piaceva prima, figuriamoci ora che al finto loden ha sostituito l’eskimo, la divisa dei terroristi che insanguinarono l’Italia negli anni 70, emulando le gesta dei loro antenati, dalla Russia a Cuba. Il potere, dicvìceva Andreotti, logora chi non ce l’ha e, aggiungiamo, fa impazzire chi ce l’ha, magari malguadagnato, e vede profilarsi il momento in cui dovrà lasciarlo. E’ il caso di Monti. Ma deve farsene una ragione. Dopo il 24 febbrqaio, comuqnue vada, è destinato a far tappezzeria al Senato, naturalmente con un lauto compenso mensile sicchè potrà godersi la vecchiaia, dopo averla distrutta a milioni di italiani. g.

A UN MESE DALLE ELEZIONI TRA FANTAPOLITICA E REALTA’

Pubblicato il 24 gennaio, 2013 in Gossip, Politica | Nessun commento »

Ad un mese dalle elezioni c’è chi si diletta a fantasticare sukl dopo elezioni. Per esempio lo fa Dagopsia che racconta di studi in corso al Qurtinale per fronteggiare le varie ipotesi che dovessero uscuire dalle urne. Per esempio nel caso che non ci sia un vincitore al Senato. In questo caso, scrive Dagospia, il Qurinale ipotizza un patto tra il primo e il secondo…ma il secondo, allo stato, dell’arte è Berlusconi, per cui se lo sio deve escludere bisogna che Mosè Monti, che a differenza di Mosè, si crede Dio per davvero, deve raddoppiare i consensi che  gli vengono attribuiti al momento  dai sondaggi, molto al di sotto di quelli attribhuiti a Berlusconi e molti vicini a quelli di Grillo con il rischio di arrivare quarto o, se si vuole, penultimo. Insomma un pò di fantapolitica mescolata a qualche realtà. Buona lettura. g.

DAGOREPORT

La più alta istituzione italiana (non soltanto perchè è ubicata nell’antico palazzo di villeggiatura dei Papi, intorno al quale si spandevano le vigne del Quirinale), nonostante i critici, alla fine è quella che nell’ordinamento italiano è stata definita meglio dai padri costituenti: nei momenti di difficoltà del Paese ha gli strumenti per intervenire, vedi il governo del Presidente varato da Re Giorgio Napolitano nel novembre 2011 di fronte all’incalzare dello spread (che la scelta di Mosè Monti si sia rivelata inadeguata e velleitaria possiamo dirlo ora, alla luce della vera e propria metamorfosi kafkiana che il prescelto ha subito a evidente insaputa sua e del suo dante causa), mentre nei periodi di calma o di calma apparente può ritirarsi lasciando spazio al libero esplicarsi della dialettica politica e sociale.

O elettorale, come sta avvenendo oggi. Ma questo non significa che Re Giorgio e i suoi stretti collaboratori non stiano già attrezzandosi per gestire il dopo elezioni: anche sul Colle si seguono i sondaggi, si parla con i leader, e soprattutto ci si prepara a dare veste istituzionale e costituzionale al responso delle urne.

Sulla base dell’attuale stato dell’arte, nella fase in cui ciascun elettore comincia più seriamente a pensare chi non votare per poi concentrarsi su chi votare, lo schema sul quale si stanno intrecciando le valutazioni del Colle (schema pervenuto a noi e non ad altri per ragioni di banale trasparenza istituzionale in relazione alla qualità del nostro target, come dice chi ci capisce) ruota sostanzialmente su questi punti:

1. nel caso di vittoria del Centro sinistra alla Camera e di un risultato vicino o di non maggioranza sufficiente al Senato, il vincitore anche non totale delle elezioni viene incaricato di formare il nuovo governo. La volontà del popolo sovrano verrà rispettata alla virgola, quindi nessuna soluzione che non preveda a Palazzo Chigi l’effettivo vincitore delle elezioni, fosse solo per un voto.

2. Contemporaneamente, va coinvolta nel perimetro istituzionale/di governo la forza più importante scaturita dalla urne dopo il vincitore. L’Italia, ragionano al Colle, non può permettersi di fronte ai propri cittadini e di fronte al mondo, non solo all’Europa, di non avere una maggioranza che faccia fronte prima a 10 precise scelte economiche che oggi è difficilissimo rintracciare nella propaganda elettorale di tutti i partiti e partitini, ivi compreso quello di Mosè Monti e Tinagli Irene (l’unica testimonial di Scelta Civica che con inconsapevole sprezzo del pericolo si offre alle telecamere essendo possibilista su tutto, tanto c’è un gruppo di lavoro che approfondisce qualunque questione di cui al momento non ricorda i numeri o la risposta) e poi, ma solo poi, ad alcune necessità di riforme sul fronte istituzionale.

3. La forza più importante dopo il Pd è quella di Berlusconi Silvio resuscitato e la riflessione sul Colle si è fatta più puntuale in relazione alla crescente evanescenza elettorale e alla proporzionale complicazione dei rapporti interni al centrino di Casini, Mosè Monti, Tulliani-Fini Gianfranco e alla concorrenza stessa a sinistra tra Vendola ed Ingroia, che su molte questioni sposta ancor di più verso sinistra l’asse di un governo Bersani sostenuto soltanto dagli apporti di cui sopra.

4. Piu’ in particolare, se le urne indicheranno il pareggio al Senato, si sta lavorando sin d’ora a costruire la cornice per un patto chiaro di governo con il secondo classificato alle elezioni che inizi dal riporre subito in soffitta tutte le bandiere di propaganda elettorale che gli schieramenti stanno inalberando: la patrimoniale, che sta terrorizzando tutta la restante borghesia italiana sopravvissuta all’Imu, da una parte e il taglio repentino delle tasse dall’altro, tanto per fare due esempi. La piattaforma sarà invece la condivisione di precisi interventi economici di tagli effettivi e duraturi della spesa e di sostegno alle imprese per la crescita, e la risoluzione di alcuni temi specifici su cui Mosè Monti ha colpevolmente latitato o fatto inutile melina: Alitalia, Finmeccanica, Ilva, Mps per cominciare.

5. Il punto chiave sul quale stanno lavorando dalle parti del Colle è questo: come tradurre il pareggio annunciato o la vittoria mutilata in una formula istituzionale, secondando o aiutando le stesse volontà politiche dei protagonisti al di là della propaganda elettorale di queste settimane, che legittimi la formazione di un governo politico a maggioranza più larga ma politicamente riconoscibile sia rispetto alla gravità dei problemi, sia rispetto alla comunità internazionale, sia rispetto ai limiti tecnici emersi con il governo tecnico. Un primo riferimento c’è: i vertici delle istituzioni rappresentative della volontà popolare, cioè Camera e Senato, hanno nei propri regolamenti i contrappesi cui guardare anche nel caso che si profila dalle urne.

Laddove infatti c’è un presidente di assemblea espressione di una maggioranza sono garantite le vicepresidenze a favore delle maggiori espressioni delle minoranze. Sono regole che già esistono. Ecco perchè Re Giorgio e i suoi collaboratori stanno monitorando con serena attenzione gli scenari possibili, certi di fronte ad un possibile pareggio, della coerenza istituzionale del percorso necessario a farvi fronte. In pratica, la prima opzione per la collaborazione con Bersani Pierluigi e’ la seconda forza che esce dalle urne, non la quarta: quindi Casini, Fini (60 anni di Parlamento in due) e Mosè Monti, senatore a vita, devono almeno raddoppiare gli attuali livelli di consenso attribuiti loro dai sondaggi e negoziare un’alleanza organica con Pd e Vendola oppure sono fuori perchè vale lo schema sin qui esposto.

6. Un punto importante sul quale si stanno arrovellando su per le alte cime è questo: come denominare l’esperienza di collaborazione governativa che in tale scenario si andrebbe a ipotizzare e costruire. Il naming non e’ affatto secondario, se solo si pensa a come nel corso della Prima Repubblica sono state denominate e oggi sono diventate storia esperienze come quella delle “convergenze parallele” di morotea memoria o il governo della “non sfiducia” che rimanda ad Andreotti.

Sul Colle, ovviamente solo perché e’ loro dovere farsi trovare pronti, sono avanti anche su questo: innanzitutto escludono dalla denominazione ogni riferimento emergenziale, visto che la formula potrà effettivamente servire dopo che il popolo ha votato e per rispettarne la volontà, e sono concentrati su due concetti. Eccoli: “Governo di unita’ repubblicana”, “Governo di convergenza per lo sviluppo” e “Governo di responsabilità nazionale”.

7. L’ultima notazione che ci perviene da lassù e’ questa: pur augurandosi che una forza politica vinca bene sia alla Camera sia al Senato, a favore della soluzione dell’alleanza con il secondo miglior piazzato per governare il Paese, c’è la fortissima consapevolezza che di fatto si sta superando il bipolarismo senza avere una legge elettorale che lo certifichi e, soprattutto, senza la possibilità di averla nel prossimo Parlamento. Saranno cento grillini a votare una legge elettorale sul modello tedesco? Come si fa ad assicurare la governabilità necessaria come il pane alle imprese e ai mercati, con il Porcellum vigente e il modello più vicino al proporzionale di cui ci sarebbe stato bisogno in queste elezioni? La formula di governo post pareggio avrebbe anche il compito di aprire la strada, dopo aver affrontato i problemi economici, ad una legge elettorale diversa per il futuro della legislatura per la quale stiamo andando a votare.

8. Non c’entra nulla con il tema del governo post elezioni e con il lavoro del Colle ma dopo le grandi paginate degli ultimi due giorni ci sono ancora giornali che si occupano di Cosentino. Nessuno tuttavia ha detto nei giorni scorsi o dice oggi quello che lo stesso Nick o mericano sa bene: nel prossimo Parlamento avrebbero votato in due minuti a favore del suo arresto, visto che non ci sara’ alcuna maggioranza garantista come, sia pure a strappi, c’era nelle Camere sciolte qualche mese fa. DAGOSPIA, 24 gennaio 2013

I TECNICI DEL GOVERNO MONTI..ALTRO CHE SOBRI

Pubblicato il 24 gennaio, 2013 in Costume, Politica | Nessun commento »

Presentati come preparatissimi e integerrimi, dovevano dare lezioni a tutti. Ma sono incappati in inchieste, strani affari immobiliari e ferie a scrocco: da Grilli a Passera, da Griffi a Malinconico

Roma Per essere i portabandiera della sobrietà, i ministri di Mario Monti sono stati coinvolti, nei loro 13-mesi-13 di impero tecnico, in scandali, scandaletti e vicende inopportune né più né meno degli esponenti di ogni altro governo repubblicano.

Il ministro dell’Economia Vittorio Grilli

A volte piccoli inciampi, altre volte storiacce da dimissioni. Di certo nel libro nero del governo del Professore ci sono abbastanza pagine da sbianchettare ogni vanto di pretese virtù.
La vicenda di Paola Severino che raccontiamo in altra parte di questo giornale, è solo l’ultima. E nemmeno la più imbarazzante. Come spesso accade in Italia gli scheletri sono nascosti tra i mattoni. Fu una casa, infatti, a far arrossire nel gennaio 2012 Filippo Patroni Griffi, ministro della Semplificazione. Si scoprì che il magistrato «salito» al governo la vita se l’era semplificata eccome acquistando nel 2008 l’appartamento in cui vive da affittuario dalla fine degli anni Ottanta, (109 metri quadrati catastali al primo piano con vista sul Colosseo) a un prezzo decisamente di saldo: 177.754 euro. Patroni Griffi beneficiò, come gli altri condòmini, di un prezzo già vecchio e scontato di un altro 45 per cento grazie alla vendita in blocco. Una clausola che non si dovrebbe applicare agli immobili di pregio. Ma il fatto è che Patroni Griffi e i suoi coinquilini riuscirono a farsi riconoscere dapprima dal Tar e poi dal Consiglio di Stato lo status di «immobile non di pregio». Sulla vicenda la Procura di Roma ha aperto un fascicolo di cui non si è saputo più nulla. E sulla casa si è impantanato anche Vittorio Grilli, ministro dell’Economia che, come da noi raccontato ieri, nel 2004 acquistò un quartierino da oltre 300 mq ai Parioli per un prezzo (1,065 milioni) pari a metà del valore dell’immobile e contraendo un mutuo gonfiato fino a 1,5 milioni. Le spiegazioni fornite dal ministro sono state finora tutt’altro che chiarificatrici.

Di tutt’altra natura l’affaire che portò alle dimissioni da sottosegretario della Presidenza del consiglio con delega all’editoria Carlo Malinconico: a partire dal 2007 era stato più volte ospite di un lussuoso resort dell’Argentario, Il Pellicano, senza sborsare un euro. Il conto infatti veniva regolarmente saldato da Francesco De Vito Piscicelli, imprenditore della cricca di Angelo Balducci. Malinconico, bontà sua, invocò la clausola-Scajola: l’inconsapevolezza.
Poco rilievo ha avuto tutto sommato l’iscrizione nel registro degli indagati da parte della procura di Biella di un pezzo grosso del governo tecnico, Corrado Passera, perché nel 2006-07, da amministratore delegato di Banca Intesa prima e consigliere delegato di Intesa Sanpaolo poi avrebbe operato un arbitrato tributario internazionale per garantire al gruppo bancario benefici di carattere fiscale. «Un atto dovuto», tagliò corto lui.

Questioni di incompatibilità investirono invece Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione, e Corrado Clini, titolare dell’Ambiente. Il primo il 30 gennaio si dimise dalla presidenza del Cnr, ente dal suo stesso dicastero controllato. Il conflitto di interessi era chiarissimo e l’incompatibilità palesemente prevista dallo statuto del Cnr, eppure Profumo traccheggiò chiedendo un parere all’Antitrust prima di capitolare in seguito alle polemiche sollevate. Quanto a Clini, lasciò la presidenza dell’Area Science Park di Trieste, la cui nomina è espressa dal governo: non bastò l’iniziale autosospensione.
Tra gli altri esponenti del governo dei sobri si fa per dire vanno ricordati il sottosegretraio ai Beni Culturali Roberto Cecchi rinviato a giudizio alla Corte dei

Conti per danno erariale che sarebbe stato procurato dall’acquisto di una costosa «patacca» da lui raccomandato allo Stato; il sottosegretario alla Giustizia Andrea Zoppini, dimessosi il 15 maggio 2012 perché indagato per concorso in frode fiscale e dichiarazione fraudolenta; il viceministro del Welfare Michel Martone, la cui carriera accademica, secondo Arcangelo Martino, imprenditore coinvolto nell’inchiesta sulla P3, sarebbe stata forse agevolata da «aiutini» sollecitati dal papà. Andrea Cuomo, 24 gennaio 2013

MONTI HA USATO I SOLDI DEGLI ITALIANI. QUELLI DELL’IMU IN PARTICOLARE, PER SALVARE LA BANCA ROSSA DI BERSANI

Pubblicato il 23 gennaio, 2013 in Economia, Politica | Nessun commento »

Monti, i soldi dell'Imu per salvare la banca rossa
I Monti-bond da 3,9 miliardi equivalgono a quanto pagato dagli italiani per la tassa sulla prima casa

Per capire quello che sta succedendo oggi bisogna fare un salto nel 2007. Quando Mps, la più antica banca italiana, compra da Santander Antoneventa a un prezzo di gran lunga superiore (10 miliardi di euro) rispetto a quello che era stato pagato (6,5 miliardi di euro) dal gruppo spagnolo solo tre mesi prima . Se è vero che Mps diventa la terza banca del Paese con oltre tre mila sportelli, è altrettanto vero che dall’acquisizione a prezzi stratosferici cominciano molti guai per l’istituto di credito senese. Sull’operazione la Procura apre un’inchiesta per capire se fu accompagnata da un giro di tangenti a politici e intermediari. Così la banca storicamente vicina alla sinistra, diventa una sorvegliata speciale sia da parte dei mercati che della magistratura.  I risultati di bilancio sono pessimi e peggiorano con il passare degli anni. Mps si lancia quindi in operazioni finanziarie che si trasformano in un boomerang per i propri conti, presiti, derivati, e chiede un aumento di capitale ai propri soci nel tentativo di chiudere il buco.  Ieri, mercoledì 23 gennaio, Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi, ed ex presidente di Mps si è dimesso in seguito allo scandalo derivati conclusi nel 2009.

I Monti-bond Lo scorso dicembre, contro il parere di Mario Draghi, il governo italiano ottiene il via libera dalla Ue per l’erogazione di 3,9 miliardi di euro di aiuti di Stato alla banca senese. La formula allunga-debito, prevede che alla scadenza del prestito o Mps rimborsa o fa entrare lo Stato nell’azionariato. Ed oggi sono proprio i Monti-bond che infiammano la polemica politica.  Sì, perché l’ Imu sulla prima casa che tutti gli italiani proprietari di immobili hanno dovuto versare entro lo scorso dicembre, ammonta proprio a 4 miliardi di euro. E così questo scandalo bancario rischia di trasformarsi in un boomerang per la sinistra, esattamente come nel 2006 accadde con il caso Unipol (Fassino, intercettato al telefono, con Consorte, diceva “Abbiamo una banca): se è vero che a vincere fu il centrosinistra, la Cdl fece un ottimo risultato al Senato (156 seggi contro 158)

Amico dei banchieri “Le banche hanno badato troppo alla finanza e poco all’economia reale, alle famiglie e alle imprese. Monti ha coccolato le banche e dato schiaffi al ceto medio”. attacca il segretario del Pdl Angelino Alfano: “Noi abbiamo due richieste precise per le banche  la prima è restituire all’economia reale, alle famiglie e alle imprese, i soldi avuti a basso tasso di interesse dalla Bce; il secondo riaprire i rubinetti del credito”. Attacchi al governo dei banchieri arrivano anche da Antonio Di Pietro “La vicenda che ha coinvolto il dimissionario presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, è gravissima. Ma è ancor più grave che il governo Monti abbia finanziato le casse del Monte dei Paschi di Siena con un prestito da 3,9 miliardi di euro, cifra equivalente all’Imu sulla prima casa, l’imposta con cui questo esecutivo ha tartassato gli italiani. Si tratta di soldi pubblici, presi dalle casse dello Stato e dalle tasche dei cittadini, e versati a Mps da questo governo di banchieri”, aggiunge Di Pietro, “Tutta quest’operazione rappresenta l’ennesimo schiaffo alle famiglie italiane salassate da Monti con le politiche del rigore. Politiche che hanno fatto pagare il costo della crisi ai lavoratori, ai giovani, ai pensionati, ai più onesti, alle piccole e medie imprese e agli artigiani che, in questo momento, sono presi per il collo dal sistema bancario. Ci auguriamo che la magistratura faccia al più presto luce su questa torbida vicenda”. In tutta la vicenda che sta emergendo riguardo al Monte dei Paschi di Siena, si conferma che gli azionisti e i clienti, cioè i cittadini, sono sempre e semplicemente carne da macello, rincara Sandro Bondi, del Pdl, che aggiunge: “Mentre le conseguenze delle scelte avventate compiute dai vertici della Banca vengono coperte dagli aiuti del governo Monti, i rubinetti dei prestiti alle imprese e alle famiglie vengono chiusi determinando un’ulteriore spinta alla recessione”.Questa è la filosofia del governo Monti: difendere i ceti oligarchici contro il popolo. Proprio la funzione che nell’antica Roma era affidata alla figura del dictator: ‘Adversus plebem dictator’”, conclude Bondi. Libero, 23 gennaio 2013

MOLLANO IL SEGGIO MA CONTINUANO AD INCASSARE

Pubblicato il 23 gennaio, 2013 in Costume, Politica | Nessun commento »

D’Alema, Pisanu, Rutelli, Scajola&C. non si ricandidano. Hanno vitalizio fino a 6500 euro al mese e liquidazioni fino a 278mila

Trombati e contenti Mollano il seggio  ma continuano a incassare

di Franco Bechis

Basta asciugarsi la lacrimuccia che sicuramente scappa quando si realizza che si è all’ultimo giorno di palazzo. Qualche ferita resterà, a seconda dei casi, perché c’è chi ha fatto il passo indietro spontaneo, c’è chi l’ha fatto in modo spintaneo, c’è chi a sua insaputa in extremis è stato trombato e per questo dovrà dire addio al Parlamento. Ma asciugata la lacrimuccia e sistemato l’orgoglio ferito, per buona parte degli esclusi dalla XVII legislatura è già ora di ordinare festeggiare. Perché c’è l’altra faccia dell’amarezza: da domani potranno fare un altro lavoro, e magari restarsene in panciolle ricevendo comunque ogni mese il proprio rassicurante vitalizio. E a marzo arriverà per tutti gli esclusi un assegno di fine mandato non tassato (quindi netto) di gran lusso: andrà dai 44 mila euro per chi è stato eletto solo nel 2008, fino a quasi 300 mila netti a seconda della propria carriera parlamentare. Cifre che non interessano il fisco, che sfuggono a redditometro e spesometro, che sono cumulabili con ogni altro reddito, pensione o Tfr. Una manna, in grado di fare sorridere gran parte dei trombati.

Da marzo arriverà un vitalizio netto da 6.500 euro al mese nelle tasche del senatore uscente del Pdl Beppe Pisanu, del deputato uscente Udc Mario Tassone e di Valter Veltroni, fondatore del Pd che già aveva provato questa emozione quando era sindaco di Roma: un assegno mensile lordo di oltre 9.300 euro che lui sosteneva di dare in beneficienza a una organizzazione umanitaria in  Africa. Ora Veltroni se li terrà, in attesa di qualche occupazione integrativa. E verserà sul conto anche la buonuscita da 44 mila euro, che sembra ridotta rispetto ai suoi 19 anni da parlamentare perché ne ha già incassato la parte più sostanziosa quando si dimise per diventare sindaco di Roma. Anche Pisanu ne ha già incassata una parte (ha 39 anni di parlamento alle spalle): ora però gli arriverà un assegno da 175 mila euro netti. Stessa esperienza per Tassone, che di anni alle spalle come onorevole ne ha 35: ha già incassato una parte della liquidazione, riceverà ancora 158 mila euro.

La doppia liquidazione è esperienza che faranno molti altri parlamentari uscenti che nella loro carriera hanno già interrotto l’esperienza parlamentare o perché non ricandidati nella legislatura o perché eletti altrove. Al Parlamento europeo ad esempio Massimo D’Alema, fra il 2004 e il 2006, prendendosi la prima liquidazione per i suoi 24 anni da parlamentare. Gli resta da incassare un assegno da 64 mila euro e il vitalizio da circa 6 mila euro mensili netti. Avranno invece maxi liquidazioni i parlamentari che non  hanno mai interrotto il loro mestiere dal primo giorno in cui sono entrati alla Camera o al Senato. Le cifre più sostanziose toccheranno a Filippo Berselli (Pdl, ex An): 278 mila euro a cui si aggiunge da subito un vitalizio da 6.200 euro al mese e a Livia Turco che incasserà subito una liquidazione da 241 mila euro, ma dovrà ancora aspettare due anni per ricevere un vitalizio da 6.100 euro. Terzo posto nella classifica delle liquidazioni per il leghista Roberto Castelli, che incasserà un assegno da 195 mila euro e da marzo anche un vitalizio di circa 5.500 euro netti mensili. Il vitalizio sarà appena superiore (5.600 euro netti al mese) per Francesco Rutelli, che però dovrà attendere ancora un anno per riceverlo perché non ha ancora maturato i requisiti anagrafici. Subito incasserà 111 mila euro di liquidazione, visto che ne ha già incassata una parte per i suoi 23 anni da parlamentare quando si candidò a sindaco di Roma. Claudio Scajola si rasserenerà un po’ quando avrà la liquidazione (158 mila euro netti) e l’assegno del vitalizio mensile netto (4.700 euro) che incasserà senza fare nulla.

Le regole non sono uguali per tutti, perché dipendono dal momento in cui si entra in Parlamento. Per la liquidazione i parlamentari in genere ricevono l’80% della indennità parlamentare lorda per ogni anno di legislatura. Per il vitalizio la cosa è più complicata. Oggi si può avere a 65 anni con 5 anni di legislatura e si può scendere per ogni anno in più fatto fino a 60 anni. L’assegno oscilla fra il 20 e il 60% della indennità lorda. Fino al 2007 però non c’era questo limite di età e l’assegno oscillava fra il 25 e l’80% della indennità lorda. Libero, 23 gennaio 2013

……………….Ecco la casta che si perpetua nei privilegi,  alla faccia di una sessantina di milioni di persone, milioni di pensionati al limite dell’indigenza, otto milioni di poveri, il 37% di giovani senza lavoro e senza futuro. Tutti dicono di voler cancellare i privilegi ed eliminare le caste, ma al dunque tutto rimane come prima e talvolta peggio di prima. g.