Immaginiamo per un momento di vivere in un Paese con una classe politica seria, preoccupata delle difficoltà che ci tormentano da un tempo ormai lunghissimo. Questa classe politica avrebbe preso atto immediatamente che dalle urne del 24 febbraio non era uscito un vincitore capace di formare subito un governo e che il vero trionfatore (il movimento di Grillo) non aveva alcuna intenzione di fare accordi con gli altri partiti. Avrebbe imboccato la strada faticosa del dialogo tra le altre forze politiche (sinistra, centrodestra e montiani) per un’intesa che mettesse da parte le ostilità e la propaganda. Un accordo con pochi punti di programma per tirare fuori l’Italia dalla crisi. Non è impossibile, è successo in Paesi come la Germania e l’Olanda che hanno avuto leader politici consapevoli del proprio ruolo. Un mese e mezzo è invece passato da quel voto e nulla è accaduto. Siamo nel pieno di una commedia all’italiana che una volta divertiva e ora solo preoccupa l’opinione pubblica.
Lo chiamino come vogliono: governo di larghe intese, di scopo, istituzionale, di tregua. La cosa importante è che definisca un programma limitato ma incisivo e che abbia la durata sufficiente per realizzarlo. Alle domande contenute nel voto di protesta non si risponde scimmiottando o inseguendo gli umori alterni dei nuovi eletti a Cinque Stelle ma mettendo in campo misure efficaci per aiutare le imprese che chiudono e gli italiani che perdono il posto di lavoro. Senza ostilità preconcette e complessi di superiorità di cui non si sente davvero il bisogno. da Il Corriere della Sera, 7 aprile 2013
GITA E FUSIONE, FLAIANO DOCET
Pubblicato il 6 aprile, 2013 in Il territorio | Nessun commento »
Un numero, 52%, dovrebbe farci riflettere più delle parole. Le tasse sono arrivate al 52% del Pil, un record assoluto per l’Italia e nell’Europa. A un anno dal decreto «Salva-Italia», di montiana memoria, di crescita non c’è traccia mentre di lacrime e sangue per il nostro Paese non c’è fine: aumentano le tasse, le aziende chiudono e gli imprenditori e i disoccupati si suicidano. A metterci una «pezza» ci pensa questa mattina il Consiglio dei ministri che darà il via al decreto che sbloccherà circa 40 miliardi, dei 100 di debito, delle pubbliche amministrazioni verso le aziende. Gli enti locali in difficoltà nei pagamenti ai creditori per crisi di liquidità potranno chiedere un anticipo alla Cassa depositi e prestiti. Con questi «problemini» di sopravvivenza, i nostri politici che fanno?
Berlusconi chiede un governo stabile e rassicura: «Il voto non è la nostra prima opzione». Grillo, invece, fa la gita (segreta) fuori porta per «rieducare» i dissidenti, quelli che non dicono no ad un dialogo con il Pd. Molti dei ribelli però hanno disertato il pranzo anche se il comico genovese ha ribadito: «Inciucio Pd-Pdl, la gente prenderà i bastoni». E mentre i grillini vanno in pullman la sinistra arriva al bivio litigando pure sui titoli dell’Unità. Renzi, dopo l’attacco per niente velato alla strategia di Bersani, esclude di fare una sua lista che valichi i confini tra destra e sinistra, ma intanto c’è chi tra i «giovani turchi» pensa a un matrimonio con Sel. A Vendola non dispiacerebbe un ritorno all’antico ma non una fusione a freddo.
Ecco, gli strateghi dei partiti, i maghi del tatticismo, in che Paese vivono? Aveva proprio ragione Flaiano: «La situazione politica in Italia è grave, ma non è seria». Sarina Biraghi, Il Tempo, 6 aprile 2013
……Flaiano diceva anche che “gli italiani tengono famiglia” e aggiungeva, sarcastico, che “gli italiani salgono sempre sul carro dei vincitori”. In questi tre aforismi dell’indimenticabile Flaiano si può circocrivere la storia recente del nostro sfortunato Paese. I tatticismi cui fa cenno il direttore de Il Tempo sono tutti finalizzati a difendere la “famiglia”, prima di tutto quella di sangue e poi, se avanza, anche quella politica, pronti, alla bisogna, a “saltare sul carro dei vincitori”, tanto sebbene “il momento è grave, in fondo non è poi tanto serio” , perchè, in fondo, cosa vuoi che siano un suicidio l’altro ieri, tre ieri, e magari un altro paio domani? In Italia siamo una sessantina di milioni: uno, tre, cinque o anche cinquecento che si tolgono la vita, la percentuale è estremamente risibile e ci può stare. Quest’ultimo non è un aforisma di Flaiano ma il pensiero neanche tanto recondito di una classe politica sempre più lontana dalla gente e sempre più referente solo di stessa. Sino alla indifferenza di fronte alle tragedie che non riguarda i singoli, ma sempre più diventa tragedia di un popolo, il nostro. g.
BERLUSCONI A BARI SABATO 13 APRILE
Pubblicato il 5 aprile, 2013 in Politica | Nessun commento »
Cari Amici,
come ho annunciato in Piazza del Popolo, la nostra mobilitazione nelle piazze, nelle istituzioni e nei media continua.
Sabato 13 aprile ci ritroveremo a Bari, alle 16, in Piazza della Libertà. Sarà una nuova occasione di incontro tra noi che ci darà la possibilità di far sentire la nostra voce a ridosso dell’inizio delle votazioni parlamentari per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.
La nostra posizione è chiara e nota a tutti. La prima preoccupazione è per lo stato dell’economia, per le imprese, per i lavoratori in difficoltà e per le famiglie. Per prendere le misure necessarie e urgenti per uscire da una austerità rovinosa e per far capire in Europa e ai mercati che l’Italia c’è, abbiamo dichiarato di essere disponibili a far nascere un governo di coalizione guidato da un rappresentante del Partito Democratico.
Abbiamo anche sostenuto con forza che, di fronte alla tripartizione paritaria dei voti uscita dalle elezioni, è impensabile che la sinistra si appropri di tutte le cariche istituzionali. Anche in questo caso ci siamo resi disponibili ad una scelta comune, perché il Presidente della Repubblica deve rappresentare un fattore di unità e di garanzia per tutti e non un ulteriore elemento di divisione.
Gli elettori mostrano di apprezzare la nostra proposta, al punto tale che se si rivotasse saremmo in grado, secondo gli ultimi sondaggi, di prevalere sia alla Camera che al Senato. Ciononostante il ricorso alle urne entro giugno non rappresenta la nostra prima scelta perché noi sappiamo bene che la cosa più urgente è far uscire il Paese dalla crisi nel tempo più breve possibile. Noi riteniamo quindi prioritario ed anzi, indispensabile, dare vita subito a un governo stabile e forte. Soltanto se il Partito Democratico dirà “no” a questa soluzione, si dovrà ricorrere alle elezioni anticipate.
Insisterò su questo e su molto altro sabato 13 aprile a Bari, in quella piazza dove siamo già stati e che mi è cara anche per il suo nome: Piazza della Libertà!
Non chiedo nulla per me, nè ruoli istituzionali nè ruoli di governo. Chiedo solo di poter continuare a svolgere il compito che mi è stato affidato ancora una volta dai nostri elettori e cioè quello di tenere unito il centro-destra e di contribuire a far uscire il nostro Paese da questa crisi che è la più grave dal dopoguerra ad oggi.
LA RIMOZIONE DEL “CAIMANO”
Pubblicato il 4 aprile, 2013 in Politica | Nessun commento »
L’altra sera ad Arcore, circondato dai suoi uomini, il Cavaliere ha invertito l’ordine dei fattori e ha reimpostato, ancora una volta, la tattica dei timidi negoziati con il Pd e con Pier Luigi Bersani. “E’ dal governo che si deve partire”, ha detto Berlusconi preoccupato, “il presidente della Repubblica viene dopo”. E dietro questa novità improvvisa, che ribalta la pur debole strategia adottata fino a ieri, s’indovina un sentimento di inquietudine o forse un’epifania, una rivelazione, la terribile certezza di avere sbagliato a insistere perché prima di tutto si discutesse di chi debba andare a fare il capo dello stato. Insomma il Cavaliere e la sua corte ora hanno l’impressione fondata di essere intrappolati in una meccanica perversa che comunque vada esclude Berlusconi dalla scelta del prossimo presidente della Repubblica per consegnarlo inerme a quella tenaglia politico-giudiziaria che secondo l’avvocato Niccolò Ghedini si stringe “nel giro di qualche mese”. Tra il 20 e il 21 aprile si conclude il processo Ruby con la possibile condanna per prostituzione minorile, poi arriva il turno del processo d’Appello per frode fiscale a Milano e infine, tra settembre e dicembre, la sentenza di Cassazione a Roma sul caso Mediaset.
“Vogliono stapparlo come una bottiglia di champagne”, dice Fabrizio Cicchitto, che da vecchio socialista craxiano ha una certa esperienza in tema di martirio politico e giudiziario. “Tuttavia – dice l’ex capogruppo del Pdl alla Camera – perché lo schema sanguinolento si chiuda, perché sia conclamato il caso psichiatrico di questa sinistra fuori controllo, ci vuole prima un nuovo presidente della Repubblica incline alla pulizia etnica, alla rimozione fisica del puzzone di Arcore”. Così Antonio Polito, l’editorialista del Corriere della Sera, vede una specie di “progetto di ingegneria istituzionale” per la decapitazione del centrodestra “che, eliminato Berlusconi, potrà anche sopravvivere, avere una sua dignità, essere riconosciuto e accettato. Ma prima bisogna fare fuori Berlusconi”. E il Pd – spiega Polito – “è come se si fosse messo in trappola, perché le sue azioni, anche involontarie, portano a questo esito cruento. Bersani ha interpretato le ultime elezioni come un enorme spostamento a sinistra del suo elettorato, per lui è stato come se il Pd fosse stato punito nelle urne per essersi mostrato tiepido con Berlusconi, per aver governato nella strana maggioranza che sosteneva Monti. Nel Pd adesso pensano che il loro elettorato voglia soprattutto chiudere i conti per sempre con Berlusconi, che Beppe Grillo sia un fenomeno di sinistra, una roba loro, ma non è così, gli italiani vogliono soprattutto stabilità al governo e riforme”. Martedì sera, a “Porta a Porta”, l’ex capogruppo del Pd Dario Franceschini lo ha praticamente ammesso, lui che al Quirinale vorrebbe un democristiano selvatico e morbido come Franco Marini: “Abbiamo sbagliato, abbiamo coltivato la presunzione di poterci scegliere l’avversario”. Come dire: un peccato ideologico che oggi stiamo perpetuando.
La meccanica che descrive Polito è quella scivolosa del grillage giudiziario del Cavaliere, quella che porta all’inseguimento maldestro del Movimento cinque stelle, all’abbraccio non ricambiato con Grillo, e infine, dunque, all’individuazione di una larga, larghissima, maggioranza per portare al Quirinale l’esecutore, o meglio, come si usa dire in questi giorni, il “facilitatore” della sentenza berlusconicida: Romano Prodi, o forse i professori Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà o comunque un profilo simile, un presidente della Repubblica, e capo del Csm, “incline al massacro”, come dice la ruvida e appassionata Daniela Santanchè, o come dice invece Alessandro Gilioli, la firma dell’Espresso, giornalista integralmente antiberlusconiano: “Una figura diversa da D’Alema, da Violante o da Napolitano stesso. Un presidente che non coltivi più rapporti ambigui con il Caimano”. Dunque se adesso Grillo non sbaglia tutto – cosa possibile, visto che i candidati del Movimento 5 stelle al Quirinale sono Imposimato, Boccassini e Settis cioè persone che persino il Pd potrebbe non votare – la strada è spianata. E Gilioli spiega cosa significa avere Zagrebelsky o Rodotà al Quirinale: “E’ l’occasione storica per mettere fine a un vulnus ventennale della democrazia, a Berlusconi. A quella che proprio Zagrebelsky chiamò profeticamente nel 1994 – nel libro ‘I misteri di Forza Italia’ – ‘la formula del potere perpetuo, aggiungendo queste parole: ‘Se questo progetto andrà in porto sarà per l’acquiescenza e la cecità degli altri’”. Insomma per sconfiggere Berlusconi “non c’è bisogno della Boccassini. Basta Zagrebelsky. A scrutinio segreto è molto probabile che trenta o quaranta deputati di Grillo lo votino”. Salvatore Merlo, Il Foglio quotidiano, 4 aprile 2013
……………Questa la strategia dei nemici giurati di Berlusconi ma più ampiamente della nostra democrazia, che si vuole trasformare, in barba alla storia recente e ai valori perenni della democrazia senza aggettivi, in democrazia popolare. Nella quale ogni dissenso veniva stroncato e ogni dissidente conosceva la strada dell’ostracismo, della persecuzione, del gulag, prima morale poi materiale. Riusciranno gli ultimi epigoni di un totalitarismo di stampo bolscevico, sconfitto dalla storia e dal Cavaliere religioso, Papa Giovanni Poalo II, che impugnò la spada della resurrezione dei popoli dell’est, a resuscitarlo attraverso la sconfitta, o, peggio, la “morte” del Cavaliere laico Silvio Berlusconi? Tutto dipenderà dalla capacità di quanti, pur all’interno del PD, sopratutto gli ex democristiani che qualcosa del passato avranno conservato ma anche gli ex o post comunisti che dalla caduta dell’impero del male anche loro qualcosa hanno appreso, riusciranno ad impedire che questo obiettivo venga colto. Nel nome della libertà, innazitutto. g.
LA GIOSTRA INCEPPATA
Pubblicato il 2 aprile, 2013 in Politica | Nessun commento »
Un manipolo di saggi in un mare di non saggezza potrà fare ben poco. Neanche il clima pasquale è riuscito a spegnere la rissosità e i contrasti nei partiti politici che, diciamolo chiaramente, sono gli unici responsabili di questa situazione. Bersani si è intestardito a voler formare il governo, senza numeri e con il veto nei confronti di Berlusconi. Il Cavaliere, più comprensibilmente, ha cercato di massimizzare la sua posizione entrando nella maggioranza o tornando alle urne. Grillo, come da copione del suo Movimento, ha scommesso sul caos.
Il presidente Napolitano, all’epilogo del settennato, si è ritrovato a gestire una crisi politica ingestibile malgrado il tentativo di moral suasion dopo le consultazioni al limite del ridicolo intraprese dal segretario Pd che avrebbe ascoltato anche la bocciofila di Bettola, essendo introvabile la casalinga di Voghera. E allora, per arrivare al fatidico 15 maggio, ecco il coniglio dal cilindro quirinalesco: una commissione (in emergenza, l’escamotage più italiano che ci sia) di saggi scelti secondo il mai superato manuale Cencelli con compito ricognitivo e limiti temporali.
Ma il lunedì dell’Angelo è servito per mettere il «pantheon dei saggi» che, ricordiamo, non comprende donne (solitamente frivole e incapaci?), nel tritacarne dei partiti. Berlusconi tace, ma Alfano torna a chiedere a Napolitano poiché «la casa brucia», nuove consultazioni e voto subito; per Grillo l’idea è un errore e definisce il team «le badanti della democrazia»; Bersani non pervenuto (in compenso parla il fratello: «Pier Luigi diventerà premier in un’altra vita») ma fa un’apertura Franceschini dicendo che il Pd «deve togliersi un po’ d’aria di superiorità e parlare con Pdl e Lega». Come dire, confronto o larghe intese non sono necessariamente sinonimo di «inciucio, ma semplicemente di governabilità, necessaria di fronte l’emergenza sociale di un Paese schiacciato dalla crisi su cui stanno per abbattersi Iva, Tares e Imu.
E mentre la Merkel non tradisce il percorso termale di Ischia, lo Spiegel ci dà lezione scrivendo che «la classe politica italiana ha perduto la capacità del compromesso, elemento centrale di ogni democrazia» ovvero, «l’intera classe politica è in bancarotta e devono intervenire dieci anziani signori». Per favore, fateci scendere da questo carosello. Sarina Biraghi, Il Tempo, 2 aprile 2013
IL “CALIFFO” NON CI INCANTERA’ PIU’
Pubblicato il 31 marzo, 2013 in Costume, Cronaca | Nessun commento »
Franco Califano è morto ieri nella sua casa ad Acilia in seguito a una crisi respiratoria. Era nato a Tripoli, il 14 settembre del 1938.

Cantante, ma anche attore, scrittore e personaggio tv, il «Califfo » è stato autore di molti brani di successo. Era malato da tempo ma solo pochi giorni fa, il 18 marzo, si era esibito al Teatro Sistina di Roma.Con lui scompare a 75 anni il musicista romano dopo una vita davvero spericolata: piena di successi ma anche di momenti durissimi
C’era, certo che c’era un filo diretto tra la sua voce e quelle parole, intense, robuste eppure poetiche, mai usate per caso e sempre nel posto giusto, nella canzone giusta. Gli veniva così, a Franco Califano. I suoi toni e il roboare dei bassi le vestivano poi con un taglio sartoriale, neppure una piega. Ciao Maestro.
Avete mai sentito Tutto il resto è noia cantata da un altro? È parodistica, quasi.C’è quel verso,«la barba fatta con maggiore cura», attenzione: «maggiore» e non «maggior»,che non poteva essere che suo. Popolano ma aristocratico. Agghindato a festa ma per un giorno qualunque. Aveva quel dono, Franco Califano, lo swing che ti porta fino all’aggettivo perfetto, alla metafora, all’allusione che spiega tutto ma neppure lui sapeva spiegarsi come facesse. «Me vengono» sorrideva, e così diceva anche dei suoi sonetti d’amore e di sesso. Oggi che non c’è più,morto da solo in casa, proprio lui che la apriva sempre agli amici, sarà un temporale di retorica sul grande autore che tutti diranno di aver sempre adorato.
In realtà non è così, e lui lo sapeva benissimo, se ne rammaricava, tra sé e sé si chiedeva come mai, ma com’è possibile. Ha scritto testi favolosi che si sono persi nel vuoto, e persino nel suo debutto, lo sconquassato singolo Ti raggiungerò del 1965, c’è il guizzo del talento che poi il disco L’evidenza dell’autunno ,
1973, aveva spiegato canzone dopo canzone, ammutolendo chi non s’aspettava che questo borgataro alto e spaccone, bello come Marlon Brando e vizioso come Steve McQueen, sapesse anche scrivere versi non eversivi né utopici ma semplicemente poetici, innamorati del bello e non di loro stessi. Mai autoreferenziale, altro che, il Califfo. «Mi piace scrivere per altri, perché mi siedo lì, mi immagino di esser loro e però di parlare con il mio cuore».
Ha composto Minuetto , capolavoro. E ha firmato con Mino Reitano Una ragione di più , uno dei brani più belli, struggenti e passionali della nostra canzone d’autore, spesso sottovalutato perché orfano di impegno politico odi visionarietà ideale ma fragoroso e italianissimo nella costruzione e nello sviluppo. Anche per questo Califano, che non ha mai dominato le classifiche né riempito gli stadi, è diventato così popolare, amato, imitato e parodiato fino alla noia. Se girava per Roma, era realmente il Califfo. Bastava che prendesse la sua spider,e una volta l’ha fatto anche con me dal centro fino a Fiumicino, e chiunque lo riconoscesse gli sorrideva, si spostava, lo salutava manco fosse il vicino di casa che gli era andata bene.
Intanto, non sempre gli era andata così bene. Finché erano i deragliamenti d’amore, pazienza, magari faceva arrabbiare qualcuno ma poi basta. Ma nel 1970, quando finì nei guai nella vicenda di Walter Chiari per possesso di stupefacenti, e nel 1983 sconfinò nel caso Tortora per droga e possesso d’armi, fu sempre assolto con formula piena dalla corte ma comunque condannato dai cortigiani a esser sempre quello lì, quello ai confini, quasi un personaggio da commedia all’italiana. «Lo so, ma me ne importa poco» diceva. E poi lui era così, soffriva ma non lo ammetteva manco a pagarlo. Anzi: prima di uscire da Regina Coeli trascorse le ore d’aria della vigilia sempre al sole, «così quando mi vedono abbronzato capiscono che sto bene e non sono battuto ».Già. E sorrideva fuori dalla porta, come sorrideva quel giorno. «Dimenticai di colpo un passato folle in un tempo piccolo» scrisse anni dopo in un altro capolavoro come Tempo piccolo , che ha un verso che lo spiega tutto, questo Califano nobile borgataro: «Dipinsi l’anima su tela anonima e mescolai la vodka con l’acqua tonica».In fondo,che andasse al Festival di Sanremo o a Music Farm o che fosse sul palco del Sistina di Roma come pochi giorni fa per l’ultima volta,Califano si dipingeva sempre su tela anonima, nel disperato e dolce bisogno di aiuto che ti impone la solitudine quando scopri che è l’unica fidanzata che riesci a non tradire. ……Ci accompagnato, come nessun altro, nella nostra giovinezza. Continueremo ad ascoltarlo, commuovendoci, come sempre.
IL GOLPE DI NAPOLITANO, L’ULTIMO RE DI ROMA di Alessandro Sallusti
Pubblicato il 31 marzo, 2013 in Politica | Nessun commento »
Il presidente Napolitano ha deciso di non decidere. Non un nuovo incarico, non la conferma di quello dato giorni fa a Bersani, non le dimissioni ventilate nelle ultime ore.
Non avremo quindi un nuovo governo, né torneremo a votare. In compenso due commissioni composte da presunti saggi incaricati da Napolitano stesso tenteranno di sbrogliare la matassa. Cioè il nulla assoluto, ben sapendo che in Italia le commissioni si insediano quando si vuole prendere tempo invece che risolvere il problema. Ma non solo. Detto con rispetto, il Quirinale non ce la dice giusta, né tutta. Per questo ci poniamo qualche domanda. 1) Napolitano l’altra sera aveva lasciato intendere che in mancanza di soluzione si sarebbe dimesso per accelerare la nomina del suo successore, non potendo lui sciogliere le Camere in scadenza di mandato. Perché nella notte ha cambiato idea, allontanando così il voto? E con chi si è consigliato? Forse le stesse «entità » che lo spinsero, nel novembre del 2011, al blitz che insediò Monti e il governo dei tecnici pur di sbarrare la strada sia a Berlusconi sia alle elezioni anticipate? 2) Come mai il custode della Costituzione ha fatto una scelta senza precedenti e palesemente incostituzionale come quella di dare il mandato esplorativo a due commissioni? E perché permette a un governo, quello di Monti, di restare in carica e operare senza aver avuto la fiducia del nuovo Parlamento? La cosa non sta in piedi da qualunque parte la si giri.
3) Grillo ha teorizzato che si può governare senza governo (dove non vuole né può entrare) perché basta il Parlamento (dove lui è decisivo). È un caso che questa operazione lo accontenti?
4) Ed è ancora un caso che a trarre enorme vantaggio da questa melina sia solo il Pd, sconfitto prima nelle urne e poi dalla sciagurata scelta di Bersani di escludere il Pdl? La sinistra era infatti con le spalle al muro: o elezioni o accordo con Berlusconi. Napolitano le ha spianato la via d’uscita e concesso il tempo per riorganizzarsi. Più in là saranno eventuali elezioni, più è possibile per il Pd rottamare definitivamente Bersani e schierare Renzi, avversario ben più ostico per il centrodestra.
5 ) Come mai a Bersani non è stato ritirato il mandato esplorativo che gli era stato affidato la scorsa settimana? Strano, no?
6) Sta di fatto che l’amico (di Napolitano) Mario Monti potrà continuare a controllare indisturbato le leve economiche del Paese in mesi complicati e decisivi. Non è che per caso la Germania e le centrali finanziarie e bancarie internazionali, che con Monti si trovano benissimo, abbiano chiesto a qualcuno garanzie in tal senso?
7) Insomma, chi comanda in questo Paese? C’è più che qualcosa di losco in questa operazione. Sa di golpe, di un tentativo per congelare gli inaspettati otto milioni di voti raccolti dal centrodestra e imbrigliare la volontà popolare. Non c’è da fidarsi. Alessandro Sallusti, 31 marzo 2013
……Cosicchè non siamo stati gli unici a sobbalzare sulla sedia nell’ascoltare le decisioni di Napolitano dopo la constatazione che Bersani non aveva i numeri per fare il governo, cioè la nomina di una decina di persone, chiamati enfaticamnete “saggi” con il compito di mettere d’accordo quelli che non si sono messi d’accordo sinora. Peggio è stato apprendere i nomi dei saggi. Brave persone, come una decina di milioni in Italia, uno più, uno meno. I quali dovrebbero mettere su o giù sulla carta ciò che da una decina d’anni non riesce ai partiti di cui tutti o quasi questi cosiddetti saggi sono espressione: una nuova legge lettorale che piaccia a tutti, interventi urgenti in materia economica e per la crescita condivisi tutti, rimodulaziine dell’IMU che piaccia a tutti, etc, etc. Da ridere. Senza tralasciare che tra i cosiddetti saggi incaricati di trovare la “quadra” su questo pò pò di problemi c’è anche il presidente dell’ISTAT, il prof. Giovannini, lo stesso che incaricato di analizzare e confrontare le indennità dei parlamentari di tutta Europa al fine di omologare le indennità dei parlamentari italiani alla media europea, dopo una decina di mesi di indubitabile indefesso lavoro gettò la spugna dichiarandosi incapace di espletare il lavoro non riuscendo a districarsi nella giungla delle indennità parlamentari europee. Ovviamente le indennità dei nostri parlamentari, salvo la ridicola riduzione di 500/600 euro sono rimaste inalterate e, diciamolo, salvaguardate. Per carità. Non dubitiamo che il prof. Guiovannini ce l’avà messa tutta ma il risultato è quello: abbandono. Ora in sette/10 giorni, lui e gli altri, dovebbero riuscire lì dove da anni non si riesce a cavare una ragno dal buco? Barzellette. La verità è che Napolitano ha solo preso e perso tempo. Incoronandosi nuovo e ultimo re di Roma. g.
ABBIATE PIETA’, di Antonio Polito
Pubblicato il 30 marzo, 2013 in Politica | Nessun commento »
Il Venerdì Santo di quindici anni fa, nel gelo del Castello di Stormont a Belfast, le due fazioni irlandesi che si erano combattute per trent’anni e tremila morti fecero pace. Alla trattativa erano presenti uomini che, dal versante cattolico e da quello protestante, avevano guidato milizie armate e avevano personalmente ordinato uccisioni e stragi degli avversari. Eppure ne nacque un governo comune dell’Irlanda del Nord.
Nel Venerdì Santo del 2013 i partiti italiani, che non escono da una guerra civile e che dovrebbero avere nel loro Dna l’attitudine al compromesso su cui si basano le democrazie, non sono stati capaci di dire di sì al presidente Napolitano e di dar vita a un governo. Non c’è neanche un punto di contatto fra i tre maggiori partiti: Grillo non vuole fare niente, Berlusconi vuole fare solo un governissimo impossibile perché il Pd lo rifiuta, e il Pd accetterebbe solo un governicchio dopo il fallimento di Bersani.
La gravità della crisi che sta sconvolgendo la Repubblica è tutta qui. La legge elettorale non riesce più a dare una maggioranza al Parlamento. Il Parlamento non riesce più a dare un governo al Paese. Il presidente è chiamato costantemente a riempire i vuoti di una democrazia parlamentare che ormai cammina come un ubriaco sull’orlo della Costituzione. E meno male che si tratta di Giorgio Napolitano, uomo di cui nessuno, né Berlusconi che sette anni fa si rifiutò di votarlo, né Grillo che appena qualche mese fa lo insolentiva, osa più negare l’imparzialità e il senso patriottico.
Però neanche Napolitano può più fare miracoli. È in scadenza di mandato. Non dispone dell’arma dello scioglimento anticipato. Non può forzare la mano ai partiti costringendoli a un governo del presidente, perché tra qualche settimana il presidente sarà un altro.
Stavolta solo un accordo tra i partiti può risolvere il rebus. Solo se c’è un compromesso, Napolitano può dargli un nome e una forma. Se non ci sarà, se nessuno mollerà neanche un po’ delle sue ambizioni elettorali, personali o processuali, i partiti aggraveranno la crisi di sistema fino a coinvolgervi la Presidenza stessa, costringendo quella attuale a rinunciare anzitempo al mandato. Sarebbe una scelta drammatica, più un atto di accusa che un atto di dimissione, soprattutto da parte di un uomo come Napolitano che al servizio delle istituzioni non ha mai rinunciato. E sarebbe un parto prematuro della Presidenza futura, esposta al rischio di nascere con la tara di una scelta partigiana che contrasta con la lettera e lo spirito della Costituzione.
Nella lunga notte della politica italiana che dura da due settennati, solo il Quirinale è finora uscito miracolosamente indenne dall’incendio delle istituzioni. Coloro che abbiamo eletto stanno per appiccare il fuoco anche all’ultimo Colle della Repubblica? Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 30 marzo 2013
.…….Non è un grido di dolore nè una invocazione quella di Polito, ex senatore del PD e per questo ancor più credibile in quwesta sua esortazione. Che è un imperativo per quanti in queste ore hanno nelle mani il futuro del nostro Paese, dal quale non possono e non debbono disertare. Anche se sono capaci di farlo.g.