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ECCO CHI CALPESTA LA DEMOCRAZIA…….

Pubblicato il 12 settembre, 2011 in Il territorio, Politica | No Comments »

Qualcosa di losco, che sa di imbroglio e di fuori gioco sta accadendo in questi giorni gravi non tanto e non solo per il governo, ma per la salute della democrazia. Partiamo dall’ovvio: il gioco della democrazia, come il bridge, il calcio o gli scacchi è fatto di regole. Al contrario, le dittature si abbattono invece con insurrezioni, i veementi raduni di «indignati», si rovesciano con le armi, mentre i governi democratici si battono invece soltanto in due modi: in Parlamento e nelle urne. Se si usa nella lotta politica democratica l’armamentario con cui si abbattono le dittature, si abbatte la democrazia. È una regola storica dura e brutale che tutti dovrebbero conoscere, ma che in questi mesi viene dimenticata e calpestata.I fatti: parte per primo il senatore Pisanu con un discorso politico pienamente legittimo, dicendo che a suo parere Berlusconi farebbe bene a dimettersi per far spazio s un nuovo governo o d’emergenza. È un’opinione più che legittima.
Ma ecco che passa un solo giorno e l’onorevole nonché fine intellettuale e vicepresidente della Camera, Rocco Buttiglione fa un’affermazione bizzarra: dice che se Berlusconi si dimetterà potrà ottenere un «salvacondotto» che lo metterà al riparo dai processi giudiziari. In che possa consistere un tale salvacondotto non previsto dai codici né dalla tradizione, non si sa. Ma richiama alla memoria le vicende libiche: si dice a Gheddafi che se si toglierà di mezzo avrà un salvacondotto e non ci saranno vendette: potrà andarsene indisturbato.

Ed ecco che arriva giovedì 8 settembre (l’8 Settembre!) quando La7 manda in onda il film Silvio Forever di Roberto Faenza, con successivo dibattito fra Eugenio Scalfari, Giuliano Ferrara, Paolo Mieli, condotto da Enrico Mentana. Mieli mantiene una linea ragionevole anche se critica («Berlusconi ha comunque il merito storico di aver dato al Paese un’alternativa di destra democratica»), Ferrara una linea affettuosa con benevoli rimbrotti mentre Scalfari segue la linea dell’equiparazione del berlusconismo al fascismo.
Non è una novità, ma è un falso gravissimo e gravido di sventure per l’Italia: non esiste infatti, un «ventennio» berlusconiano, mentre si potrebbe al massimo potrebbe parlare di un «diciottennio» in cui Berlusconi è uno dei protagonisti politici: governa una prima volta dal 10 maggio del 1994 per essere rovesciato dieci mesi dopo. Si ripresenta contro Prodi nel 1996 e perde. Si ripresenta nel 2001 e vince. Si ripresenta nel 2006 e perde. Si ripresenta nel 2008 e vince e pochi dubitano che alle prossime elezioni, perda di nuovo. Dunque, di quale «ventennio» dittatoriale i farnetica?

Ma Scalfari sostiene che occorre «un Dino Grandi che convochi il Gran Consiglio del fascismo e faccia cadere Berlusconi». Allusione gravemente impropria anche perché Scalfari, che fu un giovanotto fascistissimo, sa che non esiste nemmeno per forzata analogia una situazione paragonabile a quella del 1943, anche se vale la pena ricordare che Mussolini fu l’unico dittatore della storia costretto alle dimissioni per un voto di sfiducia di un organo costituzionale e che in seguito a quel voto andò a presentare le sue dimissioni nelle mani del capo dello Stato che lo fece arrestare senza dirglielo, costringendolo a girovagare per le caserme di Roma in un’ambulanza piena di carabinieri fedeli al re. Dunque, l’allusione a Dino Grandi c’entra come i cavoli a merenda. Ma in chi non conosce bene la storia evoca la falsa analogia fra Mussolini e Berlusconi, suggerendo che Beppe Pisanu potrebbe essere il nuovo Dino Grandi.

Appare però sicuro che una grande manovra sia effettivamente in corso per far scaturire un governo d’emergenza o di salvezza nazionale. Ma sta di fatto che per poterlo varare occorrono due condizioni necessarie e sufficienti. La prima è che Berlusconi si dimetta e la seconda è che tutta o larga parte dell’attuale maggioranza berlusconiana dia la fiducia ad un nuovo governo senza Berlusconi. Forse la seconda condizione scatterebbe quasi automaticamente, ma per ora manca del tutto la prima: Berlusconi non ha, a quanto pare e malgrado le sue imprecazioni contro il «paese di merda», alcuna intenzione di mollare. Infatti il piano per dar vita a un nuovo governo prevede un pressing personale e crescente per costringere il presidente del Consiglio a mollare.
E il pressing sarebbe, anzi è, di carattere giudiziario: secondo le voci che circolano nuove intercettazioni, nuove richieste di arresti, nuovi colpi di scena dovrebbero, nelle intenzioni, funzionare come mazze ferrate per indurre Berlusconi a mollare la presa. Ed ecco che, alla promessa del tutto bizzarra e praticamente inattuabile del «salvacondotto», si aggiunge un nuovo elemento di scena: la promessa, anzi la garanzia, di sospendere o impedire ogni «vendetta». Sì, avete letto bene: vendetta. E anche qui balza agli occhi l’impropria simmetria, analogia o tentata specularità con il fascismo: la vendetta per eccellenza è piazzale Loreto a Milano, i cadaveri di Mussolini, Petacci, Bombacci e altri gerarchi appesi per i piedi allo stesso distributore di benzina che il giorno prima aveva visto sposti i corpi di alcuni partigiani passati per le armi.

Naturalmente nessuno dice «piazzale Loreto», ma dopo l’allusione a Dino Grandi (il fascista che fa cadere il fascismo) e al salvacondotto (che secondo alcuni fu offerto a Mussolini prima dell’arresto) ecco ieri l’altro a Chianciano Francesco Rutelli, ospite di un convegno dell’Udc: «Se Berlusconi dovesse fare un passo indietro deve essere chiaro che non ci sarà da parte nostra alcun proposito di vendetta».

L’ha ripetuto ieri a Repubblica Italo Bocchino: «Ci attendiamo da lui un gesto di grande generosità (cioè le dimissioni, ndr) e non si consumerà alcuna vendetta».

Ora, ammetterete, né il «salvacondotto» né la «vendetta» fanno parte dell’attrezzeria del linguaggio democratico, della lotta politica democratica, anche quella più brutale, feroce, ma costituzionale. Che sta dunque succedendo? Vorrei essere chiaro: qui non si tratta nemmeno di difendere Berlusconi. Qui si tratta di difendere il buon nome dell’Italia e della sua democrazia. Benché sia giusto stare bene attenti nel difendere la democrazia anche dalle possibili insidie striscianti, è un dato di fatto che ci troviamo in piena democrazia con un governo di pienissima legittimità democratica. Io stesso che come dirigente del Pli e membro del gruppo misto ho votato la sfiducia parlamentare il 14 dicembre per vedere se il Parlamento sapeva e poteva esprimere un’altra maggioranza, ho visto come tutti che non esiste. Ma evidentemente ci sono molte manovre e lavori in corso e questo fa parte del gioco politico perché la politica è un mondo in perenne attività. Ma che cosa c’entrano i salvacondotti e le sospensioni della vendetta? Non è questo il Paese dove poco fa hanno vinto Pisapia e De Magistris? Non è questo il Paese in cui l’opposizione di Di Pietro è stata premiata ai referendum?

Non si rendono conto coloro che usano il linguaggio fasullo delle inesistenti analogie con il fascismo, che così facendo accoltellano la democrazia e il Parlamento? Davvero sfugge a queste menti finissime che oggi è la democrazia ad essere azzerata nel cuore, nella memoria e nelle menti degli italiani? Chi concederà loro, se la democrazia crollasse, il salvacondotto per le gravi responsabilità e la vendetta della storia, la stessa damnatio memoriae che colpisce ancora oggi i pavidi e gli opportunisti che sgretolarono e distrussero la democrazia spianando la strada al fascismo? Paolo GUZZANTI, Il Giornale, 11 settembre 2011

……Non ci piace granchè Guzzanti, fors’anche per le sue dirette discendenze, ma questa volta dobbiamo riconoscere che la racconta giusta….del resto le avevamo già colte anche le incredibili rassicurazioni di Buttiglione Bocchino, a cui si è unito anche Rutelli, circa “salvacondotti” per Berlusconi dai suoi processi se accettasse di togliersi dai c…i. Come se l’Italia,  e la sua Giustizia,  fosse una specie di  repubblica delle banane  o dei mau-mau do ve la giustizia la si amministra nob con la bilancia della legge ma con le regole dei satrapi. g.

20 AGOSTO 1968: I CARRI ARMATI SOVIETICI SPENSERO NEL SANGUE LA “PRIMAVERA” DI PRAGA.

Pubblicato il 20 agosto, 2011 in Il territorio, Storia | No Comments »

Era il 20 agosto del 1968, 43 anni fa,  quando le truppe sovietiche e dei paesi del patto Varsavia (ad eccezione della Romania)invadevano Praga. La Cecoslovacchia dal gennaio dello stesso anno aveva inaugurato, nell’ambito del Partito Comunista, un “Socialismo dal volto umano”. Alexander Dubček era stato il maggiore fautore del rinnovamento, che consisteva in una nuova politica non sganciata da Mosca ma con maggiori libertà, quali la creazione di partiti di opposizione e introduzione della libertà di stampa.
I dirigenti sovietici intravidero nella primavera di Praga una minaccia per il regime comunista e per il patto di Varsavia, temettero un “contagio” in campo socialista. Dubcek tentò di rassicurare i sovietici, evidentemente non ci riuscì, se la notte tra il 20 e il 21 agosto del 1968 le truppe del Patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia.
Dubček era in una riunione del Partito Comunista Cecoslovacco, quando il premier Cernik fu avvisato dell’invasione. Era un “tipico giorno estivo, – scrive Dubček nella sua autobiografia – caldo, con un sole velato. Praga era piena di turisti, intere famiglie passeggiavano o sedevano nei parchi. La città, anzi l’intero paese era tranquillo…era impossibile pensare che nel giro di poche ore i carri armati sovietici ci avrebbero assalito”.
Per protestare contro l’invasione sovietica alcuni studenti universitari decisero di immolarsi appiccandosi il fuoco dopo essersi cosparsi di benzina. Si sacrificarono estraendo a sorte l’ordine secondo cui avrebbero dovuto immolare le loro vite. Il primo ad appiccarsi il fuoco fu Jan Palach, studente di Filosofia di 21 anni. Era il 25 gennaio 1969. Per non dimenticare. g.

MANCANO LE BARBE FINTE, di Mario Sechi

Pubblicato il 31 luglio, 2011 in Il territorio, Politica | No Comments »

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti in Senato Pasticcio. Ho usato questa parola per fotografare il caso Tremonti-Milanese e l’ultimo capitolo dedicato agli spioni. Più va avanti e più siamo di fronte a un guazzabuglio, una sceneggiatura sgangherata sulla quale si cimentano troppe mani. Su una sola cosa non ho dubbi: se la Guardia di Finanza tiene sotto controllo il ministro dell’Economia siamo al delirio istituzionale, perché è uno dei bracci operativi del ministro e, fatta salva l’autonomia dei militari, il suo operato è sottoposto a controllo e valutazione della politica. Per quali fini le Fiamme Gialle avrebbero monitorato la vita di Tremonti? La storia della spiata non sta in piedi, per il semplice motivo che la Gdf non aveva bisogno di trasformarsi in James Bond per sapere cosa fa Giulio: le divise grigie lo scortano tutti i giorni. Sono i suoi angeli custodi. Immagino la risposta: sono i servizi segreti, magari deviati, a tallonare Tremonti. Eccole, le barbe finte. E che impresa. Non c’è bisogno dell’agenzia Pinkerton per sapere cosa fa il ministro: o sta nel suo ufficio in via XX Settembre a Roma o inaugura ministeri del Nord con Bossi o dorme a Pavia o nella Capitale. Che vita hollywoodiana, un tripudio da scannerizzare e intercettare. Nel mio taccuino sono segnati due reali punti deboli: 1. L’affitto della casa in via Campo Marzio a Roma. Una vicenda che Tremonti ha spiegato a tappe e con troppa confusione. Un ministro dell’Economia non alloggia in casa di un suo sottoposto, non paga in contanti e soprattutto si accerta sull’onestà e sulla natura dei redditi di chi lo ospita; 2. La comunicazione in questa vicenda è un fiasco. Il ministro dell’Economia non ha un ufficio stampa credibile, professionale, rigoroso, informato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Mario Sechi, Il Tempo, 31 luglio 2011

……Non lo nascondiamo.  Siamo rimasti per un  verso meravigliati e per altro verso delusi dalla storiaccia che riguarda Temonti. L’uomo non è di quelli che attirano simpatia, sia, e non appaia un paradosso,  per il suo rigore nell’amministrare l’economia italiana, sia per il carattere che si ritrova, che non è dei più facili. Ma, come scriveva Montanelli, un pò per giustificare se stesso, “chi ha carattere ha sempre un brutto carattere”. E Tremonti ha davvero un brutto carattere, tanto da attirarsi l’antipatia di tanti. Però, sinora, a parte il voltafaccia a Segni nelle cui liste era stato eletto per la prima volta alla Camera nel 1994, Tremonti era stato un esempio di correttezza politica e personale. Ora non lo è più. Proprio quando,  per via delle difficoltà in cui si dibatte l’economia italiana,  maggiormente sarebbe servito che il ministro dell’Economia fosse risultato al di sopra di ogni dubbio. Invece la storiaccia dell’intricata vicenda con il deputato Milanese e quella del fitto pagato in nero per l’appartamento occupato al centro di Roma, hanno improvvisamente  creato dubbi e perplessità. Stupore e delusione. Sulla questione, tra gli altri ha posto serie domande Sergio Romano, alle quali Tremonti ha risposto un pò ironizzando, e non er ail caso, un pò sollevando polverosi in una questione già polverosa di suo. Insomma parrebbe che la toppa è apparsa più vistosa del buco, come ha chiosato un deputato dell’opposizione. Specie quando ha tirato in ballo una presunta cosiporaizone della Guardia di Finanza contro di lui. Cosicchè l’ironico Sechi è andato giù duro con l’editoriale di oggi, nel quale non a caso chiosa che mancano solo le barbe finte. In una mascherata che proprio da Temonti non ci aspettavamo, specie quando insinua che il Corpo di cui  egli è il più alto riferimento politico lo avebbe messo sotto controllo. Ci sembra una bufala per nascondere una scivolata del ministro.Peccato. Da Tremonti non ce l’aspettavamo. g.

ANGELINO ALFANO ALLA GUIDA DEL PDL

Pubblicato il 1 luglio, 2011 in Il territorio, Politica | No Comments »

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il nuovo segretario del Pdl Angelino Alfano

Questa mattina all’Auditorium di Roma,  il Consiglio Nazionale del PDL ha eletto Angelino Alfano, tuttora ministro della Giustizia, segretario nazionale politico del PDL. Un lungo applauso della platea, presenti quasi tutti i componenti del Consiglio Nazionale,  ha salutato la elezione di Alfano proposta dal presidente Berlusconi. La elezione di Alfano è stata una grande prova di unità e compattezza del PDL che è stata sottolineata con evidente commozione da Berlusconi. Alfano, nel suo discorso di investitura, ha tracciato la linea che il PDL seguirà per rilanciare il partito dopo le sconfitte delle amministrative e dei referendum. Interrotto più volte dagli applausi del Consiglio Nazionale Alfano ha confermato la vocazione bipolare del PDL e la certezza di poter continuare a rappresentare i sentimenti, i valori, le speranze del popolo di centro destra italiano. Buon lavoro. g.

BOSSI NON E’ PIU’ IN CANOTTIERA

Pubblicato il 20 giugno, 2011 in Il territorio | No Comments »

Muso duro a Pontida, ma la Lega è ormai un partito di sistema

Lega di lotta o Lega di governo? E’ il tema che divide la base che si tormenta sulle frequenze di Radio Padania e che negli ultimi giorni ha messo un po’ di paura a un Pdl che difetta di lucidità. Ma è pure uno di quei dubbi che il gruppo dirigente leghista sa di avere già sciolto, perché la scelta è nei fatti: la Lega è un partito di sistema che regge con il Pdl una considerevole impalcatura di potere (non solo amministrativo) che si schianterebbe al suolo assieme al governo di Roma. Dal nord ovest al nord est.

Tutto concorreva a far pensare che a Pontida Umberto Bossi si sarebbe preparato a far risuonare, davanti ai militanti in camicia verde che altro non si aspettano, i corni di guerra. Il pollice verso del leader sarà anche stato rivolto ai giornalisti petulanti e non al presidente del Consiglio in affanno, ma Roberto Maroni aveva rivelato l’ovvio gelando l’ottimismo di Silvio Berlusconi. “Va tutto bene? Lo vedremo a Pontida”, aveva detto il ministro dell’Interno coccolando la strategia della suspense su un evento per il quale la Lega ha deciso di assumere toni perentori e tuttavia propositivi nei confronti dell’alleato e del governo impaludati. Difatti sbaglia il Pdl, un po’ disordinato e intontito dalla mazzata referendaria, quando chiede che la Lega “rientri nei ranghi” scambiando il dinamismo (per quanto tattico) con i prodromi di un tradimento che appare difficile – se non impossibile – agli stessi dirigenti padani.

La Lega del 2011 non è più quella del 1995, nativista e settentrionalista, capace di ribaltare la maggioranza di centrodestra sapendo di avere poco da perdere e qualcosa da guadagnare: allora era in gioco esclusivamente il governo nazionale, retto da un’alleanza acerba con il Cav., e in una condizione incerta e fluida nell’Italia in cui si chiudeva la stagione di Mani pulite e si apriva una Seconda Repubblica ancora da decifrare nei suoi caratteri. Oggi il partito di Bossi governa con il Pdl di Berlusconi centinaia di comuni e province; esprime due importanti presidenti di regione, il governatore del Veneto Luca Zaia e il governatore del Piemonte Roberto Cota, è rappresentata nei consigli di amministrazione degli enti pubblici, delle ex municipalizzate, dei consorzi, delle fondazioni bancarie, persino della Rai. Gestisce denaro, finanziamenti. Potere vero. La Lega è un partito di sistema, come sanno benissimo i suoi dirigenti e come confessano spesso – a microfoni spenti, talvolta rimpiangendo la purezza dei vecchi tempi – alcuni degli uomini più vicini a Maroni. A un partito di sistema, che pure rievoca spesso l’originaria indole irruenta, non sfugge la meccanica di osmosi che collega tra loro i gangli del potere: sfilare un solo mattone rischia di far venire giù l’intera casa, dai Palazzi del governo romano su su fino al Veneto e alla Lombardia.  – FOGLIO QUOTIDIANO, 20 giugno 2011

I FINIANI PERDONO UN ALTRO PEZZO: RONCHI LASCIA IL SUO INCARICO NEL FLI

Pubblicato il 18 maggio, 2011 in Il territorio, Politica | No Comments »

Roma – Iniziano le defezioni tra le file di Futuro e Libertà. Il primo a lasciare è Andrea Ronchi che con una lettera indirizzata al presidente vicario di Fli, Italo Bocchino, si è dimesso da presidente dell’assemblea nazionale, l’organismo statutario più importante del partito, convocato dallo stesso Ronchi per venerdì mattina per ratificare la linea di futuro e libertà sui ballottaggi. Ronchi si era più volte espresso, dopo i risultati delle amministrative, per un sostegno dei candidati del centrodestra in particolare a Milano. Domani Ronchi avrebbe in programma un incontro a Milano con Ignazio La Russa, che potrebbe essere seguito da un evento pubblico nel quale ufficializzare lo strappo.

Bocchino: “Era in minoranza” “Lo considero un atto di correttezza”. Così Italo Bocchino parla con i cronisti delle dimissioni da presidente dell’assemblea di Fli di Andrea Ronchi. “Visto che ha una posizione minoritaria -prosegue Bocchino- mi sembra corretto che non presieda un organismo di cui è stato eletto presidente all’unanimità“. Il vicepresidente di Fli spiega che la lettera con cui Ronchi ha accompagnato le proprie dimissioni è estremamente sintetica: «solo un rigo con scritto: mi dimetto”. E ai cronisti che gli chiedono se questa decisione sia propedeutica al fatto che Ronchi possa lasciare Fli, Bocchino risponde: “chiedetelo a lui”.

La Russa: “Mai presupposto uno strappo” “Nulla di strano che ci si sia sentiti anche in questi giorni, specie dopo la sua dichiarazione a sostegno di Letizia Moratti, confermata anche oggi”. Lo dichiara il ministro della Difesa e Coordinatore nazionale del Pdl Ignazio La Russa. “Essendo Andrea Ronchi eletto a Milano – aggiunge La Russa – abbiamo ipotizzato che nei prossimi giorni ci si possa incontrare. Ma per la verità nessuno dei due ha mai presupposto un suo strappo col Fli, dove Ronchi con Urso, cercano di evitare una innaturale deriva a sinistra”. “Quello che semmai è strano – prosegue il Coordinatore nazionale del Pdl – è che il Fli che insiste a definirsi di destra, abbia annunciato libertà di voto (e quindi di opinione) tra la Moratti e l’esponente di Rifondazione Comunista Pisapia. Ancora più incredibile poi è l’anatema di ’espulsionè contro chi volesse esercitare questa libertà di voto e di opinione a favore del sindaco Moratti. Per fortuna – conclude La Russa – i non numerosissimi elettori di Fli a Milano avranno già capito”.

………………………….Questa volta Ronchi non si è fatto costringere, lo ha fatto da solo: alcuni mesi fa fu costretto da Fini a lasciare il posto di Ministro mentre lui, Fini, rimaneva incollato alla poltrona di presidente della Camera; ora, prima che il Bocchino di turno lo cacciasse in nome della democrazia (sic)  interna del FLI, Ronchi si è dimesso dall’incarico, pura acqua fresca, che ricopriva nel FLI in totale disaccordo con chi non intedende appoggiare nei ballottaggi il centro destra e quindi, di fatto, aiutare il centro sinistra, anzi la sinistra antagonista che a Milano ha come candidato Pisapia e a Napoli De Magistris. Tra il tradire la sua fede politica e quella in Fini, ha preferito  la scelta di una vita. Onore al merito. g.

POVERO FASANO, NON SI DA’ PACE

Pubblicato il 2 maggio, 2011 in Il territorio, Notizie locali | No Comments »

E' il 1986, si celebra il 40° della Repubblica con la consegna di diplomi e attestati agli amministratori comunali del quarantennio repubblicano. Fasano, non ancora vicesindaco ma già silente assessore di Gagliardi, è comodamente assiso in prima fila tra due "vittime". Cliccare sulla foto per allargarla.


L’ormai ex vicesindaco di Geronimo, il buon Giamby  Fasano, non si dà pace. Umiliato, deriso e moralmente schiaffeggiato dai suoi ex amici  (compagni!?) con i quali baldanzosamente si schierò nel 2009, invece di fare l’unica cosa che l’avrebbe riscattato, per se stesso,  non per gli altri,  che di lui poco se ne impipano, cioè dimettersi e andarsene a casa a fare ciò che sa far meglio, cioè il cacciatore di cinghiali, ha drighignato i denti e per la prima volta nella sua vita politica,  presente e passata, ha preso la parola in Consiglio Comunale per accusare i suoi ex compagni, e non solo questi,  di “non avergli dato solidarietà” (questa della mancata solidarietà è gia di suo una barzelletta…), e ufficialmente per dissociarsi dalla maggioranza: epilogo della sua  recente avventura politica,  a metà strada  tra il dramma e la farsa, perchè,  come avrebbe detto Ennio Flaiano, la cosa è seria ma divertente.

Ma perchè questa decisione che viene  fuori a così poco tempo di distanza dal rimpasto in Giunta?  A suo dire, lo scorso 18 gennaio, guarda caso  (ma solo per caso!) nel bel mezzo della querelle interna alla maggioranza che è poi sfociata nella sua defenestrazione sia da vicesindaco che dalla stessa Giunta, avrebbe ricevuto una lettera contenente un proiettile, evidentemente a scopo di  minaccia.

Minaccia per cosa? Cosa mai può aver fatto Fasano perchè qualcuno debba mandargli per posta  un proiettile, tra l’altro spendendo pure i soldi del francobollo? E  chi può aver avuto motivo di minacciare Fasano? E quale può essere il motivo? E perchè mai Fasano ha atteso oltre tre mesi per rendere noto un fatto di tanta gravità? Sembrerebbe, sempre a suo dire,  che sarebbe stato invitato a non renderlo noto per ragioni investigative (ma per fatti ben più gravi di una lettera contenente un proiettile – a proposito, di che calibro?- nessun investigatore ha mai invitato chicchessia a non rendere noto le minacce ricevute, anzi subite).

Sia come sia, Giamby, defenestrato, umiliato, schiaffeggiato tanto da non poter più mettere la faccia da nessuna parte, ha pensato di rendere la pariglia  alla sua ormai ex maggioranza che non  avrebbe solidarizzato con lui per questa minaccia, e anche per non aver solidarizzato con lui  per le critiche,  sul filo dell’ironia, mista al più evidente sfottò,  che gli sono venute da questo sito.  Poveretto, ancora si illude di essere un piede sopra gli altri e ancora si considera una specie di signorotto per via o del mestiere che esercita o della discendenza  (quale? quella dal brigante D’Urso o dal nonno  calzolaio – nobile mestiere di cui si avverte la mancanza  – ?) di cui mena vanto. Non vogliamo infierire più di tanto, perchè farlo significa sparare sulla Croce Rossa, e a noi, a differenza sua, non ci va di infierire su chi si fa male da solo, anche se, a proposito di inenarribilità, ne avremmo molto da raccontare.  Ma per farlo dovremmo citare fatti e persone la cui memoria ci è cara per metterla in piazza (come ha fatto lui, stoltamente,  con la memoria del padre)  per il solo gusto di sputtanarlo più di quanto non lo sia e non lo abbia fatto da sè.  Anche questa pretesa mancata solidarietà da parte della sua ex maggioranza, ragione invocata per spiegare  la dissociazione, è finita nel grande cesto della ilarità generale allorchè Geronimo sindaco  (il peggio del peggio – stando a ciò che Giamby ha confidato e continua a confidare   a quelli  che aveva osteggiato nel 2009,  nell’intento di averne il sostegno o, almeno, il silenzio – cioè peggio di Gagliardi,  il che per Geronimo  Michele equivale, e davvero ci dispiace per lui,  ad una accusa di pazzia precoce senza l’attenuante della età che, almeno quella,  può invocarsi per Gagliardi….), ha precisato al  Fasano, la cui boccuccia,  a questo punto,  si è ancor più arcuata, che  fu lo stesso Fasano, dandogli notizia della lettera, ad averlo pregato di non diffondere la notizia perchè per ragioni investigative la notizia non doveva essere resa pubblica. Per cui…per cui ci pare che anche in questa vicenda il povero Giamby, che nel frattempo dal ruolo di convinto sostenitore dell’attuale maggioranza  è  passato all’improbabile  ruolo di  patetico apprendista golpista,  così come due anni fa baldanzosamente rivestì quello, ancor meno a lui consono,  del castigatore, ci ha fatto la figura dello sprovveduto, per non usare la espressione milanese che meglio lo identificherebbe. Senza dire che nessuna spiegazione è emersa circa le ragioni della lettera di minaccia, sulle cui origini ci tocca però  fare delle ipotesi.

Siamo propensi ad escludere la pista politica. Intanto perchè Fasano, assessore alla sanità, cioè al nulla,  prima di essere defenestrato, non aveva alcuna rilevanza in fatti amminisitrativi che potrebbero aver scatenato qualche malavitoso, nè è ipotizzabile che la querelle all’interno della maggioranza potrebbe  aver indotto chicchessia a cotanta “fatica” di trovare un proiettile, infilarlo in una busta e spedirla. Allora, esclusa la pista politica, possiamo azzardare tre sole ipotesi.

O si tratta di qualche cliente mal servito, ma, in questo caso, come sa bene Fasano, basta utilizzare la ricusazione, azione che egli conosce bene per averla usata nei confronti di incolpevoli persone con l’arroganza e la cattiveria dei supponenti; o si tratta del marito di qualche cliente di genere femminile, ma siamo portati, per antica cognizione,  ad escludere tassativamente questa ipotesi; resta la terza ipotesi:si tratta della vendetta di qualche cinghiale che stanco di essere vittima dei proiettili di Fasano  cacciatore, ha pensato di rendergli pan per focaccia.  Si, sarà questa, a nostro avviso, l’ipotesi intorno alla quale dovrebbero lavorare, e seriamente,  gli investigatori. E così sia. g.

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P.S.  Chiamati in causa da chi della violenza verbale ha fatto la sola sua arma, specie se senza contraddittorio, e per di più a testa bassa per il solo gusto di ascoltare la propria voce,  ci  pare utile sottolineare due questioni, apparentemente in contraddizione tra loro.

La prima. Accusando altri di essere pazzi, e ovviamente tirandosene fuori,  qualche esperto  ad appendere corone e  a rimuovere  transenne,  si è tolta  per se stesso la possibilità di accedere alla genialità, visto che, secondo un comune sentire ,  talvolta la pazzia è a  confine con la genialità.

La seconda. E’ un vecchio adagio – e di solito gli antichi adagi l’azzeccano sempre -  a ricordare che di solito i buoi dicono cornuti agli asini. Nella fattispecie, poi, si dà il caso che il nostro esperto in  corone e transenne,  del bue non ha solo le abitudini, ma anche una non vaga rassomiglianza. Si soffermi su questo e poi se vuole passi al ruolo di asino. Avendo cura di imparare a ragliare bene, perché anche quella è un’arte. g.

PAPA WOJTYLA BEATO, LA FOLLA GRIDA: SANTO SUBITO

Pubblicato il 1 maggio, 2011 in Costume, Il territorio | No Comments »

Piazza San Pietro invasa dai fedeli

In una Roma straordinariamente inondata di sole, un milione e mezzo di fedeli,  giunti da ogni parte del mondo,  ha  salutato  l’annuncio di Papa Benedetto che iscriveva il nome di Giovanni Paolo II fra i Beati della Chiesa di Roma, con un grido alto e forte, sconvolgente e commovente: SANTO SUBITO, riportandoci tutti con la memoria a quella mattina di poco più di sei anni fa quando nella stessa moltitudine di fedeli che partecipavano alle esequie del Papa, si innalzò un grande striscione con la medesima scritta: SANTO SUBITO.

Una invocazione che ha trovato già una prima risposta,  con la beatificazione di Karol Wojtyla, il Papa venuto dall’Est, travolgendo le procedure lunghe e complesse cui da sempre si attiene la Chiesa  prima di procedere alla beatificazione, prima passo per giungere ad innalzare chiunque  agli onori degli Altari. Per Giovanni Paolo II  sembra che più che la Chiesa,  sia stata la moltitudine di fedeli che  abbia “imposto”  la propria volontà e ne abbia preteso la beatificazione al di là di ogni procedura e prassi.

Ed è giusto così. Papa Wojtyla non è stato solo un grande Papa, non è stato solo un grande innovatore e uno straordinario comunicatore, è stato ed ha significato la rinascita della Chiesa che ha riscoperto il gusto e la volontà di essere se stessa, di riscoprire la sua dedizione alla crociata per la salvezza degli uomini. Ogni momento, ogni atto, ogni azione di Giovanni Paolo II  sono stati dedicati alla lotta contro l’ateismo e il laicismo per riaffermare la grandezza del messaggio divino.  Ogni suo gesto, sopratutto quel suo incessante bisogno di raggiungere gli uomini e le donne del grande gregge di Dio in ogni luogo più remoto del mondo,  hanno rappresentato un grande esempio di umiltà e nello stesso tempo di grandezza morale di un Papa che più di chiunque altri aveva sperimentato su se  stesso il peso della schiavitù ideologica asservita agli interessi di parte.

Non a caso e non per caso,  la più grande battaglia di Wojtyla è stata quella combattuta contro il comunismo delle cui aberrazioni conosceva le conseguenze per averle  conosciute e sperimentate nella sua natia e tanto amata Polonia, la più cattolica delle nazioni dell’Est europeo sotto il giogo sovietico, la prima che ebbe il coraggio  di scontrarsi con il duro regime assolutistico che la governava: coraggio straordinario,  che ebbe in Solidarnosc lo strumento pratico, ma ebbe la sua forza morale e dirompente in Papa Giovanni Paolo II che ne sostenne da lontano ma pur spiritualmente vicino l’azione che doveva sfociare nella caduta,  prima del regime polacco e poi, man mano, nello sbriciolamento del gulag sovietico che imprigionava milioni e milioni di uomini. Anche per questo anche noi,  stamane,  eravamo spritualmente presenti, come tutti gli uomini liberi, nella piazza piena di sole che si ritrovava per celebrare la grandezza di un Papa indimenticabile. Che presto sarà Santo. g.


LA TRUFFA DI CIANCIMINO. ECCO TUTTI I COMPLICI DEL GRANDE IMBROGLIO

Pubblicato il 25 aprile, 2011 in Il territorio | No Comments »

Solo con la voluttà della calunnia, e con il corri­spondente piacere del­la giustizia politica, può spiegarsi l’infame sto­riaccia di Massimo Ciancimi­no e dei suoi bardi. Arrestato per calunnia e truffa pluriag­gravata, il figlio del corleone­se don Vito da quasi tre anni pontificava con il bollo della Procura di Palermo, del suo numero due, il dottor Anto­nio Ingroia, il magistrato che fa comizi in piazza contro le leggi all’esame del parlamen­to, il professionista dell’anti­mafia che ha la libido da con­vegno, da manifesto politico­ideologico, e che usa il suo de­­licatissimo potere d’indagine e di ac­cusa mescolando­lo con un attivismo politico fazioso in forma incompati­bile con la Costitu­zione e la legge del­la Repubblica. (Il caso Lassini, al confronto, fa sor­ridere, e bisognerà pure che Milano torni ad essere una capitale della liber­tà, capace di ribel­larsi contro l’oscurantismo borbonico di una giustizia piegata a servire le traversie della politica politicante. Ca­ro sindaco Moratti, lei fa be­nissimo a impegnarsi per una competizione in cui il vol­to moderato e ragionevole della sua maggioranza emer­ga contro ogni manipolazio­­ne interessata, ma mi aspetto da lei e dalla borghesia colta che la sua maggioranza rap­presenta una parola chiara su una grande questione mi­lanese e nazionale: lo strame che si fa della giustizia). Massimo Ciancimino non è un pentito, non rientra nel­l­a controversa categoria di co­loro che pretendono di aver aiutato a fare giustizia con ri­velazioni in qualche modo ri­scontrate e capaci di mettere in scacco la delinquenza or­ganizzata di tipo mafioso. È invece un teste d’accusa sul­la cui attendibilità, in modi azzardati e avventurosi, alcu­ni Pm diretti da Ingroia han­no fatto la scommessa della loro vita professionale, por­tandolo per mano nel circui­to mediatico-giudiziario, con l’aiuto di Michele Santo­r­o e altri professionisti dell’in­formazione obliqua, insi­nuante, della macchina del fango (come impudentemen­te dicono, per ritagliarla sugli altri), dentro una narrazione calunniosa che ha investito lo Stato, i governanti, la politi­ca e infine il capo e coordina­tor­e dei servizi di si­curezza e di infor­mazione sui quali si fonda la credibi­lità degli apparati della forza e del­l’ordine repubbli­cano. Sotto scorta e as­sistito dai suoi di­rettori spirituali e giudiziari, per me­si e mesi il figlio di don Vito ha infan­gato Berlusconi, presidente del Consiglio; il senatore Del­­l’Utri, uno che sta per pagare con molti anni di galera la tra­sformazione calunniosa del­le sue amicizie controverse in un reato penale da Paese borbonico (concorso ester­no in mafia); Nicola Manci­no, già presidente del Senato e ministro dell’Interno e vice­presidente del Consiglio su­periore della magistratura; Giovanni Conso, giurista e già ministro di Grazia e Giu­stizia; il generale Mario Mori, l’eroe italiano che arrestò il capo della mafia; infine il pre­fetto De Gennaro, per anni ca­po della polizia, un uomo che ha lavorato contro la mafia con Falcone in modi contro­versi ma efficienti, e che ora fa parte, agli occhi dei suoi ne­mici, di un odiato apparato di governo della Repubbli­ca. E molti altri, secondo le convenienze d’occasione. Serve un colpetto al grup­po dei deputati che è entrato a far corpo con la maggioranza politica che gover­na il Paese? Ecco una propalazione pronta sul ministro appena nominato Saverio Romano, da tredici anni sotto in­dagine per mafia e da tenere ancora sul­la graticola anche grazie alle parole va­ghe, generiche ma velenose e insultanti e infanganti del ventriloquo di un padre morto da anni, che fa parlare al cospetto della giustizia i fantasmi della passione politica faziosa, al servizio di chi non si sa, ma per mezzo di quali avalli giudizia­ri e mediatici lo si sa benissimo. Il dottor Ingroia è arrivato alla delicatezza lettera­ria di scrivere la prefazione al libro di ca­lunnie del figlio di don Vito. Se una peri­zia non a­vesse svelato il carattere truffal­dino di questa testimonianza, chissà do­ve sarebbe arrivato il terzetto Ciancimi­no- Ingroia-Santoro. Questo tizio che ora è in carcere per calunnia e truffa, per aver fatto operazi­o­ni di copia e incolla su vecchi documen­ti fotocopiati per incastrare chi-sa-lui con il bollo della giustizia, è già finito a pagina 21 di Repubblica e a pagina 27 del Corriere della sera .L’insabbiamento del caso è già in pieno corso. I giornalisti giudiziari che hanno usato le sue carte false, e accompagnato con la loro opero­sa attività cronistica la scandalosa pro­mozione del suo ruolo di «icona dell’an­timafia », hanno già girato la frittata, prendendoci tutti per rimbecilliti, pri­ma di tutto i lettori dei loro riveriti giorna­li. Secondo loro quell’arresto non dimo­stra l’esistenza di una cospirazione poli­tico­ giudiziaria che si chiama appunto calunnia contro uomini pubblici decisi­vi della nostra vita democratica, no, c’è un puparo ignoto dietro la calunnia e adesso gli stessi magistrati che hanno ac­cudito il pupo dovranno eroicamente dare la caccia al puparo. Un nuovo mi­stero, nuovo fango che avanza, nuova in­giustizia. Ora basta. Se nessuno tra coloro che hanno autorità per farlo si muovesse, se il ministro Alfano, il vicepresidente del Csm Vietti, il capo dello Stato, non sen­tissero il dovere civile di accertare che cosa è accaduto, sotto il travestimento ridicolo dell’obbligatorietà dell’azione penale, se nulla di serio e di liberale e di garantista dovesse accadere nei prossi­mi giorni, l’anarchia già in fase avanzata in cui vive questo Paese straziato da un ventennio di uso politico della giustizia diverrebbe un’esondazione di colpe in­crociate, il fomite di una generale dele­gittimazione. E chi ama la Repubblica non può stare a guardare senza fare nul­la. Ci sono forze ancora grandi e limpide capaci di reagire in modo serio, respon­sabile, equilibrato, trovando le parole giuste per dire lo scandalo più grave, in materia di stato di diritto e di regolare funzionamento delle istituzioni, da vent’anni a questa parte? Quando un magistrato avalla una cospirazione ca­lunniosa contro i capi del governo, i par­lamentari, i generali dei carabinieri, i ca­pi dei servizi segreti, i vicepresidenti del Csm, che cosa si deve fare? Starsene a braccia conserte? Godersi lo spettacolo voluttuoso della calunnia di Stato e aspettare che chi l’ha consentita faccia giustizia? Che cosa aspettiamo a tirare fuori l’articolo 289 del codice penale,«at­tentato a organi costituzionali», che pu­nisce con dieci anni di galera chi cospira contro lo Stato? Giuliano Ferrara, Il Giornale, 25 aprile 2011
……..Ecco un atto di coraggiosa denuncia di una giustizia asservita a scopi poco chiari. Bravo Ferrara, purtroppo però non basta la sua denuncia se la politica e in primo luogo la maggioranza non trova la forza per sottrarsi al politicamente corretto e dica pane al pane e vino al vino. Nella vicenda di Ciancimino, il cui fermo è stato tramutato in arresto, l’unico a parlare è stato l’on. Cicchitto il quale ha dichiarato che l’arresto di Ciancimino da parte della Procura di Palermo,  che per anni, come pure ricorda Ferrara, lo ha usato per delegittimare lo Stato, nasconderebbe l’obiettivo di sottrrarre la gestione del grande calunniatore alla Procura di Caltanissetta e per tentare dei distinguo. Ed infatti il pm palermitano Ingroia, quello dei comizi e dei proclami contro il governo e la maggiorazna che lo sostiene, già ieri si è precipitato a dire che le parole di Ciancimino vanno valutate caso per caso. Alla luce di ciò e della denuncia di Cicchitto, che sembra trovare conferma proprio nelle parole di Ingroia,  il  ministro della Giiustizia si affretti ad assumere le iniziative necessarie, prima che l’arresto di Cinacimino venga usato per altri infamanti tentativi di infangare quelli che nel 1994 impedirono alla occhettiana  macchina da guerra di conquistare il Paese per trasformarlo in un immenso Gulag del terzo millennio. g.

VENDOLA RIPETE: LOMBARDIA MAFIOSA. GLI RISPONDE FORMIGONI: MISERABILE DROGATO

Pubblicato il 25 marzo, 2011 in Il territorio, Politica | No Comments »

Milano – Questa volta Formigoni non le manda a dire e risponde a stretto giro di posta. La frase che non è andata giù al numero uno del Pirellone è pesante: “La Lombardia è la regione più mafiosa d’Italia”. La risposta di Formigoni è una mitragliata: “Vendola è un miserabile, lo sapevamo e lo conferma, fra l’altro ripete le stesse parole che ha detto venti giorni fa, quindi probabilmente è sotto effetto di qualche sostanza”.

E poi va giù ancora più pesantemente tirando fuori i guai giudiziari della giunta pugliese e l’affaire Tedesco: “Risponda Vendola come mai adesso non è in galera poi potrà dire qualcosa di una regione, la Lombardia, che è l’esempio per la sanità per tutti”. “Piuttosto che dire sciocchezze, Vendola risponda alla domanda che gli pongo da oltre un mese: come mai il suo ex assessore Tedesco, che non è stato messo in galera soltanto perchè il Pd lo ha fatto senatore, ha detto con chiarezza che gli stessi reati commessi da lui li ha commessi Vendola? Dunque due pesi e due misure? Risponda Vendola: come mai adesso non è in galera?”

L’ultima sparata di Vendola: “La Lombardia è la regione più mafiosa d’Italia”. Nel mirino del leader di Sel c’è la sanità: “Non abbiamo avuto la fortuna -dice Vendola- di vedere sui tg nazionali i volti di Letizia Moratti e di Roberto Formigoni associati alle vicende della cronaca giudiziaria che racconta quale sia il livello di pervasività dell’organizzazione ’ndranghetista che nella regione controlla le Asl, che ha i boss che organizzano le riunioni negli ospedali e che ha un circuito di appalti che ruota attorno a tutte le pubbliche amministrazioni di questa regione. Sarebbe interessante – conclude – affrontare questo nodo”. Il Giornale, 25 marzo 2011