IL BINOCOLO ROVESCIATO, di Luciano Fontana

Pubblicato il 7 aprile, 2013 in Politica | Nessun commento »

Immaginiamo per un momento di vivere in un Paese con una classe politica seria, preoccupata delle difficoltà che ci tormentano da un tempo ormai lunghissimo. Questa classe politica avrebbe preso atto immediatamente che dalle urne del 24 febbraio non era uscito un vincitore capace di formare subito un governo e che il vero trionfatore (il movimento di Grillo) non aveva alcuna intenzione di fare accordi con gli altri partiti. Avrebbe imboccato la strada faticosa del dialogo tra le altre forze politiche (sinistra, centrodestra e montiani) per un’intesa che mettesse da parte le ostilità e la propaganda. Un accordo con pochi punti di programma per tirare fuori l’Italia dalla crisi. Non è impossibile, è successo in Paesi come la Germania e l’Olanda che hanno avuto leader politici consapevoli del proprio ruolo. Un mese e mezzo è invece passato da quel voto e nulla è accaduto. Siamo nel pieno di una commedia all’italiana che una volta divertiva e ora solo preoccupa l’opinione pubblica.

Un numero incredibile di giorni è stato perso da Pier Luigi Bersani nell’ostinato tentativo di convincere qualche parlamentare grillino a dargli il via libera in Parlamento. Tra le pagine più umilianti della sinistra italiana resterà certamente l’incontro con i due capigruppo del Movimento 5 Stelle, con la supplica a trovare un accordo respinta con supponenza. Bersani è tornato a mani vuote dal capo dello Stato, il suo preincarico è svanito. Si è ritirato in un silenzio misterioso ma il suo circolo magico non trova di meglio da fare che alimentare una guerra fratricida con Matteo Renzi, l’unico leader in cui gli elettori della sinistra sembrano conservare ancora fiducia.

Lo spettacolo offerto dal movimento grillino e dal suo leader è per alcuni aspetti ancora più preoccupante. Dalla messa in scena dell’«uomo mascherato» (l’ex comico che si traveste per sfuggire ai giornalisti) alle continue minacce di espulsione per chi ha un’opinione diversa da Grillo e Casaleggio. Dalle prestazioni parlamentari in stile «dilettanti allo sbaraglio» alle scampagnate con il trolley per destinazioni sconosciute dove ricevere il verbo del capo. Il voto di protesta degli italiani che hanno scelto M5S meritava tutto questo?

Di quello che resta dell’alleanza centrista c’è poco da dire: tanta litigiosità interna e scarsa rilevanza. Il Pdl infine, anzi Silvio Berlusconi, perché del partito si sono perse le tracce. Dal suo ritiro di Arcore arrivano segnali contraddittori: un giorno si suona la carica del ritorno al voto, un altro si chiede a un Pd riluttante di garantire l’elezione di un presidente della Repubblica espressione dei moderati e la formazione di un governo di larga coalizione.

Per non farci mancare nulla abbiamo anche avuto saggi che non dimostrano un briciolo di saggezza, parlando a ruota libera. La scena politica è sempre più dominata dai blitz telefonici della dissacrante trasmissione radiofonica La Zanzara e dalle imitazioni di Crozza.

Restano poco più di dieci giorni per mettere fine al più incredibile dopo voto della storia repubblicana. I partiti e i loro leader possono ancora dimostrare che sono in grado di trovare un’intesa sul nome del nuovo capo dello Stato, che sarà eletto dal 18 aprile. Una personalità che rappresenti l’unità nazionale e sia dotata di forza politica e credibilità internazionale. Una scelta unitaria che può aprire la strada a un governo che si concentri sull’emergenza economica e sociale, realizzi finalmente le riforme per la moralizzazione della politica e dei suoi costi, vari una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini il potere di scegliere i parlamentari e l’esecutivo.

Lo chiamino come vogliono: governo di larghe intese, di scopo, istituzionale, di tregua. La cosa importante è che definisca un programma limitato ma incisivo e che abbia la durata sufficiente per realizzarlo. Alle domande contenute nel voto di protesta non si risponde scimmiottando o inseguendo gli umori alterni dei nuovi eletti a Cinque Stelle ma mettendo in campo misure efficaci per aiutare le imprese che chiudono e gli italiani che perdono il posto di lavoro. Senza ostilità preconcette e complessi di superiorità di cui non si sente davvero il bisogno. da Il Corriere della Sera, 7 aprile 2013

GITA E FUSIONE, FLAIANO DOCET

Pubblicato il 6 aprile, 2013 in Il territorio | Nessun commento »

Un numero, 52%, dovrebbe farci riflettere più delle parole. Le tasse sono arrivate al 52% del Pil, un record assoluto per l’Italia e nell’Europa. A un anno dal decreto «Salva-Italia», di montiana memoria, di crescita non c’è traccia mentre di lacrime e sangue per il nostro Paese non c’è fine: aumentano le tasse, le aziende chiudono e gli imprenditori e i disoccupati si suicidano. A metterci una «pezza» ci pensa questa mattina il Consiglio dei ministri che darà il via al decreto che sbloccherà circa 40 miliardi, dei 100 di debito, delle pubbliche amministrazioni verso le aziende. Gli enti locali in difficoltà nei pagamenti ai creditori per crisi di liquidità potranno chiedere un anticipo alla Cassa depositi e prestiti. Con questi «problemini» di sopravvivenza, i nostri politici che fanno?

Berlusconi chiede un governo stabile e rassicura: «Il voto non è la nostra prima opzione». Grillo, invece, fa la gita (segreta) fuori porta per «rieducare» i dissidenti, quelli che non dicono no ad un dialogo con il Pd. Molti dei ribelli però hanno disertato il pranzo anche se il comico genovese ha ribadito: «Inciucio Pd-Pdl, la gente prenderà i bastoni». E mentre i grillini vanno in pullman la sinistra arriva al bivio litigando pure sui titoli dell’Unità. Renzi, dopo l’attacco per niente velato alla strategia di Bersani, esclude di fare una sua lista che valichi i confini tra destra e sinistra, ma intanto c’è chi tra i «giovani turchi» pensa a un matrimonio con Sel. A Vendola non dispiacerebbe un ritorno all’antico ma non una fusione a freddo.

Ecco, gli strateghi dei partiti, i maghi del tatticismo, in che Paese vivono? Aveva proprio ragione Flaiano: «La situazione politica in Italia è grave, ma non è seria». Sarina Biraghi, Il Tempo, 6 aprile 2013

……Flaiano diceva anche che “gli italiani tengono famiglia” e aggiungeva, sarcastico, che “gli italiani salgono sempre sul carro dei vincitori”. In questi tre aforismi dell’indimenticabile Flaiano si può circocrivere la storia recente del nostro sfortunato Paese. I tatticismi cui fa cenno il direttore de Il Tempo sono tutti finalizzati a difendere la “famiglia”, prima di tutto quella di sangue e poi, se avanza, anche quella politica, pronti, alla bisogna,  a “saltare sul carro dei vincitori”,  tanto sebbene  “il momento è grave, in fondo non è poi tanto serio” , perchè, in fondo, cosa vuoi che siano un suicidio l’altro ieri, tre ieri, e magari un altro paio domani? In Italia siamo una sessantina di milioni: uno, tre, cinque o anche cinquecento che si tolgono la vita, la percentuale è estremamente risibile e ci può stare. Quest’ultimo non è un aforisma di Flaiano ma il pensiero neanche tanto recondito di una classe politica sempre più lontana dalla gente e sempre più referente solo di stessa. Sino alla indifferenza di fronte alle tragedie che non riguarda i singoli, ma  sempre più diventa tragedia di un popolo, il nostro. g.

BERLUSCONI A BARI SABATO 13 APRILE

Pubblicato il 5 aprile, 2013 in Politica | Nessun commento »

Forzasilvio.it

Cari Amici,

come ho annunciato in Piazza del Popolo, la nostra mobilitazione nelle piazze, nelle istituzioni e nei media continua.
Sabato 13 aprile ci ritroveremo a Bari, alle 16, in Piazza della Libertà. Sarà una nuova occasione di incontro tra noi che ci darà la possibilità di far sentire la nostra voce a ridosso dell’inizio delle votazioni parlamentari per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

La nostra posizione è chiara e nota a tutti. La prima preoccupazione è per lo stato dell’economia, per le imprese, per i lavoratori in difficoltà e per le famiglie. Per prendere le misure necessarie e urgenti per uscire da una austerità rovinosa e per far capire in Europa e ai mercati che l’Italia c’è, abbiamo dichiarato di essere disponibili a far nascere un governo di coalizione guidato da un rappresentante del Partito Democratico.

Abbiamo anche sostenuto con forza che, di fronte alla tripartizione paritaria dei voti uscita dalle elezioni, è impensabile che la sinistra si appropri di tutte le cariche istituzionali. Anche in questo caso ci siamo resi disponibili ad una scelta comune, perché il Presidente della Repubblica deve rappresentare un fattore di unità e di garanzia per tutti e non un ulteriore elemento di divisione.

Gli elettori mostrano di apprezzare la nostra proposta, al punto tale che se si rivotasse saremmo in grado, secondo gli ultimi sondaggi, di prevalere sia alla Camera che al Senato. Ciononostante il ricorso alle urne entro giugno non rappresenta la nostra prima scelta perché noi sappiamo bene che la cosa più urgente è far uscire il Paese dalla crisi nel tempo più breve possibile. Noi riteniamo quindi prioritario ed anzi, indispensabile, dare vita subito a un governo stabile e forte. Soltanto se il Partito Democratico dirà “no” a questa soluzione, si dovrà ricorrere alle elezioni anticipate.

Insisterò su questo e su molto altro sabato 13 aprile a Bari, in quella piazza dove siamo già stati e che mi è cara anche per il suo nome: Piazza della Libertà!

Non chiedo nulla per me, nè ruoli istituzionali nè ruoli di governo. Chiedo solo di poter continuare a svolgere il compito che mi è stato affidato ancora una volta dai nostri elettori e cioè quello di tenere unito il centro-destra e di contribuire a far uscire il nostro Paese da questa crisi che è la più grave dal dopoguerra ad oggi.

Silvio Berlusconi

LA RIMOZIONE DEL “CAIMANO”

Pubblicato il 4 aprile, 2013 in Politica | Nessun commento »

L’altra sera ad Arcore, circondato dai suoi uomini, il Cavaliere ha invertito l’ordine dei fattori e ha reimpostato, ancora una volta, la tattica dei timidi negoziati con il Pd e con Pier Luigi Bersani. “E’ dal governo che si deve partire”, ha detto Berlusconi preoccupato, “il presidente della Repubblica viene dopo”. E dietro questa novità improvvisa, che ribalta la pur debole strategia adottata fino a ieri, s’indovina un sentimento di inquietudine o forse un’epifania, una rivelazione, la terribile certezza di avere sbagliato a insistere perché prima di tutto si discutesse di chi debba andare a fare il capo dello stato. Insomma il Cavaliere e la sua corte ora hanno l’impressione fondata di essere intrappolati in una meccanica perversa che comunque vada esclude Berlusconi dalla scelta del prossimo presidente della Repubblica per consegnarlo inerme a quella tenaglia politico-giudiziaria che secondo l’avvocato Niccolò Ghedini si stringe “nel giro di qualche mese”. Tra il 20 e il 21 aprile si conclude il processo Ruby con la possibile condanna per prostituzione minorile, poi arriva il turno del processo d’Appello per frode fiscale a Milano e infine, tra settembre e dicembre, la sentenza di Cassazione a Roma sul caso Mediaset.

“Vogliono stapparlo come una bottiglia di champagne”, dice Fabrizio Cicchitto, che da vecchio socialista craxiano ha una certa esperienza in tema di martirio politico e giudiziario. “Tuttavia – dice l’ex capogruppo del Pdl alla Camera – perché lo schema sanguinolento si chiuda, perché sia conclamato il caso psichiatrico di questa sinistra fuori controllo, ci vuole prima un nuovo presidente della Repubblica incline alla pulizia etnica, alla rimozione fisica del puzzone di Arcore”. Così Antonio Polito, l’editorialista del Corriere della Sera, vede una specie di “progetto di ingegneria istituzionale” per la decapitazione del centrodestra “che, eliminato Berlusconi, potrà anche sopravvivere, avere una sua dignità, essere riconosciuto e accettato. Ma prima bisogna fare fuori Berlusconi”. E il Pd – spiega Polito – “è come se si fosse messo in trappola, perché le sue azioni, anche involontarie, portano a questo esito cruento. Bersani ha interpretato le ultime elezioni come un enorme spostamento a sinistra del suo elettorato, per lui è stato come se il Pd fosse stato punito nelle urne per essersi mostrato tiepido con Berlusconi, per aver governato nella strana maggioranza che sosteneva Monti. Nel Pd adesso pensano che il loro elettorato voglia soprattutto chiudere i conti per sempre con Berlusconi, che Beppe Grillo sia un fenomeno di sinistra, una roba loro, ma non è così, gli italiani vogliono soprattutto stabilità al governo e riforme”. Martedì sera, a “Porta a Porta”, l’ex capogruppo del Pd Dario Franceschini lo ha praticamente ammesso, lui che al Quirinale vorrebbe un democristiano selvatico e morbido come Franco Marini: “Abbiamo sbagliato, abbiamo coltivato la presunzione di poterci scegliere l’avversario”. Come dire: un peccato ideologico che oggi stiamo perpetuando.

La meccanica che descrive Polito è quella scivolosa del grillage giudiziario del Cavaliere, quella che porta all’inseguimento maldestro del Movimento cinque stelle, all’abbraccio non ricambiato con Grillo, e infine, dunque, all’individuazione di una larga, larghissima, maggioranza per portare al Quirinale l’esecutore, o meglio, come si usa dire in questi giorni, il “facilitatore” della sentenza berlusconicida: Romano Prodi, o forse i professori Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà o comunque un profilo simile, un presidente della Repubblica, e capo del Csm, “incline al massacro”, come dice la ruvida e appassionata Daniela Santanchè, o come dice invece Alessandro Gilioli, la firma dell’Espresso, giornalista integralmente antiberlusconiano: “Una figura diversa da D’Alema, da Violante o da Napolitano stesso. Un presidente che non coltivi più rapporti ambigui con il Caimano”. Dunque se adesso Grillo non sbaglia tutto – cosa possibile, visto che i candidati del Movimento 5 stelle al Quirinale sono Imposimato, Boccassini e Settis cioè persone che persino il Pd potrebbe non votare – la strada è spianata. E Gilioli spiega cosa significa avere Zagrebelsky o Rodotà al Quirinale: “E’ l’occasione storica per mettere fine a un vulnus ventennale della democrazia, a Berlusconi. A quella che proprio Zagrebelsky chiamò profeticamente nel 1994 – nel libro ‘I misteri di Forza Italia’ – ‘la formula del potere perpetuo, aggiungendo queste parole: ‘Se questo progetto andrà in porto sarà per l’acquiescenza e la cecità degli altri’”. Insomma per sconfiggere Berlusconi “non c’è bisogno della Boccassini. Basta Zagrebelsky. A scrutinio segreto è molto probabile che trenta o quaranta deputati di Grillo lo votino”. Salvatore Merlo, Il Foglio quotidiano, 4 aprile 2013

……………Questa la strategia dei nemici giurati di Berlusconi ma più ampiamente della nostra  democrazia,  che si vuole trasformare, in barba alla storia recente e ai valori perenni della democrazia senza aggettivi, in democrazia popolare. Nella quale ogni dissenso veniva stroncato e ogni dissidente conosceva la strada dell’ostracismo, della persecuzione,  del gulag, prima morale poi materiale. Riusciranno gli ultimi epigoni di un totalitarismo di stampo bolscevico,  sconfitto dalla storia e dal Cavaliere religioso, Papa Giovanni Poalo II, che impugnò la spada della resurrezione dei popoli dell’est, a resuscitarlo attraverso la sconfitta, o, peggio, la “morte” del Cavaliere laico Silvio Berlusconi? Tutto dipenderà dalla capacità di quanti, pur all’interno del PD, sopratutto gli ex democristiani che qualcosa del passato avranno conservato ma anche gli ex o post comunisti che dalla caduta dell’impero del male anche loro qualcosa hanno appreso,   riusciranno ad impedire che questo obiettivo venga colto. Nel nome della libertà, innazitutto. g.

LA GIOSTRA INCEPPATA

Pubblicato il 2 aprile, 2013 in Politica | Nessun commento »

Un manipolo di saggi in un mare di non saggezza potrà fare ben poco. Neanche il clima pasquale è riuscito a spegnere la rissosità e i contrasti nei partiti politici che, diciamolo chiaramente, sono gli unici responsabili di questa situazione. Bersani si è intestardito a voler formare il governo, senza numeri e con il veto nei confronti di Berlusconi. Il Cavaliere, più comprensibilmente, ha cercato di massimizzare la sua posizione entrando nella maggioranza o tornando alle urne. Grillo, come da copione del suo Movimento, ha scommesso sul caos.

Il presidente Napolitano, all’epilogo del settennato, si è ritrovato a gestire una crisi politica ingestibile malgrado il tentativo di moral suasion dopo le consultazioni al limite del ridicolo intraprese dal segretario Pd che avrebbe ascoltato anche la bocciofila di Bettola, essendo introvabile la casalinga di Voghera. E allora, per arrivare al fatidico 15 maggio, ecco il coniglio dal cilindro quirinalesco: una commissione (in emergenza, l’escamotage più italiano che ci sia) di saggi scelti secondo il mai superato manuale Cencelli con compito ricognitivo e limiti temporali.

Ma il lunedì dell’Angelo è servito per mettere il «pantheon dei saggi» che, ricordiamo, non comprende donne (solitamente frivole e incapaci?), nel tritacarne dei partiti. Berlusconi tace, ma Alfano torna a chiedere a Napolitano poiché «la casa brucia», nuove consultazioni e voto subito; per Grillo l’idea è un errore e definisce il team «le badanti della democrazia»; Bersani non pervenuto (in compenso parla il fratello: «Pier Luigi diventerà premier in un’altra vita») ma fa un’apertura Franceschini dicendo che il Pd «deve togliersi un po’ d’aria di superiorità e parlare con Pdl e Lega». Come dire, confronto o larghe intese non sono necessariamente sinonimo di «inciucio, ma semplicemente di governabilità, necessaria di fronte l’emergenza sociale di un Paese schiacciato dalla crisi su cui stanno per abbattersi Iva, Tares e Imu.

E mentre la Merkel non tradisce il percorso termale di Ischia, lo Spiegel ci dà lezione scrivendo che «la classe politica italiana ha perduto la capacità del compromesso, elemento centrale di ogni democrazia» ovvero, «l’intera classe politica è in bancarotta e devono intervenire dieci anziani signori». Per favore, fateci scendere da questo carosello. Sarina Biraghi, Il Tempo, 2 aprile 2013

IL “CALIFFO” NON CI INCANTERA’ PIU’

Pubblicato il 31 marzo, 2013 in Costume, Cronaca | Nessun commento »

Franco Califano è morto ieri nella sua casa ad Aci­lia in seguito a una crisi respiratoria. Era nato a Tripoli, il 14 settembre del 1938.

Cantante, ma anche attore, scrittore e personaggio tv, il «Calif­fo » è stato autore di molti brani di successo. Era malato da tempo ma solo pochi giorni fa, il 18 mar­zo, si era esibito al Teatro Sistina di Roma.Con lui scompare a 75 anni il musicista romano dopo una vita davvero spericolata: piena di successi ma anche di momenti durissimi

C’era, certo che c’era un filo diretto tra la sua voce e quelle pa­role, intense, robuste eppure po­etiche, mai usate per caso e sem­pre nel posto giusto, nella canzo­ne giusta. Gli veniva così, a Fran­co Califano. I suoi toni e il roboa­re dei bassi le vestivano poi con un taglio sartoriale, neppure una piega. Ciao Maestro.
Avete mai sentito Tutto il resto è noia cantata da un altro? È paro­distica, quasi.C’è quel verso,«la barba fatta con maggiore cura», attenzione: «maggiore» e non «maggior»,che non poteva esse­re che suo. Popolano ma aristo­cratico. Agghindato a festa ma per un giorno qualunque. Aveva quel dono, Franco Califano, lo swing che ti porta fino all’aggetti­vo perfetto, alla metafora, all’al­lusione che spiega tutto ma nep­pure lui sapeva spiegarsi come facesse. «Me vengono» sorride­va, e così diceva anche dei suoi sonetti d’amore e di sesso. Oggi che non c’è più,morto da solo in casa, proprio lui che la apriva sempre agli amici, sarà un tem­porale di retorica sul grande au­tore che tutti diranno di aver sempre adorato.
In realtà non è così, e lui lo sa­peva benissimo, se ne rammari­cava, tra sé e sé si chiedeva come mai, ma com’è possibile. Ha scritto testi favolosi che si sono persi nel vuoto, e persino nel suo debutto, lo sconquassato singo­lo Ti raggiungerò del 1965, c’è il guizzo del talento che poi il di­sco L’evidenza dell’autunno ,
1973, aveva spiegato canzone dopo canzone, ammutolendo chi non s’aspettava che questo borgataro alto e spaccone, bello come Marlon Brando e vizioso come Steve McQueen, sapesse anche scrivere versi non eversivi né utopici ma semplicemente poetici, innamorati del bello e non di loro stessi. Mai autorefe­renziale, altro che, il Califfo. «Mi piace scrivere per altri, perché mi siedo lì, mi immagino di esser loro e però di parlare con il mio cuore».
Ha composto Minuetto , capo­lavoro. E ha firmato con Mino Reitano Una ragione di più , uno dei brani più belli, struggenti e passionali della nostra canzone d’autore, spesso sottovalutato perché orfano di impegno politi­co o­di visionarietà ideale ma fra­goroso e italianissimo nella co­struzione e nello sviluppo. An­che per questo Califano, che non ha mai dominato le classifi­che né riempito gli stadi, è diven­tato così popolare, amato, imita­to e parodiato fino alla noia. Se gi­rava per Roma, era realmente il Califfo. Bastava che prendesse la sua spider,e una volta l’ha fat­to anche con me dal centro fino a Fiumicino, e chiunque lo ricono­scesse gli sorrideva, si spostava, lo salutava manco fosse il vicino di casa che gli era andata bene.
Intanto, non sempre gli era an­data così bene. Finché erano i de­ragliamenti d’amore, pazienza, magari faceva arrabbiare qual­cuno ma poi basta. Ma nel 1970, quando finì nei guai nella vicen­da di Walter Chiari per possesso di stupefacenti, e nel 1983 sconfi­nò nel caso Tortora per droga e possesso d’armi, fu sempre as­solto con formula piena dalla corte ma comunque condanna­to dai cortigiani a esser sempre quello lì, quello ai confini, quasi un personaggio da commedia al­l’italiana. «Lo so, ma me ne im­porta poco» diceva. E poi lui era così, soffriva ma non lo ammette­va manco a pagarlo. Anzi: prima di uscire da Regina Coeli trascor­se le ore d’aria della vigilia sem­pre al sole, «così quando mi ve­dono abbronzato capiscono che sto bene e non sono battu­to ».
Già. E sorrideva fuori dalla por­ta, come sorrideva quel giorno. «Dimenticai di colpo un passato folle in un tempo piccolo» scris­se anni dopo in un altro capola­voro come Tempo piccolo , che ha un verso che lo spiega tutto, questo Califano nobile borgata­ro: «Dipinsi l’anima su tela ano­nima e mescolai la vodka con l’acqua tonica».In fondo,che an­dasse al Festival di Sanremo o a Music Farm o che fosse sul palco del Sistina di Roma come pochi giorni fa per l’ultima volta,Califa­no si dipingeva sempre su tela anonima, nel disperato e dolce bisogno di aiuto che ti impone la solitudine quando scopri che è l’unica fidanzata che riesci a non tradire. ……Ci accompagnato, come nessun  altro,   nella nostra giovinezza. Continueremo ad ascoltarlo,  commuovendoci, come sempre.

IL GOLPE DI NAPOLITANO, L’ULTIMO RE DI ROMA di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 31 marzo, 2013 in Politica | Nessun commento »

Il presidente Napolita­no ha deciso di non decidere. Non un nuo­vo incarico, non la conferma di quello dato giorni fa a Bersani, non le di­mi­ssioni ventilate nelle ulti­me ore.

Non avremo quindi un nuovo governo, né tor­neremo a votare. In com­penso due commissioni composte da presunti saggi incaricati da Napolitano stesso tenteranno di sbro­gliare la matassa. Cioè il nul­la assoluto, ben sapendo che in Italia le commissioni si insediano quando si vuo­le prendere tempo invece che risolvere il problema. Ma non solo. Detto con ri­spetto, il Quirinale non ce la dice giusta, né tutta. Per questo ci poniamo qualche domanda. 1) Napolitano l’altra sera aveva lasciato intendere che in mancanza di soluzio­ne si sarebbe dimesso per accelerare la nomina del suo successore, non poten­do lui sciogliere le Camere in scadenza di mandato. Perché nella notte ha cam­biato idea, allontanando co­sì il voto? E con chi si è consi­gliato? Forse le stesse «enti­tà » che lo spinsero, nel no­vembre del 2011, al blitz che insediò Monti e il gover­no dei tecnici pur di sbarra­re la strada sia a Berlusconi sia alle elezioni anticipate? 2) Come mai il custode della Costituzione ha fatto una scelta senza preceden­ti e palesemente incostitu­zionale come quella di dare il mandato esplorativo a due commissioni? E per­ché permette a un governo, quello di Monti, di restare in carica e operare senza aver avuto la fiducia del nuovo Parlamento? La co­sa non sta in piedi da qua­lunque parte la si giri.
3) Grillo ha teorizzato che si può governare senza go­verno (dove non vuole né può entrare) perché basta il Parlamento (dove lui è deci­sivo). È un caso che questa operazione lo accontenti?
4) Ed è ancora un caso che a trarre enorme vantag­gi­o da questa melina sia so­lo il Pd, sconfitto prima nel­le urne e poi dall­a sciagura­ta scelta di Bersani di esclu­dere il Pdl? La sinistra era in­fatti con le spalle al muro: o elezioni o accordo con Ber­lusconi. Napolitano le ha spianato la via d’uscita e concesso il tempo per rior­ganizzarsi. Più in là saran­no eventuali elezioni, più è possibile per il Pd rottama­re definitivamente Bersani e schierare Renzi, avversa­ri­o ben più ostico per il cen­trodestra.
5 ) Come mai a Bersani non è stato ritirato il manda­to esplorativo ch­e gli era sta­to affidato la scorsa settima­na? Strano, no?
6) Sta di fatto che l’amico (di Napolitano) Mario Mon­ti potrà continuare a con­trollare indisturbato le leve economiche del Paese in mesi complicati e decisivi. Non è che per caso la Ger­man­ia e le centrali finanzia­rie e bancarie internaziona­li, che con Monti si trovano benissimo, abbiano chie­sto a qualcuno garanzie in tal senso?
7) Insomma, chi coman­da in questo Paese? C’è più che qualcosa di losco in que­sta operazione. Sa di golpe, di un tentativo per congela­re gli inaspettati otto milio­ni di voti raccolti dal centro­destra e imbrigliare la vo­lontà popolare. Non c’è da fidarsi. Alessandro Sallusti, 31 marzo 2013

……Cosicchè non siamo stati gli unici a sobbalzare sulla sedia nell’ascoltare le decisioni di Napolitano dopo la constatazione che Bersani non aveva i numeri per fare il governo, cioè la nomina di una decina di persone, chiamati enfaticamnete  “saggi”  con il compito di mettere d’accordo quelli che non si sono messi d’accordo sinora. Peggio è stato apprendere i nomi dei saggi. Brave persone, come una decina di milioni in Italia, uno più,  uno meno. I quali dovrebbero mettere su o giù sulla carta  ciò che da una decina d’anni non riesce ai partiti di cui tutti o quasi  questi cosiddetti saggi sono espressione: una nuova legge lettorale che piaccia a tutti, interventi urgenti in materia economica e per la crescita  condivisi tutti, rimodulaziine dell’IMU che piaccia  a tutti, etc, etc. Da ridere. Senza tralasciare che tra i cosiddetti saggi incaricati di trovare la “quadra” su questo pò pò di problemi c’è anche il presidente dell’ISTAT, il prof. Giovannini, lo stesso che incaricato di analizzare e confrontare le indennità dei parlamentari di tutta Europa al fine di omologare le indennità dei parlamentari italiani alla media europea, dopo una decina di mesi di indubitabile indefesso lavoro gettò la spugna dichiarandosi incapace di espletare il lavoro non riuscendo a districarsi nella giungla delle indennità parlamentari europee. Ovviamente le indennità dei nostri parlamentari, salvo la ridicola riduzione di 500/600 euro sono rimaste inalterate e, diciamolo, salvaguardate. Per carità. Non dubitiamo che il prof. Guiovannini ce l’avà messa tutta ma il risultato è quello: abbandono. Ora in sette/10 giorni, lui e gli altri, dovebbero riuscire lì dove da anni non si riesce a cavare una ragno dal buco? Barzellette. La verità è che Napolitano ha solo preso e perso  tempo. Incoronandosi nuovo e ultimo re di Roma. g.

ABBIATE PIETA’, di Antonio Polito

Pubblicato il 30 marzo, 2013 in Politica | Nessun commento »

Il Venerdì Santo di quindici anni fa, nel gelo del Castello di Stormont a Belfast, le due fazioni irlandesi che si erano combattute per trent’anni e tremila morti fecero pace. Alla trattativa erano presenti uomini che, dal versante cattolico e da quello protestante, avevano guidato milizie armate e avevano personalmente ordinato uccisioni e stragi degli avversari. Eppure ne nacque un governo comune dell’Irlanda del Nord.

Nel Venerdì Santo del 2013 i partiti italiani, che non escono da una guerra civile e che dovrebbero avere nel loro Dna l’attitudine al compromesso su cui si basano le democrazie, non sono stati capaci di dire di sì al presidente Napolitano e di dar vita a un governo. Non c’è neanche un punto di contatto fra i tre maggiori partiti: Grillo non vuole fare niente, Berlusconi vuole fare solo un governissimo impossibile perché il Pd lo rifiuta, e il Pd accetterebbe solo un governicchio dopo il fallimento di Bersani.

La gravità della crisi che sta sconvolgendo la Repubblica è tutta qui. La legge elettorale non riesce più a dare una maggioranza al Parlamento. Il Parlamento non riesce più a dare un governo al Paese. Il presidente è chiamato costantemente a riempire i vuoti di una democrazia parlamentare che ormai cammina come un ubriaco sull’orlo della Costituzione. E meno male che si tratta di Giorgio Napolitano, uomo di cui nessuno, né Berlusconi che sette anni fa si rifiutò di votarlo, né Grillo che appena qualche mese fa lo insolentiva, osa più negare l’imparzialità e il senso patriottico.

Però neanche Napolitano può più fare miracoli. È in scadenza di mandato. Non dispone dell’arma dello scioglimento anticipato. Non può forzare la mano ai partiti costringendoli a un governo del presidente, perché tra qualche settimana il presidente sarà un altro.

Stavolta solo un accordo tra i partiti può risolvere il rebus. Solo se c’è un compromesso, Napolitano può dargli un nome e una forma. Se non ci sarà, se nessuno mollerà neanche un po’ delle sue ambizioni elettorali, personali o processuali, i partiti aggraveranno la crisi di sistema fino a coinvolgervi la Presidenza stessa, costringendo quella attuale a rinunciare anzitempo al mandato. Sarebbe una scelta drammatica, più un atto di accusa che un atto di dimissione, soprattutto da parte di un uomo come Napolitano che al servizio delle istituzioni non ha mai rinunciato. E sarebbe un parto prematuro della Presidenza futura, esposta al rischio di nascere con la tara di una scelta partigiana che contrasta con la lettera e lo spirito della Costituzione.

Nella lunga notte della politica italiana che dura da due settennati, solo il Quirinale è finora uscito miracolosamente indenne dall’incendio delle istituzioni. Coloro che abbiamo eletto stanno per appiccare il fuoco anche all’ultimo Colle della Repubblica? Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 30 marzo 2013

.…….Non è un grido di dolore nè una invocazione quella di Polito, ex senatore del PD e per questo ancor più credibile in quwesta sua esortazione. Che  è  un imperativo per quanti in queste ore hanno nelle mani il futuro del nostro Paese, dal quale non possono e  non debbono disertare. Anche se sono capaci di farlo.g.

IL BERSAGLIO IMMOBILE, OVVERO UN PAESE ALLO SBARAGLIO

Pubblicato il 28 marzo, 2013 in Politica | Nessun commento »

Ho fatto un sogno. Bersani torna al Colle (meglio tardi che mai) e ci torna a mani vuote. Senza un «sostegno parlamentare certo» al proprio tentativo, come gli aveva invece chiesto il presidente. Sicché quest’ultimo lo accompagna alla porta, sia pure con rammarico; e si prepara a sparare un secondo colpo di fucile. Subito, perché di gran consulti ne abbiamo visti troppi, e perché di tempo non ce n’è. Dunque Napolitano individua un nuovo vate, ma nel mio sogno pure lui incespica sui veti, pure lui torna al Quirinale senza voti.

Perciò arriviamo più o meno al 5 aprile, quando mancano quaranta giorni all’insediamento del prossimo capo dello Stato. Ma intanto il vecchio presidente non ha più cartucce da sparare, né tantomeno può usare l’arma atomica, lo scioglimento anticipato delle Camere. Non può perché è in semestre bianco; il colpo di grazia, semmai, spetterà al suo successore. E nel frattempo? Stallo totale, blocco senza vie di sblocco. I partiti si danno addosso l’uno all’altro, mentre i mercati infuriano, le cancellerie s’allertano, le imprese fuggono, i disoccupati crescono, le piazze rumoreggiano. L’Italia si trasforma in un bersaglio mobile (anzi no, immobile). Il mio sogno si trasforma in incubo.

No, quaranta giorni così non li possiamo proprio vivere. Sarebbe da pazzi, un suicidio nazionale. Ma sta di fatto che il seme della follia ha ormai attecchito nella nostra vita pubblica. Il Pdl accetta patti col Pd se quest’ultimo patteggia il Quirinale: lo scambio dei presidenti. A sua volta, Bersani inaugura una singolare forma di consultazioni: le consultazioni al singolare. Ossia con singoli individui (Saviano, Ciotti, De Rita), oltre che con il Club alpino e il Wwf. Nel frattempo il suo partito discetta sull’ineleggibilità di un uomo politico (Silvio Berlusconi) già eletto per sei volte. La minuscola pattuglia di Monti viene dilaniata da lotte intestine: la scissione dell’atomo. Il Movimento 5 Stelle disdegna tutti i partiti rappresentati in Parlamento: l’onanismo democratico. E per sovrapprezzo il ministro dimissionario d’un governo dimissionario (Terzi) si dimette in diretta tv: le dimissioni al cubo.

Come ci siamo ridotti in questa condizione? Quale dottor Stranamore ha brevettato il virus che ci sta contagiando? Perché il guaio non è più tanto d’essere un Paese acefalo, senza un governo sulla testa. No, la nostra disgrazia è d’aver perso la testa, letteralmente. Stiamo in guardia: come diceva Euripide, «quelli che Dio vuole distruggere, prima li fa impazzire». Eppure in Italia non mancano intelligenze né eccellenze. C’è un sentimento d’appartenenza nazionale che non vibra unicamente quando gioca la Nazionale. C’è una domanda di governo che sale da tutti i cittadini. E a leggere i programmi dei partiti, i punti di consenso superano di gran lunga quelli di dissenso, come la legge sul conflitto d’interessi: sicché basterebbe lasciarla in quarantena per un altro po’ di tempo, in fondo la aspettiamo da vent’anni.

Una cosa, però, dovrebbe essere chiara. Se fallisce il governo dei partiti (quello incarnato da Bersani), c’è spazio solo per un governo del presidente, votato in Parlamento ma sostenuto dall’autorità di Giorgio Napolitano. Anche se quest’ultimo a breve lascerà il suo incarico, anche a costo di sperimentare l’ennesima anomalia istituzionale: il governo dell’ex presidente. Michele Ainis, Il Corriere della Sera, 28 marzo 2013

…..Il prof. Ainis è un illustre costituzionalista, docente di diritto costituzionale alla Università Roma 3, autore di molti saggi di politica e anche di costume. L’ultimo dei quali, da poche settimane in edicola,   ha un titolo che è un programma: Privilegium ed è nello stesso tempo un trattato giuridico e di costume. E’ una elencazione dei privilegi di cui godono infinite caste italiane la maggior parte dei quali fonda sul sistema delle deroghe. Scrive Ainis che le deroghe alla regola sono di per sè e sempre  privilegi per alcuni, spesso per pochi. Di qui, scrive Ainis, la peggiore anomalia italiana. Anche questa nota che racconta di un sogno che è invece sempre più una terribile realtà è una nota di costume che affonda le sue radici nel diritto: il diritto degli italiani ad essere governati, possibilmente saggiamente,  da quelli che abbiamo eletto a nostri rappresentanti.  Ma forse anche questo è solo un sogno….g.

NON TOGLIETECI (ANCHE) L’OTTIMISMO

Pubblicato il 27 marzo, 2013 in Politica | Nessun commento »

Se la situazione non fosse seria, anzi drammatica, ci sarebbe da ridere. Bersani, alla ricerca del sostegno per una maggioranza di governo, su incarico di Napolitano e in attesa del miracolo, ieri ha fatto alcuni giri di valzer che, vista l’ora (era fissata la Direzione farsa del Pd) non hanno compreso anche il portiere di casa sua. Era veramente urgente e plausibile parlare con Saviano, con don Ciotti, con la Gioventù federalista? Non se ne abbia il segretario Pd se poi sui social network si sprecano i commenti di fuoco. È proprio necessario arrivare fino a giovedì per riferire al presidente Napolitano che non perde occasione per ricordargli di far presto?
Inascoltato il grido d’allarme del leader di Confindustria Squinzi, anche il segretario Cgil, Susanna Camusso, di certo non grillina, ha insistito su più spesa pubblica, meno imposte e, addirittura quasi berlusconianamente, togliere il pagamento dell’Imu sulla prima casa fino a mille euro. Con un’ultima frecciata al compagno Pier Luigi: la trasparenza nei costi della politica non deve essere la priorità. Bersani invece mentre continua a respingere al mittente la proposta del Pdl, di un governo di larghe intese con lui stesso premier e il segretario del Pdl vice, preferisce immaginare un cambiamento sostenuto da «corresponsabili». Ovvero? Grillo e Monti? E se il rischio implosione del Pd non lo tange, le voci di un possibile downgrade di Moody’s non lo sfiorano e neanche le parole del presidente Dijsselbloem lo spaventano: il salvataggio di Cipro, con il prelievo sui conti bancari, è un nuovo modello da seguire in tutti i Paesi a rischio. Italia compresa.
Bersani sta perdendo tempo. Gli italiani stanno perdendo tutto. Compreso l’ottimismo.Sarina Biraghi, Il Tempo, 27 marzo 2013