UN ALTRO ERRORE E GRILLO RINGRAZIA, di Mario Sechi
Pubblicato il 23 maggio, 2012 in Il territorio, Politica | No Comments »
A che punto è la notte? È buio. E lo sarà a lungo. Continuo a pensare alla tragedia più breve di Shakespeare, al Macbeth, quando osservo il declino dei partiti. Scrivono la fine con le loro mani. E non se ne rendono conto. Sono attaccati al pouvoir pour le pouvoir, al potere per il potere, si accapigliano su temi insignificanti per l’elettore in tempi di crisi e non riescono a trovare una soluzione condivisa sul loro finanziamento. Da una parte chi è all’opposizione, dall’altra i governativi. Ieri la maggioranza Pdl-Pd-Udc ha bocciato tutti gli emendamenti che chiedevano l’abolizione del finanziamento pubblico. È un grave errore politico e di comunicazione. Il Parlamento dovrebbe avere il coraggio di discutere questo tema con una grande sessione, in diretta televisiva. Un referendum nel 1993 abolì il finanziamento pubblico, i partiti – con l’eccezione dei radicali – lo fecero rientrare dalla finestra con la formula del rimborso elettorale. Una legge truffa che al contribuente è costata miliardi di euro. Così si getta benzina sul fuoco, si fa un favore a Grillo. La fiducia dei cittadini nei partiti è al minimo storico (non è un’opinione, ma un fatto) e se la politica vuole essere credibile deve dire come vuole finanziarsi e non votare senza spiegare. Signori partitanti, guardate i dati Istat sulla povertà delle famiglie italiane e fatevi un esame di coscienza. Così non va. Così si allarga il fossato. Così vince chi urla di più. Penso che il finanziamento pubblico vada abolito, ma comprendo le ragioni di si oppone e dice che la plutocrazia partitocratica è un rischio. Un fatto è certo:questa rapina di Stato non può continuare. E dimezzare il rimborso non serve a niente se non si vara una riforma dei partiti, il riconoscimento della loro personalità giuridica, l’apertura di un processo di trasparenza e democrazia interna. C’è bisogno di ricordare lo scandalo della Lega e quello della Margherita?Rubavano a piene mani. E non venitemi a dire che con le società di revisione i bilanci saranno immacolati. Siamo seri. Parmalat era un’azienda a prova di bomba secondo le società di revisione, peccato che i bilanci fossero falsi. Come i partiti: fanno finta di cambiare affinché tutto resti uguale. Gattopardeschi. Senza essere romanzeschi. Mario Sechi, Il Tempo, 23 maggio 2012
……………Ieri, quando i tg davano notizia che l’anomala maggioranza che sostiene il governo Monti, PDL-PD-UDC, ha respinto gli emendamenti della opposizone tendenti ad eliminare del tutto i finanziamenti pubblici ai partiti, abbiamo fatto un salto sulla sedia. Avevamo appena scritto, a proposito del tonfo elettorale del PDL, che le ragioni di ciò andavano ricercare sia sulla mancata realizzazione delle promesse elettorali, sia sulla mancata realizzazione delle attese ora più avvertite dagli elettori, e tra queste citavamo appunto l’abolizione dei finaziamenti pubblici ai partiti, scandaloso esempio di sperepero di danari pubblici, ancor più mentre la gente non solo stringe la cinghia, ma avverte, specie nel nostro Sud, i morsi della fame. Non solo. Per bocca di Alfano, il PDL, poche settimane fa, aveva annunciato la volontà di rinunciare per sempre ai finanziamenti pubblici per dare vita ad una forma diversa e “americana” di finanziamento della politica. Invece ieri il PDL, in buona compagnia, in compagnia del PD, erede del PCI che finazniava la sua attività con rubli sovietici, e dell’UDC, che rumoreggia sulle lobbys che secondo il suo capo, l’eterno ragazzo Casini, avrebbero così nelle mani i partiti, come se egli stesso non sia più che imparentato con una delle lobby più potente d’Italia, cioè quella dell’immobiliarista romano Caltagirone, ieri, dicevamo, il PDL si è smentito e mentre ha dimezzato la rata di luglio del finanziamento della campagna elettorale del 2008, ha bocciato l’abrogazione sic et simpliciter dei finanziamenti, proposta da Radicali, Lega e IDV, certo, queste due ultime forze politiche forse per ragioni propagandistiche in vista delle prossime elezioni politiche, ma comunque interpretando i sentimenti e ancor più la rabbia della gente che sente la parola partiti e avverte lo stomaco rivoltarsi. E’ bastato questo per vanificare, anche per i più volenterosi che avrebbero voluto credere alla buona fede di Alfano quando ieri l’altro annunciava cambiamenti radicali nel PDL, ogni speranza di cambiamento e ogni determinazione a mettere in campo idee e iniziative capaci di restituire al partito, che ancora oggi , sebbene sempre meno credibile, rappresenta l’elettorato di centrodestra, il ruolo di interprete dei sentimenti di questo elettorato. E’ un peccato, e anche se non eravao fra quelli che avevano dato credito alle parole di Alfano, pure proviamo un misto di delusione e rabbia profonda dinanzi a tanta incoerente incapacità di capire il momento storico che stiamo vivendo. Anzi, ci sembra di rivedere un fil già visto. Nel 1992, mentre le fiamme della contestazione bruciavano i partiti, la DC votava la legge elettorale uninominale che sarebbe stata la sua tomba e si limitava a cambiare nome al partito, tra l’altro con un atto che una recente e ormai definitiva sentenza della Magistratura ordinaria di Roma ha dichiarato ileggittimo. Ileggittimo o meno, comunque, quell’atto non servì a nulla, anzi fu un implicito riconoscimento di responsablità morali che non erano della DC, al più di taluni suoi rappresentanti la cui responsabilità penale per fatti illeciti era meramente personale. Così come la DC non seppe rispondere all’attacco dei suoi avversari con la determinazione e la forza della ragione nel 1992-1993, allo stesso modo il PDL, che come nel 1994 Forza Italia, rappresenta anche gli elettori di centro che guardano a destra, piuttosto che svincolarsi da una maggioranza che lo porterà alla tomba, insiste in una direzione sbagliata, specie se si pensa che è difficile che si ripeta oggi il fenomeno che impedi 20 anni fa alla sinistra di conquistare il potere. Errare è peccato, perseverare è diabolico, Peggio per chi non lo capisce. g.


Fin dal principio dell’avventura del governo Monti ho scritto che sulla tassazione si giocava il presente e il futuro di questo esecutivo. Alcuni mesi dopo è giunta l’ora di fare un bilancio. 1. la pressione fiscale ha raggiunto livelli mai toccati prima; 2. è stata introdotta una patrimoniale progressiva sugli immobili chiamata Imu (gettito previsto di 21 miliardi), in cui di municipale c’è il nome perché solo 9 di questi andranno ai Comuni; 3. il sistema di riscossione italiano continua a utilizzare i soggetti privati come camerieri: le aziende pagano le tasse per se stesse e per lo Stato e in cambio non ricevono indietro i crediti che vantano nei confronti della pubblica amministrazione; 4. il sistema punitivo sugli evasori così non funziona. L’Agenzia delle Entrate e Equitalia sono istituzioni da difendere, ma il complesso di norme che ne alimenta il flusso di cassa e i poteri non sono da Stato liberale; 5. nel settore del credito -vitale per qualsiasi economia- non vi è stata nessuna liberalizzazione e in presenza di recessione galoppante questo significa non consentire alle imprese in difficoltà non solo la gestione caratteristica, ma persino il pagamento delle imposte. Il bilancio del governo Monti sulla questione fiscale è negativo. Ed è legato a quello della crescita. Lo stesso premio Nobel Stiglitz -buon amico del professor Monti- fa presente che le ricette Berlinocentriche uccidono la crescita economica. Anche il professor Giavazzi sostiene queste idee e speriamo non le cambi ora che è approdato a Palazzo Chigi. Siamo di fronte ad una questione puramente tecnica? No, questa è politica, la materia viva che tocca il cuore e la mente dell’elettorato. Passi per le idee «tassa e spendi» del Partito Democratico, ma vorrei capire perché mai il Pdl dovrebbe continuare ad appoggiare una ricetta che massacra il suo elettorato. Me lo chiedo perché alle elezioni manca un anno e i casi sono tre: 1. il Pdl incide sulla linea del governo e convince Monti a una correzione di rotta; 2. il Pdl non conta niente e si suicida; 3. il Pdl si sveglia dal torpore e lascia il governo. Tre carte, un soldo. Mario Sechi, Il Tempo, 4 maggio 2012
La Francia sceglie il prossimo Presidente in un duello appassionato dove sono in gioco i destini dell’Europa, l’Italia annaspa tra tecnici, tecnici dei tecnici, partiti, partitanti e varie comparse della scena politica. Confesso, vedere e commentare le elezioni negli altri Paesi Europei comincia a provocare in me una certa invidia. C’è lotta politica, confronto di idee, passione. Da noi sembra prevalere la rassegnazione. Ho sostenuto il governo di transizione e dato ampio credito al governo Monti, ma più passano i giorni e più penso che ci sia qualcosa di storto -ma non ancora irreparabile – in questa vicenda. Il Professore è uomo capace, di carattere e ironia apprezzabili, tuttavia si coglie una distanza forte dalla politica e dalla lotta ideale che è il sale di un’avventura di governo. Monti ha svolto con coraggio la prima parte del suo mandato (il Salva-Italia), ha portato a casa una riforma delle pensioni da tutti i partiti sbandierata ma mai approvata, ma ha ecceduto con la pressione fiscale e mancato l’obiettivo delle liberalizzazioni. Quanto alla crescita, non ci siamo e basta. Può recuperare? Sì, ma a patto che riprenda il filo della politica e la bussola liberale. Non ci sono altre strade. Il dibattito italiano è chiuso in se stesso, ma intanto l’Europa si sta giocando il proprio destino. Le elezioni francesi saranno uno spartiacque e il rapporto tra Parigi e Berlino non sarà più lo stesso: se vince Sarkozy, dovrà fare delle concessioni alla destra lepenista che rifiuta la ricetta tedesca, la Bce e l’architettura barocca dell’Europa, se vince Hollande, il patto fiscale va a carte quarantotto e si ridiscute tutto. Qual è la nostra posizione in merito? Vorremmo saperlo. Bersani tifa Hollande ma è in conflitto con Monti, pezzi importanti del centrodestra altrettanto, mentre gli ex di Alleanza nazionale sperano ancora in un Sarkozy rivisto e corretto per non lasciare il campo alle sinistre. In ogni caso, a Parigi un dibattito sul futuro del Vecchio Continente – quello dal quale dipendono i nostri destini – è più vivo che mai. È ora che anche l’Italia esca dal suo giardinetto e guardi più in là. Ricchezza, produzione e consumo si stanno spostando da Occidente a Oriente, mentre le politiche economico-fiscali producono disoccupazione. Monti colga l’attimo fuggente. Mario Sechi, Il Tempo, 3 maggio 2012
