LA GERMANIA NON MOLLA: MONTI, L’ER PIU’ DI CASA NOSTRA

Pubblicato il 12 dicembre, 2012 in Il territorio | Nessun commento »

La campagna elettorale entra nel vivo. Anche per il premier Mario Monti che, senza ammetterlo, sta solleticando l’idea di fare il bis a Palazzo Chigi.

Il presidente del Consiglio Mario Monti

Così, mentre gli indicatori economici sono tutti preceduti dal segno meno, la recessione incalza il sistema Italia e la pressione fiscale schiaccia i risparmi del Paese, il Professore si chiama fuori dalla mischia e non ammette il fallimento delle misure economiche messe in campo dall’attuale governo.

D’altra parte, il presidente del Consiglio ha dalla sua parte la Germania che sta tentando in ogni modo di condizionare la democrazia e il voto italiano.

All’indomani del pesante endorsement fatto dalla cancelliera Angela Merkel, il governo tedesco torna a schierarsi a favore di Monti. E lo fa entrando a gamba tesa nella campagna elettorale. Entrando all’Ecofin, il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble ha lodato apertamente i tecnici e attaccato, altrettanto apertamente, il precedente governo. Insomma, la stessa linea che sta portando avanti, in questi giorni, anche Monti che, per smarcarsi dal proprio fallimento, sta provando ad addossare tutte le sue colpe al Cavaliere. “Il governo Monti ha fatto meglio del suo predecessore – ha spiegato Schaeuble – è stato un governo con molti successi e progressi”. Il ministro delle Finanze tedesco ha, quindi, aggiunto che “tutti lo sanno ma io ripeterò sempre la differenza tra Monti e il suo predecessore”.

“Noi tutti siamo corresponsabili dell’andamento delle quotazioni dell’immagine dell’aggettivo italiano – ha spiegato il presidente del Consiglio – ognuno di noi sposta la quotazione di questo aggettivo”.

Per prima cosa, però, Monti si lava la coscienza. E scarica tutte le colpe sul precedente esecutivo guidato da Silvio Berlusconi che, guarda caso, ieri aveva smascherato i tecnici per aver tascinato l’Italia inj un vortice germanocentrico che non ha fatto altro che penalizzare il Belpaese. “Durante il precedente governo delle riforme sono state fatte ma lasciando moltissimo da fare”, ha spiegato il presidente del Consiglio invitando il partito che vincerà le prossime elezioni politiche a dar seguito alle riforme intraprese dall’attuale governo. Non solo. Il Professore si è anche arrogato il merito di aver messo in campo le giuste misure per traghettare il Paese fuori dalla crisi economica e ha invitato alla “prudenza” nel giudicare le riforme fatte dal governo dicendo che sarebbe un peccato se si desse un giudizio “ipersemplificato” sugli effetti che queste hanno avuto. Intervenendo all’assemblea dell’Anfia, Monti ha analizzato i dati catastrofici della produzuione industriale che lentamente continua a peggiorare. Anche in questo caso, il Professore ha provato a lavarsene le mani spiegando che l’industria italiana ha scontato “il lento ma inesorabile processo di erosione della competitività che è stato a lungo sottovalutato”. Insomma, non solo Monti non riesce ad ammettere il fallimento delle sue cure, ma scarica le responsabilità sul precedente governo. 12 DICEMBRE 2012

GLI SPRECHI DEL PARLAMENTO EUROPEO HANNO NULLA A CHE FARE CON LA PACE

Pubblicato il 12 dicembre, 2012 in Economia, Politica estera | Nessun commento »

Duecento milioni di euro all’anno buttati al vento. Da decenni. Un miliardo e quattrocento milioni di euro che la nostra generazione pagherà dal 2014 al 2020 e che verranno ancora una volta inseriti nel bilancio comunitario nonostante sobrietà, rigore e tagli.

Benvenuti a Bruxelles, ma anche a Strasburgo. Perché in tempi di crisi economica, l’anomalia della doppia sede del Parlamento Europeo è un tema che grida vendetta. E che continua a gravare inesorabilmente sulle tasche dei contribuenti europei. Carovane di politici che da Bruxelles partono per Strasburgo.

Una volta al mese, i 754 deputati, insieme agli assistenti, ai funzionari e ai faldoni, viaggiano alla volta della città dell’Alsazia e si trasferiscono lì per quattro giorni per svolgere la seduta plenaria. In un anno più di cinque mila persone percorrono i 450 chilometri che ci sono tra le due città, chi con un volo charter, chi con un pullman, chi con più di un treno, visto che non ci sono linee ferroviarie ad alta velocità e che solo sei capitali europee, tra cui Parigi, hanno un collegamento diretto con Strasburgo.

Gli unici a felicitarsi della transumanza sono i gestori dei ristoranti e degli hotel che in quel periodo fanno letteralmente lievitare i prezzi di beni e servizi perché tanto pagano i cittadini – ché la comunità servirà pur a qualcosa. Durante la sessione plenaria, i prezzi delle stanze di albergo a Strasburgo lievitano quasi del 100%, per non parlare di quelli di bar e ristorazione. L’argomento non è nuovo ed è stato più volte affrontato dai membri dell’istituzione. Lo scorso 23 ottobre, il 75% dei parlamentari europei ha votato per un ritorno a un’unica sede, fissando la deadline al giugno 2013.

Insomma, quasi tutti sono concordi: quello che il Parlamento stesso ha definito travelling circus (circo itinerante) deve finire. Peccato siano anni che viene emessa questa sentenza, senza però che il Consiglio Europeo faccia nulla. Cosa c’entra il Consiglio? C’entra eccome. Perché per eliminare una delle sedi del Parlamento Ue, bisogna modificare il Trattato di Lisbona, e per fare ciò è necessaria la decisione unanime del Consiglio, appunto.

Solo che tra i membri c’è la Francia, che ha più volte annunciato che porrebbe il veto. Alla nazione di Hollande non andrebbe giù di perdere il flusso turistico-commerciale di Strasburgo. Basti citare un esempio a prova dell’ostracismo d’Oltralpe. Quando il 9 marzo 2012 il Parlamento Ue voto a favore dell’accorpamento e svolgimento di due delle dodici sessioni plenarie nella stessa settimana del mese di ottobre, la Francia si appellò alla Corte di Giustizia Europea. Non stupisce dunque che si areni sempre tutto. Nonostante le reiterate richieste trasversali dei membri del Parlamento e nonostante il volere dei cittadini.

Una petizione lanciata dall’allora commissario per gli Affari Interni, Cecilia Malmström, e poi rilanciata da due parlamentari europei (Edward McMillan-Scott e Alexander Alvaro) dal nome SingleSeat e favorevole alla sede unica di Bruxelles è stata firmata da circa un milione e duecentomila cittadini europei.

Le sessioni plenarie, tra costi per viaggi, staff e altre voci, gravano circa 200 milioni euro all’anno. Se il Parlamento avesse una sola sede operativa, il risparmio sarebbe enorme. Senza parlare poi dell’inquinamento atmosferico e delle emissioni di anidride carbonica prodotte, contro le quali l’Ue è in prima linea nel porre limiti agli stati membri salvo poi razzolare male. Infatti, secondo il rapporto del Parlamento Ue, se ci fosse solo una sede si risparmierebbero 19mila tonnellate di CO2 all’anno emesse nell’atmosfera.

Nel 1989, il Parlamento adottò una risoluzione nella quale veniva dichiarato che l’assenza di una singola sede porta a far sì che l’elettorato europeo trovi difficoltà a identificarsi con il Parlamento Europeo. Insomma, la preoccupazione che l’Ue fosse un oggetto politico non identificato era ben presente già 30 anni fa. Da allora a oggi non è cambiato nulla, se non che sono aumentate e affiorate decine e decine di agenzie e di uffici dispersi tra tre diverse città, perché una parte degli uffici amministrative hanno sede in Lussemburgo. Non c’è due senza tre, insomma.

L’ultimo emendamento approvato dal Parlamento Ue con 432 voti a favore, 218 contrari e 29 astensioni, sostiene che l’UE, nel contesto delle politiche di austerità in corso, debba dimostrare responsabilità e prendere misure concrete immediate per stabilire una sede unica per il Parlamento. Al momento, sembra che l’austerità non collimi con questo progetto. Se a ciò si aggiunge che la sede del Parlamento Ue di Strasburgo è costata quasi 500 milioni di euro ed è praticamente vuota nove mesi l’anno e che tra i progetti dello stesso Parlamento c’è quello della Casa della storia europea, un museo in costruzione a Bruxelles nel quale verrà mostrata la storia del dopoguerra e che costerà 50 milioni di euro (sarà completato nel 2015), ecco che il rigore lascia spazio alla crescita. Della spesa, però. 12 dicembre 2012

.…………….Le caste, di ogni dove, vivono alla grande alle spalle dei popoli. L’Unione Europea che autorizzò i bombardamenti di Belgrado sotto i quali morirono bambini,  donne e anziani, è stata insignita del Premio Nobel per la Pace dopo aver fatto la guerra con i missili e le bombe prima e con le rappresaglie economiche dopo, cioè ora, contro i paesi più deboli, come la Grecia, o meno solidali come noi, l’Italia. Questa satessa Unione Eurpea, menre affama i popoli, spende e spande per meglio godere dei privilegi acocrfdati alla casta, non solo quella politica, sopratutto l’altra, la peggiore, cioè quella burocratica. C’è chi ha scrftto chese  il comunismo è morto,  alla sua morte è sopravissuta la burocrazia, riferendosi a qeula sovietica.  Evidentemente non conosce quella asserragliata nei polverosi e spesso deserti saloni dei palazzi di Bruxelles  e di Strasburgo da dove amministrrano ormai non più la crescita ma la morte per inedia dei popoli europei. Talvolta, purtroppo, con l’aiuto di qualche maldestro professorone italiano, tanto saccente quanto refgrettario alle critiche. Parliamo di Monti, di altri sennò? g.

GLI ELETTORI A CACCIA DI IDEE E FIDUCIA

Pubblicato il 10 dicembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Come sarà governata l’Italia nei prossimi cinque anni? I cittadini si pongono questa domanda prima di andare al voto. E non è affatto così scontato. La natura della crisi economica, la sua inedita profondità e durata, stanno cambiando il modo con cui vengono scelti i partiti e i candidati. L’appartenenza ideologica in passato era un collante enorme, oggi non fa la differenza, non determina la vittoria e la sconfitta. L’altissimo numero di indecisi che vediamo nei sondaggi dice questa semplice verità: non basta più la bandiera e sui leader c’è un tasso di sfiducia e rancore molto alto. Il partito maggiormente coinvolto dal fenomeno è il Pdl e il suo leader Silvio Berlusconi, ma anche il Partito democratico – che pure vola nei sondaggi – si trova di fronte a questo problema e alla necessità di rinnovare la classe dirigente per non offrire all’elettorato un’immagine già logorata dalla storia degli ultimi vent’anni. Il Pd ha parzialmente risolto il problema con le primarie, ma quando la campagna elettorale affronterà i temi della quotidianità, allora anche nel centrosinistra sorgeranno difficoltà. E il vantaggio diminuirà. Dominano l’inquietudine, l’incertezza, una visione appannata del futuro. Europa, Economia, Fisco, Welfare e Famiglia saranno i punti dell’agenda reale che dovranno essere per forza messi a fuoco in un dibattito per ora virtuale, concentrato su alleanze e candidature, autoreferenziale. Le elezioni saranno vinte da chi si rinnova e presenta progetti concreti agli elettori.Il 2008 è uno spartiacque: non bastano i volti, non serve il traino del leader, occorrono idee buone e persone che trasmettono fiducia e vengono identificate con lo «spirito di servizio». Il governo dei tecnici è stata una risposta necessaria ma insufficiente perché carente di politica e immaginazione. Mario Monti è percepito come una persona seria, autorevole, rispettata in Europa, ma l’esecutivo è di qualità inferiore rispetto al premier. Lo stesso Monti ha un’ottima performance sul piano del prestigio internazionale e della credibilità sui mercati, ma contemporaneamente è vissuto da un pezzo dell’elettorato – di destra e di sinistra – come un superburocrate distante dal popolo. Il cittadino conosce e riconosce entrambe le versioni e per questo è confuso: da un lato sa che abbiamo un fardello colossale di debito pubblico, un’agenda europea e impegni da rispettare; dall’altro lato vive la recessione con crescente tensione e si rende conto che la crescita è lontana e bisogna invertire la rotta ma con una soluzione di discontinuità. Quale? E soprattutto, come? I candidati devono rispondere a queste domande. Non Avere ma Essere. Non contro ma per qualcosa. Non demolire ma costruire. Non «io» ma «noi». Gli italiani in cerca di fiducia. Mario Sechi, Il Tempo, 10 dicembre 2012

ADDIO MONTI (SENZA RIMPIANTI) di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 9 dicembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Monti, offeso dalla non fiducia del Pdl, ha annunciato che si dimetterà subito dopo l’approvazione della legge di stabilità, cioè a giorni.

È il vecchio vizio dei professori, che giudicano ma non sopportano di essere giudicati, che bocciano ma pretendono di essere sempre promossi, per diritto divino.

Voglio essere sincero e non unirmi al coro di chi oggi si straccerà le vesti, supplicherà il professore di non farlo, lo ringrazierà per il lavoro svolto. Io voglio invece stare dall’altra parte, quella delle migliaia di lavoratori e aziende che sotto l’illuminato governo Monti hanno perso il lavoro e chiuso bottega. Voglio stare con chi maledice quell’ingiusta tassa che è l’Imu,con gli esodati espulsi dalla società per l’arroganza professorale della ministra Fornero.

Nessun lutto, quindi. Della presunta credibilità internazionale non si campa. Ristabiliamo la democrazia sospesa poco più di un anno fa da un blitz del presidente Napolitano. Riprendiamoci la sovranità nazionale delegata in modo sciagurato alle banche e all’Europa tedesca. Riprendiamoci, lo dico da detenuto, la libertà: di decidere, di fare, se sarà il caso di soffrire. Non per il vezzo di una casta osannata e sostenuta dai giornali dei poteri occulti, ma perché lo scegliamo noi. Usciamo allo scoperto, votiamo e sia quel che sia.

È il momento di serrare le fila. Prima lo ha fat­to Grillo attraversando a nuoto lo Stretto di Messina ed è sembrato che l’Italia fosse sua. Poi è venuto il momento della sinistra con la bagarre sulle primarie, un bagno mediatico che ha oscurato tutti. Adesso tocca a noi liberali e moderati incazzati. Riprendiamoci lo spazio che ci appartiene senza paure, distinguo e moralismi. Non cadiamo nel tranello dei sensi di colpa. Dobbiamo essere orgogliosi di aver avuto il coraggio di innescare l’addio del governo dei tecnici. Non ci ha dato nulla, non ci avrebbe dato nulla. Anzi, ci avrebbe fatto a pezzi ancora di più.

Che se poi, come si sussurra, Monti si è dimesso anche per non entrare in conflitto col Pdl in vista di una sua possibile elezione al Quirinale, meglio ancora. Vuole dire che, a differenza di quanto si legge qui e là, i liberali di questo Paese non sono morti, ma ancora temuti e rispettati. Come ci compete. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 9 dicembre 2012

.……….Si dice anche che  Monti, stizzito e incazzato nero per esssere stato ttrattato come un qualsiasi altro politico, specie se di complemento come lui, stia decxidendo si scendere in campo in prima persona con ua sua lista, intitolata s e medesimo. Se questo accadesse, intanto si avebbe la prova che non sbagliava il PDL a sostenere che se Monti voleva succedere a se stesso, come gridavano alla luna Casini, Fini e, buon ultimo, Montezemolo,  avrebbe dovuto farsi eleggere rinunciando a fare il commissario del popolo nominato da Napolitano e poi si vedrebbe quanto cvale nel cuore degli italiani: rischia di avere una amara sorpresa. Cioè rischia di sapere che gli italiani lo odiano ed hanno ragione. g.

DA CH E PARTE STARE PER EVITARE IL PEGGIO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 8 dicembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Caro direttore, ho supportato il presidente Berlusconi con il mio voto nel corso degli ultimi vent’anni.Oggi ap­prendo dai giornali che vuole candidarsi nuovamente.

L’ex premier Silvio Berlusconi e il segretario del Pdl Angelino Alfano

Credo che si tratterà di una tremenda «débâcle».Quali motivazioni dovrebbero giustificare il voto per lui? La paura della sinistra? È tempo di fatti e non di contrapposizioni ideologiche.

Come impiegato pubblico, non mi aumentano lo stipendio da due anni e per i prossimi aumenti dovrò aspettare altri due anni. Ma di che stiamo parlando?
Mi spiace, Giorgio Festa

Caro lettore, rispetto il suo stato d’animo e rispetterò le sue decisioni al momento del voto. A scanso di equivoci, non ho mai fatto e certo non faccio ora mistero della mia personale vicinanza al presidente Berlusconi. Il che, agli occhi di sciocchi e meschini, è letto come mancanza di libertà e capacità di giudizio. Potrei ribaltare il discorso: non è libero chi, facendosi scudo di una presunta indipendenza, semina odio e veleno per fini diversi da quelli dichiarati.

Bene, se lei ha votato prima Forza Italia e poi Pdl, abbiamo certamente un punto in comune: crediamo nelle libertà, pensiamo che lo Stato sia un male necessario da contenere entro steccati precisi e limitati. Berlusconi questo ce lo aveva promesso e per questo lo abbiamo appoggiato. È vero che non è riuscito a farlo in misura apprezzabile, ma è altrettanto vero che non ha mai fatto il contrario. Almeno in questo, ammetta, non siamo stati traditi.

Ora lei dice: avanti un altro. Già, ma chi, con chi è a fare che cosa? Per un anno, l’ultimo, si è cercato di dare una risposta a queste tre domande. La conclusione è che la casa dei liberali non è ancora pronta a cambiare padrone perché alto è il rischio che, approfittando del momento di difficoltà, qualche furbastro la comperi per poi abbatterla. O che finisca affittata e condivisa con inquilini venuti da fuori e senza scrupoli. A quel punto che cosa ne sarebbe dei miei e suoi ideali? Chi proverà a difenderci da uno Stato ladrone, da un fisco famelico, da sindacati fermi a due secoli fa eccetera eccetera? Lei pensa davvero che quella melassa di centristi vecchi e nuovi a caccia di posti e gloria possa essere una alternativa?

Non diamo a Berlusconi anche colpe non sue. Per quello che ne so, era più che disposto a farsi da parte. Se nessuno, a parte Renzi, in questi mesi si è fatto avanti in modo convincente, vuol dire che al momento non c’è alternativa. E allora che facciamo? Non so lei. Io continuerò a battermi contro gli illiberali, i tecnici tassatori, i magistrati che fanno politica. Con qualunque mezzo. Anche con Berlusconi. Ci pensi e mi faccia sapere. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 8 dicembre 2012

.……………..Rifletteranno milioni di elettori italiani sulle perplessità del lettore del Giornale e sulle ragioni esposte da Sallusti. Da quel che decideranno i milioni di elettori che si sentono in libera uscita dal PDL,  dipenderà l’esito delle elezioni politiche ormai quasi certamente fissate per il 10 marzo prossimo. Berlusconi ha dichiarato che ritorna per vincere, per farlo deve riconquistare prima ancora che il cervello, il cuore degli elettori che come il signor X si sono sentiti traditi e delusi dal centrodestra, dal PDL e dallo stesso Berlusconi. Ha tre mesi di tempo per farlo. g.



BERLUSCONI LASCIA IL CERINO ACCESO AL PD: IL PDL NON VOTA PIU’ IL GOVERNO.

Pubblicato il 8 dicembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

«Oggi inizia la campagna elettorale ». È un Silvio Berlusconi decisamente di buon umore quello che riunisce a Palazzo Grazioli i vertici di via dell’Umiltà.Una incontro sereno come non accadeva da tempo, aperto da Angelino Alfano a relazionare l’ex premier sul faccia a faccia mattutino con Giorgio Napolitano e chiuso con la promessa di rivedersi a inizio settimana per entrare nei dettagli organizzativi della campagna elettorale.

Domenica, invece, riunione dei big lombardi ad Arcore per fare il punto sulle regionalidella Lombardia e sull’accordo con la Lega ormai blindato.

Una giornata positiva. Con Berlusconi che porta a casa ben due punti. Il primo: nel Lazio si voterà il 3 e 4 febbraio come deciso dal Tar, ma il 10 e 11 marzo dovrebbe esserci l’ election day con il voto per le politiche e quello per Lombardia e Molise. Ed era questo quel che davvero interessava al Cavaliere. Perché una sconfitta nel Lazio potrà sembra essere attribuita ai danni fatti dai vari Fiorito e comunque coinvolgerà in primabattuta gli ex An visto che loro è la roccaforte. Ma soprattutto perché l’accorpamento decisivo è quello con la Lom­bardia, in modo da consentire un accordo complessivo con il Carroccio dando il via libera alla candidatura di Roberto Maroni al Pirellone e giocando sul nazionale con lo schema del 2008 ( più altre liste satelliti). E questo è il primo punto, dicevamo. Anche se a margine della lunga riunione di ieri – presenti Berlusconi, Alfano, Verdini, Cicchitto, Gasparri, Fitto,Lupi,Bonaiuti e Letta – c’è chiobietta che si dovrebbe tornare a premere per un election day complessivo a febbraio.

Perché ritirando gli emendamenti alla legge di stabilità in calendario la prossima settimana si potrebbe chiudere la pratica entro il 20 dicembre. A quel punto via con lo scioglimento delle Camere e voto a febbraio. Insomma, non è escluso che dell’argomento si torni a parlare a inizio settimana, visto che questa seconda opzione avrebbe come conseguenza diretta quella di affossare decisamente qualunque ambizione del centro che già con il voto a marzo faticherà parecchio a organizzarsi.

Il secondo punto, invece, coinvolge direttamente il governo. Perché la presa di distanze è stata netta. Al punto che il Pdl è pronto ad astenersi anche sui prossimi provvedimenti. Napolitano avrebbe provato a mediare, ma la risposta rimbalzata da Palazzo Grazioli pare abbia lasciato poca scelta: il governo Berlusconi ha passato il testimone senza una crisi formale, ma se ci chiedete di sfiduciare Monti alle Camera perché credete che non ne saremo capaci accomodatevi pure, noi siamo pronti. Un punto su cui anche il capo dello Stato sembra abbia dovuto fare un passo indietro, perché un’eventuale sfiducia in aula a Mario Monti significherebbe in qualche modo «bruciarlo» sia nell’ottica di un bis a Palazzo Chigi che di uno sbarco al Quirinale.

Chi non l’ha presa per nulla bene è il Professore che pare non sia stato affatto morbido durante una telefonata con Letta. E pure il Pd è in fibrillazione. L’improvvisa sterzata del Pdl e il fatto di prendere definitivamente le distanze dall’esecutivo è evidentemente un problema. Perché in vista della campagna elettorale e con la seconda rata Imu all’incasso c’è il rischio che siano solo Pd e Udc a sostenere un Monti che negli ultimi mesi – a torto o a ragione – viene percepito come il responsabile di troppe nuove tasse.

Un Berlusconi, dunque, pronto al gran rientro. Ieri ha registrato un messaggio tv, oggi sarà a Milanello a caricare i rossoneri ed è già partito il risiko della campagna elettorale. I carri armati li sposta Verdini. Che punta su Lombardia, Veneto, Campania, Puglia e Sicilia. Con il premio regionale econ i numeri che i sondaggi attribuiscono a Grillo, vincendo in tre di queste regioni il Senato sarebbe di fatto ingovernabile anche se Bersani dovesse prevalere. Fonte: Il Giornale 8 dicembre 2012

……..Era ora!

FUNERALE ANTICIPATO? BERLUSCONI FA ANCORA PAURA, di Vittorio Feltri

Pubblicato il 7 dicembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Tanto stupore e tanto scalpore per il ritorno, spesso annunciato, di Silvio Berlusconi. All’evento, ieri, ha dedicato l’articolo di fondo addirittura il Corriere della Sera con la penna del direttore, Ferruccio de Bortoli.

Il quale, se mi è consentito sintetizzarne brutalmente il pensiero, sconsiglia il Cavaliere dal rimettere il piede in campo, perché ciò impedirebbe al Pdl di emanciparsi dal fondatore e di riprendersi i consensi degli elettori moderati (si fa per dire), ancora numerosi ma indisponibili a seguire il deludente ex premier.

Il Corriere fra l’altro dà per scontata la vittoria di Pier Luigi Bersani alle prossime politiche, dalla cui parte si schiera- legittimamente – senza mezzi termini, esattamente come fece nel 2006, quando appoggiò Romano Prodi impegnato nello scontro con Berlusconi. Mi domando: se il risultato delle venture consultazioni è segnato (trionfo del centrosinistra senza centro), che importanza ha se a guidare il centrodestra sia Berlusconi o un altro, magari Angelino Alfano?

Evidentemente il discorso di de Bortoli tradisce un’inquietudine se non una preoccupazione. Questa: non sarà che quel diavolaccio di Arcore, mille volte dato per finito, si accinga con un colpo di reni a rendere la vita difficile al segretario del Pd, costringendolo a fare gli straordinari per spuntarla? D’altronde, anche sei anni or sono, in piena campagna elettorale, il Cavaliere era dato per spacciato (aveva un distacco di 10 punti dall’avversario), ma negli ultimi giorni rimontò, perdendo di un soffio.

Se non fosse questo ricordo a turbare il pensiero del direttore del Corriere , non si comprenderebbe perché lo storico quotidiano milanese dovrebbe caldeggiare l’uscita di scena – per amor di patria -dell’uomo che detiene il record di permanenza a Palazzo Chigi. Se questi fa paura ai progressisti, non può essere considerato (con­traddittoriamente) finito, bensì ancora in grado di riservare sorprese. In effetti, per quanto Berlusconi da alcuni mesi sia stato tormentato dai dubbi ( vado, resto; primarie sì, primarie no; fiducia ad Alfano oppu­re mica tanto?) è ancora una minaccia per il Pd, nonostante Bersani muoia dalla voglia di sfidarlo.

D’accordo che i sondaggi sono da prendere con le pinze, tuttavia non bisogna trascurarli: non ce n’è uno che indichi l’esistenza di un personaggio emergente alternativo a Silvio, cioè più idoneo di lui a riconquistare i consensi dei cittadini delusi dalla politica e, presentemente, intenzionati a incrementare l’astensionismo. Non svelo alcun mistero se dico che, stando a recenti studi demoscopici, un Pdl ripulito e rivitaminizzato, sotto la guida del vecchio leader è valutato dal 22 al 25 per cento: una percentuale insufficiente per governare, però bastevole a formare un’opposizione forte e pronta – se la legislatura sarà tribolata – a diventare maggioranza in caso di elezioni anticipate.

Il piano di Berlusconi si basa su questi elementi, suppongo, e non pare campato in aria. Merita un tentativo di attuazione, posto che gli alleati di Bersani non sono affidabili: il Sel di Nichi Vendola fa venire i brividi, l’Udc sista prosciugando (un giorno è sul melo, un altro è sul pero), i montezemoliani ci sono ma non si vedono.

Insomma, a primarie archiviate, il Pd da solo mostra di non garantire la governabilità. Quindi la partita è tutta da giocare. Prima di fare il funerale al Pdl, occorre ucciderlo. Vittorio Feltri, 7 dicembre 2012

.…….E’ così. Se Berlusconi è morto e sepolto perchè mai da De Bortoli a Tarquinio, direttore de L’Avvenire, dalla  Dandini al solito Saviano  ai giornaloni inglesi che grondano preoccupazione per noi mentre se ne impipano dei guai grossi di Sua Maestà brittanica, dovrebbero spendere fiumi di inchiostro per attaccarlo? Qualcosa non quadra e ciò che non quadra lo racocnta bene Feltri il quale sottolinea come al momento non c’è nessuno che nel centrodestra abbia lo stesso appeal elettorale  di Berlusconi. Certo anche questo è colpa di Berlusconi che ha ammesso al suo seguito tanti asini ma si dà il caso che qualcuno che asino no  era,  che pure c’era,  ha preferito altre strade che portano  lontano dal centrodestra e sopratutto lontano dalla gente comune, dal mondo dei moderati, del ceto medio del quale proprio oggi il Censis ha certificato la morte. Quel che resta di quel mondo, dopo la cura da cavallo inflittagli da mr. Monti (di certo prefisce essere chiamato all’inglese in attesa che anche da quelle aprti qualcuno gli riconosca le grandi doti di economista e lo faccia baronetto perchè possa insignirsi del titolo di sir), è sfiduciato, sull’orlo di una crisi di nervi, incapace di reagire. Chissà, forse  il ritorno di Berlusconi può fungere da stimolo e da reagente, capace di recuperargli la volontà di risalire la china. Che  sia questo timore  la vera ragione della rabbiosa reazione degli asini di sinistra contro il ritorno di Berlusconi? g.

DAGOSPIA RIVELA UN PIANO PER METTERE L’ITALIA NELLE MANI DEI BANCHIERI

Pubblicato il 7 dicembre, 2012 in Economia, Politica | Nessun commento »

Nei bar puzzolenti della City dove si ritrovano i trader con le bretelle rosse, non si percepisce la paura dell’Apocalisse per la discesa in campo di Mister Berlusconi e per l’eventuale fine del Governo Monti.

MARIO MONTI E VITTORIO GRILLI jpegMARIO MONTI E VITTORIO GRILLI jpeg

Questo secondo evento era già stato previsto da alcune settimane, e gli analisti più intelligenti quando parlavano del Professore di Varese, lo definivano con le parole di Oscar Wilde: “un bicchiere di talento in un mare di ambizioni”.

HOLLANDE MONTI MOAVERO GRILLI A BRUXELLESHOLLANDE MONTI MOAVERO GRILLI A BRUXELLES

Che il premier italiano avesse il fiato corto ed esaurito tutte le cartucce è parso più chiaro che mai durante la conferenza stampa di ieri sera dove Monti aveva stampata sul viso un’aristocratica desolazione.

A confermare la parentesi del suo Governo e la precarietà del sistema-Italia ci aveva pensato il pallido Vittorio Grilli quando il 14 novembre era volato a Londra per una serata di beneficienza e si era attovagliato con il gotha della finanza italiana d’oltre Manica.
La cena era strettamente privata e intorno al tavolo c’erano tutti i personaggi che contano nelle banche e nei fondi italiani e stranieri che operano nella City desiderosi di saperne di più sullo stato di salute della Penisola e sulle intenzioni del Governo.

DRAGHI E MERKELDRAGHI E MERKEL

Tra i presenti c’era pure Davide Serra, il gestore del fondo Algebris che in quei giorni si era esposto con parole e quattrini per sostenere la candidatura del suo amico di Firenze, Matteuccio Renzi.

A Grilli piacque molto il clima familiare e riservato di quell’incontro ed è questa la ragione per cui non si sottrasse alle domande neanche quando gli fu chiesto se il Governo avesse intenzione di chiedere lo stato di crisi alla “troika” composta dagli uomini in grigio di Ue, Fondo Monetario e Bce.

CHRISTINE LAGARDE FOTOCHRISTINE LAGARDE FOTO

La risposta di Grilli fu chiara e limpida: “probabilmente – disse il pallido ministro – chiederemo lo stato di crisi prima di aprile”.

Alle orecchie del pubblico attento, sofisticato e informato queste parole, pronunciate con flemma tipicamente inglese, non sono calate come una bomba e come l’inizio di una tragedia, bensì come una sorta di rassicurazione a conferma che un piano esiste veramente se i mercati internazionali dovessero decidere di picchiare duro sull’instabilità della politica italiana.

Bersani MontiBersani Monti

I giornali italiani, piu’ attenti alle vicende personali di Grilli e alle sue telefonate con Ponzellini, non hanno dato grande rilievo a questa importante affermazione del numero Uno del tesoro che Dagospia nella sua infinita miseria ha raccolto non soltanto nei bar puzzolenti della City, ma anche da un partecipante alla cena caritatevole. E c’è da chiedersi a questo punto perché gli ospiti della serata, che si è svolta il 14 novembre, siano usciti dal convivio senza comunque attaccarsi ai monitor per mandare un segnale a Monti e alle forze politiche che fino a ieri lo hanno sostenuto.

DRAGHI-NAPOLITANODRAGHI-NAPOLITANO

Secondo le indiscrezioni raccolte, la richiesta dello stato di crisi e l’intervento eventuale della “troika” prima delle elezioni di primavera, permetterebbe all’attuale Governo di negoziare e di definire direttamente le condizioni che l’Italia sarebbe tenuta a rispettare negli anni a venire. E ciò dovrebbe valere indipendentemente da chi vada al Governo. In pratica, il piano messo a punto da Napolitano e dal Professore di Varese sarebbe quello di creare le condizioni per cui chiunque arrivi a Palazzo Chigi a marzo o ad aprile (si chiami Monti oppure Bersani) si trovi con i giochi già fatti e non possa che allinearsi alla cintura di sicurezza rappresentata dai dettami dei tre uomini in grigio della “troika”.

mario DRAGHI E MONTImario DRAGHI E MONTI

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di fantaeconomia, mentre per altri il piattino di un’Italia a sovranità limitata sarebbe servito a dovere senza la possibilità di uscire dal gioco stretto delle istituzioni internazionali come la BCE che il 5 agosto dell’anno scorso inviò la famosa lettera provocando la caduta del Cavaliere impenitente.

Il preludio allo scenario della “troika” che sbarca in Italia si vedrà a gennaio quando i tecnici del Fondo Monetario sbarcheranno a Roma per analizzare il sistema finanziario del Paese.

PIERLUIGI BERSANI GIUSEPPE MUSSARIPIERLUIGI BERSANI GIUSEPPE MUSSARI

Qualcuno come il boccoluto Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi, ha già capito che non sarà una visita di cortesia e ha rilasciato una dichiarazione di guerra dai toni preoccupati che suona così: “se questo è un percorso per inventarsi un nuovo cataclisma, abbiamo tempo per prepararci”.

L’ex-capo di MontePaschi parla a nome dell’Abi, l’Associazione dei banchieri, e teme che l’arrivo dei tecnici del Fondo Monetario consenta di ficcare il naso dentro le banche e la loro enorme mole di crediti deteriorati.

Da parte sua Grilli non sembra in preda al panico per la svolta politica e per una crisi dei mercati che potrebbe flagellare il nostro Paese. E lo dimostrano gli incontri di cui parla oggi il quotidiano “MF” che sono stati avviati al Tesoro alla fine di novembre e continueranno nei prossimi giorni con gli esponenti delle roccaforti finanziarie internazionali.

VITTORIO GRILLIVITTORIO GRILLI

Al ministero di Grilli chiamano questi incontri “brown bag lunch meeting” (pasti veloci da consumare in compagnia) e i primi sono già avvenuti con il capo economista per l’Europa di Barclays, e con una giovane donna, Silvia Ardagna (39 anni originaria di Caserta), che oltre ad insegnare ad Harvard ha la carica di senior economist ed executive director nella banca d’affari Goldman Sachs. L’agenda di Grilli prevede che il prossimo 21 dicembre incontrerà Robert Chote, uno dei più stretti collaboratori del Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne.

DAVIDE SERRADAVIDE SERRA

Non è previsto invece alcun incontro con Davide Serra, e qui ritorniamo alla serata del 14 novembre con il gotha della finanza italiana quando tutti i partecipanti hanno notato come il ministro si tenesse lontano dal finanziere delle Cayman che si è speso tanto per il sindaco di Firenze.

Molti nella City hanno spiegato che la diffidenza di Grilli nasce dalla vicinanza molto intima tra l’uomo di Algebris e Corradino Passera. Addirittura c’è chi nei bar puzzolenti del Tamigi giura che ad accendere il fuoco sacro di Serra per il sindaco di Firenze sia stato proprio il ministro ex-banchiere che ieri, con una gaffe apparentemente innocente, ha messo sul tavolo di un futuro governo a guida Bersani la sua fiche per una poltrona ministeriale.

Corrado PasseraCorrado Passera

Adesso è inutile tornare a chiedersi se la sparata di Passera contro Berlusconi sia stata concertata anche grazie alla sua amicizia con Davide Serra, conosciuto dai tempi in cui il Corradino banchiere investiva quattrini di BancaIntesa nei fondi Algebris. Ed è una perdita di tempo capire se il finanziere di Genova e il sindaco fiorentino sono diventati amici per merito di Corradino Passera.

Più interessante è scoprire quali saranno i passi finali del Governo Monti e del suo ministro del Tesoro. Il Professore di Varese non vuole che la sua parentesi di artista dell’austerity si chiuda in un modo banale. Ma è difficile immaginare che voglia passare alla storia non solo per l’inchiostro nero del rigore, ma anche creando le condizioni per un lasciapassare alla “troika” che ha già previsto di mettere sotto tutela il nostro Paese. Fonte:DAGOSPIA, 7 dicembre 2012

BERLUSCONI RILANCIA IL PDL: POSSIAMO ARRIVARE AL 30%

Pubblicato il 7 dicembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

La palla di neve che in pochi minuti si trasfor­ma in una devastante slavina è l’sms che Gasparri in­via a Letta quando sono ormai le dieci di sera di un mercole­dì convulso.

Silvio Berlusconi e Mario Monti a Montecitorio

Nelle ricostruzio­ni del vertice di qualche ora prima uscite sulle agenzie, si parla infatti di un Berlusconi pronto al passo indietro, det­taglio che il Cavaliere non prende affatto bene. A cena a Palazzo Grazioli ci sono Alfa­no, Verdini, Brunetta e Ghedi­ni ed è davanti a loro che l’ex premier non si tiene più. Pren­de carta e penna e scrive di get­to un comunicato durissimo nonostante qualche ritocco del sempre prudente Letta. Il senso è chiaro: me lo chiedo­no in tanti e sono pronto a tor­nare.
Berlusconi, dunque, tira dritto. E lo fa in maniera così netta che Alfano non ha esita­zioni nel mettergli a disposi­zione i suoi comitati per le pri­marie (che ovviamente – e co­me era largamente prevedibi­le – non si terranno). Ed è sem­pre in quella cena che il Cava­liere decide che è arrivato il momento di affondare i colpi contro il governo Monti. Un antipasto della campagna elettorale ormai alle porte, ma soprattutto una risposta ad un esecutivo che «non man­tiene gli impegni presi». Il provvedimento sulla incandi­dabilità dei condannati lo ab­biamo appoggiato anche noi ma- è il senso del ragionamen­to di Berlusconi – nel pacchet­to c’era anche la responsabili­tà civile dei magistrati e il ddl sulle intercettazioni. Di tutti e due nulla di fatto. Così arriva l’ordine di scuderia: prima al Senato e poi alla Camera il Pdl non partecipa al voto di fidu­cia. Per dare «un segnale». Una presa di distanza netta dal governo con una richiesta chiara:fare l ’election day ,pos­sibilmente a febbraio. Questo dirà stamattina Alfano quan­do salirà al Quirinale per in­contrare Giorgio Napolitano. Altrimenti il Pdl dopo il voto sulla legge di stabilità si senti­rà libero di far saltare il banco.
L’ex Guardasigilli fa poi sa­pere che Berlusconi «tornerà in campo da protagonista». Sarà lui, insomma, a dare an­cora una volta le carte, che poi questo significhi davvero can­didarsi a Palazzo Chigi la cosa resta da decidere. Di certo, c’è che la sfuriata di mercoledì se­ra e la ridiscesa in campo del Cavaliere ha compattato il partito al punto che nel verti­ce di ieri a Palazzo Grazioli nessuno ha fatto obiezioni. Certo, qualche presa di distan­za c’è. Come quelle di Pisanu, Frattini e Mantovano. E del ca­podelegazione a Bruxelles Mauro che insieme a Formigo­ni rappresenta quella parte di Cl con cui la rottura è sempre più netta. «E pensare – diceva mercoledì sera il Cavaliere ­che sono perfino andato a Var­savia a perorare la candidatu­ra di Mauro alla presidenza del Parlamento europeo».
Ora,c’è solo da capire quan­to profondo sarà il restyling del Pdl, non solo nel nome ma anche nelle persone visto che Berlusconi ripete come un mantra di volere «facce nuo­ve ». Con un buon programma e giovani promettenti, assicu­ra l’ex premier durante i vari vertici, possiamo puntare ad un 30%. «Ed essere – spiega in privato – o il primo partito di governo o il primo d’opposi­zione ». Lo guiderà lui, ma non è escluso un ticket – magari con Alfano – per il candidato a Palazzo Chigi. 7 DICEMBRE 2012

….Ciò che non è mai mancato a Berlusconi è l’ottimismo che è la prima virtù dell’uomo di successo, anzi è la prima virtù di chiunque voglia combattere: non è vero che si combatte per partecipare, questo non è vero neppure nello sport, si partecipa per vincere e per vincere occorre avere una valanga di volontà per farlo,  il che, tradotto, vuol dire essere in possesso di una dose massiccia di ottimismo. Altrimenti si perde in partenza. Berlusconi s’era appannato, aveva perso ottimismo e perciò si sentiva fuori dalla mischia. E’ bastato però che fatti e circostanze (leggi persecuzione giudiziaria e vessazione politica) lo rimotivassero che Berlusconi si è sentito nuovamente scosso dalla volontà di tornare a combettere e vincere. Già nel 2006, dopo 5 anni d sfibrante oscillazione tra i due caballeros Fini e Casini, quando era da tutti dato per perdente, Berlusconi incrociò la spada con il suo antagonista, Prodi, che doveva vincere alla grande grazie al porcellum, voluto da Fini e Casini e scritto materialmente da Calderoli, e alla fine perse per appena 24 mila voti alla Camera – 24 mila voti su 40 milioni di elettori – e vinse al Senato con oltre 300 mila voti di scarto su Prodi che al Senato per sopravvivere un paio d’anni dovette far ricorso al voto “amico” dei senatori a vita, la più stupida delle anomalie della Costituzione italiana  che non trova eguali in nessuna parte del mondo democratico. Anche ora è dato largamente perdente ma forse proprio questo – l’odore della sfida – lo invoglia a “ritornare in campo” , con la voglia di rivincita e di vincita. Ce la farà? Chissà…Tutto è possibile in un Paese come il nostro, dove albergano e si incrociano vizi e virtù di ogni genere, dove la gratitudine politica cessa quando incomincia il proprio tornaconto, dove spesso, anzi, sempre, come diceva Flaiano, si sale con acrobatica velocità sul carro dei vincitori e si ridiscende non appena io carro perde non una ruota ma un minuscolo perno senza del quale, però, la ruota non gira. Berlusconi ha dalla sua la sua storia, ma ha contro due cose fondamentali: non aver mantenuto molte delle promesse fatte e di aver fatto senatori e deputati molti asini. Sulla prima gli italiani, per tradizionale abitudine, sono anche pronti a dimenticare, sulla seconda no. Berlusconi se come dice cambierà molte facce, quasi tutte, forse aiuterà gli italiani a perdonarlo per averne tradito le speranze e magari a rivotarlo, e magari facendolo tornare a vincere perchè manenga le promesse, vecchie e nuove. g.

ECCO PERCHE’ IL CENTRO DESTRA HA DECISO DI LICENZIARE I “TECNICI”

Pubblicato il 7 dicembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

In un documento il Pdl elenca gli errori del governo Monti: crollo del Pil, frenata dei consumi e imprese senza futuro. Il 22,6% dei bambini rischia la povertà, mentre la pressione fiscale è al 48,3%: due famiglie su tre intaccano i risparmi

Un documento di dieci car­telle. Numeri, cifre, previsioni che rappresentano sotto ogni angolatura (economia, finanza pubblica e produzione) lo sface­lo che il governo Monti lascia dietro sé.

Questo documento, messo a punto da Renato Brunetta , è al­la base­ della rifles­sione che ha indot­to Silvio Berlusco­ni a tornare in «campo» liquidan­do i tecnici.

CROLLA IL PIL, AUMENTANO I DISOCCUPATI

Nel 2012 il pil italiano, secon­do i dati Istat, è di­minuito del 2,3% rispetto all’anno scorso, mentre il tasso di disoccu­pazio­ne ha tocca­to il massimo de­gli ultimi 10 anni avvicinandosi al­l’ 11 per cento. Il governo dei «tec­nici » ha de facto consegnato il Pa­ese a una spirale recessiva: l’anno prossimo il pil do­vrebbe continua­re a calare (-1% secondo l’Ocse) e anche i disoccu­pati con­tinueran­no ad aumentare (11,4% nel 2013 e 11,8% nel 2014). Tasse e perdita di posti di lavoro hanno determi­nato la flessione dei consumi (-3,2%): calate di oltre la metà le spese per andare al ristorante, per le vacanze e persino per l’ab­bigliamento. In frenata la pro­duzione industriale (-4,2%). Gli investimenti delle imprese e dello Stato, perciò, latitano (-7,2% per l’Istat). Massiccio, perciò, il ricorso alla cassa inte­grazione: per il 2012 la Cgil ne stima un utilizzo per oltre un mi­li­ardo di ore con 510mila lavora­tori coinvolti.

SENZA SPERANZE

Ma è la «fotografia» della so­cietà italiana a rendere lo scena­rio drammatico. La disoccupa­zione giovanile ha aggiornato il proprio record al 35,7%, men­tre le donne che lavorano sono solo il 47,2% (-11,4 punti in me­no rispetto alla media Ue). Ne consegue, come evidenzia la Caritas, che gli italiani costretti a rivolgersi ai centri assistenzia­li sono ormai il 33,3%, cioè uno su tre e nei primi sei mesi del­l’anno sono aumentati gli inter­venti di assistenza materiale per casalinghe, pensionati e an­ziani. Allo stesso tempo, osser­va Save The Children, il 22,6% dei bambini italiani è a rischio povertà, mentre 1,8 milioni di fan­ciulli già vivono in condizioni di priva­zione. Il governo di Monti ha reso l’Italia un Paese da terzo mondo.

SOLO TASSE

Gli italiani sono diventati più poveri tra Imu, accise e pro­grammati aumenti dell’Iva, ma le finanze pubbliche hanno continuato a peggiorare. La pressione fiscale ha raggiunto il 43,8% del pil, massimo stori­co. L’Italia è in fondo alla classi­fica (131simo posto) dei Paesi amici delle imprese. Il salasso, però, non è servito a nulla: il rap­porto debito/pil, ammonisce l’Ocse,quest’anno dovrebbe at­testarsi al 127,8% e continuerà a salire fino al 2014 (132,2%). L’atteso pareggio di bilancio è un obiettivo non più raggiungi­bile ( quest’anno il deficit/pil sa­rà al 3%). e anche la mina dello spread, che aveva indotto Ber­lusconi a fare un responsabile passo indietro, non è stata disin­nescata: il differenziale di rendi­mento tra i nostri Btp e i Bund te­deschi è rimasto costantemen­te sopra i 300 punti negli ultimi 4 mesi dopo esser sceso sotto quota 400 per effetto dell’an­nunciato intervento della Bce. Monti, insomma, non è riusci­to a tagliare la spesa per interes­si che zavorra i conti pubblici.

UN PAESE PIÙ POVERO

La dieta dimagrante a cui ci hanno costretto Monti, Grilli e Passera ha eroso quest’anno il risparmio del 64% delle fami­glie italiane. Inevitabile rompe­re il salvadanaio se non si riesce a far fronte alle spese per l’abita­zione ( 250mila sfratti per moro­sità attesi nei prossimi tre an­ni). Le compravendite immobi­liari sono calate del 25%annuo tra luglio e settembre. Nei pri­mi 9 mesi 2012 sono state imma­tricolate il 20,5% di auto in me­no rispetto al 2011 e il 75% dei concessionari vuole cambiare mestiere. Cosa che dovrebbero fare anche Monti & C.

Fonte Il Giornale, 7 dicembre 2012